31 luglio 2014

La Politica e le tasse: quelle piaghe bibliche sul corpo della città




LA CRESTA E I VERDI PASCOLI DELLA POLITICA
Ci sono soltanto due cose certe nella vita: la morte e le tasse. Si tratta di un postulato fondamentale per comprendere, senza distinguo frondosi e insulsi, la funzione di rapina esercitata dalla politica e dalla burocrazia pubblica. Prendiamo, non a caso, gli enti locali. Il giochetto vessatorio è molto semplice: fare in modo, attraverso il gioco delle aliquote e delle previsioni, che le entrate complessive generate da un tributo siano superiori alle necessità e ai costi connessi a un determinato servizio. In questo modo l’ente pubblico – che per mission teorica dovrebbe essere al servizio dei contribuenti – utilizza le entrate tributarie per farci sopra la cresta e garantirsi un tesoretto. Il surplus viene giustificato dando la colpa a “naturali e umanissimi” deficit previsionali oppure, più nobilmente, ricorrendo a imperativi prudenziali, ossia al bisogno della tecnostruttura di pararsi il culo, visto che essa eternamente dura. La realtà è, ovviamente, un’altra e cioè che la cresta serve per foraggiare clientele politiche e attività elettoralmente remunerative. Ogni assessore, infatti, dispone di un suo pascolo e un suo gregge e, notoriamente, non c’è niente di più comodo e redditizio che farsi pagare bisogni e svaghi politici dalla mano invisibile del contribuente

SAGRAMOLA E LE TASSE: NON LO FAI PER AMORE MIO..
Di fronte a questo reiterato scempio è letteralmente paracula la tiritera sulle tasse che non aumentano, sui servizi a parità di costo e sul buon governo di chi si reputa così bravo da poter evitare anche gli adeguamenti tariffari in base Istat. Ecco perché la politica, di fondo, non è altro che l'arte di mettere le mani in tasca ai cittadini senza essere denunciati per furto o per molestie. Personalmente comincerò a fare un tifo da ultrà per il Sindaco il giorno in cui Sagramola - invece di rompere i coglioni sostenendo, con espressione affranta, di aver fatto di tutto e di più per non aumentare le tasse – smetterà di dire che le tasse servono per finanziare i servizi, ossia per soddisfare le esigenze dei cittadini. Perchè, caro Giancarlo, è evidentissimo e lapalissiano che non lo fai per amor mio ma per far piacere a dio. E il dio dei sindaci è il benessere dei dipendenti pubblici, il vizio inestirpabile di una struttura che può farti tirare avanti o lastricarti la strada di ostacoli, a seconda di quanto ti metti a pecora di fronte alle sue esigenze di durata e a quelle vaghe e irritanti zone di comfort che coltiva con mano d'artista. Di fronte a un discorso incentrato su queste verità mi sentirò in dovere di omaggiare la ruvida ma chiarificatrice onestà intellettuale dei decisori. 

IL GIRO DEI TRIBUTI: UNA CIPOLLA SFOGLIATA AL CONTRARIO
Gli introiti generati dai tributi, infatti, funzionano come una cipolla sfogliata al contrario, ossia da dentro a fuori, sulla base di tre priorità sequenziali e ferocemente gerarchizzate: il grosso delle risorse in entrata serve per coprire la crescita bulimica dei costi di struttura del baraccone comunale. La seconda quota è costituita dalla cresta che viene destinata al finanziamento delle operazioni di propaganda politica e al sostegno delle famiglie numerose che portano tanti voti ai partiti di governo. Quel che resta, ossia una quota residuale, serve per tenere in piedi la finzione dell’interesse pubblico, ossa per finanziare il sistema dei servizi al cittadino, la maggior parte dei quali – vale la pena ricordarlo - funziona in un regime non certo casuale di deficit strutturale

L'ASSASSINO DELLA DEMOCRAZIA COMUNALE NON E' IL PATTO DI STABILITA'
Di fronte a questa scena – che può essere contraddetta solo a colpi di pandette e bizantinismi dai professionisti del capello spaccato – emerge in tutta la sua geometrica potenza l’inutilità della politica e del procedimento elettorale negli enti locali. Lo dico da tempo e lo ripeto con granitica convinzione: per governare una città di 30 mila abitanti è sufficiente una figura neutra, un servitore dello Stato a tempo determinato, un Commissario di governo che svolga la funzione amministrativa per cinque anni per poi essere sostituito da un'altra figura equivalente. La democrazia municipale non l’ha uccisa il Patto di Stabilità ma una politica scroccona alleata di una burocrazia pubblica vorace come le cavallette della narrazione biblica.
    

30 luglio 2014

Molti sono i denari tra Tasi, Tini e Tari





IL BILANCIO DI PREVISIONE E LA VERGINE ADDOLORATA
Attendiamo fiduciosi che la delegazione di Giunta dell’UDC esprima nitide parole di censura e di dissociazione rispetto al progetto da 140 mila euro presentato dal circolo Fenalc per un’opera, spacciata come contributo al Bilancio Partecipativo, platealmente estranea al concetto stesso di interesse collettivo e di rigoroso utilizzo delle risorse pubbliche. Nel frattempo, il capodelegazione UDC Angelo Tini – oramai lacrimoso come una vergine addolorata - è intervenuto sulla stampa, per stendere un po’ di patina sul bilancio di previsione che verrà discusso sabato prossimo dal Consiglio Comunale

IL TEMPO ANDATO DEL FURORE CARDUCCIANO
Ma nonostante la buona volontà, il tempo degli onori sta finendo anche per Angelino da San Donato, che ha smarrito lo smalto di una volta quando postillava i conti con quel furore carducciano che mi spinse, in diverse circostanze, a immaginare e descrivere il ribollir de tini e l’indomita passione ragionieristica dell’Assessore al Bilancio. Il Tini di oggi è una controfigura di quell’antica maschera democristiana che, per arsomijo, tanto fa pensare all’Alberto Sordi dei film in bianco e nero, una replica claudicante di quel contabile cazzuto già assessore quando un quarto di secolo fa – sotto l’impero del Divo Antonio – ebbi la ventura di fare il consigliere comunale d’opposizione. Un Angelino da San Donato che impacchetta un bilancio affermando che era l’unico bilancio possibile non si era mai visto, perché col vento in poppa lo avrebbe rivendicato e appeso al bavero come la più splendente delle medaglie e si sarebbe dato la mano da solo e poi congratulato con se stesso per ferma convinzione e profondissima presunzione. 

IL BILANCIO FIGLIASTRO: "NON C'E' I SOLDI"
Oggi si presenta alla stampa con un documento che non sente figlio ma figliastro, che lo costringe a rintuzzare e precisare. Un bilancio di previsione di cui il Fu Carducciano disconosce la paternità, come se quel magheggio di numeri e cifre non portasse la sua firma e altro non fosse che l’epilogo di una congiura esterna, nutrita di mancati trasferimenti statali, diktat di Ancona Ambiente e acronimi di tassazione, tutti rigorosamente a quattro caratteri: Tari, Tasi, Tini. “Non c’è i soldi”, ripetono a Palazzo Chiavelli amministratori poco avvezzi a frequentazioni dantesche. E non è solo un mantra furbetto ma una sintesi, la forma epigrafica e stilizzata di un bilancio sempre più simile alle foglie di fico utilizzate, nella dark age per coprire i nudi d’arte. 

"NON C'E' I SOLDI" MA RIN TIN TINI LI TROVA
“Non c’è i soldi” dicono Rin Tin Tini e il suo vice Giancarlotto il Censore. Però magari, se ti dice culo, 140 mila euro per un gazebo con cucina attrezzata e pista da ballo con pavimentazione quarzata vengono pure fuori. E mannaggia all’NCD che invece di farsi i cazzi suoi ti va a presentare il contro progetto etico: 140 mila per la manutenzione di sei scuole. E magari altrettanti euri per i voucher – da far gestire agli amici democristiani di Campodonico - gira che ti rigira tra le pieghe del Bilancio si trovano. E se ti ci metti di buzzo buono finisce pure che dal cilindro sbuchino 115 mila euro per risanare e mettere in tiro le mura di San Donato di cui, Santo Dio, narrano entusiasti tutti i libri di storia dell’arte. Per non parlare dei 165 mila euro destinati alle mura di Albacina, altro luogo prediletto di masse turistiche e viandanti colti. Ma siccome non ci facciamo mancare nulla, si trovano pure 120 mila euro per la strada di Monte Cucco che, notoriamente, fa comodo a qualcuno ma non serve a un cazzo a nessuno. E poi 115 mila euro per l’area archeologica di Attidium che, come ha detto con acume un amico consigliere, sono quattro coppi spersi in un campo di falaschio. Insomma, “i soldi c’è”, ma non per tutti e non per tutto. I “soldi c’è” quando servono a finanziare feudi politici ed elettorali. Diversamente, ti attacchi al cazzo e fai Tarzan. E' proprio vero che oltre alle mezze stagioni e al solleone di luglio non ci sono più  manco i democristiani di una volta.
    

29 luglio 2014

La Festa di Santa Maria il Bilancio Partecipativo se lo porta via




L'EFFETTO PRAVDA E IL BILANCIO PARTECIPATIVO
Il 13 aprile 2014 un Corriere Adriatico in luminoso effetto Pravda titolava trionfante: “Si apre l’era del bilancio partecipativo”. A distanza di quattro mesi, altrettanto solennemente, possiamo affermare che si è chiusa l’era delle puttanate amministrative a mezzo stampa. Il Bilancio Partecipativo, infatti, non è mai decollato: innanzitutto perché una Giunta culturalmente primordiale non poteva di certo attivare un processo articolato e innovativo dato che, notoriamente, nessuno ha mai visto sanguinare una rapa; e poi l’ignoranza di base, di norma, spinge chi non sa - e non si impegna manco a sapere – a giocare con le parole, manomettendole e rigirandole come la pelle dei coglioni

IL BP IN VERSIONE TINAMOLA MA FRA UN PO' FINIMOLA
Infatti il Bilancio Partecipativo – nella versione di Giancangelo Tinamola ma fra un po’ Finimola, ibridazione di laboratorio del rinomato gemellaggio giurassico e di governo cittadino – si è rapidamente ridotto a lotteria paesana, con una somma, compresa tra i 100 mila e i 150 mila euro, da destinare a progetti di investimento in conto capitale sulla base di un concorso di cui dovevano essere protagoniste le quattro porte del Palio. Ciascuna di esse aveva il compito di selezionare venti persone incaricate di trasmettere proposte progettuali al Comune. All’Ufficio Tecnico spettava il compito di definire l’ammissibilità delle proposte con la facoltà delle Porte di decidere, entro l’ultimo giorno di luglio, quale opera realizzare. Da quel che è dato sapere – notizie ovviamente di corridoio visto che il Bilancio Partecipativo piace a Tinamola ma fra un po’ Finimola solo se l’informazione in materia è ridotta a quattro gatti domestici e senza unghie – dai delegati di Piano, Cervara, Borgo e Pisana non è arrivato un becco di proposta, perchè non basta battere l’incudine la sera di San Giovanni e cuocere salamelle nelle osterie per diventare progettisti e darsi anima e corpo alla cosa pubblica. 

IL BP FENALC ANTONMERLONICO
Fatto sta che alla fine dei giochi di progetti ne sono stati presentati soltanto due: uno dai consiglieri comunali del Nuovo Centro Destra per interventi di manutenzione straordinaria di edifici scolastici e uno, udite udite, presentato dal Circolo Fenalc. Su quest’ultimo vale la pena spendere due parole. Il Circolo Fenalc è l'entità leggendaria che organizza la Festa di Santa Maria, un tempo culmine celebrativo del metal mezzadro e del regime democristiano, una sorta di parata militare, a ritmo di mazurka di periferia, con le fette di cocomero al posto dei fucili e le frittelle zuccherate a rimpiazzare losanghe ed elmetti. Il tempo ha profondamente ridimensionato il peso di questa manifestazione, che resta in piedi come rievocazione storica dell’antonmerlonismo e come enclave festaiola dei residui di Biancofiore in versione uddiccina. Ma nonostante il crepuscolo delle divinità metalmezzadre il Circolo Fenalc è ancora vivo e lotta insieme a noi. E lotta così alacremente da aver scoperto pure le virtù del Bilancio Partecipativo, senza scandalo per una mezza diavoleria sicuramente più adatta ai comunisti che agli Spadini. 

SERATE DANZANTI IN CEMENTO QUARZATO
Ed ecco quindi il progetto di BP targato Fenalc: un’azione di valorizzazione dell’area in cui si tiene la Festa di Santa Maria per un ammontare di 140 mila euro. Il progetto prevedeva la realizzazione di una pedana polivalente, di spogliatoi con bagni, di un gazebo con cucina attrezzata e di un'area asfaltata in cemento quarzato, probailmente per rendere più agevoli i movimenti di chi partecipa alle serate danzanti. La cosa divertente è la denominazione del progetto: "Completamento dell'area a verde attrezzato di Santa Maria". Notoriamente, infatti, quando si pensa al verde attrezzato vengono subito in mente spogliatoi e cucine! Ora, soprassedendo su quanto sopra e fermo restando il giudizio interamente indignato e scandalizzato sul Bilancio Partecipativo in versione Tinamola ma fra un po’ Finimol, è evidentissimo che tra un progetto di manutenzione straordinaria di edifici scolastici – che può avvalersi anche di alcuni incentivi statali - e un progetto di valorizzazione del Jurassic Park Festaiolo e Democristiano la scelta è una e una sola e non prevede alternative. 

L'ASSEMBLEA SENZA NUMERO LEGALE
Ieri sera si è tenuta l’assemblea con i delegati indicati dalle quattro porte. Pare che il progetto targato NCD abbia avuto una netta affermazione rispetto a quello del Circolo Fenalc, ma all’ultimo minuto, grazie ad alcune provvidenziali uscite, è mancato il numero legale con conseguente nullità della votazione. Un vero colpo di coda del vecchio regime e a questo punto Giancangelo Tinamola ma fra un po’ Finimola dovrebbe avere il coraggio di dichiarare che il progetto del Fenalc non s’ha da fare. Né domani né mai.
    

28 luglio 2014

Giotto, la Grande Bellezza e il Maestro del Bianco Sartoriale




IL SENTIMENTO DEL CONTRARIO
La cronaca cittadina presenta spunti di roccioso umorismo. Roba pirandelliana. Senza risate e spatacchi. Solo simbolismi che aizzano il sentimento del contrario. Da un lato, tanto per dire, è tutto un fiorire di entusiasmi per il boom di visitatori alla Mostra giottesca. Una buona notizia perché per quattro mesi avremo valuta in ingresso, una variazione non solo mortuaria del PIL locale e potenzialità di ritorno sull’investimento, sempre che i pubblici esercizi rinuncino al chiuso per turno e Giove Pluvio si decida a sostenere il break even point con qualche sprazzo di calura. Dall’altro, compenetrato come un monito al trionfo d’arte sacra, c’è la vexata quaestio dei lavoratori Ardo che domani ripartono in pullman per Roma – destinazione Mise, obiettivo sterile protesta – a riprova che la vita non è solo un’Annunciazione del Maestro di Campodonico ma anche un possibile Annuncio di fine corsa decretato da Giovanni di Cerreto d’Esi, meglio conosciuto come il Maestro del Bianco Sartoriale

LA GRANDE BELLEZZA
C’è qualcosa di Paolo Sorrentino in questa Fabriano operaia che soccombe e stira gli zoccoli mentre la borghesia merloniana - prima adoratrice di lamiere e ora riciclata all'immateriale artistico - si raduna al Teatro Gentile per fare di Giotto un’icona della sua dissociazione da se stessa e dai suoi storici servilismi. Come nella scena iniziale della Grande Bellezza, con l’attico romano ricolmo di leggiadri e leggere consumati dagli anni e tuttora intenti ad ancheggiare sulle note di Raffaella Carrà, come se nulla fosse accaduto tra le feste di venti anni prima e quelle di oggi: a far l’amore comincia tu! 

LA NECESSITA' DEL SUPERFLUO: SI BALLA SOTTO LE BOMBE
Ma al di là di tutto e dei nuovi manierismi il pirandellismo fabrianese sembra giunto a un vero e proprio punto di frattura. La città è stanca di fischietti e tamburi e ha voglia di voltare pagina, perché non c’è niente di più necessario che il superfluo quando il necessario scarseggia e sembra diventato una promessa che non è possibile mantenere. Fabriano è sfibrata e stanca. Assueffata al quotidiano bollettino di guerra di imprese che chiudono, di delocalizzazioni a grappolo e di previsioni fosche sul domani. Gli umani hanno bisogno di ballare mentre cadono le bombe, di aggrapparsi a un leggiadro spirito di sopravvivenza quando la situazione sembra ben disposta solo per lacrime e sangue. 

LA MOSTRA HA UCCISO JP
La rassegna sgarbiana “Da Giotto a Gentile” – e mi sia consentito un paradosso volutamente estremo e sintomatico - ha fatto più danni alla causa dei lavoratori della JP di quanti ne siano derivati dalla sentenza del Tribunale di Ancona che ha annullato la vendita al Maestro del Bianco Sartoriale. Essa ha fornito alla voglia di frivolezza una sponda di alto bordo e un rimbalzo di valore che inquadra una via di fuga non banale. Del resto è molto più dignitoso e rassicurante adottare una migrazione giottesca al fru fru che incagliarsi in una rimozione indifferente nei confronti della fabbrica declinante e del suo popolo serializzato. Fabriano, probabilmente, non diventerà mai un centro d’attrazione turistica: per deficit di competenze, di identità e di natura. Ma ha bisogno di crederlo, di vivere questa illusione che, alla fine, è saggezza e vita.
    

25 luglio 2014

Graziello Scontobello e il pacchetto Sgarbi




GIOTTO, GENTILE E LA PORNOSTAR
Sull’ipotesi sgarbiana di un’inaugurazione della Mostra “Da Giotto a Gentile” in presenza della pornostar Vittoria Risi, io sto con Mauro Bartolozzi. Graziello Scontobello  è stato l’unico del mazzo a rompere il conformismo della provincia bigotta e porcona che giudica con sommo scandalo la presenza di una professionista del porno tra i giotti e gli allegretti ma poi senza dirlo si arrapa e guarda di soppiatto. Bartolozzi, da vero gattone situazionista, ha colto il gomitolo al balzo per differenziarsi pronunciando, per una volta, parole condivisibili su una città che simula orrore e stupore ma che è quella che ha dato i natali a Jessica Rizzo e che, vale la pena ricordarlo agli smemorati, fece ridere mezza Italia organizzando spedizioni di massa al Cinema Astra per assistere collettivamente alle inedite performance sessuali dell’allora insospettabile concittadina. 

IL DETTO E IL NON DETTO
Quel che è divertente è però il non detto, l'implicito che si intravvede come una filigrana, perché è quasi lapilissiano che il problema non è la presenza di una Vittoria Risi mezzo discinta ma il protagonismo di Vittorio Sgarbi, one man show che, dopo aver dato nei denti al Governatore sulla questione Dustin Hoffman, è improvvisamente diventato un soggetto ingombrante da cui prendere distanze e rimarcare differenze, come hanno fatto con una tempestività al limite del fiatone sia il Presidente della Fondazione Papiri che il Sindaco Sagramola. Come se la Mostra avesse di colpo cambiato titolo, assumendone un altro politicamente più conveniente e consono ai vigenti equilibri di potere: “da Giotto a Gianmario”. 

I RISCHI DEL "PACCHETTO SGARBI" E IL RISORGERE DI ANTICHE TENTAZIONI
In realtà la scelta di affidare la direzione della Mostra a Vittorio Sgarbi era naturalmente multilevel e comprensiva di contenuti culturali, di rischi di spettacolarizzazione e di ribalderie mediatiche e chi l’ha compiuta sapeva benissimo che avrebbe maneggiato e gestito un “pacchetto onnicomprensivo ad alto rischio” ma ad elevatissimo ritorno di immagine e visibilità. Prendere le distanze adesso, come se le battute al vetriolo di Sgarbi fossero un’eccezione non prevedibile restituisce, a chi osserva le cose con un minimo di distacco, il sentore di una tentazione furba, un riflesso di fabrianesità presuntuosa con Sgarbi che ha consentito di mettere in piedi un’operazione culturale altrimenti impossibile e pezzi di potere locale che puntano a spostarlo di lato, quasi fossero in grado di vivere di luce propria, artefici di un “ghe pens mi” che rinnova l'antica pretesa di autosufficienza in cui si è storicamente infranto il sogno di un entroterra vivibile e moderno. Occorre essere chiari: questa città deve ringraziare il bizzoso e urticante Sgarbi perchè senza il suo ramificato sistema di relazioni e la sua influenza nel settore artistico al massimo potevamo organizzare una mostra di cestelli arrugginiti e di lavatrici in disuso. E quelli che oggi fanno tanto gli schizzinosi sulle pornostar e sulle critiche a Spacca dovrebbero riflettere, per qualche istante, sui dati – pubblicati giusto qualche mese fa - in merito al numero di biglietti staccati alla Pinacoteca Comunale negli ultimi due o tre anni. Sono sufficienti quei pochi numeri per avere un'idea di massima della botta di culo che ci è capitata. Anche perchè è verissimo che non si fanno le nozze coi fichi e che senza denari non si sarebbe organizzato nulla, ma è altrettanto certo che i soldi non certificano il mecenatismo, la conoscenza dell'arte e la capacità di organizzarla in forma d'evento.