31 ottobre 2014

Il politico che mangiava spinaci

Ci sono mille racconti sui timorosi che si fanno coraggio e cercano di apparire forti, sui pavidi che dicono tremolanti all'amico "tienimi sennò a quello gli meno". E siccome la politica è scenario e metafora della vita, è abbastanza frequente incontrare alcuni idealtipi, compreso il timoroso che si infonde coraggio.

Il Sindaco Sagramola, ad esempio, non avrà molto di che sorridere in questo weekend di Ognissanti. Non tanto per il Golgota che, come primo cittadino, è costretto a raggiungere ogni giorno quanto, piuttosto, per gli incipienti uragani politici che si preannunciano attorno a quel che fu il microcosmo spacchiano.

Sagramola aveva evitato come la peste qualsiasi pronunciamento sulla questione Spacca. Un po' perchè il Governatore non ha mai cagato il Sindaco di Fabriano preferendo platealmente l'emerito Sorci, ma principalmente perchè esporsi in materia avrebbe generato qualche sicuro contraccolpo interno al partito che Giancarlone non aveva nessuna voglia di affrontare.

A fregarlo fu la candidatura a Presidente della Provincia. Accettando l'unanime designazione dei Sindaci della marca anconetana, Giancarlone sarebbe andato a occupare, a svantaggio di Spacca, l'unica casella che il PD aveva messo a disposizione dei fabrianesi.

Di qui la dichiarazione compensativa del Sindaco a sostegno di quelle primarie di coalizione ardentemente reclamate da Mario Nostrum. Il seguito è noto: Sagramola è stato brutalmente disarcionato dalla Provincia e dopo di lui è stata la volta del Governatore che probabilmente trascinerà a fondo con lui anche i più accesi tra i suoi sostenitori.

Sagramola, se Spacca non dovesse essere rieletto per la terza volta, pagherà dazio al nuovo corso del PD ed è probabile che i renziani che dominano nel partito regionale gli faranno la cresta, rispedendolo a fare il dipendente comunale.  

Sagramola, democristiano di petto e pelo, ha capito quel che sta accadendo e per scongiurare la paura ha gonfiato il bicipite sulla questione Ardo: "tienimi forte sennò gli meno". 

Il target del Popeye fabrianese è il Viceministro Claudio De Vincenti di cui l'uomo che mangiava spinaci "pretende con forza" la presenza al convegno sull'Accordo di Programma che si terrà la prossima settimana a Fabriano.

In questo momento di grande difficoltà personale Giancarlone si è fatto coraggio, per dimostrare ai concittadini elettori che nulla lo smuove dall'alta febbre del fare e dall'obiettivo della rielezione

Siamo curiosi di sapere se il Viceministro ha avuto paura, se l'ira di Popeye lo ha spinto a trovare un buco libero nell'agenda o se invece non si è manco accorto della minaccia. Di una cosa siamo certi: se non verrà la vendetta di Popeye sarà durissima e canterina: I'm Popeye the Sailor Man, i'm strong to the finich cause I eats me spinach, i'm Popeye the Sailor Man.
    

30 ottobre 2014

E crisi fu tra Mario Nostrum e Gigi l'Amoroso

Ieri in Consiglio Regionale si è consumata una faida politica, legata al nodo della candidatura a Governatore, che sembra aver prodotto anche effetti collaterali che sconfinano dalla politica per entrare direttamente nella dimensione umana e affettiva.

Al centro della scena c'è la solitudine shakespeariana di Spacca, il dramma di una potenza politica piegata da una nuova generazione che si è imposta, a sinistra, attraverso una pulizia etnica modulata dall'anagrafe e dagli anni di governo.

Come insegnano i grandi maestri del sospetto, non c'è declino senza l'ombra del tradimento. E il tradimento politico è sempre praticato dai più vicini, da chi "giura e mente" come scrive Sir William nel Macbeth

L'Udc, che sembrava d’accordo con Spacca, ha fatto fagotto appoggiando il Pd contro il Governatore. Ma l’Udc non è una forza politica qualsiasi, ma il partito di Viventi, il Gigi l'Amoroso antico sodale e amico del Governatore che lo salvò dal naufragio elettorale del 2010 ripescandolo come assessore esterno.

Fedeltà e riconoscenza non sono valori correnti della politica e l'Udc - più sensibile alle poltrone che alle foglie - ha giocato la carta dell'utilità marginale, perchè il suo far quadrato con il Pd consente di eliminare Mario Nostrum senza affondare il modello Marche, ossia di mantenere in piedi una prospettiva di occupazione di potere locale per il partito di Casini.

Spacca ha annunciato il rimpasto di Giunta e pare che Viventi sarà fuori dalla nuova compagine di fine mandato. Comunque vada siamo giunti alla fine di un'epoca, all'esaursirsi dello storico sodalizio tra i Dioscuri della politica fabrianese, i Castore e Polluce della terza generazione morotea e democristiana. Per quel che ci riguarda continueremo a dormire bene e a fare pasti regolari.
    

29 ottobre 2014

Caro Spacca a brigante brigante e mezzo!

Ieri in Consiglio Regionale si è brutalmente discusso e votato sui costi della politica, uno degli argomenti più triti e banali di questo nostro tempo senza ideologia e senza visione. In realtà la discussione sugli assessori interni o esterni era soltanto un pretesto per chiudere la partita della ricandidatura di Spacca.

Il segretario Regionale del PD Comi, dopo la ricomposizione della frattura interna, ha messo a segno un punto pesantissimo nel contesto di una strategia fondata su due tempi: per prima cosa eliminare Mario Nostrum e poi trovare la formula più adatta e meno distruttiva per individuare un candidato espresso direttamente dai democratici.

Per riporre nella ghirba questo risultato il PD aveva bisogno di aspirare tutte le possibili linee di dissenso, attribuendo al voto sugli assessori esterni una funzione di discrimine rispetto ai futuri assetti della coalizione di centrosinistra.

Come da antichissima tradizione dantesca è accaduto che "più che l'onor potè il digiuno": le remore ideali, i profondi convincimenti e le convinzioni più radicate sono state spazzate via, in pochi istanti, da un Partito Democratico che non intende fare prigionieri.

Il Nuovo Centro Destra, che sembrava tentato dall'idea di giocare di sponda con Spacca, ha capito al volo che il Governatore sarebbe uscito azzoppato dallo scontro e come Tarzan ha cambiato liana chiudendo col PD e prefigurando - anche nelle Marche - la declinazione territoriale del governo delle larghe intese. Ma defezioni si sono registrate pure in Marche Venti Venti e nell'UDC, a riprova che i numeri contano e alla fine vince sempre il banco, ossia il PD.

Di fatto, nonostante la fiction conventuale, i giovani favolosi, la macroregione titina e i tartufi di Acqualagna, Spacca sembra aver perso la sua partita più importante. Ma in politica l'impulso statico non è mai duraturo e alla fine il dinamismo delle cose ha il suo peso e il suo effetto. 

Sarebbe, quindi, semplicistico e fuorviante immaginare un Mario Nostrum che getta la spugna e si fa da parte dietro comando pesarese perchè tre lustri di presenza politica ad alto livello non si cancellano con un diktat o con un voto di Consiglio Regionale. Ragion per cui Spacca terrà botta fino alla fine, perseguendo la linea del maggior danno possibile da infliggere al PD

In questa fase di convulsione interna a tutti i livelli il Partito Democratico non può permettersi il lusso di far cadere Spacca prima della scadenza naturale del mandato, perchè i cittadini ne percepirebbero, in prevalenza, i caratteri di Congiura di Palazzo. Un limite politico e operativo che consentirà a Gianmarione di utilizzare gli ultimi scampoli di governatorato per muoversi alla bucaniera, rimpastando la Giunta Regionale e avvelenando tutti i pozzi possibili e immaginabili.

Il tempo a disposizione non consente a Spacca di consolidarsi sulla scena nel ruolo cossighiano del Picconatore, ovvero dell'uomo di sistema che esce dal sistema per farlo a pezzi, ma la ricerca di un  "popolusmo istituzionale" sembra l'unica via possibile per attivare un nuovo contatto con l'elettorato. 

Si tratta di un modello di risposta politica ed elettorale che confligge profondamente con la storia moderata di Spacca e con la componente fortemente tecnocratica della sua personalità politica. Ma è l'unica strada possibile - seppur stretta e tortuosa - per tentare un colpaccio magari destinato alla sconfitta ma che è sempre preferibile a un mesto e malinconico passo indietro.

Il PD, come avrebbe detto Pertini, ha inaugurato la politica del brigante. E a brigante, caro Spacca, brigante e mezzo!
    

28 ottobre 2014

Turismo e cultura non s'improvvisano

Il Sindaco Sagramola sostiene che la città può cambiare pelle e, a suo dire, lo dimostrano il concerto di Gilberto Gil, la Mostra giottesca e le varie ed eventuali legate al circuito Unesco.  

Personalmente non contesto il tentativo di uscire dal gorgo, ma la rincorsa disordinata dell'evento salvavita, un'idea di cultura che somiglia a una mano di vernice, di impregnante buttato su un legno marcio con la speranza d'una chimica protettiva e salvifica.  

La cultura non s'improvvisa: è fatica, costruzione, impegno, pianificazione. Fabriano è una città che non ama i libri, vera segnaletica della propensione al "consumo di cultura", a lungo considerati la zona franca degli sfigati a bassa socialità. 

Una volta finiti e accatastati i cestelli delle lavatrici non è che si raggiungono i Meridiani Mondadori o le monografie d'arte medievale senza passare dal via, come capita giocando a Monopoli. La cultura esprime la stessa disciplina della terra: non aspetta chi l'ha trascurata e e non perdona chi l'ha abbandonata. Va avanti, evolve, matura e ti lascia dietro con un palmo di naso.

Anche il turismo non s'improvvisa perchè è un settore economico e come ogni settore ha le sue peculiarità e le sue regole, le sue imprese e i suoi modelli di gestione. Per fare una politica del turismo servono risorse e competenze e a Fabriano mancano entrambe. 

Ammetterlo sarebbe già un modo di affrontare seriamente il problema ma capisco che è più figo farsi un selfie con Gil e credere che quello scatto già esprima di suo il sapore di una svolta epocale per la nostra città. 

Per fare turismo è necessario perdere in estensione e guadagnare in profondità d'approccio: di fatto, il contrario di quel che accade ora. E servono manager del turismo e della cultura - che naturalmente danno ma costano e pretendono - e non vecchi apologeti del metalmeccanico convertiti alle "magnifiche sorti e progressive" dell'affresco, dell'accordo e del sonetto.

Mi rendo perfettamente conto che questo genere di critiche - diversamente da quel che pensano certi detrattori - contengono un residuo d'amore nei confronti di Fabriano. Ma si tratta di uno zoccolo di benevolenza destinato a rapida consunzione, perchè sono sempre più convinto che il tempo a disposizione per il salvataggio del paesello sia pressochè concluso. Ite, missa est.
    

27 ottobre 2014

Fabriano, la samba e la "bamba"

La sovrapposizione dei generi è un'arma a doppio taglio. Può essere geniale o strapaesana, anticipatrice di nuove dimensioni o rivelatrice di inestinguibili permanenze. Ieri la "fu città del fare" ha messo due generi l'uno a fianco dell'altro, li ha fatti pericolosamente annusare, costruendo tra loro una contiguità scenografica e restituendo una brutale sensazione di cattivo gusto: da un lato una Fiera delle Cipolle affollata di figure che sembravano uscite da una pittura di Hieronymus Bosch; dall'altro un residuo di Belle Epoque locale, riunito tra i velluti del Teatro Gentile per ascoltare un Gilberto Gil venuto a suonare ritmi e sambe d'alta scuola e a profetizzare - dietro prevedibile imbeccata - la grande trasformazione di Fabriano da città produttiva a città turistica.  

Madrina dell'operazione stucchi e velluti l'immancabile Francesca Merloni, che nell'estate del 2013 si dissociò pubblicamente dal Piano Indesit - in nome del radicamento territoriale perseguito dal nonno Aristide - ma che, per ora, non ha proferito nè una parola nè una nota di samba sulla disdetta degli accordi aziendali annunciata dall'impresa di famiglia nello stabilimento di Genga, ma in compenso ci ha fatto sapere che confida molto sulla defiscalizzazione della cultura.

La mescolanza di generi serve a fare movimento, a dare l'impressione che ci sia gran vita su Marte, che al vecchio mortorio sia magicamente subentrata una vitalità irredenta che promette e giura faville. Ma siccome chi nasce tondo raramente muore quadrato, trattasi di propaganda conservatrice, di ritorno ai Pifferai di Hamelin che trovano ogni giorno nuovi seguaci ciechi e nutriti di un humus antico che fa di Fabriano un caso di arretratezza degno dello sguardo antropologico di un Ernesto De Martino e rende più adatto al clima un ritmo nero di tamuriata piuttosto che la malinconica saudade di una samba colta.

Cipolle e chitarre sudamericane  - il panem et circenses del moralista Giovenale - sono buone per tenere da parte due grandi dipendenze cittadine, patologie che erodono lo spirito collettivo e comprometteranno la possibilità stessa di uscire dal disastro in cui ci siamo ficcati. 

La prima droga si chiama cassa integrazione lunga. Chi la osserva da vicino la vede come ancora di salvataggio, come un cuscino che consente di battere il culo invece che i denti e di non scivolare nella povertà più nera e più dura. Vista da lontano la cassa integrazione lunga appare come un pericoloso palliativo, che attenua i sintomi ma non cura la malattia. 

L'effetto macroeconomico in prospettiva è deflagrante: migliaia di lavoratori con le competenze irrimediabilmente invecchiate e obsolete, privati di occupabilità e di spendibilità nel mondo del lavoro e con una mentalità cristallizzata dall'inattività e dall'assistenzialismo. Vogliamo discutere dell'impoverimento del capitale umano o preferiamo giocarcela saltellando con "Zazuera Zzuera A E I O U Y, Brigitte Bardot Bardot "?

La seconda droga si chiama bamba. A Fabriano c'è una generazione di mezzo che fuma e che pippa. Lo fa per tenersi su, per mettersi in corpo una finzione che possa cambiare segno a un contesto sociale che chiede molto e restituisce pochissimo. E' sicuramente un carburante per idioti ma denota anche altro: un'impressionante diminuzione di lucidità collettiva, uno stock di neuroni infestati dalla chimica che faticheranno sempre di più a generare pensiero e prospettive.

Il problema di Fabriano, quindi, non è solo la chiusura delle industrie ma il serraglio scaligero in cui si stanno rinchiudendo anime e cervelli di un popolo "la cui soave saggezza gli serve a vivere, non l'ha mai liberato" (P.P.Pasolini)
    

24 ottobre 2014

La Fabriano del PD tra Mr Frog e Mr Cat

Michele Crocetti, giovane politicamente non favoloso e a tempo perso segretario del PD, ha deciso di imprimere un'accelerazione al suo mandato politico, perchè pare che quel che resta della "base" democratica fabrianese abbia cominciato a mugugnare su una segreteria nata col dinamismo dentro e rapidamente incagliatasi in posizione remissiva.

Il segretario ha pensato di cambiare verso partendo da un paio di scelte politiche apparentemente semplici, quanto meno nelle intenzioni del promotore: liquidare Pariano e i parcheggi in Piazza del Comune.

La liquidazione di Pariano, per quanto inattesa, non ha colto impreparato il Presidente del Consiglio Comunale, che si è felicemente catapultato a costituire un gruppo autonomo. Con tanto di simbolo pronto per la bisogna e onda calabra e vendicativa incorporata nell’annuncio di un giudizio caso per caso sulle singole delibere proposte. 

Un mix che fa di Pariano una creatura anfibia, un Mr Frog metà di governo e metà di opposizione, ovvero opportunità politica per la minoranza e problema numerico per la maggioranza. A riprova che la prima ciambella del segretario non è venuta col buco.

Maggior fortuna il giovane segretario pensava di averla proponendo l'eliminazione del parcheggio in Piazza del Comune, indicata nei social media come la summa dell'anacronismo cittadino e sintesi del brutto funzionale che prevale sul bello visivo e architettonico.

Le timide indicazioni del Partito Democratico sembravano aver aperto un varco nel granitico diniego sagramoliano. Ma il buon Crocetti aveva fatto i conti senza l'oste, ossia con quel magico gattone di Mauro Bartolozzi, sempiterno Presidente di Confcommercio.

Mr Cat ha fiutato l'aria e l'andazzo e ha capito che non era il caso di mettersi di traverso sul tema dei parcheggi in centro storico. Questa volta ai commercianti conveniva cavalcare l'onda di un buonsenso che, in linea di massima, condivido: evitare le "pecionate", i lavori fatti male, le scelte estemporanee e, quindi, procedere per linee organiche e scelte pianificate.

La questione della viabilità, dei parcheggi e del traffico, come decine di altri temi a lungo rimandati per mezzo risolverli, è giunta a un bivio: o si cambia radicalmente o si lasciano le cose come sono senza manco parlarne più.

Di conseguenza, rispetto alla chiarezza del bivio, è esilarante che il segretario del principale partito cittadino se ne esca con una proposta che gli sarà anche parsa una figata per impatto e dimensioni: eliminare venti macchine in Piazza del Comune. A Graziello Scontobello, gattone in cerca del gomitolo, non è sembrato vero ribaltare addosso al Pd tutto lo scialbo minimalismo della “figata”, ma nell’emozione dell’andare in gol a porta vuota ha lasciato intendere le sue recondite intenzioni.

Il Presidente di Confcommercio ha elencato tutte le priorità e le precedenze che devono essere rispettate prima di parlare di parcheggi: Piano della viabilità e del traffico; revisione del Piano Regolatore; Piano del Commercio; Piano Turistico.

Considerato che il massimo della decisione possibile ha riguardato, fino ad ora, la sanzione alle biciclette in giardino e le merde dei cani, per dare un risvolto concreto a questi "cinque piani di morbidezza" servono almeno trent'anni, ossia un lasso di tempo in cui probabilmente la questione viabilità si sarà risolta da sola grazie alla definitiva estinzione dei combustibili fossili.

Siamo, come sempre, ad Adamo ed Eva: coi commercianti che legittimamente prediligono lo status quo; i politici col terrore di rompere equilibri e costretti a muovere bastoncini come se giocassero a Shanghai; e i cittadini che nicchiano perchè non sia mai che si debbano fare quattro passi per arrivare a casa o a destinazione. La mia proposta è semplice: non parliamone più e buonanotte al secchio.

    

22 ottobre 2014

Tra volontariato civico e ombrello in culo

Lo dico chiaramente, sbattendomene del politicamente corretto: spero che la figura del "volontario civico", istituita dal Comune attraverso un apposito regolamento votato dal Consiglio Comunale, fallisca miseramente. 

Lo affermo nonostante sia assolutamente convinto del valore intrinseco di una partecipazione regolata e gratuita dei cittadini alla manutenzione della città e alla valorizzazione dei suoi spazi culturali, urbani e sportivi.

Il "non detto" che ribalta il giudizio e l'approccio riguarda la condizione preliminare che rende la figura del volontario civico in grado di funzionare adeguatamente e di armonizzarsi con l'intervento pubblico; tale condizione è rappresentata dal clima di fiducia instaurato tra la cittadinanza e l'amministrazione comunale.

Sarebbe interessante disporre di una rilevazione in proposito - perchè il clima di fiducia non corrisponde sicuramente alla percentuale ottenuta dal PD alle elezioni europee - ma di certo, anche solo nasometricamente, è fantasioso supporre un qualche idillio tra i fabrianesi e la classe politica locale che, in questo momento, li governa.

Di fatto, a Fabriano, aderire a forme di volontariato civico significa compensare i deficit di servizio di un Comune sovradimensionato di personale estraneo a qualsiasi logica di operatività e di intervento esterno; vuol dire essere complici di un sistema che contrae i servizi e usa la leva fiscale come una clava per finanziare il ventre molle della struttura; significa abituare una struttura farraginosa e grassa a pensare che dove non arriva il Comune ci mette una toppa quel coglione del cittadino che, nonostante i continui salassi di Tini e Immacolata Riscossione, c'ha pure il vezzo masochista di fare da banca del tempo e del lavoro al Comune.

Di fronte a un'amministrazione comunale che vuole utilizzare i volontari civici come una foglia di fico - dietro la quale nascondere le proprie inadempienze e per appaltare a benefattori in buonafede le azioni di tutela e manutenzione che spettano ad essa - l'unica risposta dotata di senso è la diserzione: non un solo istante sia donato gratuitamente a questo Comune. 

E nessuno, per favore, cada nell'inganno buonista del bene comune o dell'azione finalizzata a sostenere le ragioni della collettività. Il volontariato civico in salsa fabrianese non ha nulla a che vedere con il protagonismo individuale e associativo dei cittadini, ma è solo un surrogato mediaticamente efficace di quel che il Comune dovrebbe fare e, invece, non fa.

A questo proposito mi torna in mente una fulminante vignetta di Altan di qualche anno fa, in cui un omino pingue tiene un ombrello conficcato così profondamente nel deretano di un altro omino da sollevarlo in aria. L'omino sollevato, che ben incarna il rischio del volontario civico, si rivolge al cattivo che lo infilza con una signorilità davvero poco consona alla situazione: "Io comunque la guardo dall'alto in basso". 

Attraverso il volontario civico l'amministrazione comunale vuole farci sentire gran signori che guardano dall'alto in basso i suoi deficit e le sue mancanze. Ma sempre con l'accortezza sostanziale di un bell'ombrello piantato in culo!
    

21 ottobre 2014

Il metalmezzadro è morto e non lo sa ma tuttora s'inchina

Ariston Thermo Group ha disdettato gli accordi aziendali relativi allo stabilimento di Genga. Una scelta che, probabilmente, costituisce il preludio di una disdetta estesa a tutti gli stabilimenti italiani del gruppo.

Siamo entrati in una fase nuova, in cui il radicamento territoriale delle imprese non funziona più come remora e filtro protettivo rispetto a esigenze di competitività che oramai prevalgono su tutto il resto.

Ariston ha incarnato, storicamente, la componente più rocciosa e austera del merlonismo, lontana dal terzismo rude della Ardo così come dagli immaginifici lavaggi a suon di Velvet Underground della Indesit. Un gruppo vissuto quasi sempre a latere della città, volutamente lontano da qualsiasi osmosi tangibile con la comunità fabrianese, nonostante la mano invisibile ma presentissima di Francesco Merloni nelle scelte politiche e di governo locale.

Un gruppo che ha fatto dell'agire discreto un vanto e una prassi, fino a diventare - tramite la presenza carismatica del più anziano dei Merloni - il tabernacolo di una tradizione imprenditoriale che, vista col senno di poi, sembra stagliarsi più per le ombre che riflette che per le luci che emana.

L'annuncio della disdetta degli accordi aziendali allo stabilimento Genga rappresenta, quindi, il condensato simbolico di un'epoca che si chiude, l'epilogo di un tutoraggio locale che, dopo la vendita di Indesit a Whirlpool e lo schianto della Antonio Merloni, non aveva più ragion d'essere.

Ciò significa che anche le relazioni industriali sono rapidamente destinate a cambiare di segno, disponendosi in una logica negoziale più moderna e potenzialamente anche più confittuale. Un cambio di rotta che ha spiazzato i lavoratori e i sindacati che si sono distinti per una reazione tipicamente metalmezzadra: un blocchetto stradale con varco aperto, di tanto in tanto, su un'arteria strategica ad elevatissimo transito come è la strada che collega San Vittore Terme a Genga paese.

Nel frattempo l'indignazione sindacale ha toccato il suo apice sostanziale nella richiesta inoltrata all'azienda, in forma educatissima e sommessa come si addice alla parte subalterna nel contratto colonico, di essere convocati per raggiungere e siglare subitissimo un accordo

Il precedente Indesit, da questo punto di vista, consiglia di non dare peso ai blocchetti e agli scioperetti perchè appena Merlò suona la fine della ricreazione tutti sull'attenti e via a firmare. Gli inventori storici ne hanno unilateralmente sancito la fine ma il metalmezzadro ancora non lo sa: è morto ma di nuovo s'inchina. Lo stesso automatismo d'una coda di lucertola che s'incurva senza più un corpo a cui essere saldata.
    

20 ottobre 2014

Morìa di pesci nel Giano? Che ce frega! Che ce frega!

La questione della morìa di pesci nel Giano, derubricata dai pubblici amministratori locali senza dettagli e ragioni credibili, lascia intendere una sorta di suicidio ittico capitanato da una carpa sensibile all'apocalisse ambientalista. A colpire, nella spiegazione ufficiale fornita dalle istituzioni locali è la totale assenza di amore, di curiosità, di premura per i beni comuni

A prevalere è sempre la filiera burocratica con le sue esigenze di inerzia e la sua routine, l'ente che rassicura e l'ente che viene rassicurato, come se accertare la verità significasse limitarsi a prendere atto di una relazione o di una perizia incartata in una neolingua per addetti ai lavori

Molti fabrianesi, negli ultimi due o tre anni, si sono mobilitati per richiedere ai decisori politici lo scoperchiamento del Giano e la conservazione del Ponte dell'Aera. Lo hanno fatto con passione ma anche cedendo a una sorta di "moda civica" che, via via, si è imposta generando anche qualche rivolo di conformismo e di opportunismo politico

Solo in pochi - pionieri anche nel richiedere la scopertura quando essa era ritenuta tema pretestuoso e minore - hanno evidenziato un aspetto essenziale e cioè che la sfida era quella di scoperchiare il Giano per riprendere a considerarlo parte integrante dell'ambiente e del vissuto cittadino.

Ciò significa che il focus dell'interesse dovrebbe riguardare l'essenza stessa del fiume, ossia l'acqua. In tal senso c'è da dire che il livello di interesse collettivo per la improvvisa morìa di pesci si è rivelato poca cosa e ciò ha consentito agli amministratori di chiudere la partita con un'alzata di spalle, suffragata dalla relazione dell'Arpam, nonostante il monitoraggio accorato e accurato del Comitato del Giano.

Si tratta di un'indifferenza che ha radici antiche e impone una vera e propria pedagogia del fiume perchè l'acqua non può diventare oggetto di interesse e di reazione politica quando turba l'olfatto, ossia una zona di comfort degli umani, e lasciare inerti di fronte a una morìa di pesci, che sono i principali sensori della salute complessiva di un corso d'acqua.

Il problema del nostro tempo, e la dannazione della nostra città, è che la politica - sensibilissima al denaro e disposta a procurarselo a tutti i costi - è diventata totalmente insensibile alla realtà.  

Una politica col colpo in canna, davanti al primo segnale lanciato dal Comitato del Giano, avrebbe immediatamente allertato e richiamato l'attenzione dei cittadini. Non certo per procurare allarme, quanto per animare la consapevolezza di un rischio che riguarda e coinvolge un bene comune. E di fronte a un bene comune la verità non si privatizza, non può essere rinserrata in un carteggio istituzionale o in un responso tecnico, per quanto legittimo e autorevole.


Invece la politica caricata a salve, culi caldi e pochi cazzi, preferisce invece coltivare il “che ce frega, che ce frega“ del grande Giorgio Bracardi. Ma per farlo ha bisogno di un humus di disattenzione, di terra arida, ossia di un menefreghismo collettivo che nella nostra città trova sempre un motivo per attecchire ed espandersi.

Giunti a questo punto viene da chiedersi se ha senso morire per Danzica, ovvero continuare a combattere, a scrivere e a esprimersi a difesa di una città che non lo merita, perchè neanche nella merda più totale è capace di lanciare un grido di dolore o di manifestare un sussulto di orgoglio. Comincio a dubitarne seriamente.