28 maggio 2015

L'ultimo miglio di Spacca, Orzowei di Fabriano


La dichiarazione di voto per Spacca, di qualche giorno fa, liberandomi da ogni ambiguità e tiepidume mi consente di giudicare la campagna elettorale che volge al termine per quel che è stata, senza cerchiobottismo ma anche senza partigianeria: una replica del Maurizio Costanzo Show, quando quel talk show di successo prendeva la forma gladiatoria dell'uno contro tutti.

In questo caso, in realtà, siamo al tutti contro uno, perché la cifra dominante di queste settimane è stata l’attacco concentrico e trasversale nei confronti di Spacca 

Una linea che ha trovato sostanzialmente concordi tutti i raggruppamenti politici, fin quasi a prefigurare un informale patto di non aggressione tra di loro, un compromesso in salsa marchigiana che ha cancellato ogni dialettica politica che non fosse esplicitamente orientata alla cancellazione dell’ultimo decennio e della sua memoria politica e amministrativa. 

Questa riduzione del pluralismo - oltre a produrre una sensazione di meschinità che abbassa il livello del sistema politico marchigiano - ha determinato due effetti contrastanti: da un lato ha contribuito a deformare la figura di Spacca, perché il ricorso al repertorio classico della denigrazione politica e l’uso contundente delle parole – con un culmine di risentimento personale dispensato dal Capo del Governo e da alcuni suoi ministri – ha reso difficile un giudizio equanime del suo operato e una valutazione spassionata delle ragioni e dei torti di un decennio di governo della Regione; dall’altro il fuoco di sbarramento ha consentito a Spacca di essere il principale protagonista di una campagna elettorale in cui era entrato con un certo disagio e con poco smalto, specie dopo l’infinita telenovela dell’UDC e il passo falso della lista unica. 

In questo contesto la scelta della polarizzazione e del referendum come linea di centralità mediatica e politica, era l’unica che consentisse lo spariglio e Spacca l’ha interpretata spacchianamente, ovvero con flemma gattesca, pur sapendo che la necessità dello spariglio gli avrebbe fatto vivere, per motivi di consenso, anche una parentesi populista, estranea alla sua natura di intellettuale moderato. 

La linea dell’alleanza coi ceti medi produttivi, infatti, pur essendo prevalente e centrale non poteva risultare esaustiva, perché un patto tra i produttori non può essere solo elite ma anche popolo. Alla fine il momento è arrivato e il Decalogo lanciato l'altro ieri aggiorna il canone classico della visione spacchiana, combinando la centralità dell’impresa e della produzione del reddito con alcuni elementi di populismo redistributivo che servono per mobilitare gli incerti e a dare fiato all’accelerazione finale. 

Non sappiamo chi vincerà questa partita ma una cosa è certa: Spacca in questa campagna elettorale ha provato a fare una politica classica circondato, forse per la prima volta nella sua carriera, da un'ostilità strutturata che ne ha messo a dura prova la pazienza e lo sforzo di proteggere una prospettiva politica. 

Gli altri si sono dedicati alla caccia all’uomo, e anche questa è politica, costringendo Giammarione a fare l’Orzowei di Fabriano, inseguito da tribù aizzate dal legittimo desiderio di escluderlo e rimpiazzarlo. 

Ciò significa che se Spacca vince sarà un trionfo. Se perde, avrà perso alla garibaldina che è sempre il modo migliore per tenere comunque aperta una prospettiva politica legata al futuro.
    

24 maggio 2015

Voterò per Spacca perchè non è la cuoca di Lenin e non solo

Ho riletto, in questi giorni, i molti interventi in cui ho criticato aspramente le scelte e le posizioni di Gian Mario Spacca: sull'Area Vasta, sulla Ardo, su Indesit e su tantissime altre questioni politiche e amministrative. Critiche di merito che non rinnego ma anzi rivendico anche per una non secondaria ragione di stile, visto che non sono mai precipitato in quel pantano diffamatorio in cui oggi si rotolano, con posture spesso da meretricio, molti degli ex sostenitori del Governatore uscente.

Spacca ha commesso errori in questi anni di governo delle Marche? Si ne ha commessi perchè, come diceva il tagliagole giacobino Saint Just, non si governa senza colpa. Ma mentre per i rottamatori disfattisti questo è motivo di estromissione e di caccia all'uomo, per me rappresenta qualcosa di diverso, perchè anche la colpa e l'errore sono parte di quel deposito di esperienze e di competenze che serve per governare una realtà complessa come un'istituzione regionale, in una fase in cui la crisi impone realismo, visione generale e scelte talvolta impopolari.

Alcuni amici, abbastanza churchilliani da sapere che solo gli imbecilli non cambiano mai idea, mi hanno chiesto serenamente ragione di questa mia posizione di sostegno a Spacca. Provo a spiegarlo per punti.

  1. La prima ragione è che detesto la cuoca di Lenin, ossia l'idea che in nome di un cambiamento fine a se stesso la macchina amministrativa debba essere affidata a gente inesperta ma convinta che per governare una Regione sia sufficiente il buonsenso della massaia e qualche frase fatta declinata in un programma elettorale.
  2. La seconda ragione è una conseguenza della prima e cioè che, fatta eccezione per Spacca e solo in parte per Mentrasti, i candidati a Governatore delle Marche sono tutti cuoche di Lenin.
  3. La terza ragione è che Spacca non ha fatto cazzate da amministratore di condomininio ma errori di alto livello. E l'opposizione a errori di alto livello diventa un dissenso di elevato profilo che migliora il valore complessivo del sistema politico. E per capire questo elemento occorre avere la testa libera da prigionìe di partito e dalla fisima conservatrice e immobilista di una coerenza che diventa mediocrità e cilicio.
  4. La quarta ragione è che Spacca è l'unico che ha posto una questione strategica: la marchigianità come sfida ambientale, produttiva, culturale e di riconversione economica capace di far uscire le Marche dalle strette delle produzioni globalizzate e di imporre sulla scena questa regione come entità attrattiva. Ed è sufficiente osservare l'evoluzione e lo sviluppo dell'agroalimentare regionale per capire la profondità e pervasività del tema posto dal Governatore.
  5. La quinta ragione è che la sfida economica e sociale della marchigianità non è compatibile con la frattura territoriale immaginata dal Partito Democratico e con la rottura dell'equilibrio tra Marche Nord e Marche Sud garantito da Ancona e dalla sua provincia.
  6. La sesta ragione è puramente politica: io considero Renzi e il PD un problema e non una medicina per il Paese. E chi si oppone al PD con solide ragioni politiche sceglie di sostenere chi fa più male a quel partito. E visti gli attacchi sistematici di Renzi, della Boschi e Poletti il vero AntiPD, nelle Marche, non è una cuoca di Lenin ma Gian Mario Spacca.
  7. La settimana è una ragione negoziale. Con pragmatismo duro e senza fronzoli credo che su materie fondamentali per la Regione e per l'occupazione, come le linee del Piano Whirlpool, sia preferibile un interlocutore come Spacca che sa cosa è una lavatrice rispetto a chi pensa che un piano di cottura sia solo un quadrato in cui mettere a scaldare una padella.
  8. L'ottava ragione di sostegno a Spacca è emergenziale. Il terzo mandato è una necessità politica perchè nel pieno di una crisi di queste proporzioni è fondamentale il fattore tempo, ossia la capacità di essere tempestivamente sul pezzo e su ogni problema, senza le strizze e la labirintite di un neoeletto che per districarsi è costretto a chiedere l'aiutino a casa, come dice con selvaggia arguzia la Prof. Mariangela Paradisi.
A queste ragioni, cristallinamente politiche, ne andrebbe aggiunta un'altra che ometto perchè non si vota per il futuro di Fabriano ma per il destino della Regione Marche. Ora, se queste ragioni configurano un peccato di trasformismo, ebbene mi dichiaro trasformista; se dovessero essere tanto gravi da prefigurare l'accusa di voltagabbana, ebbene mi dichiaro voltagabbana. Voterò per Spacca e. come diceva Fabrizio De Andrè, non ne provo dolore. Tiè.
    

22 maggio 2015

Whirlpool: è il capitalismo bellezza!

L’imminenza delle elezioni regionali non aiuta a comprendere la questione Whirlpool perché ogni contendente, a modo suo, punta a trarre profitto o a limitare i danni da una questione rovente, che potrebbe incidere anche sull’esito del voto del 31 maggio.

La scure calata sugli impiegati - con il secondo round del Piano industriale - e la quota esuberi ampiamente oltre la soglia delle 2.000 unità, propongono in tutta la loro potenza l’effetto deflagrante generato dalle fusioni per incorporazione
  • eliminazione di doppioni produttivi;
  • decimazione di capitale umano;
  • razionalizzazione feroce degli impianti e delle produzioni
  • recupero di valore attraverso il taglio del personale;
  • recupero di produttività con l’aumento dei carichi di lavoro di chi resta in azienda.
Che piaccia o meno il capitalismo globalizzato è anche questo e non saranno manifestazioni, presidi e scioperi a modificare la ratio di un sistema economico fondato sulla competitività crescente dei grandi player.

Eppure l’impressione è che ci sia anche altro e cioè che Whirlpool abbia giocato la sua partita sfruttando magistralmente le regole emotive che caratterizzano le vertenze industriali e l’equazione del conflitto sociale nel nostro Paese: tanto più brutale è il taglio annunciato, tanto più è facile strappare concessioni in termini di ricorso agli ammortizzatori sociali.

Visto in questi termini l’obiettivo della multinazionale americano appare più chiaro e forse meno draconiano: scaricare sulla collettività i costi della ristrutturazione del gruppo utilizzando come fattore negoziale la spada di Damocle della delocalizzazione e la minaccia del capitale nomade.

Come si dice in questi casi: è il capitalismo bellezza! Invece dalle nostri parti si risponde alle dinamiche dell’economia mondiale con un inflazionatissimo palliativo: ricercare il responsabile politico dell’operazione, nonostante tutti sappiano che è l’economia a dettare l’agenda alla politica e non il contrario.
    

11 maggio 2015

Renzi e Boschi all'attacco di Spacca che gongola

Gli attacchi di Renzi e del Ministro Boschi sono una medaglia per Spacca perchè certificano e avvalorano l'intuizione referendaria su cui il Governatore sta giocando la sua partita politica. La reazione del PD, da questo punto di vista, è una cartina di tornasole dell'effetto prodotto da un cambio di passo che ha colto di sorpresa il partito renziano. 

Evidentemente la radicalizzazione dello scontro ha rappresentato ciò che gli scacchisti definiscono la mossa del cavallo, uno scarto di lato che ha messo il PD marchigiano sulla difensiva, costrigendolo a chiedere aiuto alle figure più importanti del Governo in carica.

Gli interventi di Renzi e della Boschi, però, sono stati trattamenti di puro rinforzo e si sono accodati alle linee guida della propaganda piddina  - tradimento e attaccamento alla poltrona da parte di Spacca -, perchè sul versante amministrativo c'era poco da eccepire senza inoltrarsi in un atto di accusa che avrebbe coinvolto anche il PD e i suoi assessori regionali.

Il Pd, molto probabilmente, aveva messo in conto un valzer lento, uno Spacca flemmatico, risucchiato dall'indole moderata in una campagna elettorale di puro e prosaico resoconto del decennio trascorso al vertice della Regione Marche. 

Invece Spacca ha lasciato di colpo i toni aulici del "giovane favoloso", trasformando la sua proposta politica in un modello che, in quanto tale, si fa alternativa politica e dialettica referendaria.

L'allievo di Aldo Moro ha fatto di necessità virtù, inserendo nel suo schema cattolico e popolare un elemento pannelliano capace di "parlare" anche a pezzi della società marchigiana che hanno vissuto e conosciuto il travaglio della cultura laica, azionista e del comunismo riformista e socialdemocratico.

Spacca adesso ha un ultimo passaggio da compiere: superare le accuse che lo fanno stare sulla difensiva. Innanzitutto quella di essere un traditore. Spacca ha tradito una cosa sola: la speranza del PD di pensionarlo e di farlo sparire dalla scena attraverso quel processo immorale di eliminazione politica ingentilito, ma non troppo, dal sostantivo rottamazione

L'altra accusa che Spacca deve usare come una mossa di judo, trasformandola in un punto di forza, è quella relativa ai suoi 25 anni in Regione. La sua esperienza pluriennale, in un momento di crisi acuta, ha una grande valenza politica perchè da un lato garantisce una guida solida a una comunità regionale messa a rischio dalle ipotesi di ridefinizione territoriale e dalla caduta del reddito; dall'altro rappresenta un punto di equilibrio tra politica e tecnocrazia regionale che verrebbe meno se fosse eletto un Presidente senza esperienza e senza visione.