30 dicembre 2015

Comunali 2017: non tutte le ciambelle vengono col buco

L'espulsione di Serenella Fucksia dal Movimento 5 Stelle ha fatto salire il livello di confusione politica in città. In tanti, troppi, pensano giorno e notte alle comunali del 2017 e ogni cosa che accade nel globo terracqueo viene interpretata come il segno di una profezia locale, la conferma di una previsione che rimanda sempre a Palazzo Chiavelli.

Siccome la politica è una scienza quasi esatta, perchè basata sui rapporti di forza - compresa quella nevrotica e gregaria di Fabriano - può essere utile qualche considerazione, giusto per diminuire il livello di polveri sottili presenti nel cervello collettivo dei fabrianesi.

La prima considerazione riguarda la Fucksia. Che ci sia qualcuno tentato di utilizzarla per accendere un fuoco contro il Movimento 5 Stelle è comprensibile e scontato. Per nulla plausibile è che la senatrice si presti al gioco. Il suo voto, visti i numeri del Senato, le consegna un qualche potere contrattuale a Palazzo Madama che la Fucksia cercherà di mettere a frutto trattando con Renzi e non certo per candidarsi a Sindaco di un paesello del Centro Italia. Insomma Parigi val bene una messa. Fabriano no.

Un altro elemento di confusione politica è riconducibile alla cosiddetta illusione civica, ossia alla convinzione che per battere il PD e i suoi alleati, la soluzione vincente sia la formula della lista civica, capitanata da una figura di candidato estranea al circuito dei partiti.

L'illusione civica si basa su una considerazione vera e su una deduzione falsa. La considerazione vera è che i partiti non tirano; la deduzione falsa è che se i partiti non tirano, al posto loro, a tirare sono sicuramente i raggruppamenti civici.

In realtà l'elettorato detesta i partiti ma quando si vota segue marchi conosciuti sia perchè l'appeal del noto prevale su quello dell'ignoto sia perchè un marchio affermato muove il meccanismo dell'identificazione e del voto d'opinione. 

Fabriano, come è naturale che sia, non si discosta molto da questa logica. Non è un caso, in tal senso, che nel 2012 i candidati a marchio nazionale  - Sagramola del PD, Urbani del PDL e Arcioni del 5 Stelle - furono i più votati, mentre l'esperimento civico di Ottaviani, dato inizialmente a valori da ballottaggio, si concluse con un risultato nettamente inferiore alle aspettative.

In questi tre anni e mezzo lo schema a marchio nazionale ha modificato la sua natura tripolare perchè i partiti del centrodestra sono spariti dal panorama fabrianese, rimpiazzati da un progetto civico che fa capo a Urbani e che ha tagliato ogni legame con l'area politica berlusconiana. 

Di fatto gli elettori di centrodestra sono oggi atomi vaganti tentati dall'astensione ma sedotti anche dalla voglia di fare la guerra al PD utilizzando la leva del Movimento 5 Stelle. Di conseguenza la partita elettorale del 2017 finirà per essere un confronto a due: da una parte il Pd e i suoi cespugli attestati intorno al 35%; dall'altra il 5 Stelle che senza la competizione del centrodestra potrebbe fare l'aspirapolvere - arrivando tranquillamente al 30% - e sparigliare al ballottaggio.

Questo schema che somiglia a un destino può trovare ostacoli d'applicazione solo se tra i due litiganti arriva il terzo che non gode, una candidatura di disturbo indicata da ambienti che vogliono controllare la città, in grado di creare attrito nell'area del 5 Stelle e di spostare voti da far convergere al ballottaggio sul candidato del PD.

La Fucksia poteva essere l'interprete adatta di questo disegno, ma lo spazio potenziale che l'espulsione le ha aperto in Senato ne sancisce oggettivamente l'indisponibilità. Come spesso accade non tutte le ciambelle vengono col buco, ma siamo certi che dal cilindro usciranno presto altri nomi scalpitanti e pronti a immolarsi per perdere con la convinzione di vincere.

Nel frattempo Sagramola - autosospeso dal Pd ma pronto per una seconda candidatura rispetto alla quale nel partito non ha rivali - porterà all'incasso l'operazione Ostetricia, tempesta in un bicchiere divenuta opportunità politica per il Sindaco grazie allo spirito gregario dei fabrianesi che, senza saperlo e senza volerlo, hanno lavorato alacremente per lui.

Insomma, in apparenza grande è la confusione sotto il cielo ma non abbastanza per chi prova a scandagliarla a occhi aperti. Fossi grillino avrei di che godere, consapevole che l'ultimo miglio è quello in cui i pentastellati sono più deboli e autolesionisti. Ed è esattamente su questo che contano tutti gli altri.
    

26 dicembre 2015

Note sparse ma non troppo su Veneto Banca

Proviamo, per qualche istante, a spegnere le luminarie, a interrompere le libagioni della coda natalizia e ad accendere un piccolo riflettore sul caso Veneto Banca

Con il prezzo di recesso a 7,3 € stabilito per chi non aderisce alla quotazione in Borsa, i risparmiatori fabrianesi, titolari di molte azioni dell'istituto di Montebelluna, hanno subito una perdita che dovrebbe ammontare a parecchie decine di milioni di euro.

Tredici milioni di svalutazione della partecipazione sono riconducibili, con certezza, alla sola Fondazione Carifac che sul tema tace e sembra più interessata ad accreditarsi come governo non elettivo della città e commissario di fatto della Giunta Sagramola che a riflettere pubblicamente sulla situazione che si è venuta a creare.

Quando parliamo di Veneto Banca siamo, ovviamente, in un contesto molto diverso da quello che ha prodotto il salvataggio governativo delle famigerate quattro banche canaglia (Chieti, Ferrara, Banca Marche ed Etruria), ma il modo in cui Veneto Banca ha gestito le relazioni con i risparmiatori lascia sul campo un cumulo di macerie finanziarie e un patrimonio di fiducia e di reputazione che avrà bisogno di molto tempo per essere ricostruito.

Sicuramente è stato cancellato, in poche ore, il concetto di "banca del territorio", utilizzato come un ossessivo driver di comunicazione per costruire un senso di vicinanza, di appartenenza e di identificazione tra i fabrianesi e il gruppo che aveva rilevato la Carifac.

In una città abituata alle cordate familiste, alle transazioni omertose e alle "cene per farli conoscere" la crisi di Veneto Banca se da un lato aggrava le condizioni economico-finanziarie del territorio, dall'altro introduce un elemento di modernizzazione forzata che costringerà i fabrianesi ad affrontare il tema del risparmio, degli investimenti e del rapporto con le banche con più responsabilità personale e rigore e meno delega in bianco al conoscente di rango a Palazzo e all'uomo di fiducia in filiale.

Di fatto si è conclusa l'epoca del monopolio bancario della ex Carifac nel comprensorio fabrianese e la nuova Veneto Banca - che si appresta alla quotazione in Borsa - dovrà fare concretamente i conti con gli effetti prodotti dal calo di fiducia e di reputazione dell'istituto, ossia una diminuzione della raccolta e, di conseguenza, degli impieghi e dei margini

Ciò significa che si addensa nell'area fabrianese l'ennesimo rischio occupazionale, aggravato da voci di corridoio che accreditano una scelta strategica di focalizzazione operativa di Veneto Banca nell'area del nordest, con conseguente penalizzazione di quella che veniva pomposamente definita la dorsale adriatica di sviluppo del gruppo.

Si tratta di un radicale cambiamento di scenario a cui corrisponde, nel corpaccione inerte della città, una lettura comoda e rassicurante dei fatti, un'interpretazione cronachistica incentrata su un postulato secondo cui la crisi è da addebitare, in via esclusiva, al vecchio management di Veneto Banca che gestì l'acquisizione della Carifac

Sicuramente il vecchio board di Veneto Banca ha compiuto scelte spericolate, tipiche di un certo capitalismo finanziario aggressivo, basate sull'adozione di un modello strategico di crescita rapida, tramite fusioni e acquisizioni, che se ha risolto - in modo corsaro - la questione dello sviluppo dimensionale ha evidenziato effetti collaterali che hanno messo a ferro e fuoco l'istituto; effetti efficacemente definiti dal Sole 24 Ore, in un articolo apparso il 22 febbraio 2015, "danni da shopping" (Veneto Banca conta i danni dello shopping).

Leggendo la cronistoria delle acquisizioni emergono con nettezza due elementi: la rapidità quasi vorace delle operazioni e le condizioni di profonda difficoltà in cui versavano le banche acquisite, costrette dalla propria situazione a mettersi sul mercato a prezzi di saldo.

Carifac - quando decise di cercare un partner, come vengono ipocritamente definiti gli acquirenti, in situazioni di stringente necessità - aveva un disperato bisogno di trovare un compratore e quando prevale questo imperativo, il potere contrattuale del venditore si riduce e quella che viene definita "svendita" è solo l'effetto di un meccanismo di mercato che riflette i rapporti di forza dei soggetti che partecipano alla transazione.

Insomma, Carifac fu svenduta non per dolo ma perchè non poteva porre condizioni di alcun genere. Di questa situazione sono prova i risultati del 2008, quando la vecchia banca fabrianese - succube di potentati in crisi e artefice di operazioni da brivido - perse circa 16 milioni di euro, come si evince dal bilancio di quell'anno (Carifac Bilancio 2008), e fu costretta a firmare un accordo con Veneto Banca che aveva un prevedibile e inevitabile sapore di resa.

E qui si apre un altro capitolo e cioè quali ragioni e quali processi storici, politici e clientelari spinsero Carifac sull'orlo del baratro. Come ha scritto Emanuele Macaluso "dopo la Liberazione, i dirigenti della Dc capirono più degli altri che le banche erano essenziali per costruire un sistema politico-elettorale. E la Dc governò il sistema delle banche rurali, locali, delle Casse di Risparmio...”. 

E' esattamente ciò che è accaduto a Fabriano dato che la Carifac, assieme all'Ospedale, al Comune e alle industrie Merloni - fu uno dei quattro pilastri del consenso e del potere della Democrazia Cristiana nella nostra città. 

Attraverso la Cassa di Risparmio è stata costruita una ramificata parentopoli locale - fatta di assunzioni mirate e di concorsi farsa - che serviva per oliare il sistema, per stabilizzarne il consenso, per dare una prospettiva di mobilità sociale ai figli meritevoli dei coltivatori diretti e per fornire un passatempo remunerato ai figli e alle figlie di una certa borghesia stracciona. 

Lavorare in Cassa di Risparmio significava stabilizzare il proprio ruolo nella società fabrianese ed esercitare una funzione di gendarmeria del blocco sociale, di vigilanza in nome e per conto della Democrazia Cristiana: gettando un occhio sui conti dei concittadini, monitorandone croci e delizie economiche, applicando - attraverso un mormorio felpato ma pervasivo e invasivo - un controllo sociale al limite dell'apartheid, verificando le discese ardite e poi le risalite, inquadrando i meritevoli di luce e i destinati all'ombra, i degni d'invito a cena e quelli da scansare per non correre rischi di vicinanze e confidenze. 

Di fatto Carifac non ha mai smesso, neanche per un solo istante della sua storia, di essere il braccio secolare della Democrazia Cristiana. Anche quando la Dc è sparita dalla scena politica i democristiani hanno continuato a governarla, ad assediarne i consigli di amministrazione, a farne il luogo di inveramento di una loro precisa volontà: sopravvivere e comandare.

Il giochino ha funzionato fin quando ha resistito la Antonio Merloni. Con la fine della Ardo, e del suo microcosmo di ex coltivatori diretti divenuti terzisti monocliente, i nodi sono venuti improvvisamente al pettine e la Carifac è stata costretta a fare i conti con la sua storia e la sua identità di istituto governato solo di sfuggita da logiche creditizie e bancarie.

La Carifac che arriva a trattare con Veneto Banca è un istituto col fiato corto, che ha consumato la sua ragione storica ed è costretto dalle circostanze a entrare, obtorto collo, in un circuito di competizione bancaria di cui non gli appartengono né la logica né il sentimento. 

Nonostante ciò, in questa nuova dimensione di gruppo, Carifac porta un patrimonio intatto di fiducia di tanti risparmiatori fabrianesi, ereditato dai lunghi decenni del consenso bulgaro alla Democrazia Cristiana. 

Gli ultimi eventi - a partire dalla perdita di valore delle azioni di Veneto Banca - hanno prodotto una distruzione creatrice di questo residuo fiduciario, eliminando le ultime incrostazioni di democristianeria e abbattendo il nostro piccolissimo Muro di Berlino. 

Molti fabrianesi hanno perso soldi in questa giostra del risparmio tradito. Ed hanno perso anche l'innocenza. Per i soldi dispiace perchè non crescono nel campo dei miracoli. Dell'innocenza perduta assai meno perchè perderla aiuta a diventare più adulti, più liberi e consapevoli. Diciamocelo: non tutto il male viene per nuocere.
    

16 dicembre 2015

Il dramma di Fabriano tra modelli psichiatrici ed equazioni gestionali

Riprendendo il poeta francese Arthur Rimbaud potremmo dire che Fabriano sta vivendo "una stagione all'inferno". L'elemento demoniaco di questa fase è il radicale cambiamento che ha investito la nostra comunità, ma più ancora la velocità in cui esso si è manifestato e le accelerazioni che lo hanno caratterizzato.

In pochi anni una città ricca è diventata povera, un centro di grandi produzioni si è trasformato in uno scenario di dismissione e di archeologia industriale, il valore astronomico dei depositi bancari si è consumato fino a prefigurare il collasso, le protezioni politiche sono sparite e non c'è più quella monarchia costituzionale che garantiva ricchezza, stabilità e piena occupazione.

Che tutto ciò fosse nell'ordine delle cose possibili era già scritto nella maledizione del monoprodotto, ma ciò che ha scosso i fabrianesi è stata la sequenza ininterrotta e brutale dei crolli, che possiamo interpretare ricorrendo alla curva del cambiamento elaborata nel 1960 dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross; un modello che aiuta a capire i comportamenti delle persone di fronte al cambiamento, valutandone la reazione nel tempo e la tendenza a guardare al passato o al futuro.

La curva del cambiamento si basa su tre stadi. Il primo è quello di shock e negazione. In questo passaggio si subisce il colpo in maniera brutale, la capacità di reazione crolla bruscamente e si cercano disperatamente indicazioni e rassicurazioni. A dominare sono la mancanza di informazioni, la paura dell'ignoto e il timore di fare qualcosa di sbagliato. E nel caso di Fabriano fu questa la reazione che si ebbe di fronte al crollo della Ardo, che, non dimentichiamolo, è stata la madre e la sorgente di tutte le crisi.  

Alla fase immediata di shock subentra quella della negazione, in cui si rifiuta di vedere quanto sta accadendo e il cambiamento radicale in atto. Le persone si convincono che tutto andrà per il meglio e che emergeranno soluzioni capaci di riportare la situazione allo status quo ante. E se ci pensiamo è quanto è accaduto in città nella lunga stagione delle ombre cinesi e delle soluzioni persiane al caso Ardo.

La seconda fase è quella della rabbia e della depressione. In questo passaggio appare, di norma, un capro espiatorio che può prendere la forma di un'organizzazione, di un gruppo o di una persona, come è accaduto con Sagramola. Concentrare la colpa su qualcuno consente di proseguire nella negazione della verità, individuando un punto di riferimento, seppur negativo, su cui scaricare le paure e le ansie che l’impatto del cambiamento sta provocando. I sentimenti dominanti di questa fase sono il sospetto, lo scetticismo e la frustrazione.

Il punto più basso della curva giunge quando la rabbia comincia a svanire e prende corpo la consapevolezza del cambiamento che genera depressione, in quanto ciò che si è perso viene chiaramente individuato e riconosciuto. Fabriano - con la protesta per Ostetricia e la rabbia per le luminarie natalizie - è appena entrata nello stadio della rabbia ed è bene essere consapevoli che ci approssimiamo alla fase di depressione, ossia al punto più basso della curva del cambiamento. Inoltre, nella fase depressiva si tende a concentrarsi su piccoli problemi a scapito delle grandi questioni.

Seguendo il modello di Elisabeth Kübler Ross - ormai ritenuto universalmente un punto di riferimento nell'analisi degli effetti prodotti dal cambiamento - possiamo sostenere che Fabriano non è ancora giunta al suo culmine negativo ma, di certo, siamo ormai prossimi al raggiungimento del punto più critico della curva.

Il modello prevede una fase conclusiva di accettazione e integrazione in cui comincia ad emergere uno stato d'animo più ottimista e subentrano sentimenti positivi di speranza e fiducia. 

Le modalità e la tempistica di affermazione di questa fase positiva sono condizionati da un fattore, ossia dalla consistenza della resistenza al cambiamento. I guru americani Richard Beckhard e Reuben T.Harris, a questo proposito, hanno messo a punto una equazione del cambiamento, espressa dalla formula D x V x F > R: Dissatisfaction x Vision x First Steps > Resistance to Change.

Ciò significa che un cambiamento può affermarsi in termini positivi quando il prodotto del malcontento per la situazione attuale, della vision di ciò che si può fare nel futuro e i primi passi in direzione della vision è maggiore della resistenza al cambiamento. Se uno dei tre fattori è uguale a zero o vicino allo zero, anche il prodotto sarà zero o vicino allo zero e la resistenza al cambiamento risulterà prevalente. 


Nella nostra città il valore del malcontento è altissimo e quasi fuori scala; la vision del futuro è inesistente per l'assenza di un guida politica all'altezza dei problemi e di conseguenza anche i primi passi in direzione della vision risultano a valore zero. 

Ciò significa che a prevalere, tra i fabrianesi, è la resistenza al cambiamento e senza una guida all'altezza dei problemi e dotata di una vision del futuro la fase depressiva si prolungherà, compromettendo quell'accettazione speranzosa del cambiamento che è necessaria per produrre nuove idee e cambiare nel profondo il nostro tradizionale modo di essere, evidente concausa del dramma economico e sociale che viviamo.

    

10 dicembre 2015

Cosa ci aspetta nel dopo Sagramola

A iene e avvoltoi non importa che animale muoia. Gli interessa che la vittima stiri gli zoccoli rapidamente per spartirsi le carni e beccare le spoglie quando il banchetto finisce. Sagramola sta diventando come uno gnu isolato dal branco, grosso e corazzato ma circondato da chi ha cominciato a fiutare l'odore del sangue. 

E come suggeriva, con cinismo rivoluzionario, Mao Tze Tung, è invitabile che si bastoni il cane che affoga.

Di fatto il destino politico di Sagramola è una cosa che riguarda solo lui e l'eventuale sistema di convenienze politiche contingenti che è ancora in grado di aggregare attorno a sé.

Il suo modus operandi da capro espiatorio designato ha prodotto, come effetto politico di rimbalzo, una vera e propria corsa alla successione, basata sull'annullamento di ogni raziocinio e sulla gara a chi piscia più lontano ed è più munito di minzioni magiche e risolutive.

Il percorso che ci condurrà alle elezioni comunali sarà, quindi, lastricato di buonissime intenzioni e di puttanate siderali e si concluderà non con l'elezione di un nuovo Sindaco ma con l'investitura di un sedicente Re Taumaturgo, guaritore della comunità ferita e riduttore di complessità ferrigne.

In verità, che piaccia o meno, anche i successori dello Gnu Caracollante dovranno fare i conti con i vincoli del Patto di Stabilità, con i debiti fuori bilancio e con la rigidità della spesa corrente. Elementi che hanno praticamente azzerato qualsiasi margine di discrezionalità della decisione politica.

Ciò vuol dire che si sta procedendo, sempre più speditamente, verso un concetto di decisione unica e obbligata a cui un Sindaco è obbligato a conformarsi, a prescindere dalla sua volontà e dal colore politico dello schieramento che lo ha espresso.


Ciò significa che la figura del Sindaco perderà sempre più peso dal punto di vista politico a vantaggio di un profilo più tecnico e commissariale, ossia estraneo alla natura e alla dinamica dei processi politici ed elettorali.

La conseguenza naturale è che i cittadini sceglieranno tra chi spara la cazzata più grossa e avremo un Re Taumaturgo che potrà fare le stesse cose del candidato sconfitto. Con la prevedibile decadenza d'immagine di metà mandato e il solito rimpallo tra chi certifica le promesse non mantenute e chi si difende riparandosi dietro l’ombra lunga del Patto di Stabilità.
    

9 dicembre 2015

Perchè prendersela con Sagramola andrà sempre più di moda

 

Giancarlo Sagramola, dopo il colpo della sentenza Penzi, ha annunciato dimissioni che non darà. Non le darà perchè non è tipo da immolarsi per la bellezza del "gesto" e perchè sa bene che se lascia la sua carriera politica è finita e dovrà rientrare in un cono d'ombra che i politici fanno fatica ad accettare e digerire.

Eppure ha provato a simulare una reazione estrema, per uscire dall'angolo in cui si è cacciato in tre anni di solitaria ostinazione.

Il problema di Sagramola, infatti, non sono i debiti fuori bilancio, non sono i margini di manovra ridotti a zero, non è il funzionamento perverso di un ente comunale che non offre servizi e pratica la spoliazione sistematica dei sudditi. 

Il problema di Sagramola si chiama Sagramola. In tre anni è riuscito a concentrare su di sé tutti i mali della nostra comunità, a fungere da unico capro espiatorio, a rappresentare - nell'immaginario collettivo - la summa dei problemi irrisolti, di quelli risolvibili e di quelli insolubili.

Abbiamo dato al Sindaco la colpa di tutto: della crisi industriale, delle imprese che chiudono, del Natale senza luci, della città abbandonata, dei cessi che non funzionano, dei giardini pubblici abbandonati, della tristezza che ci assale e delle partorienti costrette a girare per ospedali limitrofi. 

Giancarlone meritava oggettivamente un carico di negatività così unanime e corale? A mio avviso gli si può attribuire solo una parte di responsabilità, ma è riuscito a realizzare il capolavoro di polarizzarsela addosso tutta intera.

Un capolavoro psicologico e di comunicazione, prima che politico, che ha consentito ai fabrianesi di fare quel che sanno fare meglio: rimuovere la verità, banalizzarla, semplificarla e riproporla, sminuzzata e digerita, in forme collettivamente sostenibili e commestibili.

La grande colpa di Sagramola è aver consegnato ai fabrianesi l'idea che eliminato Sagramola finiranno d'incanto pure i problemi e che per risolverli basti l'opera di un Re Mida che prometterà, senza uno straccio di denari da spendere, un Municipio sorridente, efficiente e amico.

Ci sono due situazioni - che sono politiche e sociali e non di bilancio - che hanno spinto il Sindaco ad accelerare prendendo le distanze da quella fascia tricolore che ha curato e coccolato con una passione quasi materna; due situazioni che ne radicalizzeranno il ruolo di capro espiatorio fino a renderlo gigantesco e insostenibile: la manifestazione a difesa del reparto di Ostetricia e la quotazione in Borsa di Veneto Banca.

La manifestazione rappresenterà un'occasione interessante per vagliare l'applausometro politico e misurare i decibel di consenso dedicati a figure più interessate alla candidatura a Sindaco che alle "doglie di prossimità". Ed è possibile che la contestazione a Sagramola trovi, nella manifestazione, un innesco brutale come quello che si verificò all'Oratorio della Carità nel mese di dicembre del 2013.

La quotazione in Borsa di Veneto Banca rappresenterà un altro elemento di crisi perchè oltre al prezzo di recesso (7,3 €) anche il probabile valore di listino a Piazza Affari sarà ben lungi dal valore nominale delle azioni possedute da tantissimi fabrianesi che, assieme alla Fondazione, rischiano un salasso che troverà nel Sindaco il più rapido e comodo degli alibi.
Parafrasando uno slogan grillino potremmo dire che prendersela con Sagramola andrà sempre più di moda. Ed è per questo che il Sindaco cerca di uscire dall'angolo mostrandosi vittima di un contesto su cui non può intervenire. Ma ha aspettato troppo e ha dosato malissimo il mix di scelte compiute e vincoli subiti. E forse, giunti a questo punto, neanche un dio potrà salvarlo.