27 novembre 2015

Ostetricia: una difesa legittima ma insostenibile

E' giusto e comprensibile che tante persone si siano mobilitate a difesa del reparto di Ostetricia dell'Ospedale di Fabriano

E' giusto e comprensibile perchè se una comunità non difende i propri servizi collettivi, specie quelli sanitari, vuol dire che ha perso ogni barlume di socialità e di appartenenza

Si tratta, quindi, una legittima difesa che non può essere contestata e criticata, fatta di petizioni, di appelli, di sindaci in fascia tricolore, di consigli comunali aperti, di moral suasion istituzionale, di battage giornalistico, di primari che fanno ricorso alla leva mediatica. 

Il problema non è la legittimità della difesa ma la difendibilità del Reparto e, più in generale, la funzione di un Ospedale sovradimensionato rispetto al bacino d'utenza e al peso economico-sociale di Fabriano, ormai al centro di un trend di progressiva marginalizzazione.

Come mi è capitato di scrivere alcune settimane fa su questa pagina, Fabriano è una città che sta invecchiando anche in ragione di un consistente flusso di giovani in uscita che non trovano, nel territorio, opportunità economiche e di lavoro adatte ai loro sogni, alle loro ambizioni e alla loro idea di futuro.

Una comunità che subisce un'emorragia crescente di giovani generazioni brucia potenzialità demografiche e riduce il necessario ricambio generazionale. Per questo a Fabriano nasceranno sempre meno bambini se non si verificherà, sul breve periodo, una svolta economica e imprenditoriale capace di rigenerare benessere e prospettive.

In questo senso la legittima difesa di Ostetricia è materialmente insostenibile, in quanto la funzionalità del Reparto è oggettivamente condannata dal combinato disposto di processi demografici e di tagli di spesa pubblica. Rimandare la chiusura è, forse, l'unico obiettivo possibile, sapendo però che non si può più contare sull'antico adagio andreottiano secondo il quale "un problema rimandato è mezzo risolto".

L'unica partita possibile è contrattare il ruolo complessivo dell'Ospedale di Fabriano, sapendo che sono i reparti e i servizi essenziali la vera linea del fronte. Del resto ogni territorio del nostro Paese ha mille buone ragioni per chiedere che non si modifichi lo status quo e i fabrianesi - come già fecero negli anni delle vacche  grasse - non possono chiedere trattamenti speciali e corsie preferenziali.

E, purtroppo per noi, non saranno le parole "accorate" di Sindaci in fascia tricolore e di pastori benedicenti l'elemento in grado di cambiare le dure leggi dell'economia, di ridurre gli effetti della disoccupazione e di arginare il peso devastante e decisivo dei trend demografici.
    

24 novembre 2015

JP vince in Cassazione ma il Piano Industriale è un'araba fenice


Alla fine Porcarelli l'ha spuntata ribaltando, sulla vendita di Ardo a JP, sia il pronunciamento di primo grado della sezione fallimentare del Tribunale di Ancona, sia la conferma dell'annullamento  sancita in secondo grado dal Tribunale del Riesame.

Attendiamo di conoscere le motivazioni della sentenza della Suprema Corte, che chiude definitivamente il contenzioso aperto con gli istituti bancari, ma sin da ora è possibile esprimere una valutazione di consuntivo su una vicenda che si trascina da almeno cinque anni ed ha assunto, nel tempo, il profilo di una commedia che nulla ha a che vedere con una strategia industriale supportata da scelte ragionevoli e di prospettiva.

Gli ottimisti fanno quel che devono spargendo ottimismo, immaginando un brutto capitolo del capitalismo italiano che si chiude e una nuova pagina che si apre con JP che inizia a produrre, a riconquistare redditività, a saturare capacità produttiva, a conquistare quote di mercato vendendo auto elettriche, nuova frontiera produttiva dopo il declino dei piccoli elettrodomestici e la fine di un'illusione di competività sul bianco che il mercato non ha concesso neanche a Indesit.

Sicuramente, al di là di una strage del diritto dal sapore pannelliano e che dipende soltanto dalla continua interferenza della politica sulla vicenda, è inutile rimuginare sul passato e su quanto si sarebbe dovuto fare e non si è fatto. 

Da oggi JP Industries non ha più alibi e ha il dovere di informare istituzioni, cittadini, lavoratori e parti sociali su cosa intende fare, a livello industriale, per giustificare le condizioni di favore dell'acquisto della Ardo e togliere di mezzo la sensazione nettissima e brutale di un'acquisizione in stile IRI in cui è lo Stato e non l'imprenditore a farsi carico delle componenti negative dell'operazione.

Non è un caso, in questo senso, che la notizia del pronunciamento della Cassazione sia uscita giusto qualche ora dopo la firma del prolungamento per altri 21 mesi della cassa integrazione per i 700 lavoratori migrati dalla Ardo alla JP

Una coincidenza dal significato lapalissiano: la produzione in JP continuerà a procedere a singhiozzo, senza riassorbimenti stabili e significativi di manodopera e con un Piano Industriale che, come l'araba fenice, è ormai entrato a pieno titolo nel campo della mitologia economica del territorio fabrianese.

Gli amici delle organizzazioni sindacali, che guardano il dispositivo della Cassazione sul lato delle esigenze immediate dei lavoratori coinvolti, hanno comprensibilmente la notizia rimarcandone la sostanziale positività. 

Per chi guarda, invece, la vicenda pensando più in generale al futuro del territorio, la vera notizia sarebbe l'esistenza di un Piano Industriale della JP Industries, perchè solo attraverso di esso è possibile misurare la prospettiva, valutare l'andamento dell'azienda e collocare i risultati a medio termine in un quadro di ripresa economica del territorio. 

Per ora non c'è segno di pianificazione e di progettualità, ma il tempo è scaduto e gli alibi consumati. Tirare avanti per non tirare le cuoia non è più sostenibile. Non è più possibile.
    

13 novembre 2015

Triplo filotto alla Best: uccisi solidarietà, posti di lavoro e sindacati

Alla Best hanno ucciso, in pochi istanti, la solidarietà, i posti di lavoro e il sindacato. Un triplo filotto reale che mancava dai tempi dello storico e metaforico match, al tavolo verde, tra il Rag.Fantozzi e il Conte Catellani.

Il caso Best è in piedi da un paio di anni ed è basato su un elemento chiarissimo per ogni osservatore e per tutti i soggetti coinvolti: l'azienda ha intenzione di smobilitare. Di fronte a questa volontà la negoziazione tra sindacati e azienda non può che essere profondamente asimmetrica, con le organizzazioni dei lavoratori confinate nel recinto stretto di una contrattazione difensiva.

Ciò significa che l'azienda punta a dividere i lavoratori, utilizzando l'arma efficacissima dei licenziamenti coattivi mentre i sindacati sono costretti a trovare mediazioni risicate che, inevitabilmente, scontentano una parte dei lavoratori, sempre più divisi in una partita ambigua tra "sommersi" e "salvati".
La contrattazione difensiva, proprio a causa della sua natura minimalista, rende il sindacato più fragile e soggetto a critiche ma tende comunque a mantenere un certo grado di agibilità fin quando non si rompe il filo della rappresentanza esercitata dalle organizzazioni dei lavoratori.

Questo filo sottile ma necessario si è rotto alla Best l'altra sera e certifica un orizzonte negoziale a tinte fosche per i lavoratori di quell'azienda. Le tre sigle sindacali dei metalmeccanici (Fiom, Fim e Uilm) avevano sottoposto ai lavoratori un documento, sulla cui base andare a contrattare con l'azienda.

Il documento sindacale era fondato su un principio: scongiurare la linea aziendale dei licenziamenti formulando ipotesi, sicuramente difensive, ma di certo meno traumatiche e più solidali: trenta dimissioni volontarie entro due anni accompagnate da un consistente incentivo. 

Qualora non si fosse raggiunto questo risultato, al termine dei due anni previsti, gli altri lavoratori avrebbero accettato una riduzione sostenibile dell'orario di lavoro per garantire l'ammontare di economie richieste dall'azienda.
Il 40% dei dipendenti ha detto no, forse convinto di appartenere alla categoria dei "salvati" e dimenticando che, nelle ristrutturazioni aziendali nessuno si salva da solo, e che quando si rompe il patto non scritto di solidarietà tra i lavoratori si precipita in un darwinismo capace di rendere il naturale istinto di autoconservazione e di sopravvivenza una vero e proprio oggetto contundente, da utilizzare contro chi vive il medesimo disagio.

Il risultato di questo "no" è, appunto, triplice: solidarietà a puttane; sindacati delegittimati e quindi a rappresentatività dimezzata; licenziamenti a go go impugnabili solo individualmente. 

Ciò che è accaduto alla Best è il frutto di una convergenza di elementi che restituisce un quadro più sociologico che sindacale: il peso della crisi mondiale, la smobilitazione industriale del territorio, la persistenza di un familismo amorale arcaico e contadino, l'assenza di una cultura operaia capace di produrre solidarietà orizzontali e la totale inesistenza di una classe politica locale in grado di svolgere un ruolo di mediazione, di dialogo e di moral suasion.

Forse peccheremo di pessimismo ma siamo di fronte a un segnale che è grave anche da un punto di vista prospettico, perchè la ricostruzione economica di un territorio tanto colpito non potrà avvenire senza un impegno comune, certificato innanzitutto da forme di solidarietà attiva tra i lavoratori e tra i cittadini. 

E di certo dalla Best non è arrivata una buona prassi ma soltanto una manifestazione plateale di egoismo che non porterà fortuna a nessuno.
    

12 novembre 2015

Le mille righe blu. #parcheggiamoSagramola

L'amministrazione comunale di Fabriano di sicuro non vola ma certamente vive nel blu dipinto di blu. Quello della vernice che delimita gli spazi di parcheggio a pagamento, ormai diffusi come una tagliola ovunque e dappertutto; l'ultima, animosa frontiera del conflitto tra governanti e governati in una città che ha parcheggiato fuori dal mercato del lavoro circa 6.000 persone.  

Avremmo anche potuto capire la moltiplicazione dei parcheggi a pagamento se fosse stata il frutto del desiderio di chiudere il centro storico senza assumersi la responsabilità politica di farlo.  

Sarebbe stato di certo un fare patologico - perché se si vuole chiudere il centro storico se ne delibera la chiusura e si fa l’anello esterno a senso unico con ampia possibilità di parcheggio su ambo i lati -  ma lo avremmo capito perché da una Giunta di tal fatta non si possono pretendere spremute d'uva ma soltanto un suino abbondare di ghiande. 

Il problema è che non possiamo capire. Non possiamo perchè siamo scesi sotto il livello di guardia, al di là dell’indecisione e dell’ignavia. Sagramola e i suoi accoliti stanno presentando il conticino perchè la pecunia è il loro unico orizzonte e piuttosto che niente è sempre meglio piuttosto. 

Volete sapere dove osano le quaglie? E’ presto detto: moltiplicare i parcheggi a pagamento dove le persone sono costrette a farne uso perchè quel che non si ottiene per amore si estirpa con mosse da bari caravaggeschi. 

Già, perché i ghiandari hanno le scarpe grosse ma il cervello fino e sono convinti, non a torto, che dopo un po’ di resistenza iniziale i cittadini molleranno l’osso e finiranno per parcheggiare tra quelle mille righe blu ad oggi favolosamente deserte; molleranno l'osso e pagheranno quell'obolo che l'amministrazione cerca morbosamente, quasi sfiorando l'orgasmo monetario.

In passato mi è capitato di utilizzare i parcheggi a pagamento. Da oggi non lo farò più perchè non mi piace essere preso per il culo e spero che nessun fabrianese sia disposto a donare un solo centesimo ai disegni voraci di questa amministrazione.

E allora non parcheggiamo le auto, #parcheggiamoSagramola