31 marzo 2016

Fabriano: la situazione è grave ma non è seria

L'amministrazione comunale, in questa fase concitata, somiglia al cane che affoga di cui Mao Tze Tung consigliava vivamente la bastonatura; una condizione critica già vissuta dalla Giunta nel 2013 durante la vertenza Tares e poi lentamente riassorbita giocando sulla naturale tendenza delle contestazioni a rifluire e ritornare nell'alveo. 

E' quindi comprensibile che gli avversari di Sagramola e della DC (Pd+Udc) cerchino di approfittare di questa situazione, che è pane quotidiano della dialettica politica, così come è nell'ordine delle cose che le potenziali "vittime" sviluppino forme di autodifesa basate sull'utilizzo contundente di concetti come senso di responsabilità e serietà. 

Questa fisiologia della politica, che dovrebbe condurre a uno scontro alto, viene turbata e alterata dagli eccessi di zelo dei protagonisti e dalla lievitazione selvaggia degli animi. Pariano è stato il primo a cadere in tentazione, con una proposta destinata ad abbassare il livello dello scontro politico e a "scatizzare" i più immediati e superficiali istinti popolari. 

Pariano ha depositato una mozione affinché “Consiglieri Comunali, Sindaco, Assessori e Presidente del Consiglio Comunale rinuncino rispettivamente ai gettoni presenza per la partecipazione alle sedute consiliari e commissioni e delle indennità di funzione“. 

Ciò significa bloccare gli emolumenti degli eletti e degli assessori per un anno. Abbiamo forse motivo di dolercene? No di certo, ma resta intatto un problema: di fronte a un Comune che presenta numeri da default il simbolismo della rinuncia all’emolumento alleggerisce il peso della situazione finanziaria o sposta soltanto il focus altrove, dove è più facile scatenare una generica rabbia popolare contro l’avidità dei politici? 

Su questo aspetto occorre essere molto chiari: Sagramola e Tini vanno combattuti ricercando soluzioni non banali e garantendo alla dialettica politica lo spessore che merita. 

Osteggiare la cattiva politica di questa amministrazione puntando sui gettoni di presenza è roba sterile e noiosa; mercanzia che rivela anche la qualità di chi si proclama alternativo alla DC e si aggrappa a un populismo primordiale che rimpiazza la severità del giudizio politico con una faciloneria emotiva e chiassosa. 

Pariano gioca legittimamente le sue carte per mettere in difficoltà il partito con cui è stato eletto, ma seguirlo su questa strada significherebbe infilarsi in un vicolo cieco che consentirebbe al Pd di proporsi come vittima e barriera contro il populismo: un regalo che quei bravi ragazzi non meritano davvero di ricevere. 

Come dicevamo in precedenza Pariano ha stimolato azioni emulative, ispirate dal principio eterno del pisciare più lontano di chi ci precede. 

La minzione a lunga gittata è toccata al consigliere del gruppo Città Progetto Danilo Silvi che, stando a quanto riportato dal Resto del Carlino, ha proposto di estendere gli effetti delle mozione Pariano anche all’amministrazione comunale che a partire dal 2017 prenderà il posto di quella attuale

Una linea di condotta che, se fosse applicata, condizionerebbe il processo democratico ed elettorale in termini restrittivi perché svolgere a remunerazione zero un’attività a tempo pieno come quella di sindaco o di assessore è possibile solo per tre soggetti: ricchi, studenti e pensionati

Ancora una volta la montagna ha partorito il topolino.
    

30 marzo 2016

Il Sindaco, le acrobazie romane e il Consiglio che salta

Il Consiglio Comunale di ieri sera è saltato per mancanza del numero legale. Era la prima riunione della massima assemblea cittadina dopo la sentenza d'appello sul caso Penzi. Ufficialmente l'argomento non era all'ordine del giorno ma, di fatto, tutti davano per certe le comunicazioni del Sindaco sul tema

C'era grande attesa e non poteva essere altrimenti, invece uno smisurato senso del ridicolo ha consentito che accadesse una cosa incredibile e cioè che il Sindaco, nel corso della giornata di ieri, annunciasse - pare via mail - che non sarebbe stato presente alla seduta pomeridiana perché in missione a Roma per trattare con i vertici della ditta Penzi

Un'assenza plateale e pretestuosa. Innanzitutto perché tanta solerzia stride con l'atteggiamento contemplativo che ha sempre contraddistinto Sagramola in questa vicenda e a maggior ragione quando un vertice con l'impresa con cui hai perso una causa si calendarizza in un giorno di mezza festa; in seconda istanza perché prima di ogni altra mossa informale il Sindaco avrebbe dovuto mettere al corrente della situazione la massima assemblea elettiva cittadina per ricevere da essa indicazioni e un mandato politico che ne avrebbe rafforzato il ruolo al tavolo con Penzi. 

Purtroppo per la città e per i fabrianesi il primo cittadino ha optato per la massima privatizzazione dell'approccio con la ditta coinvolta, seguendo pedissequamente la linea del pagamento rateizzato e dilazionato dettata dal Vicesindaco Tini ed escludendo - tranne per qualche generico appello subito smentito dai comportamenti concreti - le forze di minoranza e la stessa maggioranza consiliare con cui, di norma, si dovrebbe interloquire nella sede istituzionale naturale, ossia il Consiglio Comunale. 

Di fronte a questo atteggiamento la minoranza ha correttamente deciso di disertare la seduta di ieri perché partecipare ai lavori sarebbe stata una decisione di totale subalternità politica, e quindi di giustificazione delle azioni deliberatamente ambigue del Sindaco. 

Il PD, diretto da una squadra di giovani capaci di sbagliare ogni mossa, invece di prendere il Sindaco per le palle facendolo tornare da Roma col Freccia Bianca delle 15.35 ha truccato le carte, capovolgendo sulla minoranza la responsabilità della mancanza del numero legale che ha impedito lo svolgimento della seduta di Consiglio prevista. 

Che è un po' come il lupo della fiaba che, in riva al fiume, accusava l'agnello, impegnato a bere più a valle, di fargli diventare l'acqua torbida: un classico della prevaricazione e del vittimismo in cui il carnefice si atteggia a vittima e a cui Umberto Eco dedicò un articolo che vale sempre la pena rileggere (La retorica del lupo davanti all'agnello)

L'assenza del Sindaco e il comunicato del PD che accusa la minoranza di mancanza di serietà però sono segnali utili perchè restituiscono un quadro preciso di ciò che accadrà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane: il totale arroccamento del Sindaco e della maggioranza a difesa di se stessi. 

Si tratta, ovviamente, di una linea di difesa fragile che avrà bisogno di molti additivi e proteine per reggersi in piedi; una linea che non disdegnerà la menzogna sfacciata e quella ingenua, il ribaltamento del vero e la vocazione a fare un deserto che chiameranno pace. 

A lato di questo fuoco di sbarramento comincerà la ricerca spasmodica di un capro espiatorio da immolare, per mettere in sicurezza Sagramola e i Gianca Boys. La minoranza e i fabrianesi devono stare molto attenti e vigilare perchè la situazione creata con la sentenza Penzi è sempre e comunque cosa loro: del PD, dell'udc e della vecchia classe dirigente democristiana. 

Chiunque la condivida con loro e se ne faccia carico o è uno di loro o mira a inciuciare.

29 marzo 2016

Caso Penzi: un Commissario è sempre meglio che la DC

Sagramola e il PD, invece di giocare a carambola fingendo amore solido e solidale, dovrebbero dare una lettura politica del caso Penzi e comprendere che un tale gnommero gaddiano, nato sul far del crepuscolo della monarchia di Antonio Merloni, rappresenta la fine di un'epoca, quella della città governata dalla DC e da quel surrogato della Balena Bianca che è il PD.
Anche la politica, infatti, come ogni cosa umana, ha le sue stagioni più o meno lunghe e i suoi protagonisti su cui prima o poi il sole tramonta. Il ciclo di vita della DC fabrianese ha imboccato da tempo la fase di declino e in tanti, convinti di salvarsi cambiando cavallo in corsa o giocando su un fare ambiguo, hanno sottovalutato l'impatto di sistema prodotto dell'uscita di scena di Gian Mario Spacca.
Invece la fine politica del Governatore non era che l'inizio di un processo che avrebbe inevitabilmente travolto quel mondo e quella fase politica. In questo senso la sentenza Penzi è la chiusura posticipata del cerchio e quale che sia la soluzione che verrà adottata per onorare la sentenza della Corte d'appello, non cambierà la sostanza dei fatti: Sagramola e la sua Giunta sono destinati a essere i notai della fine della DC a Fabriano.
Per scongiurare questa focalizzazione di responsabilità Sagramola ha cercato di coinvolgere l'opposizione, affinché si moltiplichino i bersagli di una possibile rivolta popolare ed elettorale e si possa provare a rispondere in solido di una responsabilità politica che, invece, riguarda solo e soltanto la classe politica di centrosinistra e le sue scelte passate e presenti.
La linea la sta dettando, non a caso, il più democristiano di tutti, il Vicesindaco Angelo Tini, e si basa su presupposti tipicamente centristi: trattare e dilazionare. In questa azione Tini può contare anche sul supporto dietro le quinte della Fondazione che è diventata la ridotta valtellinese della DC e ha bisogno, nonostante sia titolare di risorse tuttora ingenti, di avere interlocutori politici amici nell'amministrazione comunale.
In questo quadro la messa in sicurezza del Bilancio Comunale è uno specchietto per le allodole perché è un'altra la partita politica che si sta giocando e su cui si concentrano le emozioni dei rotagonisti: il salvataggio politico di Sagramola e di un'intera classe dirigente del centrosinistra.
È per questo che è vitale puntare al commissariamento: per fermare il danno, spazzare via la DC e andare a nuove, catartiche elezioni.

24 marzo 2016

La soluzione per Penzi forse c'è ma Sagramola non lo sa




La Corte d’Appello ha negato la sospensiva sulla sentenza Penzi, forse perchè non ha ritenuto corretto intervenire in un contenzioso tra privati che contempla anche una ipotesi di dilazione del pagamento.  


Ciò significa che il Comune può ricorrere in Cassazione ma deve pagare subito 1,8 milioni di euro alla ditta Penzi. Il garbuglio più grosso, il pasticciaccio brutto de Palazzo Chiavelli è, quindi, esploso in faccia a Sagramola e alla città.  Il Comune dovrà pagare una barca di soldi: imemdiatamente e senza passare dal via.


Dalla rapa non si cava sangue, insegna un vecchio detto toscano. Allo stesso modo da Sagramola non si è cavato, per mesi, uno straccio di pensiero laterale che consentisse di evitare questo esito drammatico per il bilancio comunale. 


Sagramola, di fronte a un rintocco dei fatti crudele ma annunciato da tempo, ha preso tempo limitando la sua riflessione solo a un gioco di mantra: non c’è i soldi, me dimetto; anzi no, aumento le tasse; anzi no, me sto fermo, po esse che è meglio; anzi no, rateizzo l'indennizzo. 


La verità è che un Sindaco che non sa gestire un rischio amministrativo di questa dimensione e si lascia andare a un approccio umorale e ondivago diventa un problema più grande del danno da risarcire alla ditta Penzi, perchè trasferisce alla collettività un’ansia delegittimante, un caos calmo che rende sempre più profondo e avvilente il distacco tra i cittadini e la cosa pubblica.


Di soluzioni possibili per il caso Penzi, invece, forse ce ne erano e si poteva evitare l'aumento della pressione fiscale. Provo a elencarne due con spirito costruttivo seppur con mano da profano:


Cartolarizzazione degli immobili comunali attraverso una "società veicolo" interamente partecipata dal Comune.  

Come sa bene chi sfoglia i giornali locali, periodicamente l'amministrazione comunale mette all'asta immobili di sua proprietà che puntualmente non ricevono offerte e  nessuno acquista. La cartolizzazione è una tecnica finanziaria che consente di semplificare la dismissione degli immobili di proprietà comunali. Concretamente il Comune crea una società veicolo interamente partecipata dall'ente municipale e gli trasferisce gli immobili cedibili. La società acquista gli immobili dal Comune ricorrendo a finanziamenti ottenuti sul mercato. In questo modo il Comune potrebbe ottenere la liquidità necessaria a chiudere il contenzioso con la ditta Penzi senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini. I vantaggi sono evidenti:

        • la pronta disponibilità dei flussi finanziari provenienti dalla cessione degli immobili; 
        • la maggiore disponibilità di tempo per effettuare la vendita degli immobili; 
        • il recupero della differenza tra il prezzo di cessione e l’effettivo prezzo di vendita (prezzo differito).  

Utilizzo della pignorabilità di beni comunali classificati come disponibili.

I beni dello Stato sono pignorabili, salvo siano destinati a un pubblico servizio o all’attuazione di una funzione istituzionale dell’amministrazione. Ciò significa che non possono essere pignorati gli stipendi dei dipendenti, le sedi municipali, le risorse finanziarie e materiali destinate a un servizio come ad esempio la biblioteca, la pinacoteca o il Palazzo dello Sport. E' quindi di fondamentale importanza classificare i beni immobili in disponibili o indisponibili perchè questo consente di collocare tra i beni disponibili gli immobili che possono essere pignorati senza alterare l'erogazione dei servizi ai cittadini. Questa tipologia di destinazione, riportata in una delibera che può essere integrata con cui l'organo esecutivo del Comune è tenuto a quantificare l'ammontare delle risorse destinate ai servizi e quindi non pignorabili (articolo 159 TUEL), consente di mettere al riparo dal pignoramento la liquidità. Di fatto riconoscendo ad alcuni immobili di proprietà comunale non utilizzati o invendibili una condizione di pignorabilità il Comune potrebbe decidere di non pagare la ditta Penzi, facendo scattare il pignoramento sui beni immobili disponibili. Ciò consentirebbe di chiudere la partita Penzi senza mettere le mani in tasca ai cittadini.


Fossi in Sagramola, oltre che sulle dimissioni, rifletterei anche su queste ipotesi perchè un bravo Sindaco per prima cosa cerca di mettere al riparo i cittadini e solo in seconda istanza tutela se stesso e l'ente che dirige. Se paga e interviene sulle tasse è fottuto. Se si dimette è fottuto: l'inevitabile tenaglia che tocca agli indecisi.


Sagramola dovrebbe avere uno scatto di reni: trovare una soluzione, poi dimettersi e fare in modo che la città si dimentichi al più presto di lui. Lo deve ai fabrianesi e forse anche a se stesso.
    

22 marzo 2016

Perchè il centro storico non può rinascere

 Qualche settimana fa il primo cittadino ha sintetizzato in modo plastico e, a dire il vero, un po' comico la situazione del centro storico cittadino: tutto bene, tutto come prima e se non ci sono più persone a bazzicarne le vie è solo perchè stanno tutti rintanati in casa a giocare alla Play Station.

Siccome Sagramola difetta anche dell'eleganza del riccio il quadro d'insieme che ne è emerso è parso inverosimile, ingeneroso e indigeribile. Sarebbe bastato dire che lo svuotamento del centro storico è legato anche al cambiamento delle forme di socialità e il Sindaco avrebbe fatto la parte del buon sociologo di paese.

In realtà i problemi del centro storico sono antichi e diversi ma c'è un elemento comune che tutti li lega e li connette: il costante disprezzo della classe politica locale per un pezzo di città soggetta a vincoli urbanistici e architettonici su cui non era possibile mettere le mani.

Prendiamo spunto da un dato demografico: Fabriano nel 1981 contava circa 29 mila abitanti. A distanza di trentacinque anni gli abitanti sono saliti a circa 31 mila. Una variazione lenta e graduale che poteva essere assorbita senza alterare gli equilibri urbanistici, sviluppando lentamente e a macchia d'olio la città a partire dal centro storico.

L'immagine di Fabriano dall'alto che riportiamo di seguito rappresenta visivamente la follia decisionale della classe politica fabrianese. In rosso è evidenziato il percorso dell'anello che gira attorno al centro storico.


Senza ricorrere a un linguaggio tecnico possiamo serenamente affermare che Fabriano si è sviluppata a cazzo di cane, occupando periodicamente e per strappi aree edificabili sempre collocate a ridosso di capannoni industriali.

Il risultato di questo sviluppo a strappi – negli anni ’80 la zona Aldo Moro, Santa Maria, Maragone; verso la fine degli anni ’90 Cortina San Nicolò e negli ultimi dieci anni in zona Don Minzoni, Santa Croce – è chiaro e visibile: il centro storico non è più il centro della città ma comincia a somigliare a una mezza periferia.
 
L'elemento assurdo è che questa bramosia di creare una "città in lungo" non trova giustificazioni storiche, urbanistiche e di trend demografico ed è spiegabile solo in termini speculativi. 

In  questo contesto la cittadella degli studi e il centro commerciale hanno dato il colpo di grazia al centro storico perché, ormai, si focalizzano in periferia gli elementi fondamentali della quotidianità: supermercati, luoghi di consumo, impianti sportivi e spazi scolastici. 

Giunti a questo punto invertire la tendenza e rilanciare il centro storico significherebbe rovesciare 40 anni di cazzate e di scelte idiote. Il che è umanamente e politicamente impossibile per chiunque. L’unica soluzione sarebbe fare del centro storico una nicchia, uno spazio specializzato nell’intrattenimento di qualità. 

Ma come direbbe il Sindaco, ovviamente senza l’eleganza del riccio, “non c’è i sordi”. In verità il problema è molto più grave: non ci sono le teste. Non ci sono mai state. E quelle che ci sono sono più adatte a essere usate come insulto.
    

21 marzo 2016

Cosa ci insegna il Grande Show

Per giudicare uno spettacolo teatrale bisogna averlo seguito: lascivamente svaccati in una poltrona di platea, oppure appollaiati col collo ritorto in un palco o, ancora, da protagonisti emozionati sul palcoscenico. 

Non mi sono trovato in nessuna di queste situazioni rispetto al Grande Show, lo spettacolo ideato da Fabio Bernacconi e andato in scena nell'ultimo fine settimana al Teatro Gentile di Fabriano

Questa condizione mi esonera da qualsiasi giudizio artistico e di valore che, tra l'altro, sarebbe assolutamente eccentrico rispetto ai contenuti e all'ispirazione di @Bicarbonati. Se scrivo è perchè questa operazione teatrale mi ha ricordato una celebre frase di Albert Einstein: "Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno che non lo sa e la inventa." 

La cosa impossibile era riunire le diverse esperienze artistiche cittadine ricercando, tra loro, un denominatore comune. Fabriano è una città ricca di sensibilità artistiche; un patrimonio spesso invisibile, costretto nei sotterranei di un’esperienza faticosa e solitaria, bistrattato dal potere, dai circuiti della cultura istituzionale e sostanzialmente alieno rispetto al materialismo rude e fordista del “battere la mazza” e del "fatigà".

Questa condizione di vita carsica è particolarmente adatta a produrre quell'humus dell'isolamento che spinge in direzione di esperienze verticali: i musicisti che fanno musica, le compagnie teatrali che fanno teatro, i ballerini che fanno danza. Ognuno eccellente nel suo spazio, ognuno tessera solitaria di un mosaico generale che non si compone mai.

A Fabio Bernacconi, e ai tanti che hanno collaborato con lui, va dato il merito di aver inventato la cosa impossibile: unire orizzontalmente esperienze ed arti diverse, riunendole in un unico show secondo un modulo multidisciplinare di natura quasi circense, declinato in base alle peculiarità moderne del palcoscenico e del teatro. 

Questa rottura empirica del particolarismo artistico fabrianese rappresenta un interessante elemento di novità culturale per Fabriano, dove di solito tutto si muove e prospera secondo il principio dei vasi non comunicanti. 

Il secondo aspetto degno di rilievo è che il Grande Show è stato costruito dal basso, come azione socializzante di un pezzo di sociatà civile. Parafrasando il filosofo olandese Ugo Grozio potremmo sostenere che si è lavorato etsi deus non daretur, come se dio non esistesse. 

In questo caso il dio non è, ovviamente, l’entità creatrice ma la politica, ovvero quel sistema di condizionamenti partitici e istituzionali secondo cui il fare è legittimo e praticabile solo se genera un vantaggio privato e un possibile consenso elettorale di ritorno.

L'esperienza del Grande Show può, quindi, esprimere un valore emulativo e di replicabilità che va al di là dell'aspetto artistico e di spettacolo, ossia la capacità della società fabrianese di organizzarsi in una logica buttom up, dal basso verso l'alto, senza allinearsi ai tempi della politica, alle pretese "artistiche" dei possibili finanziatori e ai piccoli circuiti dell'invidia che molto incidono sull'ordine delle cose locali.

Etsi deus non daretur. Potrebbe diventare lo slogan elegante per pensare un'altra Fabriano in cui l'avere non dipende dal dare ma dalla volontà di fare le candele con la cera che si ha a disposizione piuttosto che girare al buio in attesa di un altro, distruttivo Re Sole.
    

20 marzo 2016

Il nuovo Vescovo e il rischio della Palude

La Diocesi di Fabriano e Matelica ha un nuovo Vescovo: Don Stefano Russo da Ascoli Piceno. Il profilo del nuovo Pastore è parso subito interessante. 

Innanzitutto per ragioni anagrafiche, perchè un Vescovo di 55 anni garantisce energia e piglio evangelico a un ruolo, che nella nostra città, non ha bisogno di pacata e senile saggezza ma di decisa e severa determinazione.

Il secondo elemento degno di nota è che Don Stefano è un uomo di cultura, e non a caso nel 2005 fu nominato Direttore dell'Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici presso la Conferenza Episcopale Italiana. 

Un terzo elemento è di natura fisiognomica - e quindi rilevante solo per chi scrive e per chi attribuisce valore all'approccio lombrosiano - in quanto Don Stefano ha un viso ratzingeriano, un'espressività soavemente teutonica, che richiama profondità teologiche più che tendenze modaiole che sembra abbiano messo radici tra i sacerdoti più giovani alimentando entusiasmi più secolari che evangelici in alcune parrocchie e tra i fedeli. 

Queste tre caratteristiche lasciano supporre che Don Stefano possa essere una figura mite ma decisa, un sergente di ferro capace di apertura e comprensione. Un approccio che è emerso già nel primo messaggio inviato alla Diocesi, in cui il nuovo Vescovo ha lanciato un preciso segnale programmatico, riprendendo le parole di Papa Francesco sul bisogno della Chiesa di esplorare le periferie esistenziali e diventare, di conseguenza, ospedale da campo per chi vive in condizione di povertà e di emarginazione. 

Ed è proprio in questa dichiarazione di intenti, di chiara curvatura bergogliana, che si palesano il cozzo potenziale e i rischi con cui dovrà fare i conti il nuovo Vescovo. 

Il pericolo principale è la Palude, il tentativo di aggancio che le camarille della borghesia locale - stracciona ma sempre desta quando annusa equilibri soggetti a improvviso dinamismo - proveranno ad attivare per egemonizzare l'interlocuzione con il nuovo Vescovo, con l'effetto paradossale di una prima fila in cui cercheranno di sedersi proprio quanti hanno la responsabilità storica, culturale ed economica di aver creato periferie esistenziali nel nostro territorio.

Don Stefano Russo dovrà, quindi, muoversi con attenzione e distacco rispetto a questo abbraccio mortale, perchè la cooptazione della Curia nel sistema di potere è stata una costante della storia fabrianese degli ultimi decenni; una costante che con Vecerrica ha vissuto una parziale attenuazione rispetto ai tempi del più sfrenato collateralismo col potere economico registratosi negli anni dell'episcopato di Luigi Scuppa

Sarà su questo versante che la città misurerà le novità immediate e le promesse future di questa nuova stagione episcopale, il bergoglismo reale di Mons.Russo e la sua concreta volontà di caratterizzarsi come punto di riferimento per quel pezzo di città che, culturalmente e socialmente, desidera uscire da vecchie logiche politiche, economiche e di potere.
    

18 marzo 2016

Porcarelli Sindaco del Comune Unico Montano

Un'assenza che brilla nel caotico movimento

La difesa del punto nascite è una questione simbolica ad elevato impatto mediatico. Attorno ad essa si possono costruire piccole fortune politiche, contestazioni che rimbalzano sulla stampa, dichiarazioni che fanno il giro dei social, regolamenti di conti tra correnti di partito, miseri protagonismi di una società civile che, nella ricerca di un posto al sole, spesso surclassa - e di molto - il rinomato egocentrismo della classe politica.

In questo caotico movimento di indecisioni e di decisioni rimandate c'è un elemento importante, che apre la porta ad altre storie e altri scenari. Nella corale e conformistica difesa del punto nascite che ha visto protagonisti anche i sindaci dei comuni montani, infatti, spicca un'assenza che spiega molto di ciò che sta accadendo a Fabriano; un'assenza così ostinata da risultare degna di nota e di rumore: quella del Sindaco di Cerreto Giovanni Porcarelli.

Se ci accontentassimo di una valutazione superficiale, potremmo supporre un sincero ed esibito menefreghismo, ma Porcarelli è troppo scaltro e di cervello fino per farsi inimicizie su questo tema, inanellando uno sgarbo istituzionale dietro l'altro. Di conseguenza occorre pensar male, ossia immaginare che ci sia dell'altro dietro questa esibita indifferenza.

Le ragioni politiche del silenzio: endorsement e desistenza

Sono almeno due gli elementi che avvalorano l'esistenza di un disegno politico: il credito territoriale incamerato da Porcarelli grazie alla funzione di calmiere sociale svolta nella vicenda JP, recentemente sbloccata dal pronunciamento della Cassazione; l'accordo di desistenza con il PD in occasione delle regionali del 2015 quando in cambio dell'appoggio a Ceriscioli il Partito Democratico di Cerreto riuscì, con un'indimenticabile magia al fotofinish, a non presentare la propria lista per le comunali, spianando la strada al successo elettorale di Mr JP.

Se osserviamo le cose da questa angolazione il paesaggio cambia profondamente e il silenzio di Porcarelli sul punto nascite assume una valenza diversa, di conferma della desistenza, di endorsement silenzioso rispetto alle scelte del Governatore sul tema sanità.

Un sottile disegno sotto il segno di JP

Non a caso questa posizione, apparentemente indecifrabile di Porcarelli, si intreccia con la discussione relativa all'accorpamento dei comuni, aperta dal PD nella riunione della Direzione Regionale del 12 febbraio 2016 (Articolo sulla Direzione Regionale del PD) e conclusasi i primi di marzo con l'approvazione, da parte dell'Assemblea Legislativa delle Marche, della  legge sul riordino territoriale dei Comuni e delle Province (Articolo Corriere Adriatico).

Per quel che riguarda il nostro territorio la posta in gioco è la fusione dei comuni della zona montana in un soggetto che sia in grado di fare massa critica a livello di popolazione, servizi e trasferimenti statali. A parole potrebbe anche sembrare un processo virtuoso di razionalizzazione delle risorse, di potenziamento dei servizi, di riduzione dei costi e di semplificazione dei momenti decisionali. 

In realtà quando ci sono di mezzo la politica e la mano pubblica si verifica puntualmente l’eterogenesi dei fini e si producono conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali: parti con l’intento di migliorare le strutture e i servizi e giungi alla chiusura del processo con la fondata nostalgia per quel che c'era prima. 

Per ora siamo agli abboccamenti iniziali ma è interessante notare come la fase di annusamento si declini interamente lungo l'asse Fabriano - Cerreto, realtà che hanno un elemento che ne facilita il reciproco pomiciamento: una situazione di sfascio dei conti comunali.

Un unico comune montano sarebbe un toccasana per Fabriano e Cerreto perché entrerebbero risorse premiali come conseguenza della fusione e le difficoltà di bilancio verrebbero riversate in un unico e nuovo calderone.

In questo quadro non è solo folklore il "prestito" di un vigile urbano da Fabriano a Cerreto e non è cosa da poco, in termini di armonizzazione tra le popolazioni, che le due comunità condividano la stessa squadra di calcio - ASD Fabriano Cerreto - che rischia di vincere la Coppa Italia Dilettanti e di cui Giovanni Porcarelli è patron e finanziatore.


La gallina dalle uova d'oro

Di fatto è Giovanni Porcarelli l'uomo forte dell'accorpamento, il King Maker del Comune Unico Montano ma l'operazione non può essere la sommatoria di due debolezze - Fabriano e Cerreto - che in una ipotetica matrice della Boston Consulting Group verrebbero definite Dogs. C'è bisogno di cash cows, di vacche da mungere che siano in grado di garantire alla fusione comunale una fonte di golosa liquidità.

In questo caso la vacca da mungere sono le Grotte di Frasassi, gestite dal Consorzio di cui il Comune di Genga fa parte assieme alla Provincia di Ancona. Creare un Comune unico della zona montana significa avere in dote le Grotte di Frasassi e il loro giro d'affari e di liquidità. 

Incognite e variabili

In questo quadro più nitido è assai probabile che l'obiettivo di Porcarelli sia diventare il primo Sindaco del Comune Unico Montano con l'appoggio decisivo del PD regionale (ed ecco forse spiegato il silenzio sul punto nascite). 

In questo disegno politico vanno considerate alcune variabili: la resistenza gengarina rispetto a un accorpamento che significherebbe perdere il controllo diretto delle Grotte di Frasassi; il peso dimensionale di Fabriano, combattuta e vinta ma ancora in grado di pesare un po'.

In realtà l'incognita che grava sul progetto è di natura politica, perchè il PD non pare essere così compatto come sembra. Il punto di resistenza potrebbe essere l'area che fa riferimento all'on.Lodolini.

Non a caso il deputato falconarese, alla fine di gennaio del 2016, presentò un'interrogazione al Governo per chiedere conto della mancata presentazione del Piano Industriale da parte della JP Industries (Lodolini interroga il Governo) così come non è un caso che lo stesso Lodolini abbia pubblicamente plaudito, a mezzo social, alla nomina di Angelo Cola a segretario del PD di Cerreto d'Esi.

Angelo Cola, per chi se ne fosse dimenticato, perse le primarie per la candidatura a Sindaco di Cerreto nel 2015; primarie vinte da Stefano Stroppa che poi non riuscì a presentare la lista del Pd alle comunali di Cerreto a cui abbiamo fatto cenno in precedenza.

A partire da quella fase Cola si è caratterizzato come oppositore accalorato della Giunta Porcarelli; una posizione su cui ha costruito l'elezione a segretario del partito e ricevuto l'incoraggiamento politico e il plauso personale di Lodolini.

Ed è sintomatico che il PD cerretese abbia espresso la propria contrarietà al progetto di fusione con parole durissime: "Chiediamo ai consiglieri, tutti i consiglieri, anche quelli di maggioranza di non seguire Porcarelli in questa sua avventura. Il PD promuoverà tutte le iniziative politiche necessarie al fine di evitare un approdo disastroso per il nostro Comune. Cerreto d'Esi appartiene ai cerretesi e non è un bene a disposizione per usi privati di Porcarelli."

In questa partita l'unica cosa certa è l'assenza politica di Fabriano. Ma di questo non avevamo dubbi.

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