23 agosto 2016

L'orologio rotto, il Premio Gentile e i milioni in fumo

La Fondazione Carifac, in pochissimi mesi, ha perso circa una quarantina di milioni di euro a causa delle scorrerie finanziarie del vecchio management di Veneto Banca. Di fatto ha azzerato il valore della partecipazione e non avrà voce in capitolo sulla futura struttura organizzativa dell'istituto di Montebelluna, ovvero sulla dislocazione degli sportelli e sulla salvaguardia dei dipendenti nella vecchia area di riferimento della Carifac.

In contesti normali, quando si verificano situazioni di questo genere, si parla senza mezzi termini di crack finanziario. E di fronte a un disastro di tale dimensione vengono attivati, dalle parti che si ritengono lese, strumenti di rivalsa e di tutela nei confronti di chi ha agito a discapito dei terzi e degli azionisti.

Il tema cruciale è che la Fondazione non era osso da rodere tra i tanti, un piccolo azionista vessato dalla dimensione e dalle grandi trame, ma il sesto azionista di Veneto Banca, subito dopo giganti come J.P. Morgan e Assicurazioni Generali.

Una posizione rilevante a livello societario - legata alle modalità di vendita di Carifac a Veneto Banca e agli incroci azionari che ne conseguirono -  ufficialmente riconosciuta il 24 aprile 2010 con l'ingresso dell'allora Presidente della Carifac Domenico Giraldi nel Consiglio di Amministrazione di Veneto Banca (Comunicato Stampa di Veneto Banca Holding) a cui subentrò il 27 aprile 2014 l'avvocato Maurizio Benvenuto in rappresentanza della Fondazione, che in ragione del proprio pacchetto societario aveva diritto a un posto nel CDA.

Di conseguenza i vertici della Fondazione Carifac - presidenti e consiglieri - non potevano non sapere quanto stava accadendo in Veneto Banca perchè si presume che informare sulla situazione del gruppo l'istituto che li aveva indicati fosse parte integrante del mandato assegnato a Giraldi e Benvenuto.

Di fatto, alla luce di queste deduzioni di semplicissimo buonsenso, non solo non sta in piedi la teoria del fulmine a ciel sereno in relazione alla perdita di valore delle azioni Veneto Banca, ma si capisce anche meglio perchè la Fondazione sia così restia a intraprendere l'azione di responsabilità nei confronti del vecchio management di Veneto Banca.

Farlo significherebbe, infatti, ammettere quanto meno negligenza e mancata vigilanza ed è probabile che nessun giudice sarebbe disposto a credere che il sesto azionista di Veneto Banca, con un proprio uomo nel CDA dal 2010, non avesse il minimo sentore di quanto stessero combinando Consoli e i suoi collaboratori.

Nel frattempo, a Fabriano, è smisurato l'interesse attorno a Veneto Banca: ci sono consiglieri comunali di maggioranza che presentano interrogazioni per sollecitare un intervento sull'istituto di Montebelluna per garantire la manutenzione dell'orologio ormai fuori uso della vecchia sede centrale Carifac di Via Don Riganelli; e ci sono quelli che fanno le crociate per revocare il Premio Gentile a suo tempo assegnato a Vincenzo Consoli.

Il problema è che l'orologio da riparare e il Premio da revocare non sono manovre diversive, tanto meno il tentativo cinico e ragionato di spostare altrove il focus: sono ciò che la città, la politica e i giornali ritengono degno di nota e di furore popolare.
    

7 agosto 2016

Mr JP lo scacchista all'ultima partita

Molte persone, in questi giorni, hanno sottolineato - con una vena di malcelato compiacimento - la scaltrezza manovriera di Giovanni Porcarelli, raccontandolo come un inarrivabile giocatore, di quelli capaci di tenere costantemente sotto scacco politica, istituzioni e forze sociali.

Di conseguenza il ricorso alla mobilità di 400 lavoratori è stato banalizzato e letto come esibizione di forza, un assolo muscolare rispetto al quale l'imprenditore di Cerreto d'Esi avrebbe fatto marcia indietro solo in cambio di laute compensazioni.

Le cose, come spesso accade in questi casi, hanno avuto uno svolgimento molto diverso dalle supposizioni degli ammiratori di Mister JP. Porcarelli, infatti, non ha utilizzato la leva della mobilità per alzare la posta ma perché in queste condizioni non ha intenzione di proseguire: il Governo non può stanziare fondi perché si configurerebbero come aiuti di Stato sanzionabili dalla UE e le banche - che hanno già perso 187 milioni di euro - non hanno la minima intenzione di dare soldi alla cieca visto che anche i gatti hanno capito che non c'è nessun Piano Industriale perché non c'è alcuna prospettiva industriale da formalizzare.

Porcarelli ci ha provato, magari pensando che il Governo avrebbe fatto una pressione risolutiva sulle banche per calmierare il potenziale insorgere di un focolaio di tensione sociale in vista del referendum costituzionale. Le recenti crisi bancarie hanno, invece, modificato il contesto di riferimento, evidenziando tutti i rischi di sistema generati dal credito facile. 

Inoltre c'è da considerare che la mossa di Porcarelli ha approfondito la frattura nel PD che si è manifestata con una netta divergenza tra alcuni parlamentari marchigiani e il vertice regionale del partito; frattura che ha complicato ulteriormente le mosse di Mr JP alterando il quadro di alleanze politiche necessario per una retromarcia controllata e redditizia.

La sensazione è che siamo ben oltre l'azzardo e che l'esperienza JP sia prossima al capolinea, al di là di come evolverà a breve la situazione e di quanto durerà l'accanimento terapeutico al capezzale di questo anacronistico esperimento di impresa irizzata e parastatalizzata.

I sindacati mettono l'accento sul rischio che incombe sul reddito residuo di centinaia di famiglie. È una posizione comprensibile ma andando avanti in questo modo si avalla l'idea terrificante di un suicidio a rate dei lavoratori, logorati professionalmente dagli ammortizzatori sociali lunghi e, ormai, a elevato rischio di ricollocamento.

E se vogliamo parlare di famiglie è doveroso ricordarne anche altre. Ad esempio quelle degli artigiani che con la vendita della Ardo persero tutti i crediti e conobbero la beffa delle revocatorie; quelle dei piccoli imprenditori e dei loro collaboratori costretti a chiudere senza ammortizzatori e senza atterraggi morbidi; quelle degli operai e degli impiegati Ardo non riassorbiti dalla JP, che conobbero la consueta lotteria che oppone i "sommersi" e i "salvati".

In questi otto anni sono state distrutte risorse pubbliche, capacità professionali, know-how, esistenze, posti di lavoro e una miriade di piccole imprese che davano linfa ed energia al distretto

Non è stata una partita di scacchi giocata sul filo dell'astuzia da protagonisti scaltri ma una distruzione sfrenata di intelligenze e di ricchezze, un caso emblematico e forse inspiegabile di autolesionismo collettivo.