26 settembre 2016

Liste civiche, illusioni che ritornano

Ogni elezione comunale ha le sue liste civiche. E' una tradizione ormai consolidata, che col passare degli anni ha assunto quasi la forma di un teorema. 

Le prime liste civiche fabrianesi risalgono alle elezioni comunali del 1998 quando Francesco Santini del centrosinistra prevalse su Maria Di Bartolomeo del centrodestra. In quell'occasione le liste civiche presenti furono tre: la Lista per Santini che prese il 9,50%, la lista di sostegno a Maria di Bartolomeo con il 3,74% e Società Civile con il 9,90%. 

Società Civile, va sottolineato, aveva una sua specificità perchè non era il frutto di una costruzione elettorale dell'ultima ora ma il risultato di una solida presenza politica in città che risaliva all'autunno del 1990, frutto di un'aggregazione trasversale riconducibile al campo del centrosinistra.

Nelle elezioni comunali del 2002 la partita si chiuse al ballottaggio con un fotofinish che sancì la vittoria di Roberto Sorci su Claudio Biondi. In quella circostanza fu presentata una lista civica a supporto di Biondi che ottenne il 10,03% dei voti e altre due liste civiche che sostennero la candidatura a sindaco di Paolo Paladini: una lista di sinistra che prese il 4,37% e Società Civile che scese al 5,52%.

Alle elezioni del 2007, quelle che regalarono a Sorci il secondo mandato, scesero in campo ben 4 liste civiche: la lista "Con Enrico Carmenati per Fabriano" che prese il 10%; Società Civile che ottenne il 4%; la lista "Il Cuore di Fabriano" che prese il 2,5% e la lista "Maria Di Bartolomeo Sindaco" che conseguì l'1,4% dei voti.

Proseguendo in questa ricostruzione si arriva alle elezioni comunali del 2012 che sancirono la vittoria di Giancarlo Sagramola. In quella tornata elettorale si presentarono ben sei liste civiche: Cresci Fabriano, a sostegno di Sagramola, con il 7,09%; Urbani Sindaco che prese l'11,5%; Fabriano Cambia, sempre nella coalizione di Urbani, che ottenne il 3,70%; Polo 3.0 a sostegno della candidatura di Marco Ottaviani, con il 9,44%, Noi centro, sempre nella coalizione di Ottaviani, con lo 0,98%; Lista Paoletti a sostegno di Renato Paoletti con il 2,36%.

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Cosa ci suggerisce questa ricostruzione basata su quasi venti anni di appuntamenti elettorali? Sostanzialmente tre cose: 
  1. in linea di massima una lista civica non è in grado di raccogliere più del 10 - 11% dei consensi;
  2. ciò accade di norma a "liste del Sindaco" che servono per completare il profilo di una coalizione con una forte impronta politica;
  3. le eccezioni a questa regola si verificano in due circostanze: se la lista civica fa riferimento a un soggetto politico accreditato (vedi Società Civile) o se il candidato Sindaco a cui essa dà appoggio gode di notevole popolarità e di forte richiamo mediatico (Vedi Polo 3.0 con Ottaviani).
In queste ultime settimane Fabriano pullula di ipotesi civiche che nascono con ambizioni di vittoria. La storia recente della nostra città insegna, invece, che le liste civiche sono sostanzialmente cespugli più o meno rigogliosi legati al carro di un leader e quando ciò non accade non riescono a sfondare il muro politico del 10% che, non a caso, ritorna ogni volta con evidente regolarità.

Le elezioni comunali del 2017 avranno anche una diversa natura politica rispetto a quelle del 2012, che vedevano un centrodestra fattosi civico a scapito del PDL berlusconiano, e cioè un ritorno forte del bipolarismo fondato sulla dialettica tra PD e 5 Stelle. Il 5 Stelle non propone per scelta coalizioni e non si apparenta, ragion per cui è plausibile che ci possa essere al massimo una lista civica di area PD di supporto al candidato Sindaco del centrosinistra.

All'esterno di questo perimetro bipolare potranno anche nascere liste civiche autonome, ma esse difficilmente potranno superare la barriera del suono del 10%. 

I sogni son desideri ma la politica è fatta innanzitutto di numeri e di rapporti di forza. Ed è per questo che parecchi sognatori rischiano risvegli davvero nervosi e sudati.
    

23 settembre 2016

Il ritorno di Spacca: se l'Asso di Picche diventa Influencer

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Il silenzio di Spacca è durato circa sedici mesi. Un tempo di inevitabile decantazione, una parentesi fisiologica per metabolizzare l'amarezza di un insuccesso politico segnato dalle dimensioni della sconfitta alle regionali del 2015 e risolvere quella tegola giudiziaria sulle spese dei gruppi consiliari che lo vedeva nei panni scomodi dell'Asso di Picche, la figura simbolo di un procedimento penale sostanzialmente politico-mediatico.

L'assoluzione perchè il "fatto non sussiste" ha restituito all'ex Governatore delle Marche il diritto di opinione e di tribuna e un ritorno sulla scena - affidato al veicolo virale dei social network - che ha fatto molto rumore, sia per la durata dell'assenza che per la stazza politica del silente.

In fin dei conti Spacca è stato il deus ex machina della politica regionale per quasi un quarto di secolo. Di conseguenza il fragore del ritorno era quasi garantito all'origine, anche se l'Asso di Picche si è limitato a lambire il microcosmo della politica, confinando le tematiche del rientro in un "privato" di percezioni stagionali, di vini, abbazie e incontri, giusto con qualche lieve rimando all'arte del possibile.

L'interruzione del silenzio volontario, dirompente a prescindere dalle intenzioni del protagonista, ha trovato sponda efficace in un quadro politico regionale che vede Ceriscioli incapace di lasciare il segno ma straordinariamente bravo nel deludere le attese nuoviste degli elettori, in cui riesce a stimolare un'imprevista nostalgia per le trascorse stagioni di governo dell'Asso di Picche.

Le domande che circolano attorno all'ex Governatore sono i classici automatismi di superficie: Spacca tornerà a fare politica? Si metterà alla testa di una carovana di soggetti pronti e disposti a sostenerne nuove candidature? Sarà padre nobile, sponsor politico o protagonista diretto di nuovi assetti ed equilibri?

In questo quadro, ovviamente, non poteva mancare una concitata e prevedibile ricaduta cittadina spacciata come intuizione scaltra, secondo la quale il ritorno sulla scena di Spacca preluderebbe a una sua candidatura a Sindaco di Fabriano.

Su tale faccenda credo di essere stato il primo a ricamare qualche fraseggio fantapolitico in un articolo di questo blog (Se Spacca corresse da Sindaco) del luglio 2014, ma in tutta onestà penso si tratti di un'ipotesi tanto suggestiva quanto letteraria, effetto di un'abitudine mentale che spinge a leggere l'impegno politico riducendolo al gioco delle candidature, delle elezioni e degli incarichi amministrativi.

L'impressione è che Spacca abbia in mente un'altra modalità di impegno sul territorio fabrianese e marchigiano; un modus operandi che si potrebbe sintetizzare ricorrendo a un concetto preso dal web marketing e adattato alle circostanze: quello di influencer politico.

Spacca conosce a menadito la politica e la macchina amministrativa, dispone di una vasta rete di relazioni sviluppata e sedimentata negli anni, ha governato le dinamiche economiche delle Marche, ha inciso sull'impatto da esse prodotto nei territori ed è stato un politico caratterizzat da una forte impronta tecnocratica. Per queste ragioni potrebbe garantire ai propri interventi reach, resonance e relevance, ovvero dimensione di ascolto, risonanza e rilevanza .

In questa nuova veste di influencer l'ex Governatore, che piaccia o meno ai protagonisti della scena politica che vanno per la maggiore, potrebbe esercitare un peso rilevante, posizionandosi all'esterno della dialettica politica classica.

Ma quale che sia la scelta - che non esclude l'impegno diretto così come il dedicarsi ad altro - sarà compito della comunità, dei cittadini e delle forze politiche decidere se e come relazionarsi con Spacca e col suo ritorno, ovvero se considerarlo una risorsa, un problema o una minaccia.

Sicuramente da qui alle prossime elezioni comunali il quadro politico locale si arricchirà di nuove complessità e parecchia matematica elettorale dovrà essere rivista, perchè in politica c'è solo una regola che funziona con la precisione di un orologio svizzero: le elezioni non sono una scienza esatta.

Per questo, parafrasando il grande Trappattoni, non dire gatto se non ce l'hai nel sacco! Miao!
    

1 settembre 2016

Il Sindaco che vorrei in 14 punti

Sarebbe da presuntuosi pretendere di tracciare il profilo ideale del prossimo Sindaco di Fabriano. Per quanto si conoscano a fondo la città e i suoi molti problemi é sempre maledettamente complicato farsi un'idea di cosa farebbe bene alla comunità e di cosa, invece, potrebbe risultare dannoso e farle male. 

Il bene e il male – bussole sempre più piegate ai disegni di puritani e presuntuosi - sono categorie morali e quando vengono trascinate a forza nello spazio della politica finiscono per danneggiarla, rendendola ansiogena e intollerante. 

Laicamente, quindi, posso soltanto provare a definire l’identikit comportamentale del Sindaco che vorrei, limitando il campo a una valutazione soggettiva, senza cadere nel tranello rituale degli schieramenti e delle adesioni preconcette. 

Dato che nessuno ha tra i suoi desiderata l'eleizone di un Sindaco disonesto, è evidente che l’onestà personale del primo cittadino va considerata un elemento implicito, una condizione preliminare irrinunciabile e trasversalmente valida per ogni candidato a primo cittadino. Anche perchè essere onesti non significa soltanto rispettare il settimo comandamento – non rubare – ma disporre di un'altra dote fondamentale, seppur rara in politica: l’onestà intellettuale
  1. Il Sindaco che vorrei é intellettualmente onesto, ossia capace di guardare le sue idee con severità e distacco, di riconoscerne i limiti e di essere il più esigente e accanito nel giudicare sé stesso. I Sindaci autoindulgenti non aiutano la collettività e consumano il tempo del mandato coltivando e proteggendo le loro personalissime zone di comfort.
  2. Il Sindaco che vorrei, oltre a essere intellettualmente onesto, è pure un po' spavaldo, uno che sbaglia senza paura di sbagliare, un cuore impavido che non si nasconde di fronte all’errore ma lo rivendica perchè chi non fa non falla e si attiva subito per rimediare, correggere, prevenire, non ripetere e superare gli errori commessi.
  3. Il Sindaco che vorrei non usa il latinorum. Non lo usa perchè ha igienizzato il linguaggio. Il suo sì è un sì, il no un no. Tutto il resto è fritto d'aria. Per parlar chiaro non serve essere splendido splendente.Sono sufficienti pensieri chiari. Chi pensa male parla male.
  4. Il Sindaco che vorrei dice la verità anche quando rosica e sa di sale perché così si trattano i cittadini ibn modo adulto e li si considera capaci di valutare senza essere spargimento di becchime. Dire che i conti sono in ordine sapendo che non è vero vuol dire considerare l’elettore un ruminante distratto e mansueto. Mettere le carte in tavola è da coraggiosi, bleffare è da infingardi.
  5. Il Sindaco che vorrei è uno che non scarica il barile. Una volta eletto dovrebbe darsi un tempo per fare il processo all’eredità delle precedenti amministrazioni: un mese, due mesi, sei mesi. Ma poi basta, ci si prende le responsabilità di quel che accade e fine delle lagne su ciò che è stato e sulle cattiverie pregresse. 
  6. Il Sindaco che vorrei ha un caratteraccio: chi è soave e conciliante finisce per mediare sempre e su tutto perché fa parte della sua natura considerare la mediazione snervante come la più praticabile ed efficace delle opzioni; un Sindaco irsuto, un Sindaco fauno giungerebbe comunque alla mediazione ma soffrendo e con la luna storta. E la sofferenza rende vigili, attenti e meno propensi al maneggio.
  7. Il Sindaco che vorrei non ha paura dell’opposizione ma ne ricerca durezza e spigolosità come un toccasana. Il grande centravanti è quello che segna di fronte una difesa rocciosa e non l'abatino che la butta dentro a porta vuota. Ci piace Zlatlan Ibrahimovic non Graziano Pellé! 
  8. Il Sindaco che vorrei é allergico alle regole e pensa la sua funzione di amministratore con la leggerezza di Italo Calvino: toglie lacci, vincoli, regole. Uno che aiuta le imprese, non le tartassa e scioglie le trecce ai cavalli. E alla fine mette pure in conto, come una medaglia al valore, l'abuso in atti d'ufficio.
  9. Il Sindaco che vorrei si gioca la partita all’americana. La sua idea di città deve essere compresa in un minuto, one minute come dicono i manager americani. Il tempo che serve a un ascensore per salire gli ottanta piani di un grattacielo di New York (quello che viene denominato elevator pitch). Senza una chiara visione strategica il programma è una lista della spesa. Diffidate dei programmi a dimensione Treccani: di solito sono una rassegna di minchiate, buttate lì per adempiere a un obbligo formale previsto dalla legge elettorale. 
  10. Il Sindaco che vorrei dice quanto costano la sua visione, il suo programma operativo e dove e come pensa reperire le risorse visto che ad oggi “non c’è i soldi”. Se una visione e un programma hanno bisogno di risorse impossibili, votare il faraonico sognante di quel candidato è stupido e inutile perché, una volta eletto, dovrà fare carne di porco delle sue promesse. Ma non sarà lui a deluderci. Saremo noi a doverci riconoscere un po’ ingenui e fessacchiotti. 
  11. Il Sindaco che vorrei è un riformista creativo, uno che sa fare a costo zero, che immagina di migliorare la città anche senza pesare sulle casse del Comune. Si potrebbero fare mille esempi. Mi limito a uno: eliminare il parcheggio  e i cassettoni dell’immondizia a San Nicolò per ridare lustro a una piazzette tra le più belle della nostra città. Costo zero, valore aggiunto cento.
  12. Il Sindaco che vorrei non temporeggia e già dal primo turno dice chi saranno i suoi assessori per evitare il ricattino di chi ha la rendita di un pacchetto di voti per essere eletto in Consiglio Comunale. Del resto amministrare una città è un lavoro di squadra e se pensi di avere una buona compagine non c’è motivo per rivelarla ex post  - come fosse il terzo segreto di Fatima - con la scusa che poi gli esclusi non corrono e non fanno la campagna elettorale. 
  13. Il Sindaco che vorrei è uno che crede all’urbanistica. E ci nomina pure un assessore, con i lavori pubblici in funzione subalterna, e lo affida a un tecnico sensibile alla bellezza. Fabriano va liberata dalle pecionate, dai camion di breccia, dalle toppe d’asfalto e dai lampioni spenti. Il brutto chiama brutto e il degrado prolifera all’infinito con reazioni autopropulsive. 
  14. Il Sindaco che vorrei dovrebbe nominare su un Papa straniero, un tiranno venuto dal freddo che unifichi la gestione della Pinacoteca, del Museo della Carta, della Biblioteca e di tutto ciò che fa riferimento alla cultura. Per dare una delega così estesa bisogna essere innamorati della città. E anche un po' cazzuti e modesti. Binomio difficile. Quasi impossibile. Praticamente un ossimoro. 
é solo un profilo ideale lo so bene, una botta onirica, il fantasma virtuoso di un Sindaco che non c’è e non ci sarà. E allora a che servono 14 punti? A misurare la distanza tra palco e realtà, a farsi un’idea autonoma del valore dei candidati e delle loro idee, a capire muovendo il cervello e non le interiora se vale la pena di tentare la carta del voto o se ha più senso sbattersene andando al mare e rivendicando l'astensione. 

Non è un invito ai fabrianesi ad adottare questi punti – sono modesto anche se non sembra - ma a svilupparne di propri in proprio, senza farsi fregare dal richiamo della foresta che ci vuole tutti nel branco in cui siamo cresciuti, senza quei nomadismi politici e quelle migrazioni ideali che consentono alle democrazie di ripulirsi e di evolvere.  

La sfida è provare a scegliere senza essere scelti. Non sarà l'essenza della sovranità popolare ma forse potrebbe essere un nonnulla di senso civico. E poco non è in questo entroterra falcidiato da senilità mediocri e da urlatori modesti e neanche troppo giovani.

p.s.

Ho provato a spacchettare in punti un profilo ideale di valore 100. A ogni punto può essere attribuito un peso in termini di importanza in modo tale che il totale dei 14 pesi sia uguale a 100. A questo punto si può dare un voto a ogni candidato sul singolo punto. Il risultato sarà un punteggio globale del candidato. Divertente no?