Pochi si ricorderanno di un signore che venne a Fabriano a tenere una conferenza nel 1992.
Si chiamava Ennio Pintacuda ed era un padre gesuita di Palermo, animatore assieme a Padre Bartolomeo Sorge - anche lui teologo e politologo - del Centro Studi "Pedro Arrupe", il più influente laboratorio di riflessione politica di quegli anni oltre che il luogo in cui furono gettate le basi politiche e culturali della Primavera di Palermo, esperienza di governo cittadino incarnata da Leoluca Orlando.
Ennio Pintacuda - uomo di piccola statura, curvo, di carnagione olivastra e con gli occhi schermati da occhialoni neri - fu il più autorevole teorico del giustizialismo, l'assertore più colto e convinto del principio secondo il quale il sospetto è l'anticamera della verità; al punto che in alcuni ambienti allergici a quell'esperienza venne addirittura ribattezzato Padre Barracuda.
Ennio Pintacuda aveva una concezione alta del sospetto, di uno che si era formato studiando Sant'Ignazio da Loyola, ovvero senza girotondi, senza Fatto Quotidiano, senza Grillo e senza quell'armamentario di pose e di posizioni che trasforma il moralismo in una terrificante giostra puritana.
Oggi la cultura del sospetto è ridotta a tagliola contadina, a trappoletta architettata da soggetti più avvezzi al pettegolezzo di basso conio che alle sottili ed elevate trame del gesuitismo.
La degradazione del sospetto è il frutto della sua massificazione, del suo utilizzo esagerato, di un ricorso sistematico ad esso che ha sedotto partiti, movimenti e cittadini convinti che possano esistere giustizieri senza macchia e senza paura. Il risultato è che, oramai, è sufficiente una modestissima ombra per sporcare solide e affermate reputazioni.
Fabriano è una città che non ha mai conosciuto la forma colta del sospetto ma soltanto quella barbarica e rurale delle diffamazioni gratuite, delle scritte sui muri, delle "spellature" montate ad arte, delle persone scorticate e rivoltate come fosse un passatempo leggiadro e leggero.
Questo modo di fare, portato agli estremi dalla degradante massificazione politica del sospetto, è esattamente quello che mette sulla graticola un consigliere comunale del Movimento 5 Stelle - Joselito Arcioni - per una cosa di nessun valore, di quelle che possono capitare a chiunque sia coinvolto in una successione di beni dovuta alla morte di un parente o di un familiare.
L'esponente grillino ha fatto bene a dichiarare pubblicamente che era lui il politico a cui è stata inoltrata una contestazione per abuso edilizio. In questo modo Arcioni ha bloccato sul nascere la panna che stava montando attorno a una notizia alimentata dalla stampa approfittando di quel lievito selvaggio che a Livorno e a Parma ha messo il Movimento 5 Stelle nell'occhio del ciclone.
La lettera che l'esponente pentastellato ha inviato ai mezzi di informazione risulta convincente, una mossa di judo che consente al Movimento di rilanciare e di uscire in modo brillante dall'angolo.
La situazione che si è venuta a creare adesso può diventare un problemone in casa PD ma resta il fatto che anche il Movimento 5 Stelle è chiamato a una riflessione serena e laica sui rischi congeniti del giustizialismo, specie quando esso diventa strumento di mobilitazione politica, di furore popolare e di costruzione del consenso.
Quando si accusa la classe politica, un giorno si e l'altro pure, di essere una congrega di ladri e di malfattori può accadere che qualcuno ceda alla tentazione di ripagare l'accusa con la stessa moneta e di andare alla ricerca di qualche banalissimo sospetto con cui eccitare l'opinione pubblica.
E, purtroppo per noi, non sempre c'è un padre Ennio Pintacuda in grado di dare al sospetto dignità, spessore e caratura.
Nel frattempo diventa sempre più concreta l'ipotesi di una rateizzazione della sentenza Penzi su tre annualità. Un'eredità che graverà sulla prossima amministrazione come un macigno finanziario e come un impedimento politico.
E' questo l'abuso che fa scandalo, non certo la concimaia di Arcioni.
Si chiamava Ennio Pintacuda ed era un padre gesuita di Palermo, animatore assieme a Padre Bartolomeo Sorge - anche lui teologo e politologo - del Centro Studi "Pedro Arrupe", il più influente laboratorio di riflessione politica di quegli anni oltre che il luogo in cui furono gettate le basi politiche e culturali della Primavera di Palermo, esperienza di governo cittadino incarnata da Leoluca Orlando.
Ennio Pintacuda - uomo di piccola statura, curvo, di carnagione olivastra e con gli occhi schermati da occhialoni neri - fu il più autorevole teorico del giustizialismo, l'assertore più colto e convinto del principio secondo il quale il sospetto è l'anticamera della verità; al punto che in alcuni ambienti allergici a quell'esperienza venne addirittura ribattezzato Padre Barracuda.
Ennio Pintacuda aveva una concezione alta del sospetto, di uno che si era formato studiando Sant'Ignazio da Loyola, ovvero senza girotondi, senza Fatto Quotidiano, senza Grillo e senza quell'armamentario di pose e di posizioni che trasforma il moralismo in una terrificante giostra puritana.
Oggi la cultura del sospetto è ridotta a tagliola contadina, a trappoletta architettata da soggetti più avvezzi al pettegolezzo di basso conio che alle sottili ed elevate trame del gesuitismo.
La degradazione del sospetto è il frutto della sua massificazione, del suo utilizzo esagerato, di un ricorso sistematico ad esso che ha sedotto partiti, movimenti e cittadini convinti che possano esistere giustizieri senza macchia e senza paura. Il risultato è che, oramai, è sufficiente una modestissima ombra per sporcare solide e affermate reputazioni.
Fabriano è una città che non ha mai conosciuto la forma colta del sospetto ma soltanto quella barbarica e rurale delle diffamazioni gratuite, delle scritte sui muri, delle "spellature" montate ad arte, delle persone scorticate e rivoltate come fosse un passatempo leggiadro e leggero.
Questo modo di fare, portato agli estremi dalla degradante massificazione politica del sospetto, è esattamente quello che mette sulla graticola un consigliere comunale del Movimento 5 Stelle - Joselito Arcioni - per una cosa di nessun valore, di quelle che possono capitare a chiunque sia coinvolto in una successione di beni dovuta alla morte di un parente o di un familiare.
L'esponente grillino ha fatto bene a dichiarare pubblicamente che era lui il politico a cui è stata inoltrata una contestazione per abuso edilizio. In questo modo Arcioni ha bloccato sul nascere la panna che stava montando attorno a una notizia alimentata dalla stampa approfittando di quel lievito selvaggio che a Livorno e a Parma ha messo il Movimento 5 Stelle nell'occhio del ciclone.
La lettera che l'esponente pentastellato ha inviato ai mezzi di informazione risulta convincente, una mossa di judo che consente al Movimento di rilanciare e di uscire in modo brillante dall'angolo.
La situazione che si è venuta a creare adesso può diventare un problemone in casa PD ma resta il fatto che anche il Movimento 5 Stelle è chiamato a una riflessione serena e laica sui rischi congeniti del giustizialismo, specie quando esso diventa strumento di mobilitazione politica, di furore popolare e di costruzione del consenso.
Quando si accusa la classe politica, un giorno si e l'altro pure, di essere una congrega di ladri e di malfattori può accadere che qualcuno ceda alla tentazione di ripagare l'accusa con la stessa moneta e di andare alla ricerca di qualche banalissimo sospetto con cui eccitare l'opinione pubblica.
E, purtroppo per noi, non sempre c'è un padre Ennio Pintacuda in grado di dare al sospetto dignità, spessore e caratura.
Nel frattempo diventa sempre più concreta l'ipotesi di una rateizzazione della sentenza Penzi su tre annualità. Un'eredità che graverà sulla prossima amministrazione come un macigno finanziario e come un impedimento politico.
E' questo l'abuso che fa scandalo, non certo la concimaia di Arcioni.