C'è un buco nero nella questione Tecnowind, un non detto che rende incomprensibile, ai più, quel che davvero sta accadendo all'azienda. Si parla quotidianamente di esuberi, di banche, di concordati, di Fondi d'oltreoceano, di mobilità, di road map e di licenziamenti. Un pastiche che dall'esterno si fatica a decifrare perché manca il Filo di Arianna, l'elemento che consente di uscire da un lunghissimo e ormai cronico labirinto industriale.
Lo storytelling del caso Tecnowind ha la stessa impronta fumogena di quello utilizzato per la Ardo, ossia evocare responsabilità appetibili per un'opinione pubblica alla perenne ricerca di una spiegazione conveniente e di un nemico identificabile su cui scaricare rabbie e tensioni: il ruolo nefasto delle banche, i compratori che appaiono e scompaiono a fisarmonica secondo gli opportunismi del momento, il silenzio claustrale sui conti che sono l'unica fonte plausibile per stabilire lo stato di salute dell'azienda.
In realtà il Filo d'Arianna c'è anche se non si vede bene perchè senza uno sguardo di medio periodo l'occhio si focalizza solo sugli ultimi avvenimenti perdendo di vista la visione d'insieme. Sarò anche ripetitivo ma repetita iuvant: è fondamentale tornare al 2013, l'anno della salvezza temporanea di Tecnowind, quando l'azienda - vale la pena ricordarlo agli smemorati - era così malconcia da essere venduta al prezzo simbolico di un euro.
La "salvezza temporanea" fu il risultato della vendita a prezzo simbolico e di altri due elementi: òa richiesta - accettata dal Tribunale - del concordato preventivo con proseguimento dell'attività e lo sblocco della liquidità concesso dagli istituti bancari a corollario del concordato medesimo.
Di fatto l'azienda fu regalata, scaricando sui fornitori una quota rilevante dei suoi problemi finanziari e con un intervento delle banche davvero ai limiti delle dinamiche di mercato.
La contropartita di queste condizioni di favore - che consentirono l'ingresso di una nuova proprietà - era, ovviamente, un risanamento capace di trasformare la Tecnowind in un'azienda capace di reggersi da sola e di competere sul mercato delle cappe aspiranti senza corsie preferenziali e senza aiutini.
A distanza di quattro anni siamo di nuovo da capo a dodici: l'azienda è in vendita, ha richiesto ed ottenuto per la seconda volta il concordato preventivo, gli acquirenti latitano e sono state avviate le procedure di mobilità.
Il Filo d'Arianna c'è e si vede bene: Tecnowind non è sostenibile dal punto di vista industriale e non produce risultati per gli azionisti, come dimostra il frequente cambio della proprietà, perché un'azienda redditizia non viene messa in vendita sperando nel primo acquirente che capita e come se non ci fosse un domani.
A questo punto, per fare il bis della Ardo, mancano solo gli acquirenti cinesi e iraniani, a riprova che, a Fabriano, raccontare la verità è una sfida impossibile. Il recente passato non ci ha insegnato nulla. Ben ci sta.
In realtà il Filo d'Arianna c'è anche se non si vede bene perchè senza uno sguardo di medio periodo l'occhio si focalizza solo sugli ultimi avvenimenti perdendo di vista la visione d'insieme. Sarò anche ripetitivo ma repetita iuvant: è fondamentale tornare al 2013, l'anno della salvezza temporanea di Tecnowind, quando l'azienda - vale la pena ricordarlo agli smemorati - era così malconcia da essere venduta al prezzo simbolico di un euro.
La "salvezza temporanea" fu il risultato della vendita a prezzo simbolico e di altri due elementi: òa richiesta - accettata dal Tribunale - del concordato preventivo con proseguimento dell'attività e lo sblocco della liquidità concesso dagli istituti bancari a corollario del concordato medesimo.
Di fatto l'azienda fu regalata, scaricando sui fornitori una quota rilevante dei suoi problemi finanziari e con un intervento delle banche davvero ai limiti delle dinamiche di mercato.
La contropartita di queste condizioni di favore - che consentirono l'ingresso di una nuova proprietà - era, ovviamente, un risanamento capace di trasformare la Tecnowind in un'azienda capace di reggersi da sola e di competere sul mercato delle cappe aspiranti senza corsie preferenziali e senza aiutini.
A distanza di quattro anni siamo di nuovo da capo a dodici: l'azienda è in vendita, ha richiesto ed ottenuto per la seconda volta il concordato preventivo, gli acquirenti latitano e sono state avviate le procedure di mobilità.
Il Filo d'Arianna c'è e si vede bene: Tecnowind non è sostenibile dal punto di vista industriale e non produce risultati per gli azionisti, come dimostra il frequente cambio della proprietà, perché un'azienda redditizia non viene messa in vendita sperando nel primo acquirente che capita e come se non ci fosse un domani.
A questo punto, per fare il bis della Ardo, mancano solo gli acquirenti cinesi e iraniani, a riprova che, a Fabriano, raccontare la verità è una sfida impossibile. Il recente passato non ci ha insegnato nulla. Ben ci sta.