31 luglio 2016

Gli anni di Ardo e JP: cronistoria di una finzione

Giovanni Porcarelli ha attivato le procedure di mobilità per 400 lavoratori della JP. Senza informare i sindacati e giusto qualche giorno prima delle vacanze, momento d'oro della distrazione e del rimando. 

Ma paradossalmente lo scandalo non è tanto la decisione, che ha davvero poco di sulfureo e di sorprendente, quanto il vedere inalberati i taciturni cronici, i fatalisti furbi e gli assuefatti accomodati e accomodanti: adesso "i bambini fanno ohhhh" ma la prolungata finzione industriale prima o poi doveva infrangersi di fronte alla dura legge dei fatti. 



Per capire era sufficiente osservare. Chi sapeva e ha taciuto non può chiamarsi fuori perché l'accondiscendenza è una forma discreta ma sostanziale di condivisione. Per questo una cronistoria dei fatti può essere utile, perché siamo abituati a discutere dell'ultimo tassello, mai del mosaico, e questo focalizza gli animi e i pareri sulla notizia invece che sulla scena che la produce. 

E allora proviamo a raccontarlo questo p percorso insincero, la favola bella di un rilancio evocato e mai declinato, affinché serva da monito per i cittadini ignari e da vaccino a chi ha fatto man forte alle gesta cerretesi di questo pezzo di industria fabrianese.
Ricostruire serve, anche se Porcarelli farà marcia indietro in cambio di qualche accordo compensativo. Del resto annunciare mobilità sorprendenti e massicce funziona sempre in questo Paese senza politica industriale, privo di visione e a corto di decenza.


Partiamo da lontano. E’ il 2007. La crisi della Antonio Merloni è sempre più scoperta: il vecchio gigante del terzismo ha i piedi di argilla e cerca di riconvertirsi a una politica di marchio. Troppo tardi. Le risorse scarseggiano e il settore è maturo. L’operazione non riesce. In quell'anno il gruppo presenta un fatturato consolidato di circa 850 milioni di euro, 10 siti produttivi e circa 5.000 dipendenti: la crisi c’è ed è profonda ma non prefigura quanto sta per accadere. 

Il 13 ottobre del 2008 la Antonio  Merloni Spa richiede l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, dichiarando il proprio stato d’insolvenza. Il giorno dopo il Ministero dello Sviluppo Economico nomina un collegio commissariale composto da tre professionisti. 

Di fatto la Antonio Merloni è tecnicamente fallita ma si finge sia ancora operativa per tenere in piedi, fittiziamente, l’impalcatura barcollante della Legge Marzano e aprire la strada agli ammortizzatori sociali lunghi.

I Commissari lavorano alacremente allo spezzatino: vendono le controllate più appetibili e remunerative, ma il vero problema è trovare un acquirente per il corpaccione obsoleto della Ardo.

Si percorre la strada del bando internazionale di vendita. Manifestano il proprio interesse due multinazionali, una cinese e una iraniana. Quella cinese “dimentica” di versare la cauzione di due milioni di euro necessaria a partecipare al bando; quella iraniana presenta un Piano Industriale senza risorse a supporto e chiede allo Stato italiano di finanziarlo a fondo perduto.

La situazione è drammatica ma chiara e configura un bivio: o si trova un acquirente o si va al fallimento e arrivederci agli ammortizzatori sociali lunghi.

Il 27 dicembre 2011, dopo tre anni di amministrazione straordinaria, la Ardo viene svenduta a Porcarelli per circa 13 milioni di euro, di cui 10 cash più 3 di crediti precedentemente vantati. Una piccola azienda acquisisce una realtà industriale che, seppur tecnicamente fallita, è venti volte più grande. C'è già di che preoccuparsi.

L’accordo prevede l’assorbimento, da parte della JP Industries, di 700 lavoratori su 2.300 e quattro anni di cassa integrazione straordinaria a rotazione per ristrutturazione. Non proprio un segnale di salute. Inoltre Porcarelli porta a casa circa 200 mila metri quadri di capannoni a prezzo assolutamente vantaggioso. Il gioco forse vale la candela.

Domanda: si tratta di un’operazione di rilancio industriale sostenibile o è una finzione necessaria per garantire l’erogazione degli ammortizzatori sociali lunghi nel territorio fabrianese?

In questo quadro c’è da considerare un dettaglio non di poco conto e cioè che le banche creditrici perdono, in solido, con questa operazione circa 187 milioni di euro di crediti, divenuti in pochi istanti vera e propria carta da culo.

Siccome non si tratta di bruscolini fanno la cosa più naturale al mondo: un ricorso al Tribunale per tutelare i propri legittimi interessi di creditori. Il Tribunale verso la fine di luglio del 2012 decide di nominare un perito per verificare se la vendita della Ardo sia stata gestita al ribasso e capire se sia avvenuta con l'azienda in funzionamento o in stato di blocco totale della produzione, perché ciò doveva comportare una diversa valutazione dei valori di vendita.

Qualche mese prima, l’11 marzo del 2012 Porcarelli aveva rilasciato un’intervista baldanzosa al Messaggero, firmata da Claudio Curti, in cui si era lasciato andare a previsioni rassicuranti ed ottimistiche sul successo della JP, sulle prospettive dell’occupazione, sul rilancio del territorio e sulla volontà di produrre elettrodomestici d'alta gamma, anzi "di sartoria"; una di quelle interviste che tranquillizzano i cittadini e abbassano il livello di attenzione e di vigilanza delle organizzazioni sindacali.

Qualche mese dopo arriva il primo colpo di scena che contraddice ogni rassicurazione. Il 6 novembre del 2012, Porcarelli vende alcuni macchinari per lo stampaggio della plastica degli stabilimenti del Maragone e di Santa Maria senza avvisare i sindacati (una radicata abitudine si potrebbe dire col senno di poi!).

Gli operai la prendono male e rispondono con un presidio di protesta che blocca i tir. I sindacati s'indignano per non essere stati avvisati ma Porcarelli li convoca per comunicazioni urgenti. Il risultato dell’incontro sarà una rinnovata sintonia tra le parti, confermata dai contenuti del verbale divulgati dalla stampa.

Un verbale in cui il sindacato prende atto della versione ufficiale dell'azienda sulle motivazioni della vendita non comunicata; accetta future cessioni di macchinari non funzionali previa consultazione e condivisione della scelta; plaude a una generica conferma della dimensione degli investimenti da realizzare e afferma con orgoglio di aver ottenuto l'utilizzo aziendale del ricavato della vendita dei macchinari. 

A conferma del clima positivo tra sindacati e Porcarelli il 18 dicembre del 2012 arriva a Fabriano l’allora responsabile nazionale della FIOM del settore elettrodomestici Evaristo Agnelli a sostenere che, nel primo anno, JP Industries ha garantito un buon volume di investimenti e di produzione. Aggiungiamo noi: nonostante la cassa integrazione fosse la cifra dominante di quel periodo.

Da questo momento su JP cala l’ombra lunga del silenzio e, a partire dai primi di giugno, l’attenzione dell’opinione pubblica, dei media e delle organizzazioni sindacali si concentra interamente attorno alla vertenza Indesit che andrà avanti, ininterrottamente, fino agli ultimi giorni dell’anno.

Il 2 luglio 2013 il perito nominato dal Tribunale deposita la sua perizia relativa alla vendita della Ardo a JP Industries. In essa si sostiene che la vendita è stata sottostimata di almeno quattro volte il valore effettivo.

Il 19 settembre 2013 il Tribunale di Ancona dispone la revoca della vendita della Ardo alla JP Industries accogliendo il ricorso delle banche e le valutazioni del perito che aveva accertato un valore di vendita della Antonio Merloni al gruppo Porcarelli sottostimato di molto rispetto a quanto effettivamente sborsato per l’acquisizione.

Secondo il giudice Edi Ragaglia la definizione del valore del cosiddetto "perimetro della cessione" del ramo d'azienda a JP, era stato valutato considerando uno "sconto"  legato a una previsione di redditività negativa (badwill) estesa a un arco temporale di quattro anni, quando la normativa relativa alla cessione di aziende in amministrazione straordinaria prevedeva un badwill di due anni, a vantaggio non solo dei creditori ma del principio della tutela del patrimonio dell'azienda insolvente.

Il ricalcolo del valore, seguendo la norma dei due anni di badwill, si sarebbe dovuto attestare - secondo la perizia realizzata dal consulente nominato dal Tribunale - intorno ai 54 milioni di euro.

Il pronunciamento del Tribunale di Ancona diventa l’occasione per una saldatura di relazioni e per una nuova narrazione manichea: da un lato l'assioma di un complotto che ha per protagonisti un pool di banche rapaci e tre giudici cattivi; dall’altro l’asse del bene ovvero Porcarelli, i sindacati e il centrosinistra.

Ovviamente a nessuno salta in mente di chiedere come possa un'azienda con un valore patrimoniale di circa 30 milioni di euro, farsi carico di un'acquisizione così smisurata e onerosa, o perché mai la produzione procedesse sempre a singhiozzo e senza un adeguato riassorbimento di manodopera, chiamata a lavorare una tantum nel quadro di un massiccio e sistematico ricorso alla cassa integrazione. 

Altrettanto ovviamente nessuno fa domande su quel Piano Industriale evocato nella famosa intervista al Messaggero. Eppure oggi c’è chi dice di averne chiesto conto a tempo debito, ma forse intendeva dire a babbo morto. Non ce ne eravamo accorti.

La tesi prevalente viene sbandierata ai quattro venti: il pronunciamento del Tribunale è un colpo al Piano Industriale della JP. Il problema è che qualcosa è accaduta il 7 agosto del 2013, alla Camera dei Deputati.

Il protagonista, però, non è il deputato del PD Emanuele Lodolini - che da ieri sta ricordando a tutti di essere stato tra i pochi ad aver battuto sul Piano Industriale – ma la deputata perugina del Movimento 5 Stelle Tiziana Ciprini.

A Montecitorio si sta svolgendo un question-time in Commissione Lavoro e l’allora Sottosegretario allo Sviluppo Economico Carlo Dell’Aringa risponde a un’interrogazione presentata dalla Ciprini, in merito ai provvedimenti da adottare a tutela dei lavoratori coinvolti nel caso Ardo - JP.

Il sottosegretario, con risposta scritta, affronta le diverse questioni poste dalla deputata e in un passaggio fa riferimento a una riunione tenutasi l’8 luglio 2013 presso il Ministero dello Sviluppo Economico.

Riporto testualmente le parole di Dell’Aringa: “Lo scorso 8 luglio la società cessionaria J.P. Industries e le organizzazioni sindacali hanno sottoscritto, presso i competenti uffici del Ministero del lavoro, un accordo per la definizione di un nuovo programma di ristrutturazione. In particolare, la società ha confermato l'intento di perseguire il proprio progetto industriale e mantenere gli impegni assunti operando tuttavia un ridimensionamento del programma in funzione del contenimento dei volumi di attività causato del venir meno delle risorse esterne cui aveva fatto affidamento.

Tradotto significa che JP non è in grado di sostenere il Piano Industriale presentato in sede di acquisizione. E questa impossibilità viene riconosciuta e ratificata dal Ministero col sostegno e il consenso del sindacato.

Ma a Fabriano non se ne sa nulla perché nessuno riporta questa notizia. Ho ripreso i quotidiani locali di quei giorni ma non sono riuscito a trovare alcun riferimento agli esiti della riunione romana tenutasi presso il Ministero.

Col senno di poi ciò vuol dire che oltre alla nullità dell’atto di compravendita, sussisteva pure un problema di tenuta strutturale del Piano Industriale.

Il 23 settembre del 2013 si tiene un’assemblea al parcheggione di Santa Maria. Poi in corteo in direzione Municipio, per concordare col Sindaco difficili linee di difesa e improbabili azioni di contrattacco. La sceneggiatura che emerge è una raffigurazione plastica di come si condensa il senso comune ai tempi della crisi: maestranze con lo scalpo del giudice Ragaglia in mano e promesse altisonanti di azioni da intentare contro le banche, rapinatrici e ree d'ogni malignità terrena e celeste.

Il 3 ottobre del 2013, a Fabriano, un corteo di lavoratori sfila da Viale Moccia fino alla sede della Banca Toscana di Viale Zonghi: obiettivo colpire le banche che stanno complicando il rilancio della JP. Ovviamente neanche un cenno a un'azione stringente per pretendere da JP Industries un Piano Industriale coerente con il peso di quell'acquisizione. Non sia mai che venga fuori la storia del ridimensionamento chiarita in question time da Dell’Aringa!

Nel frattempo sia Porcarelli che i Commissari nominati dal Mise avevano presentato ricorso rispetto all’ordinanza del Tribunale di Ancona. L’8 gennaio del 2014 si tiene una manifestazione unitaria delle sigle sindacali che, con una carovana lenta di auto, raggiungono il capoluogo dorico dove si tiene la prima udienza relativa al ricorso.

La saldatura tra sindacati e Porcarelli è sempre più solida ma ancora una volta mancano le domande cruciali: la Jp sta davvero producendo valore? E se sì quanto? Qual è il livello di redditivà del capitale investito? Quante persone a tempo pieno sono state occupate? Quante ore di produzione sono state registrate? Quali prospettive di sviluppo è possibile prevedere? Si intende proseguire con un massiccio ricorso alla cassa integrazione o ci sono spazi per una crescita produttiva autonoma dal ricorso agli ammortizzatori sociali? 

In questa fase inizia a intervenire pesantemente la politica. I governatori di Marche ed Umbria, Spacca e Marini, inviano un sollecito congiunto al Presidente del Consiglio Letta con il quale richiedono al Governo di intervenire, in via legislativa, per fornire una corretta interpretazione della legge Marzano.

Un intervento governativo che aveva già preso forma col Decreto Legge "Terra dei fuochi" n°136 del 10 dicembre 2013, in cui viene inserito un paragrafo (art.9, comma 1) totalmente estraneo alla materia rifiuti e finalizzato a garantire la continuità produttiva della JP, normando una sorta di diritto a ignorare la sentenza d'annullamento della vendita sancita da un Tribunale della Repubblica.

Nel frattempo la ricerca di interventi legislativi, finalizzati a manomettere la sentenza del Tribunale di Ancona che ha annullato la vendita di Ardo a Jp Industries, prosegue indefessamente. 

Verso la fine di gennaio del 2014 tre parlamentari del Pd – tra i quali il parlamentare falconarese Emanuele Lodolini - propongono un emendamento al Decreto Destinazione Italia per togliere dalla normativa che regola le procedure di amministrazione straordinaria  delle grandi imprese in stato di insolvenza qualsiasi riferimento al prezzo di vendita delle aziende in esercizio

Nonostante gli interventi a gamba tesa di una politica interessata unicamente al ribaltamento del pronunciamento del giudici Ragaglia, negli ultimissimi giorni di aprile del 2014 il Tribunale del Riesame conferma l’annullamento della vendita di Ardo a JP.

I sindacati invece di riflettere riaprono subito il tiro contro le banche anche se conoscono bene l’origine del male: la vendita di Ardo a JP è una storia sbagliata, un’operazione concepita male che ha ceduto progressivamente per debolezza interna e di visione e non per un complotto delle banche e della magistratura.

I primi di maggio del 2014 il fronte porcarelliano – sindacati, sindaci, Regione, parlamentari del PD – si arricchisce di nuovi adepti. Il Presidente di Confindustria Ancona Schiavoni sposa il punto di vista dell’imprenditore cerretano: definisce scandaloso che a distanza di tre anni venga contraddetta una decisione assunta attraverso una procedura di amministrazione controllata e chiama in causa il rapporto controverso e irrisolto tra industria e giustizia amministrativa, come se la sentenza del Tribunale del Riesame configurasse un'azione vessatoria nei confronti del fare impresa.

Insomma tutti concentrati sulla sentenza del Riesame, su come arrivare in Cassazione. Tutti presi a colpire le banche e i giudici. Nessuno a chiedere conto di qualche numero. Eppure ce ne erano di cose da chiedere ma quasi nessuno ebbe l’ardire di fare domande.

Qualcosa si poteva chiedere. Ad esempio il numero dei lavoratori stabilmente utilizzati nella produzione, il Piano ne prevedeva 250 nel 2012, 400 nel 2013, 550 nel 2014 e 700 nel 2015.

Qualcosa si poteva chiedere anche sul versante degli investimenti: il Piano prevedeva un ammontare complessivo di 26 milioni di euro, di cui 14 milioni nel primo biennio e 12 nel secondo.

Infine qualcosa si poteva chiedere anche sul fatturato. Il Piano prevedeva un fatturato di 40 milioni di euro nel 2012 fino a giungere ai 130 milioni di euro del 2015. Forse qualcuno ha domandato. Ma senza farsi sentire da nessuno. A voce bassa. Con tono da confessionale.

Il 18 giugno del 2014 arriva a Fabriano il Ministro del Lavoro Poletti. Fiom, Fim e Uilm di Marche ed Umbria gli consegnano una nota congiunta. Chiedono al Governo di farsi carico della situazione di stallo che si è creata attorno a JP Industries convocando un tavolo ministeriale che eviti di far saltare l’attività industriale (quale?).

Qualche giorno prima e precisamente l’8 giugno Sergio Rizzo – autore del best seller “La Casta” – interviene sul caso Porcarelli con un articolo sul Corriere della Sera. Scrive Rizzo: I commissari devono verificare per prima cosa se le imprese sono risanabili, cercando di preservare la continuità aziendale. In caso contrario, si vende per pagare i creditori. Ed è qui che possono accadere cose a dir poco curiose, come nella vicenda assolutamente emblematica della marchigiana Antonio Merloni. Valutata dai periti del tribunale 50 milioni, un bel giorno la fabbrica viene venduta a 10 milioni: applicando alla cifra stabilita dalla perizia un badwill, cioè il valore negativo corrispondente al costo del personale che l’acquirente si impegna a non licenziare per almeno due anni. Ma i creditori fanno ricorso e il tribunale di Ancona gli dà ragione. A quel punto sbuca in Parlamento qualche mese fa un emendamento al decreto Destinazione Italia con il quale si stabilisce che il valore fissato dalla perizia, nei casi di vendita commissariale, è solo “orientativo” e non tassativo. E chi lo firma? Il deputato democratico Paolo Petrini, marchigiano di Porto San Giorgio ed eletto nelle Marche. Anche se non basta: perché nonostante quella legge «ad fabricam» i giudici d’Appello confermano l’annullamento del contratto.” 

I primi di agosto del 2014 prende forma un’altra delle grandi narrazioni che hanno scandito questi anni di Ardo e di JP: la tiritera un accordo tra le banche e la JP Industries, con la benedizione del Mise per evitare il pronunciamento della Cassazione. Obiettivo: far ripartire la produzione della JP, sbloccare le linee di credito e trovare un accordo di transazione tra le parti. Si va avanti per più di anno a parlare di accordi e transazioni ma non se ne fa nulla.

Alla fine di novembre del 2015 la Cassazione chiude definitivamente il contenzioso aperto con gli istituti di credito e dà ragione a Porcarelli ribaltando i due precedenti pronunciamenti del Tribunale.

Da quel giorno la JP non ha più alibi ma la cassa integrazione prosegue e la produzione langue. L’azienda è letteralmente sparita dal dibattito pubblico e dall’attenzione dei media.

E’ ritornata sulla scena ieri con l’annuncio di 400 persone in mobilità. Chi ha avuto la pazienza di leggere questa cronistoria – ovviamente parziale e incompleta – si renderà conto che quel che è accaduto ieri era scritto nell’ordine delle cose: cinque anni senza strategia, senza Piano Industriale, senza produzione. Cinque anni di finzioni in cui si è visto di tutto tranne che un filo di operatività e di industria.

L’importante era tenere in piedi l’impalcatura degli ammortizzatori sociali lunghi. Il resto era contorno e corollario. Su questo l'accordo era generale ed è stata combattuta una guerra in cui tutti erano schierati dalla parte di Porcarelli che oggi non può diventare l’unico capro espiatorio e l'uomo nero della situazione. 

Non era solo e non ha agito da solo. E se lo ha fatto sapeva di poter godere di sostegni, incoraggiamenti e alleanze. Per questo porterà tutti a fondo con lui.
    

24 luglio 2016

Il Pd fa Ciaone a Sagramola e punta alle Primarie

 
Tempo qualche settimana e usciremo dal limbo dell'attesa. Già, perché a partire da settembre non saranno la discrezione e la prudenza i sentimenti politici prevalenti in città ma piuttosto l'ansia trattenuta a stento, le ambizioni personali raccontate come forze del destino, le discese ardite e poi le risalite, i debutti arrapati e le rinunce annunciate ma sempre un po' clamorose quando coinvolgono personaggi che per un istante di celebrità avrebbero donato pure una fetta di culo vicina all'osso.

La prima mossa, come è naturale che sia, toccherà al Pd che ha poco tempo a disposizione per decidere come gestire il consuntivo dell'esperienza Sagramola.

La carenza di risultati apprezzabili di un mandato amministrativo scontroso, esattoriale e drammaticamente inadeguato, indeboliscono una proposta politica basata sulla rivendicazione della continuità e sulla prosecuzione di un buon governo che non si è visto neanche per un solo istante.

Di conseguenza la soluzione meno probabile, ad oggi, è una ricandidatura di Sagramola anche se attorno a questo processo politico e decisionale aleggia il referendum costituzionale d'autunno che spingerà i papabili alla candidatura a Sindaco a schierarsi, legando parte del proprio destino politico locale all'esito della consultazione referendaria.

Al Pd fabrianese, realisticamente, restano due percorsi possibili: investire su una continuità senza Sagramola oppure farsi carico di una rottura profonda rispetto al più recente passato.

Nel primo caso il candidato potrebbe essere l'assessore Giovanni Balducci, il meno "sagramolizzato" dell'attuale Giunta Comunale e rafforzato dal successo del Mondiale Enduro che lo ha visto tra i protagonisti nell'organizzazione dell'evento motociclistico.

Diversamente si va alla rottura politica del PD con sé stesso, ovvero alla conta, dove a decidere la candidatura del partito renziano saranno direttamente gli elettori attraverso le Primarie.

Secondo fonti ben informate è proprio il ricorso alle Primarie l'opzione politica che va per la maggiore; una mossa che consentirebbe al Pd di uscire dall'attuale cul de sac, di godere di un validissimo diversivo mediatico e di chiudere senza spargimenti di sangue la sfortunata parentesi sagramoliana.

In questo quadro ci sarà da capire l'exit strategy di Giancarlone che potrebbe anche tentare una corsa solitaria. Magari giocando di sponda con alcuni ambienti merloniani. In fondo Enrico Letta, antico capo corrente e amico di Sagramola, è stato appena nominato Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Merloni.

E come diceva Sherlock Holmes, l'arma del delitto è sempre dove non ti aspetti: ovvero esattamente avanti agli occhi!
    

12 luglio 2016

La Fabriano del denaro sparita di colpo

Fabriano è stata per lungo tempo una città attenta al denaro, ritenuto misura del successo, elemento di invidia sociale e lubrificante comunitario di un potere che compensava attraverso i soldi il deficit strutturale di idee.

Un approccio piccolo borghese, perchè la borghesia vera - nella sua vicenda secolare - ha sempre cercato di trovare un punto di congiunzione tra il denaro e le idee, tra gli affari e una prospettiva di egemonia culturale.

In qualche modo la Fabriano piccolo borghese - per quanto esteticamente poco seducente - trovava nel denaro una sua ragione, un suo collante sociale, lo strumento fondamentale nella costruzione dei propri equilibri interni.

La crisi ha fatto deragliare ogni riferimento e ogni eredità del passato al punto che oggi, in città, il denaro non rappresenta più una sfida primaria di assertività personale e un lubrificante sociale condiviso ma è stato confinato in un circuito ristretto di sopravvivenza, di elemosine, di sovvenzioni e di piccoli e piccolissimi rigagnoli di lucro.

Questa dissoluzione dello spirito piccolo borghese dei fabrianesi ha trovato riscontro empirico in due recentissimi episodi: il salasso finanziario subito dai risparmiatori e dalla Fondazione a seguito del deprezzamento totale delle azioni di Veneto Banca e il fallimento del bando di accesso ai fondi per la reindustrializzazione delle aree colpite dalla crisi della Antonio Merloni.

Nel caso Veneto Banca sono andate in fumo alcune decine di milioni di euro senza che ciò producesse una reazione: né a livello istituzionale né tra i risparmiatori privati. Come se perdere una montagna di soldi fosse una cosa di poco conto, un incidente di percorso da chiudere in fretta e senza agitarsi troppo.

Il fabrianese di una volta, quello coi soldi nel materasso che era capace di essere miliardario e di vivere in una catapecchia, avrebbe fatto guerre puniche per poche decine di euro. Oggi ne perde migliaia e migliaia e non batte ciglio. Dappertutto partono azioni di responsabilità. Qui manco l'ombra. Segno che la vecchia impronta piccolo borghese e ossessionata dal denaro non c'è più. Il vecchio è morto - e forse è anche un bene -  ma il nuovo non nasce.

Un atteggiamento che, in forme diverse, ha trovato sponda e conferma nel sostanziale fallimento del bando di accesso ai fondi dell'Accordo di Programma. Fatta eccezione per un piccolo intervento di Elica nessuna azienda fabrianese ha presentato progetti di reindustrializzazione, nonostante fossero disponibili risorse pubbliche non banali destinate al nostro territorio (ci sarebbe anche un progetto della JP ma tutto ciò che riguarda quell'azienda merita considerazioni e valutazioni a parte).

Sicuramente hanno inciso i vincoli e i parametri di accesso così come è probabile che si sia fatto sentire un bisogno di prudenza che spinge gli imprenditori a meditare e ponderare le scelta. Resta il fatto, però, che anche in questo caso si registra un fenomeno interessante e cioè che il denaro non esprime più quel magnetismo legato al fare che in un passato anche recente avrebbe scatenato appetiti e interessi.

Come si diceva all'inizio l'ossessione del denaro è un tratto patologico dell'ideologia piccolo borghese ma nella nostra città aveva consentito di costruire una traiettoria di sviluppo. Oggi, a Fabriano, questa concezione del denaro e del risparmio si è persa di colpo. E' rimasta intatta soltanto l'idea del saccheggio individuale, del gratta e vinci, dell'ossicino da spolpare.

Si perdono allegramente migliaia di euro, si rinuncia inopinatamente a milioni di euro e ci si scanna vogliosamente per qualche decina di euro di sovvenzioni. Una fenomenologia tutta da scoprire e da capire.