La Fondazione Carifac, in pochissimi mesi, ha perso circa una quarantina di milioni di euro a causa delle scorrerie finanziarie del vecchio management di Veneto Banca. Di fatto ha azzerato il valore della partecipazione e non avrà voce in capitolo sulla futura struttura organizzativa dell'istituto di Montebelluna, ovvero sulla dislocazione degli sportelli e sulla salvaguardia dei dipendenti nella vecchia area di riferimento della Carifac.
In contesti normali, quando si verificano situazioni di questo genere, si parla senza mezzi termini di crack finanziario. E di fronte a un disastro di tale dimensione vengono attivati, dalle parti che si ritengono lese, strumenti di rivalsa e di tutela nei confronti di chi ha agito a discapito dei terzi e degli azionisti.
Il tema cruciale è che la Fondazione non era osso da rodere tra i tanti, un piccolo azionista vessato dalla dimensione e dalle grandi trame, ma il sesto azionista di Veneto Banca, subito dopo giganti come J.P. Morgan e Assicurazioni Generali.
Una posizione rilevante a livello societario - legata alle modalità di vendita di Carifac a Veneto Banca e agli incroci azionari che ne conseguirono - ufficialmente riconosciuta il 24 aprile 2010 con l'ingresso dell'allora Presidente della Carifac Domenico Giraldi nel Consiglio di Amministrazione di Veneto Banca (Comunicato Stampa di Veneto Banca Holding) a cui subentrò il 27 aprile 2014 l'avvocato Maurizio Benvenuto in rappresentanza della Fondazione, che in ragione del proprio pacchetto societario aveva diritto a un posto nel CDA.
Di conseguenza i vertici della Fondazione Carifac - presidenti e consiglieri - non potevano non sapere quanto stava accadendo in Veneto Banca perchè si presume che informare sulla situazione del gruppo l'istituto che li aveva indicati fosse parte integrante del mandato assegnato a Giraldi e Benvenuto.
Di fatto, alla luce di queste deduzioni di semplicissimo buonsenso, non solo non sta in piedi la teoria del fulmine a ciel sereno in relazione alla perdita di valore delle azioni Veneto Banca, ma si capisce anche meglio perchè la Fondazione sia così restia a intraprendere l'azione di responsabilità nei confronti del vecchio management di Veneto Banca.
Farlo significherebbe, infatti, ammettere quanto meno negligenza e mancata vigilanza ed è probabile che nessun giudice sarebbe disposto a credere che il sesto azionista di Veneto Banca, con un proprio uomo nel CDA dal 2010, non avesse il minimo sentore di quanto stessero combinando Consoli e i suoi collaboratori.
Nel frattempo, a Fabriano, è smisurato l'interesse attorno a Veneto Banca: ci sono consiglieri comunali di maggioranza che presentano interrogazioni per sollecitare un intervento sull'istituto di Montebelluna per garantire la manutenzione dell'orologio ormai fuori uso della vecchia sede centrale Carifac di Via Don Riganelli; e ci sono quelli che fanno le crociate per revocare il Premio Gentile a suo tempo assegnato a Vincenzo Consoli.
Il problema è che l'orologio da riparare e il Premio da revocare non sono manovre diversive, tanto meno il tentativo cinico e ragionato di spostare altrove il focus: sono ciò che la città, la politica e i giornali ritengono degno di nota e di furore popolare.
Il tema cruciale è che la Fondazione non era osso da rodere tra i tanti, un piccolo azionista vessato dalla dimensione e dalle grandi trame, ma il sesto azionista di Veneto Banca, subito dopo giganti come J.P. Morgan e Assicurazioni Generali.
Una posizione rilevante a livello societario - legata alle modalità di vendita di Carifac a Veneto Banca e agli incroci azionari che ne conseguirono - ufficialmente riconosciuta il 24 aprile 2010 con l'ingresso dell'allora Presidente della Carifac Domenico Giraldi nel Consiglio di Amministrazione di Veneto Banca (Comunicato Stampa di Veneto Banca Holding) a cui subentrò il 27 aprile 2014 l'avvocato Maurizio Benvenuto in rappresentanza della Fondazione, che in ragione del proprio pacchetto societario aveva diritto a un posto nel CDA.
Di conseguenza i vertici della Fondazione Carifac - presidenti e consiglieri - non potevano non sapere quanto stava accadendo in Veneto Banca perchè si presume che informare sulla situazione del gruppo l'istituto che li aveva indicati fosse parte integrante del mandato assegnato a Giraldi e Benvenuto.
Di fatto, alla luce di queste deduzioni di semplicissimo buonsenso, non solo non sta in piedi la teoria del fulmine a ciel sereno in relazione alla perdita di valore delle azioni Veneto Banca, ma si capisce anche meglio perchè la Fondazione sia così restia a intraprendere l'azione di responsabilità nei confronti del vecchio management di Veneto Banca.
Farlo significherebbe, infatti, ammettere quanto meno negligenza e mancata vigilanza ed è probabile che nessun giudice sarebbe disposto a credere che il sesto azionista di Veneto Banca, con un proprio uomo nel CDA dal 2010, non avesse il minimo sentore di quanto stessero combinando Consoli e i suoi collaboratori.
Nel frattempo, a Fabriano, è smisurato l'interesse attorno a Veneto Banca: ci sono consiglieri comunali di maggioranza che presentano interrogazioni per sollecitare un intervento sull'istituto di Montebelluna per garantire la manutenzione dell'orologio ormai fuori uso della vecchia sede centrale Carifac di Via Don Riganelli; e ci sono quelli che fanno le crociate per revocare il Premio Gentile a suo tempo assegnato a Vincenzo Consoli.
Il problema è che l'orologio da riparare e il Premio da revocare non sono manovre diversive, tanto meno il tentativo cinico e ragionato di spostare altrove il focus: sono ciò che la città, la politica e i giornali ritengono degno di nota e di furore popolare.