Questo scatto é stato realizzato dal giornalista Claudio Curti, durante
la conferenza stampa di presentazione di Giovanni Balducci. Fossi
il segretario di quel partito mi morderei le mani perchè sintetizza,
con la potenza dell’istante cristallizzato in un’immagine, l’urgenza politica
con cui il candidato a Sindaco del PD dovrà cimentarsi nelle prossime
settimane: uscire da questa foto, allontanarsene in fretta e senza
voltarsi indietro.
Il fotografo francese Henri
Cartier-Bresson diceva che “una fotografia non è né catturata né presa
con la forza. Essa si offre. È la foto che ti cattura”. Il messaggio
politico che emerge dalla foto di gruppo del PD è quello di un partito svuotato,
consunto, da cui non ti aspetti una svolta ma un precipizio di idee, coi i
giovani indistinguibili dai più anziani; una foto dove domina un misto di tristezza
e rassegnazione che rimanda alle foto di famiglia inviate ai soldati al fronte
più che allo spirito di una forza moderna che si prepara a una battaglia decisiva
per il futuro della città.
Leonardo Sciascia avrebbe detto che é questo
“il contesto”
in cui nasce e matura la candidatura di Balducci, il
sigillo politico e visuale di una scelta che sembra rivendicare, rispetto al
recentissimo passato, un solo elemento di continuità: quello cattolico-penitenziale
che, nonostante le profonde differenze di carattere e di visione, sembra
allineare Sagramola e Balducci in un
tratto comune.
Il dato politico è più semplice di quel che sembra: Balducci può
farcela, ma se vuole entrare da vincitore a Palazzo Chiavelli deve smarcarsi dalle
spire di questa foto, superare l’idea che si possa costruire una relazione
efficace con la città con cinquanta sfumature di grigio e un disegno che non
prenda brutalmente le distanze da un passato prossimo in cui la politica ha perso
le tracce dei problemi e delle questioni rilevanti che riguardano la
città.
In questo frangente il Pd di Fabriano si trova nel
punto di massima debolezza, con un gruppo dirigente inadeguato e ondivago, una
militanza ridotta a quattro amici al bar, un'incidenza irrilevante sulla scena
politica fabrianese e l'incognita delle conseguenze locali che si genereranno
sull'onda del conflitto interno al partito a livello nazionale.
Balducci
per ora fatica a suscitare entusiasmi ed é il candidato di un partito debole:
due condizioni in apparenza negative ma potenzialmente stimolanti e
irripetibili per muoversi in libertà, ridurre mediazioni e contrattazioni e alimentare
strappi vitali occupando praterie in cui si possano sciogliere le trecce ai
cavalli.
Se scarta di lato, Balducci può uscire da quella foto e fare come
Gorbaciov nel
1985: entrare in scena come l'uomo d’apparato
che non sarebbe andato oltre una prevedibile continuità e poi sviluppare
un’azione di rinnovamento a strappi, una perestrojka
capace di innalzare il livello di attenzione e di gradimento dei cittadini
proprio a partire da un basso livello di
aspettative iniziali.
Ma ciò sarà possibile nella misura in cui Balducci non verrà
frenato dal suo samurai
interiore, da
quel sabotatore interno che potrebbe condizionarne e complicarne il
percorso, incatenandolo in quella foto che rappresenta e incarna il senso
stesso di una sconfitta che diventa una profezia che si autoavvera perchè trova
una sponda nell'animo del gruppo dirigente del PD.
Molto dipenderà da come
il candidato Sindaco del PD si cimenterà con alcune sfide. La
prima è la comunicazione,
un campo minato in cui si è infranta l’azione di Sagramola. Balducci sin
dalle prime ore da candidato ha sottolineato come la sua scelta sia stata fatta
con il cuore ed
è probabile che questa immagine diventi un tema ricorrente della sua campagna
elettorale.
Ciò significa che l’Uomo di Attiggio punterà sulla dimensione
sentimentale e un po’ avventuriera
della sua decisione sapendo che si tratta di un approccio che ha bisogno di una
comunicazione conseguente.
In questo senso il passo felpato, la parsimonia verbale e l’aplomb distante che
caratterizzano Balducci non collimano con le domande di una comunità che
ha bisogno di vedere qualche squarcio di passione e di percepire il sentore di buie
viscere pervase di energia.
Un secondo banco di prova per un Balducci
gorbacioviano sarà archiviare lo stile Sagramola.
Il Sindaco non più
Sindaco ha pensato e gestito da uomo solo al comando, ha respinto ogni sussulto
popolare col mantra dei soldi, si è fidato dei nemici più prossimi sospettando
degli amici più lontani, ha guardato la città dall’alto in basso, etichettando
ogni rilievo critico come polemica pretestuosa di distruttori che non ci
mettono la faccia e non si sporcano le mani.
Balducci deve cambiare
rotta rispetto a Sagramola e restituendo alla politica una funzione anche empatica:
ritrovare le ragioni del dialogo a tutto campo, rifiutare chi garantisce
fedeltà sciocche e inutili, vivere i problemi dei cittadini trasformando il
Comune da fortezza separata a ospedale da campo in cui si cerca di curare le
molte sofferenze di una comunità con 5.000 disoccupati.
Se vuole
differenziarsi da questo segno dell'ultimo quinquennio Balducci dovrà essere algebrico rispetto
a Sagramola, ossia mettere un "segno meno" e fare esattamente il
contrario di quel che ha fatto Giancarlone.
Da ultimo, per uscire
dalla foto triste della candidatura, Balducci dovrà indossare i panni dell'iconoclasta e
non cedere alla Sindrome
della Processione, ovvero non farsi imbalsamare nel ruolo del candidato
trasformato in un legno devoto e trasportato a destra e a manca a ricercare
una sintesi al ribasso tra Tizio che chiede, Caio che postula e Sempronio che
raccomanda.
Comunicativo, empatico e iconoclasta: una
sfida "una e trina" che contiene alcune precondizioni di stile
con cui accompagnare un programma che non sia una sommatoria condominiale di sogni
e manutenzioni. Una sfida da far tremare i polsi di Balducci, ma anche i baffi
e i riccioli da putto mantovano che dovranno diventare una tentazione di
freschezza e di innovazione politica, più che un tradizionale e personalissimo ornamento
estetico.