Proviamo, per qualche istante, a spegnere le luminarie, a interrompere le libagioni della coda natalizia e ad accendere un piccolo riflettore sul caso Veneto Banca.
Con il prezzo di recesso a 7,3 € stabilito per chi non aderisce alla quotazione in Borsa, i risparmiatori fabrianesi, titolari di molte azioni dell'istituto di Montebelluna, hanno subito una perdita che dovrebbe ammontare a parecchie decine di milioni di euro.
Tredici milioni di svalutazione della partecipazione sono riconducibili, con certezza, alla sola Fondazione Carifac che sul tema tace e sembra più interessata ad accreditarsi come governo non elettivo della città e commissario di fatto della Giunta Sagramola che a riflettere pubblicamente sulla situazione che si è venuta a creare.
Quando parliamo di Veneto Banca siamo, ovviamente, in un contesto molto diverso da quello che ha prodotto il salvataggio governativo delle famigerate quattro banche canaglia (Chieti, Ferrara, Banca Marche ed Etruria), ma il modo in cui Veneto Banca ha gestito le relazioni con i risparmiatori lascia sul campo un cumulo di macerie finanziarie e un patrimonio di fiducia e di reputazione che avrà bisogno di molto tempo per essere ricostruito.
Sicuramente è stato cancellato, in poche ore, il concetto di "banca del territorio", utilizzato come un ossessivo driver di comunicazione per costruire un senso di vicinanza, di appartenenza e di identificazione tra i fabrianesi e il gruppo che aveva rilevato la Carifac.
In una città abituata alle cordate familiste, alle transazioni omertose e alle "cene per farli conoscere" la crisi di Veneto Banca se da un lato aggrava le condizioni economico-finanziarie del territorio, dall'altro introduce un elemento di modernizzazione forzata che costringerà i fabrianesi ad affrontare il tema del risparmio, degli investimenti e del rapporto con le banche con più responsabilità personale e rigore e meno delega in bianco al conoscente di rango a Palazzo e all'uomo di fiducia in filiale.
Di fatto si è conclusa l'epoca del monopolio bancario della ex Carifac nel comprensorio fabrianese e la nuova Veneto Banca - che si appresta alla quotazione in Borsa - dovrà fare concretamente i conti con gli effetti prodotti dal calo di fiducia e di reputazione dell'istituto, ossia una diminuzione della raccolta e, di conseguenza, degli impieghi e dei margini.
Ciò significa che si addensa nell'area fabrianese l'ennesimo rischio occupazionale, aggravato da voci di corridoio che accreditano una scelta strategica di focalizzazione operativa di Veneto Banca nell'area del nordest, con conseguente penalizzazione di quella che veniva pomposamente definita la dorsale adriatica di sviluppo del gruppo.
Si tratta di un radicale cambiamento di scenario a cui corrisponde, nel corpaccione inerte della città, una lettura comoda e rassicurante dei fatti, un'interpretazione cronachistica incentrata su un postulato secondo cui la crisi è da addebitare, in via esclusiva, al vecchio management di Veneto Banca che gestì l'acquisizione della Carifac.
Sicuramente il vecchio board di Veneto Banca ha compiuto scelte spericolate, tipiche di un certo capitalismo finanziario aggressivo, basate sull'adozione di un modello strategico di crescita rapida, tramite fusioni e acquisizioni, che se ha risolto - in modo corsaro - la questione dello sviluppo dimensionale ha evidenziato effetti collaterali che hanno messo a ferro e fuoco l'istituto; effetti efficacemente definiti dal Sole 24 Ore, in un articolo apparso il 22 febbraio 2015, "danni da shopping" (Veneto Banca conta i danni dello shopping).
Con il prezzo di recesso a 7,3 € stabilito per chi non aderisce alla quotazione in Borsa, i risparmiatori fabrianesi, titolari di molte azioni dell'istituto di Montebelluna, hanno subito una perdita che dovrebbe ammontare a parecchie decine di milioni di euro.
Tredici milioni di svalutazione della partecipazione sono riconducibili, con certezza, alla sola Fondazione Carifac che sul tema tace e sembra più interessata ad accreditarsi come governo non elettivo della città e commissario di fatto della Giunta Sagramola che a riflettere pubblicamente sulla situazione che si è venuta a creare.
Quando parliamo di Veneto Banca siamo, ovviamente, in un contesto molto diverso da quello che ha prodotto il salvataggio governativo delle famigerate quattro banche canaglia (Chieti, Ferrara, Banca Marche ed Etruria), ma il modo in cui Veneto Banca ha gestito le relazioni con i risparmiatori lascia sul campo un cumulo di macerie finanziarie e un patrimonio di fiducia e di reputazione che avrà bisogno di molto tempo per essere ricostruito.
Sicuramente è stato cancellato, in poche ore, il concetto di "banca del territorio", utilizzato come un ossessivo driver di comunicazione per costruire un senso di vicinanza, di appartenenza e di identificazione tra i fabrianesi e il gruppo che aveva rilevato la Carifac.
In una città abituata alle cordate familiste, alle transazioni omertose e alle "cene per farli conoscere" la crisi di Veneto Banca se da un lato aggrava le condizioni economico-finanziarie del territorio, dall'altro introduce un elemento di modernizzazione forzata che costringerà i fabrianesi ad affrontare il tema del risparmio, degli investimenti e del rapporto con le banche con più responsabilità personale e rigore e meno delega in bianco al conoscente di rango a Palazzo e all'uomo di fiducia in filiale.
Di fatto si è conclusa l'epoca del monopolio bancario della ex Carifac nel comprensorio fabrianese e la nuova Veneto Banca - che si appresta alla quotazione in Borsa - dovrà fare concretamente i conti con gli effetti prodotti dal calo di fiducia e di reputazione dell'istituto, ossia una diminuzione della raccolta e, di conseguenza, degli impieghi e dei margini.
Ciò significa che si addensa nell'area fabrianese l'ennesimo rischio occupazionale, aggravato da voci di corridoio che accreditano una scelta strategica di focalizzazione operativa di Veneto Banca nell'area del nordest, con conseguente penalizzazione di quella che veniva pomposamente definita la dorsale adriatica di sviluppo del gruppo.
Si tratta di un radicale cambiamento di scenario a cui corrisponde, nel corpaccione inerte della città, una lettura comoda e rassicurante dei fatti, un'interpretazione cronachistica incentrata su un postulato secondo cui la crisi è da addebitare, in via esclusiva, al vecchio management di Veneto Banca che gestì l'acquisizione della Carifac.
Sicuramente il vecchio board di Veneto Banca ha compiuto scelte spericolate, tipiche di un certo capitalismo finanziario aggressivo, basate sull'adozione di un modello strategico di crescita rapida, tramite fusioni e acquisizioni, che se ha risolto - in modo corsaro - la questione dello sviluppo dimensionale ha evidenziato effetti collaterali che hanno messo a ferro e fuoco l'istituto; effetti efficacemente definiti dal Sole 24 Ore, in un articolo apparso il 22 febbraio 2015, "danni da shopping" (Veneto Banca conta i danni dello shopping).
Leggendo la cronistoria delle acquisizioni emergono con nettezza due elementi: la rapidità quasi vorace delle operazioni e le condizioni di profonda difficoltà in cui versavano le banche acquisite, costrette dalla propria situazione a mettersi sul mercato a prezzi di saldo.
Carifac - quando decise di cercare un partner, come vengono ipocritamente definiti gli acquirenti, in situazioni di stringente necessità - aveva un disperato bisogno di trovare un compratore e quando prevale questo imperativo, il potere contrattuale del venditore si riduce e quella che viene definita "svendita" è solo l'effetto di un meccanismo di mercato che riflette i rapporti di forza dei soggetti che partecipano alla transazione.
Insomma, Carifac fu svenduta non per dolo ma perchè non poteva porre condizioni di alcun genere. Di questa situazione sono prova i risultati del 2008, quando la vecchia banca fabrianese - succube di potentati in crisi e artefice di operazioni da brivido - perse circa 16 milioni di euro, come si evince dal bilancio di quell'anno (Carifac Bilancio 2008), e fu costretta a firmare un accordo con Veneto Banca che aveva un prevedibile e inevitabile sapore di resa.
E qui si apre un altro capitolo e cioè quali ragioni e quali processi storici, politici e clientelari spinsero Carifac sull'orlo del baratro. Come ha scritto Emanuele Macaluso "dopo la Liberazione, i dirigenti della Dc capirono più degli altri che le banche erano essenziali per costruire un sistema politico-elettorale. E la Dc governò il sistema delle banche rurali, locali, delle Casse di Risparmio...”.
E' esattamente ciò che è accaduto a Fabriano dato che la Carifac, assieme all'Ospedale, al Comune e alle industrie Merloni - fu uno dei quattro pilastri del consenso e del potere della Democrazia Cristiana nella nostra città.
Attraverso la Cassa di Risparmio è stata costruita una ramificata parentopoli locale - fatta di assunzioni mirate e di concorsi farsa - che serviva per oliare il sistema, per stabilizzarne il consenso, per dare una prospettiva di mobilità sociale ai figli meritevoli dei coltivatori diretti e per fornire un passatempo remunerato ai figli e alle figlie di una certa borghesia stracciona.
Lavorare in Cassa di Risparmio significava stabilizzare il proprio ruolo nella società fabrianese ed esercitare una funzione di gendarmeria del blocco sociale, di vigilanza in nome e per conto della Democrazia Cristiana: gettando un occhio sui conti dei concittadini, monitorandone croci e delizie economiche, applicando - attraverso un mormorio felpato ma pervasivo e invasivo - un controllo sociale al limite dell'apartheid, verificando le discese ardite e poi le risalite, inquadrando i meritevoli di luce e i destinati all'ombra, i degni d'invito a cena e quelli da scansare per non correre rischi di vicinanze e confidenze.
Di fatto Carifac non ha mai smesso, neanche per un solo istante della sua storia, di essere il braccio secolare della Democrazia Cristiana. Anche quando la Dc è sparita dalla scena politica i democristiani hanno continuato a governarla, ad assediarne i consigli di amministrazione, a farne il luogo di inveramento di una loro precisa volontà: sopravvivere e comandare.
Il giochino ha funzionato fin quando ha resistito la Antonio Merloni. Con la fine della Ardo, e del suo microcosmo di ex coltivatori diretti divenuti terzisti monocliente, i nodi sono venuti improvvisamente al pettine e la Carifac è stata costretta a fare i conti con la sua storia e la sua identità di istituto governato solo di sfuggita da logiche creditizie e bancarie.
La Carifac che arriva a trattare con Veneto Banca è un istituto col fiato corto, che ha consumato la sua ragione storica ed è costretto dalle circostanze a entrare, obtorto collo, in un circuito di competizione bancaria di cui non gli appartengono né la logica né il sentimento.
Nonostante ciò, in questa nuova dimensione di gruppo, Carifac porta un patrimonio intatto di fiducia di tanti risparmiatori fabrianesi, ereditato dai lunghi decenni del consenso bulgaro alla Democrazia Cristiana.
Gli ultimi eventi - a partire dalla perdita di valore delle azioni di Veneto Banca - hanno prodotto una distruzione creatrice di questo residuo fiduciario, eliminando le ultime incrostazioni di democristianeria e abbattendo il nostro piccolissimo Muro di Berlino.
Molti fabrianesi hanno perso soldi in questa giostra del risparmio tradito. Ed hanno perso anche l'innocenza. Per i soldi dispiace perchè non crescono nel campo dei miracoli. Dell'innocenza perduta assai meno perchè perderla aiuta a diventare più adulti, più liberi e consapevoli. Diciamocelo: non tutto il male viene per nuocere.
"Il tempo è galantuomo"!
RispondiEliminaBravo Simonetti. Sono tra quelli che ti hanno rimproverato prudenza su Carifac e dintorni ma devo dire che hai ricostruito il quadro senza fare sconti e con molta lucidità.
RispondiEliminaGià! (mi dispiace molto)
RispondiEliminaLa svendita di Carifac e il suo destino era già stato da molti previsto. Ora, 11.000 soci su circa 76.000, decidono con una maggioranza del 97% (degli 11.000), il cosiddetto Progetto Serenissina che, di serenisssimo non ha proprio nulla. Meglio sarebbe stato chiamarlo "progetto macelleria", mi dai l'osso con la carne e di ridò l'osso. Trasformazione in Spa, quotazione in Borsa, aumento di capitale da un miliardo di euro e la mancetta per i soci che volessero recedere dalla Società fissato in euro 7,30 ad azione sulla base delle valutazioni compiute da parte della società PWC. Lo chiamano: sconto del 76% rispetto alla valutazione di 30,50 euro data dalla banca ad aprile scorso e dell’80% rispetto a quella di 36 euro quale prezzo fissato per l’aumento di capitale dell’estate del 2014. In sostanza, 1.000 euro di luglio 2014, oggi valgono 200,00 euro.
RispondiEliminaMa questo non è neanche vero perchè, vista l'imposizione da parte della BCE di un coefficiente di capitale CET1 Ratio Basilea III pari a 10,25% (attualmente è a 7,12%), Veneto Banca non ha risorse per riacquistare azioni proprie dai soci che volessero esercitare il recesso. Perciò, chi vuole vendere, dovrà farlo in borsa a quotazione avvenuta vendendole sul mercato e, non è detto che l'azione quoterà 7,3 euro perchè, la corsa a vendere, porterà giù il prezzo.
Di quanto? difficile dirlo: anche del 50%.
Già a 7,3 Veneto Banca è una "bancarella" (circa 890mln di valore), figuriamoci a 4 o 5 euro.
"Attraverso la Cassa di Risparmio è stata costruita una ramificata parentopoli locale"?
L'ho scritto diverse volte: politicamente a Fabriano non cambierà mai nulla perchè, molti fabrianesi devono dire grazie a qualcuno e non per merito ma perchè figli di.....; la parentopoli (come la chiama Gian Pietro) nelle banche, nella sanità, nelle industrie Merloni, nell'amministrazione ed enti pubblici.
La "balena bianca", a Fabriano non è mai morta ma è viva e vegeta in alcuni uomini del PD e in un partitino dall'1 virgola qualcosa a livello nazionale ma 11% a livello lcoale.
Non credo che la fine della Ardo, della Indesit o della Carifac influirà molto sulla morte della balena.
Finalmente Simonetti, scrivi qualcosa sulla vicenda Carifac e Veneto Banca. Il tuo silenzio poteva sembrare sospetto...invece, scevro di qualsiasi condizionamento, ecco qua che fai un'ottima analisi. Bravo!
RispondiEliminaUn pò generalizzi e fai di tutta un'erba un fascio; sembra che la Carifac fosse un covo di massoni e questo non è vero...è vero che se volevano fare una vera carriera dovevano slinguare...ma lasciamo perdere...in effetti gli anni dal 2000 in poi sono stati un insieme di assunzioni clientelari, intrecci affaristici personali tra la direzione e componenti della Fondazione, difesa di interessi personalissimi. E non è vero che i locali sono stati sempre avvantaggiati e hanno fatto danni: ci sono stati una serie di "stranieri" colti apposta dal mazzo!
Ma inutile oggi piangere sul latte versato.
Piuttosto cercherei di non versare altro latte; intendo quello della Fondazione che è patrimonio della comunità. Valeva più di 200 milioni di euro al tempo della Carifac quando andava bene; oggi diventati circa 70: quante volte la Fondazione si è auto-incensata e lodata? È stata questa una buona gestione?
Caro Simonetti, andrei ad approfondire quanta parte di ciò che è rimasto è ancora investito in Veneto Banca...non vorrei ci fosse qualche obbligazione subordinata...per non fare la fine delle Fondazioni ex proprietarie di Banca Marche!
Cari amici sapete bene che in questa pagina potete scrivere tutto quel che volete comprese le critiche all'autore. Però consentitemi di dire una cosa: non è che il mondo dell'informazione e dei social fabrianesi pullula di articoli sul tema. Anzi mi pare che ci sia una omert condivisa nei fatti anche da molti sedicenti rivoluzionari. Quindi mi domando: perchè si chiede a Simonetti quel che non si chiede ad altri?
RispondiEliminaÈ vero quello che dici. I giornali locali sono omertosi sulle vicende bancarie locali. Ma non te se ne faceva una colpa. E vista la tua lìbertà di pensiero ti si chiedeva che almeno qui ci si potesse sfogare. Per quanto ovvio serviva e serve che tu dia il là con degli interventi. Occorre che continui. Grazie.
EliminaPorterò via da lì il mio conto, proprio per l'incapacità di avere una comunicazione adeguatamente orientata al cliente. Online è meglio.
RispondiEliminaIo la vedo così. Non è che Veneto Banca (anche prima dell'acquisizione della Carifac) avesse una storia molto diversa a quella di Carifac. Entrambe operavano in un territorio molto ricco ed entrambe eranon gestite in maniera locale con i vizi ed i difetti che tu hai descritto bene.
RispondiEliminaOra però il tempo delle analisi è finito e bisogna immaginare e capire il futuro.
A mio avviso se l'attuale dirigenza ce la fa a salvarsi da sola, renderà le filiali ex carifac (perche ormai bisogna parlare di ex filiali e non più di banca) più produttive e tutta l'operatività sarà incentrata a produrre utili. Ora considerato che il male pegggiore per una banca sono tassi a zero e per di più fermi, la redditività si ottiene in tre modi: tagli ai costi (in banca il costo maggiore è il personale) aumento della vendita di servizi e proditti ad alta marginalità e impieghi. Si impieghi, ovvero si devono necessariamente erogare prestiti, mutui e affidare le imprese. Questo ultimo punto apre uno scenario positivo e più favorevole per il nostro territorio, sempre che ci siano clienti (privati e aziende) in grado di essere finanziati e meritevoli delle concessioni. In questo modo ci sarà anche più concorrenza, i servizi miglioreranno e le condizioni possono essere anche più favorevoli per la clientela.
Questo a mio modo di vedere le cose.
E per fortuna che il progetto della banca di credito cooperativo che si doveva fare a Favria' è saltato per aria, altrimenti ora c'era un altro botto
RispondiEliminaHai ragione. Con personaggi come Antonini, stratega del PD, la botta non ci sarebbe stata perché i soldi a quelli li chi li dava??!!!
EliminaPer me a molti rode il culo perché adesso col potere decisionale spostato in Veneto non si potranno più fare i cazzi loro nel paesello montano di Fabriano
RispondiEliminaSecondo me questo è il più lucido e interessante post scritto da Simonetti sul suo Blog, la storia di una città spiegata a chi ci ha vissuto e non si è mai accorto di nulla. Grazie.
RispondiEliminaSamuele Santarelli
È da tanto che invitavo Simonetti a scrivere su Carifac e Veneto Banca. Una volta mi ha risposto anche scocciato e aveva ragione perché sul suo blog ci scrive quello che gli pare. Ma é un tema sentito e chi ha vissuto quell'ambiente potrebbe raccontarne delle belle. Anche se non bisogna fare di tutta l'erba un fascio perché nel passato la Carifac era un'istituzione che aiutava veramente. Diciamo che dall'avvento di un certo DG le cose sono state indirizzate su personalismi e clientelismi spinti. Poi ognuno la può pensare come vuole ed arrivare a facili errate conclusioni su chi ci lavorava che sono assolutamente leggende.
EliminaLa senatrice Serenella Fucksia è stata espulsa con il 92,6% dei voti dal Movimento 5 Stelle.
RispondiEliminaI soldi non rendicontati però se li tiene. Ottimo esempio di come il M5S sCeglie i suoi rappresentanti. Questa con 5 voti è diventata senatrice
EliminaEra ora.
EliminaCarifac, Veneto Banca, Unicredit, Monte dei Paschi....cosa cambia ? Nulla. Sempre di 300 mld di sofferenze parliamo. Il vulnus che porterà il paese allo sfascio e i cittadini italiani sul lastrico.
Eliminaspero che fallisca,così i dipendenti dovranno cercare un lavoro finalmente consono alle loro capacita
RispondiEliminaIgnorante. Se fallisse lei come Vicenza si portano dietro tutto il sistema. Come se poi le capacità di quelli che lavorano in Unicredit e Intesa siano più elevate. Qui si tratta di managers e direttori adusi alla ruberie, come è più dei politici, vieppiu ricordando che spesso chi li ha messi li sono sempre questi ultimi.
EliminaDalla vicenda della Fucksia l'unica certezza è che ci ha perso Fabriano, perché ha avuto un senatore che non è balzata agli occhi per le battaglie a favore di Fabriano e delle Marche, mentre i grillini fabrianesi ci hanno perso sonoramente la faccia, visto che l'avevano candidata come capolista regionale.
RispondiEliminaAnche perché la faccenda della Fucksia mi sembra opaca, è mai possibile che nell'era dei computer la Fucksia non sia mai riuscita a rendicontare le spese per mesi e mesi, nemmeno dovesse gestire le spese di un ministero.
E se davvero non aveva il suo collaboratore a disposizione, non poteva chiedere un aiuto a qualche altro collaboratore del gruppo parlamentare?
Più che come vittima del malefico Grillo, di fronte all'opinione pubblica, la Fucksia rischia di uscirne come quella che ha aspettato la fine della miccia accesa da lei, ben sapendo che lo scoppio della bomba l'avrebbe danneggiata, ma allo stesso tempo, liberata.
Fermo restando che va benissimo qualsiasi discussione mi domando perché l'espulsione della Fucksia faccia discutere più del salasso di Veneto Banca.
RispondiEliminaPerché è meglio vivere come l'ostrica di Verga, aggrappati allo scoglio di un mondo che non esiste più. A Fabriano non è accaduto niente che non sia la regola in Italia. Siamo in una giungla del terzo mondo, i più deboli vengono presi a bastonate e i piagnoni evadono oltre cento miliardi l'anno. Anche se Veneto Banca fosse una banca più prospera e meglio gestita, ed erogasse più soldi per lo sviluppo, per Fabriano non cambierebbe nulla, perché i favrianesi non saprebbero nemmeno come spenderli quei soldi per creare conversione economica e cambiamento sociale. Ognuno per sé, e nessuno per tutti, questa è Fabriano.
EliminaPerché la Fucksia volente o nolente ci ha messo la faccia, chi ha mangiato alla greppia della Carifac ed oggi piange perché gli hanno ristretto le azioni, si tiene ben coperto.
EliminaAnalisi a posteriori forbita, lucida e dolorosamente vera ma ipocritamente e colpevolmente tardiva. Una siffatta analisi, vividamente accusatoria, avrebbe rappresentato un’illuminata denuncia contro le colpevoli e retrive consorterie locali se condotta in tempi diversi, quando tali malefatte si palesavano volgarmente sotto gli occhi di chi aveva voce per denunciarle ma se ne guardava bene.
RispondiEliminaGiorgio Lunghini scriveva in un libro: “In quanto è un costrutto teorico, l’equilibrio è artificiale, e può essere protetto soltanto mediante una repressione delle innovazioni, mediante il mantenimento artificiale della costanza dei parametri. Solo una repressione organizzata può mantenere l’armonia statica dell’equilibrio. La base dell’ordine e della stabilità di cui godiamo nel mondo economico è dunque la convenzione, ovvero il tacito accordo di supporlo stabile. Questa stabilità, una volta messa in dubbio, è distrutta e un disordine prorompente deve intervenire prima che lo smottamento trovi fondamenta in una nuova posizione casuale".
Perché un accordo risulti tacito è necessario che tutte le parti in causa convengano di ritenerlo tale. Fra le parti in causa, si può, in questo caso, forse ignorare l’ingombrante presenza di tutti coloro che oggi denunciano tali malefatte? Perché solo ora, al redde rationem, si denuncia un malaffare trentennale all’interno di una piccola banca locale? Mala tempora currunt ed è sempre lungimirante schierarsi dalla parte giusta.