27 aprile 2016

L'ira funesta del Pelide Penzi

 
Il caso Penzi è diventato un tormentone cittadino attorno a cui - inevitabilmente - si assiepano ironie, battute, uscite a cazzo e, ogni tanto, anche qualche scampolo di meditazione non banale. 

Una chiave per decifrare la realtà ingarbugliata dei fatti c'è, ed è il vecchio, classico, buonsenso, quello che permette di dedurre senza sbagliare e di smascherare la melina con cui qualche amministratore pretende di incantare e addormentrare tutti gli osservatori della vicenda.

I fatti: il Comune di Fabriano deve sborsare quasi due milioni di euro a una ditta danneggiata da decisioni assunte venti anni fa, quando non c’era la legge Bassanini e la politica faceva il bello e il cattivo tempo, con i tecnici del pubblico apparato costretti a dare forma amministrativa ai più sconsiderati capricci dei decisori.


Vincenzo Penzi attende da 20 anni che gli venga riconosciuto il danno subito. Come avrebbe detto il Marchese Onofrio del Grillo a Piperno l’Ebanista è assai probabile che Penzi sia un po’ incazzato con quel Comune che, amministrazione dopo amministrazione, ha fatto orecchie da mercante rispetto al dovere di onorare il proprio impegno. 

E una persona incazzata da venti anni, quando trova un Tribunale della Repubblica che ne riconosce le ragioni, non solo è difficile sia disposta a transare ma presumo sia animata anche da una voglia matta di chiudere la faccenda e di presentare il conto finale a un ente che ha soltanto rimandato e cazzeggiato.


Dilazionare, rateizzare e rimandare sono, quindi, ipotesi di scuola su cui è possibile lavorare solo quando il tempo non ha esacerbato gli animi. Sagramola e Tini, del tutto digiuni di umana psicologia, continuano invece a insistere sulla rateizzazione, ossia ad evocare il peggio che possa giungere alle orecchie di Penzi. 

Più Tini propone di rateizzare e meno Penzi sarà disposto a farlo, perché dopo essere stati presi per il culo per venti anni è difficile che se ne possano conteggiare altri cinque per prendersela in saccoccia e consentire a lor signori di cantare vittoria scongiurando il commissario.


Se uno dà retta a quel dice Tini o a quanto, amaramente, distilla Sagramola sembra quasi che al tavolo negoziale la pistola fumante la tenga in mano il Comune. L’applicazione del buonsenso fa immediatamente giustizia di questo scempio mediatico. Una contrattazione sensata prevede il do ut des, ossia uno scambio, un vantaggio reciproco che può far scattare l’accordo tra le parti. 

E quale sarebbe il regalo di Natale che l’Amministrazione Comunale può mettere sul tavolo in cambio di una rateizzazione sostenibile?


Nessuno è in grado di immaginarlo. Per una ragione molto semplice: la contropartita non esiste e l’amministrazione comunale si limita a fare come quei finti forzuti che consapevoli di prenderle chiamano l’amico e gli dicono “tienimi che sennò lo gonfio!”. 

Qualche suonatore di cetra mormora che la contropartita possa essere la rinuncia del Comune al ricorso in Cassazione ma i beni informati smentiscono anche questa ipotesi perché difficilmente la Cassazione troverà appigli per ribaltare la sentenza d’Appello. In più c’è da considerare l’ira funesta del pelide Penzi che, giunto a questo punto, non si farà certo impensierire dall’ennesimo ricorso.


Di conseguenza le possibilità concrete sono due: o il Comune paga il botto in una sola botta o si fa pignorare i beni disponibili, sempre che Penzi sia disposto ad accontentarsi di qualche immobile che non si riesce a vendere manco implorando i numi. Per ora Penzi non sembra abbia richiesto il pignoramento perché, giustamente, vuole denaro e se ne fotte dei muri. 

Il Comune ha una sola possibilità di sopravvivere: continuare a non pagare. E’ su questa linea sottile che si giocheranno le prossime mani della partita. Tutto il resto è velatura, finzione e gioco delle parti di una politica sempre più ridicola.
    

12 aprile 2016

La cessione di sovranità che rischia il Comune

Foto di Mauro Cucco
Il Sindaco sogna Donatello e i suoi 15 milioni di presunto valore, valore teorico perchè dubito ci sia qualche collezionista eccentrico disposto a sborsare una cifra da capogiro per acquistare un legno che fino a qualche settimana fa era immerso nel più totale e indifferente anonimato e che tuttora presenta fortissime perplessità sull'attribuzione al grande scutore quattrocentesco.

Ma in tempi di magra anche i valori nominali suscitano emozioni e tra gli osservatori di cose locali si dà per certo un sotterraneo e incipiente conflitto sulla proprietà della statua tra Comune e e Chiesa.

Nel frattempo, in attesa che Donatello si trasformi da genio del Rinascimento italiano a gallina dalle uova d'oro per la comunità pedementana, Il buon Sagramola deve fare i conti con i soldi veri, quelli che ormai cronicamente mancano nelle casse comunali.

Invece di lavorare sul caso Penzi per trovare per soluzioni compatibili con gli interessi dei fabrianesi  - ossia attrezzarsi per il pignoramento dei beni immobili disponibili - l'amministrazione si muove a caso e a cazzo, come un moscone rinchiuso nell'abitacolo di un'automobile.

L'ultima tentazione del Sindaco - col probabile e interessato suggerimento di Angelino da San Donato - è quella di rivolgersi a Veneto Banca e alla Fondazione per verificare la loro disponibilità a farsi carico dei problemi del Comune di Fabriano. 

Ora, Veneto Banca è un istituto di credito che deve risolvere parecchi problemi legati alla sua trasformazione in società per azioni e alla quotazione in Borsa, ed è difficile immaginarla protagonista di operazioni finanziarie con il Comune di Fabriano, anche alla luce di recentissime e furenti polemiche che sono nate all'interno dell'istituto a causa del ruolo acquisito dai "marchigiani".

Resta in piedi l'ipotesi di un appoggio della Fondazione, ossia ufficializzare una cessione di sovranità del Comune a vantaggio di un istituto guidato da figure riconducibili a un partito politico e da un Presidente che è stato candidato Sindaco nel 2012, leader dell'opposizione moderata in consiglio comunale e candidato nel 2013 nella lista dell'UDC per la Camera dei Deputati.

Non aggiungo altro, ma due domande fatevele cari fabrianesi!
    

6 aprile 2016

Accordo di Programma: è pronto l'assalto alla diligenza

Attenzione: stiamo dedicando troppo tempo ed energie alla valutazione critica di quanto accade in Comune

L'ente municipale, nonostante il ruolo istituzionale e di gestione della cosa pubblica che gli viene attribuito dalla legge e dai processi elettorali, è destinato a perdere peso e rilievo nell'assetto del potere locale perchè le sentenze salasso abbinate alla rigidità della spesa corrente faranno tendere a zero il potenziale di spesa da dedicare alla realizzazione di programmi politici.

La vera partita di potere, non a caso, si sta giocando in altre sedi, statutariamente anfibie tra pubblico e privato, in un altrove dove circolano i soldi e gli interessi materiali che sono il vero lubrificante di ogni scelta e l'unico strumento efficace per costruire progetti e relazioni

In questo quadro pensare alle elezioni, alle liste, alle candidature, agli schieramenti è assolutamente intempestivo, un po' come porsi a Ferragosto il problema delle strade gelate e della neve da spalare.

Ovviamente non c'è nulla di scandaloso nel "pecunia non olet" - come sa bene chi ha bazzicato il pensiero liberale e quello marxista - ma si pone un problema di destinazione e redistribuzione delle risorse perchè il nuovo potere, ormai esercitato dalle seconde file del merlonismo decaduto, sta cercando di assorbire e concentrare il massimo della materia in poche mani, presentando questa operazione tipicamente classista come un esempio concreto di progettualità, di razionalità e buonsenso orientato al bene comune.

Si deve fare attenzione perchè tutti gli occhi sono puntati su un tesoretto da 26 milioni di euro che aleggia sulla città: l'Accordo di Programma rimodulato.  

Questo strumento nato per reindustrializzare le aree colpite dalla crisi dell'Antonio Merloni non è mai decollato perchè sono stati posti molti vincoli e paletti all'accesso che hanno finito per amplificarne la rigidità.

La rimodulazione dell'Accordo di Programma si profila un po' a maglie larghe, un tana libera tutti che scatenerà un probabile assalto alla diligenza, specie nell'area fabrianese che dovrebbe godere della maggior quota di risorse.

La chiave di lettura da considerare è la possibilità di accesso ai fondi dell'Accordo di Programma per attività di servizi alle imprese e attività turistiche.

La sensazione è che ciò che nacque per ricostruire un minimo di tessuto industriale verrà riorientato in operazioni a basso potenziale occupazionale che si bruceranno nell'illusione di qualche nuova scatola vuota.

In questa possibile modificazione genetica dell'Accordo di Programma, che ha come nemico il tempo dato che le domande devono essere presentate entro il 30 giugno 2016, speriamo si faccia sentire quel poco di opinione pubblica che resta in città e la voce dei sindacati e di Confindustria perchè Fabriano non può rinunciare a un minimo di investimenti industriali in nome di un terziario fittizio ed estraneo a ogni logica occupazionale e di mercato.
    

3 aprile 2016

La fine di un'illusione: la rottura del "lutto senza parole"

Parecchi anni fa - credo fosse il 2008 - il Direttore dell'Azione Carlo Cammoranesi mi chiese un articolo su come immaginavo il futuro di Fabriano. Scrissi senza mezzi termini che avremmo fatto la fine di Sheffield, la città deindustrializzata dalle cure equine della destra inglese che fa magistralmente da sfondo al celebre film Full Monty. 

Avevo assaporato da poco La Dismissione, il romanzo di Ermanno Rea in cui si racconta la chiusura dell'acciaieria Ilva di Bagnoli e quella  lettura, inserita in una ricca tradizione di letteratura industriale, mi aveva fornito qualche strumento di consapevolezza in più anche rispetto alla mia città. 

Una sensazione che ho provato, in seguito e con sfumature diverse, anche leggendo Acciaio di Silvia Avallone, ambientato nella realtà desertificata di Piombino, e Storia della mia Gente di Edoardo Nesi, in cui si racconta la fine di storie imprenditoriali e di piccole imprese nel distretto tessile di Prato.

La crisi violenta e definitiva del distretto metalmeccanico fabrianese non è stata elaborata da nessuno, è rimasta un lutto senza parole, non ha prodotto nulla che fosse riconducibile a una narrazione autoctona, non si è espressa in un romanzo in qualche modo emblematico e condiviso o in un'esperienza saggistica in grado di ricostruire un percorso e una memoria comunitaria.

Non poteva essere altrimenti. Non solo per oggettiva inesistenza di autori locali in grado di farlo ma anche perchè il mite operaio fabrianese non poteva seminare una visione di classe capace di fare cultura.  

Ciò che ha impedito ai fabrianesi di elaborare la fine dell'illusione preferendo fare come chi non si capacita della perdita di una persona e ne lascia, per anni, intatta la stanza, col desiderio di fermare il tempo e la violenta verità del distacco.

In questo quadro una possibilità di narrazione poteva provenire solo dall'esterno, solo da un occhio privo di contiguità fisica, psicologica e professionale col distretto, solo da chi non avesse memoria culturale e visiva di quei veri e propri rave party che il 13 dicembre di ogni anno si svolgevano nell'ormai decadente piana di Santa Maria.

In quelle notti maya le maestranze correvano e accorrevano - richiamate e rapite dal sabba industrialista - a riverire l'apparizione mistica e asiatica del Patriarca Antonio Merloni I° che contraccambiava il devoto assembramento di oranti e postulanti con tavole imbandite, suini fumanti di interiora calde e finocchio aromatico, concerti dei Pooh e di Jimmy Fontana - con la musica piegata come lamiera dall'acustica fordista dello stabilimento - e un fiume di frizzantini dozzinali perché così reclamava una classe operaia adorante, obbediente, votante, condannata alla tuta verde invece che alla casacca blu a scanso di equivoci marxisti.

Andrea Ranalli e Shoot4Change con il loro documentario La Fine dell'Illusione, si sono inseriti in questo spazio, montando un'operazione difficile: far uscire il lutto dal silenzio, attraverso la ferocia banale ma dirompente di una macchina da presa piantata in faccia a chi la crisi l'ha vissuta in presa diretta o di riflesso e un io narrante ridotto a un'intermezzo di immagini in cui la deindustrializzazione diventa una corsa di fotogrammi grigi restituti da vecchi capannoni senza più anima, macchine e umanità.

Un documentario a tesi non avrebbe funzionato, avrebbe irrigidito la comunità stimolandone le peggiori tentazioni difensive, avrebbe alimentato la sindrome della cittadella assediata. In questo modo, invece, la sequenza di storie personali e di testimonianze diventa un distillato di come ci vediamo, la sintesi visiva di uno stupore che non si è ancora consumato e che solo a tratti lascia intravedere un senso di lutto elaborato.

Qualcuno ha fatto notare, e forse anche a ragione, che l'insieme non restituisce sapori forti. Il punto è che, a Fabriano, solo un documentario a tesi, con una forte componente giornalistica e d'inchiesta, poteva riuscirci. Il modello della testimonianza personale può trovare sapori forti nella Terni operaia e comunista, non certo nella Fabriano metalmezzadra e cattolica.

Quello che emerge da La Fine dell'illusione, di conseguenza, è solo quel che poteva uscire da questa terra, l'immagine fedele di una consapevolezza che non ha trovato una giusta maturazione.

In questo senso Andrea Ranalli e Shoot4Change hanno colpito nel segno proprio grazie all'aroma blando del documentario che invece di stimolare i riflessi condizionati dei fabrianesi ha prodotto un interessante e articolato repertorio di reazioni.

Esse vanno dall'approccio critico di chi avrebbe voluto una lettura più dura e circostanziata dei fatti al dito puntato contro questo documentario perchè intacca quella rimozione del passato che è necessaria per far fermentare una nuova, terrificante illusione: che una company town manchesteriana, grigia e totalmente dedita forgiata da un fordismo mite possa svegliarsi, per un incanto suggerito dalle seconde file dello sfascio, lieve, creativa e con un grande futuro davanti. 

La Fine dell'illusione può avere molti limiti ma sicuramente ha un grande pregio: ricordare a tutti che il passato passa solo guardandolo in faccia e che un disegno di futuro può esistere solo partendo dal passato e dal presente. Il macigno dal sepolcro si toglie dopo avere abbracciato il Golgota: non c'è Pasqua senza Venerdì Santo.
    

1 aprile 2016

#SagramolaPubblicaLaSentenza!

Sagramola non ha alcuna responsabilità personale e politica di ciò che accadde nel 1995 tra il Comune di Fabriano e la Ditta Penzi. Il suo coinvolgimento riguarda il presente, ovvero la gestione del pagamento immediato sancito dal pronunciamento della Corte d'Appello. 

Secondo il Corriere Adriatico di oggi Sagramola – dopo il comunicato dell’opposizione sul mancato numero legale che ha impedito lo svolgimento del Consiglio Comunale di martedì scorso - non vuole più parlare con la minoranza

E’ una posizione sbagliata perché la minoranza rappresenta un pezzo importante di elettorato, ma il vero problema è che il Sindaco non parla con la città, non ne comprende le esigenze profonde, non ha sviluppato quelle affinità elettive che fanno di un politico il leader di una comunità complessa e in crisi.

In realtà delle piroette del Sindaco, fin quando non va a frugare nelle tasche dei cittadini, ci interessa poco. Quel che manca ai fabrianesi è una base minima per farsi un'idea di ciò che è accaduto, al punto che la famigerata sentenza Penzi ha finito con l'assumere un profilo quasi mitologico, una sorta di unicorno giurisprudenziale che attraversa l'immaginazione e le conversazioni.

Di fatto ci ritroviamo a commentare un dispositivo che non abbiamo avuto modo di leggere e questa assenza di fonti certe, se da un lato fa montare a neve ipotesi e supposizioni, dall'altro mette al riparo l'amministrazione dal rischio che i cittadini possano farsi un'opinione diretta e personale, ossia non mediata dalla politica e dai suoi interessi.

E' quindi dovere del Sindaco pubblicare sul sito del Comune il testo integrale della sentenza della Corte d'Appello, affinché ogni cittadino abbia la possibilità di capire circostanze e motivazioni del caso Penzi. Continuare a evocare apocalissi finanziarie giocando su una riservatezza omertosa, su rimozioni spinte al limite dell'impronunciabile e sussurri degni di una saga di Dan Brown vuol dire azzoppare il diritto di informazione che deve essere liberamente esercitato da una cittadinanza matura e adulta.

Sagramola ha un indice di gradimento da meno algebrico ma a prescindere dal consenso deve ai suoi elettori e alla città questa piccola operazione di glasnost, di trasparenza, perchè per restituire saggezza e ponderazione alle cose la scelta migliore è rivelarle nella loro interezza più smitizzante e crudele.