Il caso Penzi è diventato un tormentone cittadino attorno a cui - inevitabilmente - si assiepano ironie, battute, uscite a cazzo e, ogni tanto, anche qualche scampolo di meditazione non banale.
Una chiave per decifrare la realtà ingarbugliata dei fatti c'è, ed è il vecchio, classico, buonsenso, quello che permette di dedurre senza sbagliare e di smascherare la melina con cui qualche amministratore pretende di incantare e addormentrare tutti gli osservatori della vicenda.
I fatti: il Comune di Fabriano
deve sborsare quasi due milioni di euro a una ditta danneggiata da decisioni
assunte venti anni fa, quando non c’era la legge Bassanini e la politica faceva
il bello e il cattivo tempo, con i tecnici del pubblico apparato costretti a
dare forma amministrativa ai più sconsiderati capricci dei decisori.
Vincenzo Penzi attende da 20 anni
che gli venga riconosciuto il danno subito. Come avrebbe detto il Marchese
Onofrio del Grillo a Piperno l’Ebanista è assai probabile che Penzi sia un po’
incazzato con quel Comune che, amministrazione dopo amministrazione, ha fatto
orecchie da mercante rispetto al dovere di onorare il proprio impegno.
E una persona
incazzata da venti anni, quando trova un Tribunale della Repubblica che ne
riconosce le ragioni, non solo è difficile sia disposta a transare ma presumo sia
animata anche da una voglia matta di chiudere la faccenda e di presentare il conto
finale a un ente che ha soltanto rimandato e cazzeggiato.
Dilazionare, rateizzare e
rimandare sono, quindi, ipotesi di scuola su cui è possibile lavorare solo quando il tempo non ha
esacerbato gli animi. Sagramola e Tini, del tutto digiuni di umana psicologia,
continuano invece a insistere sulla rateizzazione, ossia ad evocare il peggio
che possa giungere alle orecchie di Penzi.
Più Tini propone di rateizzare e
meno Penzi sarà disposto a farlo, perché dopo essere stati presi per il culo
per venti anni è difficile che se ne possano conteggiare altri cinque per
prendersela in saccoccia e consentire a lor signori di cantare vittoria
scongiurando il commissario.
Se uno dà retta a quel dice Tini
o a quanto, amaramente, distilla Sagramola sembra quasi che al tavolo negoziale
la pistola fumante la tenga in mano il Comune. L’applicazione del buonsenso fa
immediatamente giustizia di questo scempio mediatico. Una contrattazione
sensata prevede il do ut des, ossia
uno scambio, un vantaggio reciproco che può far scattare l’accordo tra le parti.
E quale sarebbe il regalo di Natale che l’Amministrazione Comunale può mettere
sul tavolo in cambio di una rateizzazione sostenibile?
Nessuno è in grado di
immaginarlo. Per una ragione molto semplice: la contropartita non esiste e l’amministrazione
comunale si limita a fare come quei finti forzuti che consapevoli di prenderle
chiamano l’amico e gli dicono “tienimi che sennò lo gonfio!”.
Qualche suonatore
di cetra mormora che la contropartita possa essere la rinuncia del Comune al ricorso
in Cassazione ma i beni informati smentiscono anche questa ipotesi perché difficilmente la Cassazione troverà appigli per ribaltare la sentenza d’Appello.
In più c’è da considerare l’ira funesta del pelide Penzi che, giunto a questo
punto, non si farà certo impensierire dall’ennesimo ricorso.
Di conseguenza le possibilità concrete
sono due: o il Comune paga il botto in una sola botta o si fa pignorare i beni
disponibili, sempre che Penzi sia disposto ad accontentarsi di qualche immobile
che non si riesce a vendere manco implorando i numi. Per ora Penzi non sembra
abbia richiesto il pignoramento perché, giustamente, vuole denaro e se ne fotte
dei muri.
Il Comune ha una sola possibilità di sopravvivere: continuare a non
pagare. E’ su questa linea sottile che si giocheranno le prossime mani della
partita. Tutto il resto è velatura, finzione e gioco delle parti di una
politica sempre più ridicola.