Siamo talmente incalzanti ed esigenti da spingere la politica a una ridondanza che trova intesi concettuale ed espressiva nella famigerata compilazione del programma.
I programmi delle forze politiche sono, da sempre, la quintessenza del fraseggio vano e non c'è piega della vita collettiva che non sia risolta da un'indicazione vincente e da un proposito univoco di cui si rimarca l'onore futuribile senza soffermarsi troppo sull'attualità e la stringenza dell'onere.
Dalla politica pretendiamo risposte enciclopediche che nascono in parte da bisogni reali e in parte da una vulgata che, trasformando il Sindaco in un deus ex machina, ha innalzato a livello esponenziale l'indicatore delle aspettative.
Su questa falsariga sono state costruite le condizioni per una politica invadente, occhiuta, onnipresente; una politica che ha fatto dell'interventismo compulsivo la sua ragion d'essere principale e prevalente.
Lo statalismo, inteso come colonizzazione pubblica degli spazi privati e non come fisima libresca, nasce nella politica di prossimità nei municipi, dall'incrocio di cittadinanze che richiedono e sindaci che, di rimando, generano una realtà aumentata fondata sulla dilatazione del controllo dall'alto.
Per questo la politica municipale pullula di regolamenti e procedure e il fare amministrativo coincide sempre più spesso con la moltiplicazione delle minute d'intervento.
Questo processo è giunto a un livello di invasività che riduce la qualità della vita dei cittadini, degli operatori economici e delle imprese, con punte di protervia precettiva che travalicano qualsiasi razionalità funzionale, rendendo tremendamente vero e attuale il monito di Franz Kafka secondo il quale "i ceppi dell’umanità tormentata sono fatti di carta bollata".
La grande sfida è, quindi, quella del passo indietro: chiedere alla politica di ritirarsi, di programmare una riduzione di ruolo, di riconsegnare all'autonomia della società spazi di azione, di pensiero e di intervento.
Per arginare la brama intrusiva degli amministratori locali bisogna superare il vecchio retaggio - in apparenza frutto di buonsenso ma carico di molto veleno - secondo cui la politica deve definire le regole del gioco.
Si tratta di un abbaglio madornale, di una visione distorta che contiene il germe della burocrazia perchè la definizione delle regole del gioco dovrebbe spettare alla politica solo quando i soggetti sociali non riescono a farlo.
Ai candidati Sindaco, e alle forze politiche che li sostengono, si dovrebbe, quindi, chiedere non solo cosa intendono fare ma anche a cosa pensano di rinunciare, ossia in quali ambiti della realtà sociale eviteranno di intervenire, dando vita a un programma di poche cose da fare e di tante cose da non fare più.
Una sfida culturale di cui farsi carico perchè rinunciare a spazi e prerogative significherebbe rovesciare radicalmente il punto di vista nella città dei Fofò e di chi piscia più lontano.
Questo processo è giunto a un livello di invasività che riduce la qualità della vita dei cittadini, degli operatori economici e delle imprese, con punte di protervia precettiva che travalicano qualsiasi razionalità funzionale, rendendo tremendamente vero e attuale il monito di Franz Kafka secondo il quale "i ceppi dell’umanità tormentata sono fatti di carta bollata".
La grande sfida è, quindi, quella del passo indietro: chiedere alla politica di ritirarsi, di programmare una riduzione di ruolo, di riconsegnare all'autonomia della società spazi di azione, di pensiero e di intervento.
Per arginare la brama intrusiva degli amministratori locali bisogna superare il vecchio retaggio - in apparenza frutto di buonsenso ma carico di molto veleno - secondo cui la politica deve definire le regole del gioco.
Si tratta di un abbaglio madornale, di una visione distorta che contiene il germe della burocrazia perchè la definizione delle regole del gioco dovrebbe spettare alla politica solo quando i soggetti sociali non riescono a farlo.
Ai candidati Sindaco, e alle forze politiche che li sostengono, si dovrebbe, quindi, chiedere non solo cosa intendono fare ma anche a cosa pensano di rinunciare, ossia in quali ambiti della realtà sociale eviteranno di intervenire, dando vita a un programma di poche cose da fare e di tante cose da non fare più.
Una sfida culturale di cui farsi carico perchè rinunciare a spazi e prerogative significherebbe rovesciare radicalmente il punto di vista nella città dei Fofò e di chi piscia più lontano.