16 marzo 2017

Donatello San Pietro e le belle statuine


La statua di San Pietro Martire, attribuita a Donatello, è diventata il centro della discussione pubblica. La prima tentazione è quella snob e benaltrista, ovvero osservare la vicenda interpretandola come un diversivo rispetto ai grandi temi della crisi: abbiamo 5.000 disoccupati e stiamo a cazzeggiare con una statua di legno. 

L’approccio snob è più che giustificato dalla “qualità” delle discussioni in corso. Da un lato c’è chi concentra tutta l’attenzione sull’attribuzione della statua lignea a Donatello; dall’altro chi è morbosamente attratto dal giallo delle autorizzazioni al restauro, dal mistero delle procedure violate, dalla rumorosa sponsorizzazione sgarbiana - rispetto alla quale il Comune ha fatto la figura della bella statuina – e dal ruolo puntualmente ambiguo della Fondazione Carifac

Chi ricorda la storia dei falsi Modigliani nel 1984, quando l'attribuzione cazzara di alcune teste trovate in un fosso ingannò anche critici del calibro di Giulio Carlo Argan, sa bene che la prudenza è un vaccino fondamentale rispetto al riconoscimento precipitoso delle "mani d'autore". Così come sappiamo bene che la proprietà di un’opera e le autorizzazioni all’esposizione e all’utilizzo temporaneo sono questioni minori rispetto al tema dell’universalità dell'accesso alle opere d'arte.

Per intenderci meglio con un altro esempio locale: se Ester Merloni dona opere d'arte al Comune il tema non è il passaggio di proprietà ma una gestione di quelle stesse opere finalizzata al pubblico godimento

Ed è esattamente questo lo snodo politico fondamentale su cui nessuno sta intervenendo: l’assenza di una politica della cultura in grado di connettere arte e turismo e di coordinare competenze che la città, ad oggi, non offre se non in forma isolata e sporadica. In questa città, in cui la cultura è stata sempre ritenuta il perimetro di fannulloni e spostati si è ritenuta eccentrica, rispetto ai bisogni produttivi dell’industria, ogni sensibilità o visione che fosse estranea alle dinamiche della lamiera. 

Di conseguenza è demenziale, oggi, anche il solo immaginare una gestione autoctona del patrimonio culturale perché niente fruttifica senza una combinazione di persone, competenze, contesti e strumenti.  

Io non so se la statua lignea di San Pietro Martire sia davvero di Donatello o meno. Nel caso non credo che Fabriano sia in grado di valorizzarla e di costruire attorno ad essa percorsi di accesso e di fruizione. Semplicemente perché l’arte non fa parte del sentiment del nostro sistema politico e decisionale.  

Per questo l’eventuale San Pietro di Donatello lo vedo meglio altrove, magari al Palazzo Ducale di Urbino, sede della Galleria Nazionale delle Marche, dove rischia meno che qui di essere usato giusto per garantire venti coperti al ristorante amico e qualche sporadico incasso a una Pinacoteca in eterno deficit di risorse e di accessi.
    

9 commenti:

  1. Nessuno può risolvere il problema disoccupazione a Fabriano neanche Mazzinga, ma avere un Sindaco che si prende cura della Città e la valorizza si può fare

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  2. Meglio che rimanga a Fabriano e diventi fruibile e godibile per tutti con le dovute competenze. Ci diamo via anche questa statua lignea? Giamp!

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  3. Vacce tu Simoné a fa l'assessore alla cultura!

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  4. C'è un sacco di gente più brava di me per quel ruolo.

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    1. forse si, forse no... qualche dovremmo anche inizare a farlo.
      per ora chi si è candidato non brilla per acume politico; forse qualcuno sarebbe necessario andare a chiamarlo mentre ara sul campo...

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  5. Caro Gian condivido ma vedi la politica ha x 60 anni coltivato i cestelli e gli oblo'e indirizzato i fumi fuori delle nostre cucine e la cultura completamente abbandonata a pochi snob , come dici tu. Io non sono snob ma ho sempre sostenito che cultura e turismo vanno a braccetto ed a confronto di coloro che sostengono che con la cultura non si " magna" dico ..perche' con l' ignoranza si?

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  6. Caro Giampiero il tuo riferimento alla beffa di Modigliani è ingeneroso. Gli esperti per 40 giorni si divisero tra i fautori dell'autografia, e chi considerò le teste una "lordura" o una "porcata", tra questi Briganti e Zeri. Zeri, che molto amava lo scherzo, invitò gli autori delle burle (perché furono più di una) a uscire allo scoperto: i tre ragazzi, un operaio e un artista "provocatore". Nel caso della statua di Fabriano è giusto che la ricerca s'interroghi sull'attribuzione, ma il dibattito non esime dal fatto che siamo di fronte a una statua “originale”, non a un “falso”, che è in condizioni pessime e che merita di essere restaurata essendo per inciso di proprietà pubblica.
    Da quasi vent'anni difendo l'importanza del suo restauro, non vado in cerca di conferme a un'attribuzione per conquistare la classica medaglia di latta. Aggiungo un dettaglio che i miei colleghi ben sanno e lo ribadisco in questa occasione: dopo che ho pubblicato la statua nel 1999, come punto preso, mi sono sempre rifiutato di ritornare a scrivere su quest'opera in sede scientifica fino a quando non sarà restaurata, perché è indegno lasciarla in quelle condizioni. Come è indegno che una città che nel recentissimo passato ha espresso una "potenza di fuoco" monstre (con cifre che di questi tempi nemmeno Milano si permette per una mostra), non ha mai trovato risorse per un restauro. Personalmente, non avrei esposta la statua alla mostra di Firenze nelle condizioni in cui è. Sono ancor più irritato che quella che doveva essere una promessa di restauro, sia stata disattesa (per ragioni che peraltro non conosco).
    Studiare e fare ricerca di storia dell'arte non è sparare sentenze al vento, esiste un’etica del mestiere, esiste il rispetto delle opere d'arte e della memoria del passato che i nostri antenati ci hanno consegnato, anche se queste opere non fossero opera del Michelangelo o del Caravaggio di turno, ma di un pinco pallino sconosciuto ai più.
    Quindi, caro Giampiero, difen il diritto di queste e altre opere che meritano di essere restaurate, come quando ho promosso il restauro della statua che ho scoperto essere trecentesca della chiesa di San Niccolò e, quando i soldi della Fondazione Carifac non furono sufficienti, organizzai una colletta tra i miei studenti e altri amici per giungere al restauro senza null'altro chiedere a Fabriano. In cuor mio mi sento felicemente e serenamente lontano da soggetti che sfruttano un certo "provincialismo", per sbattere senza ragione alcuna (manifestando ignoranza abissale) sculture medievali negli scantinati, oppure infilare la statua di proprietà di un antiquario in una mostra con un’attribuzione a dir poco indecente. Ma, a pensar male si fa peccato, ovviamente.
    Ho sempre avuto una visione precisa su quello che si potrebbe fare per Fabriano, nell'ottica della creazione di posti di lavoro per i giovani attraverso la cultura, ci ho provato, non ci sono riuscito. La città nella sua classe dirigente ha preso strade differenti a quelle che immaginavo, in virtù di prerogative e poteri legittimi.
    La tua associazione tra il cazzeggio sulla statua e i 5.000 disoccupati non la capisco, caro Giampiero. Ricordo come già nel 1994 un fabrianese autorevole mi descrisse lo scenario di deindustrializzazione che stiamo vivendo. Aveva la sfera di cristallo? Oppure qualcosa girava nell'aria? Ho l'impressione che il dramma che devasta Fabriano abbia radici antiche, non solo fabrianesi ovviamente, e un futuro di lavoro per rimettere in sesto la barca ben più lungo di qualche giorno di dibattito intorno statua. Comunque, caro Giampiero, continuo a cazzeggiare con la storia dell'arte, e staremo a vedere cosa riserverà a Fabriano e al suo patrimonio e istituzioni culturali il futuro (e non mi riferisco al concetto universale di "culturale" ma a qualcosa di tangibile, che richiede visione, programmazione e gestione). Fabio Marcelli.

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  7. Preso atto che non sarà un colpo di bacchetta magica a cancellare un decennio di crisi nera o ad interrompere il declino di un modello urbano iniziato già nei primi anni novanta, la "questione culturale" va affrontata e deve essere inserita in un piano organico di riforme. Necessariamente.

    Serve un “piano strategico” che abbia come fine la conversione di Fabriano (intesa come modello urbano) e il superamento della crisi della monocultura industriale (o del modello one-company town come dicono gli americani), partendo dall’utilizzo mirato e dal corretto incanalamento di tutti i fondi e sussidi europei e nazionali disponibili. Troppi ne sono andati sprecati.

    Come fatto in altre città, che prima di noi hanno avuto lo stesso problema (vd. Torino post crisi fiat negli anni ‘80), occorre far sedere tutti al tavolo (Comune, fondazioni, imprese, sindacati, associazioni, comitati) ed iniziare a pensare (seriamente!) alla nuova Fabriano. Il percorso durerà non meno di 10-20 anni, perché per superare la crisi e tornare a produrre denaro servono investimenti e per attrarre investimenti occorre attrarre innanzitutto le persone. Chi investirebbe mai i propri denari in una città dove non trascorrerebbe nemmeno un weekend?! Sia chiaro, dimentichiamoci il modello panino col ciauscolo e museo della carta!

    Suonerà strano ma per fare tutto questo il primo passo è rendere "bella" e “funzionale” la nostra città (infrastrutture e cura del territorio), il secondo è riempirla di contenuti (ecco che arriva l'arte...ma anche manifestazioni ed eventi), poi bisogna pensare al mondo del lavoro dove serve appunto una riconversione totale. Il futuro non sarà ovviamente il "bianco" o la produzione industriale massiva, non possiamo fare concorrenza alla Cina o alla Turchia ma possiamo benissimo puntare sulla specializzazione e sviluppare qua i prodotti e le idee del futuro. Abbiamo manodopera, tanta, ma purtroppo non lavora da anni e non è specializzata. Occorre quindi pensare all'istruzione prima di tutto e per creare specializzazione servono rapporti "veri" con le università, per avviare spin-off e collaborazioni strette con le realtà internazionali che - non dimentichiamo - già insistono nel nostro territorio (Ariston, Elica, Franke, Whirlpool).

    Questa è l'unica via che ritengo possibile, una riconversione totale delle Città intesa nel suo senso più ampio: Cittadini, Territorio e Imprese. Una città che tenga conto delle importanti eccellenze industriali che sono presenti, che le valorizzi per non farle fuggire, ma che allo stesso tempo sia in grado di puntare in altri settori: una CITTA’ PLURALE.

    La nostra economia non potrà mai basarsi sul turismo, ma questo può essere utilizzarlo come catalizzatore per attrarre persone e fornire visibilità. Per fare tutto questo serve un programma comune e condiviso, un PIANO STRATEGICO frutto di larghe intese. Un piano talmente condiviso e solido che una volta adottato sia in grado resistere ad un ventennio di alternanza politica.
    In un periodo di proclami e appelli questo è il mio calorosissimo ed umile invito alla visione, alla perseveranza ma soprattutto alla concretezza ed alla partecipazione. Sediamoci tutti, istituzionalmente, intorno al tavolo.

    In bocca al lupo a tutti noi!

    Andrea Castellani
    (ci metto la firma!)

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