La Diocesi di Fabriano e Matelica ha un nuovo Vescovo: Don Stefano Russo da Ascoli Piceno. Il profilo del nuovo Pastore è parso subito interessante.
Innanzitutto per ragioni anagrafiche, perchè un Vescovo di 55 anni garantisce energia e piglio evangelico a un ruolo, che nella nostra città, non ha bisogno di pacata e senile saggezza ma di decisa e severa determinazione.
Il secondo elemento degno di nota è che Don Stefano è un uomo di cultura, e non a caso nel 2005 fu nominato Direttore dell'Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici presso la Conferenza Episcopale Italiana.
Un terzo elemento è di natura fisiognomica - e quindi rilevante solo per chi scrive e per chi attribuisce valore all'approccio lombrosiano - in quanto Don Stefano ha un viso ratzingeriano, un'espressività soavemente teutonica, che richiama profondità teologiche più che tendenze modaiole che sembra abbiano messo radici tra i sacerdoti più giovani alimentando entusiasmi più secolari che evangelici in alcune parrocchie e tra i fedeli.
Queste tre caratteristiche lasciano supporre che Don Stefano possa essere una figura mite ma decisa, un sergente di ferro capace di apertura e comprensione. Un approccio che è emerso già nel primo messaggio inviato alla Diocesi, in cui il nuovo Vescovo ha lanciato un preciso segnale programmatico, riprendendo le parole di Papa Francesco sul bisogno della Chiesa di esplorare le periferie esistenziali e diventare, di conseguenza, ospedale da campo per chi vive in condizione di povertà e di emarginazione.
Ed è proprio in questa dichiarazione di intenti, di chiara curvatura bergogliana, che si palesano il cozzo potenziale e i rischi con cui dovrà fare i conti il nuovo Vescovo.
Il pericolo principale è la Palude, il tentativo di aggancio che le camarille della borghesia locale - stracciona ma sempre desta quando annusa equilibri soggetti a improvviso dinamismo - proveranno ad attivare per egemonizzare l'interlocuzione con il nuovo Vescovo, con l'effetto paradossale di una prima fila in cui cercheranno di sedersi proprio quanti hanno la responsabilità storica, culturale ed economica di aver creato periferie esistenziali nel nostro territorio.
Il pericolo principale è la Palude, il tentativo di aggancio che le camarille della borghesia locale - stracciona ma sempre desta quando annusa equilibri soggetti a improvviso dinamismo - proveranno ad attivare per egemonizzare l'interlocuzione con il nuovo Vescovo, con l'effetto paradossale di una prima fila in cui cercheranno di sedersi proprio quanti hanno la responsabilità storica, culturale ed economica di aver creato periferie esistenziali nel nostro territorio.
Don Stefano Russo dovrà, quindi, muoversi con attenzione e distacco rispetto a questo abbraccio mortale, perchè la cooptazione della Curia nel sistema di potere è stata una costante della storia fabrianese degli ultimi decenni; una costante che con Vecerrica ha vissuto una parziale attenuazione rispetto ai tempi del più sfrenato collateralismo col potere economico registratosi negli anni dell'episcopato di Luigi Scuppa.
Sarà su questo versante che la città misurerà le novità immediate e le promesse future di questa nuova stagione episcopale, il bergoglismo reale di Mons.Russo e la sua concreta volontà di caratterizzarsi come punto di riferimento per quel pezzo di città che, culturalmente e socialmente, desidera uscire da vecchie logiche politiche, economiche e di potere.
........e già!
RispondiEliminaMa Vecerrica dove va?
RispondiEliminaHa raggiunto i 75 anni, età della pensione per i vescovi.
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RispondiEliminaSpero si guardi da due soggetti con la tonaca molto discutibili, purtroppo di Don Umberto ne abbiamo solo uno!
E chi sono? Almeno scrivi le parrocchie
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