Le sintetiche dolcezze del caso Indesit |
LA PAROLA ASPARTAME:
ALLEANZA
La
vendita di Indesit è stata sistematicamente trattata e proposta ai lavoratori e
ai fabrianesi, senza il risparmio di un’oncia d’aspartame. Serviva rendere più
gradevole un certo retrogusto amaro di sconfitta epocale ed edulcorare la
consapevolezza che il ciclo di vita di un modello industriale - come ogni cosa
umana - è entrato nella sua fase terminale. In questi casi, un buon
dolcificante aiuta ad ammansire il fiele che si mette in circolo e fa bene
anche per melassare le critiche e i dissensi, seppur tardivi, che possono
improvvisamente emergere. E’ stata
sufficiente una parola per fare strage di realismo e incanalare l’umore non
proprio ribollente delle genti pedemontane: alleanza.
IL RETROPENSIERO DELLA PAROLA
DOLCIFICANTE
Lavoratori e cittadini hanno subito fatto tesoro della parola magica, perché "alleanza" fa pensare a una relazione mite, a interessi
che convergono, a visioni che si allineano gradualmente, a soggetti che trovano
l’uno nell’altro il pilastro risolutivo delle proprie debolezze. L’alleanza non
è una somma, non è una fusione, ma una moltiplicazione
di valore che non intacca l’autonomia delle organizzazioni e non altera i
poteri di controllo e di governo delle strutture coinvolte. Dietro l’illusione
di una Indesit in cerca di partner con cui siglare alleanze strategiche per
sbaragliare il mercato, ha covato il
desiderio di un’operazione che non cambiava assetti produttivi, modelli di
organizzazione, livelli occupazionali e relazioni industriali. C’era
l’illusione di un’acquisizione senza razionalizzazioni ed economie di scale,
senza cannibalismi produttivi e di mercato, senza ricerche di produttività e
senza ristrutturazione.
L’ILLUSIONE DELLA SOLUZIONE CINESE
Fino al punto di prediligere una soluzione
cinese perché i cinesi prendono, pagano
e se ne fottono di ragionare per efficacia ed efficienza. Una
semplificazione che poteva funzionare fino a qualche tempo fa ma che, oggi, non
fa i conti con la capacità del sistema imprenditoriale cinese di assorbire e
mettere a frutto i modelli produttivi e organizzativi occidentali. Di fatto,
sul tappeto, non c’è nessuna alleanza paritaria, ma proposte non vincolanti che
prevedono l’acquisizione di pacchetti
azionari finalizzati a modificare la proprietà e fanno scattare l’offerta
pubblica di acquisto (OPA), visto che Indesit è una società quotata in borsa. C’è attesa e curiosità, come se il prevalere
di Whirlpool, di Electrolux o dei nuovi cinesi apparsi all’orizzonte, possa
determinare una variazione di destino – per i lavoratori e per i fabrianesi -
quasi comparabile alla differenza che sussiste tra il giorno e la notte.
IL PROBLEMA DELL’ESIGIBILITA’ DEGLI ACCORDI
In realtà ci sono alcune questioni importanti
da affrontare, e che sono tali a prescindere da come terminerà questa partita
stranissima e lenta. A partire
dall’esigibilità dell’accordo siglato da Indesit e sindacati nel mese di
dicembre del 2013. Un accordo legato a due punti chiave, come la nuova dislocazione delle produzioni tra
siti produttivi italiani ed esteri e i relativi
livelli occupazionali necessari per supportare quelle linee strategiche.
NON C’E’ ACQUISIZIONE SENZA
RISTRUTTURAZIONE
Con tutta la buona volontà è davvero spericolato immaginare un grande player internazionale che subentra a una
proprietà e si allinea ai piani industriali e occupazionali di chi si
è preoccupato di redigerli per garantire il massimo valore potenziale al
proprio pacchetto di azioni in vendita. Comunque vada e chiunque vinca si profilano tempi
duri per la nostra gente e per questo territorio perché ogni acquisizione che si
rispetti si tracsina dietro scelte e strategie di
ristrutturazione. E stavolta non ci saranno la Famiglia e i soliti
noti del giro della politica a tenerci il culo al riparo dalle correnti.