Fiom, Fim e Uilm di Marche ed
Umbria - le tre organizzazioni più rappresentative dei lavoratori metalmeccanici - in occasione della visita a Fabriano dell'altro giorno hanno
consegnato al Ministro Poletti una nota congiunta sul caso JP Industries. Il
testo dei sindacati, che può essere consultato integralmente cliccando sul link
riportato di seguito (http://cislmarche.it/2014/06/17/jp-industries-i-sindacati-incontrano-il-ministro-poletti/),
ha una finalità esplicita e lapalissiana: chiedere al Governo di farsi carico della situazione
di stallo venutasi a creare attorno all’operazione Porcarelli, a seguito della
sentenza di annullamento della vendita del perimetro produttivo
della Ardo alla JP. Si può contestare molto alle organizzazioni sindacali, ma
non certo l’impegno e la costanza con cui hanno affrontato questa vertenza. Ma
la buona volontà dimostrata sul campo non cancella la sostanza negativa delle posizioni assunte e cioè il tentativo di difendere i posti di lavoro prescindendo dal sostegno di un vero e solido fondamento industriale e produttivo. E la sostanza
delle posizioni sindacali dice con chiarezza che sono stati proprio i contenuti
della vertenza a rivelare, fino in fondo, i limiti e gli errori di valutazione delle parti sociali; limiti ed errori facilmente rintracciabili anche nel documento
consegnato al Ministro Poletti, dove Fiom, Fim e Uilm evitano accuratamente
valutazioni di merito sulle sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello
e sulle ragioni - non certo banali - che hanno spinto i giudici a sancire l’annullamento
della vendita della Ardo a JP Industries. Su questo tema, con l’occhio attento
e neutrale del grande giornalista, è intervenuto anche Sergio Rizzo sul
Corriere della Sera dell’8 giugno, nel contesto di un articolo dedicato alla bolla delle
amministrazioni straordinarie di grandi imprese insolventi. Scrive Rizzo: “I commissari devono verificare per prima
cosa se le imprese sono risanabili, cercando di preservare la continuità
aziendale. In caso contrario, si vende per pagare i creditori. Ed è qui che
possono accadere cose a dir poco curiose, come nella vicenda assolutamente
emblematica della marchigiana Antonio Merloni. Valutata dai periti del
tribunale 50 milioni, un bel giorno la fabbrica viene venduta a 10 milioni:
applicando alla cifra stabilita dalla perizia un badwill , cioè il valore
negativo corrispondente al costo del personale che l’acquirente si impegna a
non licenziare per almeno due anni. Ma i creditori fanno ricorso e il tribunale
di Ancona gli dà ragione. A quel punto sbuca in Parlamento qualche mese fa un
emendamento al decreto Destinazione Italia con il quale si stabilisce che il
valore fissato dalla perizia, nei casi di vendita commissariale, è solo
“orientativo” e non tassativo. E chi lo firma? Il deputato democratico Paolo
Petrini, marchigiano di Porto San Giorgio ed eletto nelle Marche. Anche se non
basta: perché nonostante quella legge «ad fabricam» i giudici d’Appello
confermano l’annullamento del contratto.” Sulle anomalie dell’operazione,
magistralmente sintetizzate in poche righe dal coautore del libro “La
Casta”, i sindacati hanno deciso che glissare fosse la linea politica più efficace, circoscrivendo gli
elementi giuridici e legali della vicenda a pura e semplice azione “eversiva” orchestrata
dalle banche contro il diritto al lavoro. Una semplificazione confermata anche nel documento consegnato a
Poletti, che ricostruisce la vicenda Ardo-JP sulla base di considerazioni sfrondate da
ogni elemento di complessità e di problematicità circa l’esercizio dei
diritti soggettivi dei creditori, a partire dalle banche quando vantano crediti
non chirografari, ossia privilegiati in quanto garantiti da ipoteca. La
ricostruzione sindacale è più politica che tecnica e si basa su alcuni punti
fermi:
- Che la vendita di Ardo a JP è stata “giudicata positivamente da tutti gli Organi della procedura di Amministrazione Straordinaria”. Errore, perchè notoriamente si può sbagliare anche all'unanimità.
- Che il giudizio positivo dei soggetti coinvolti
era legato anche “alla assoluta assenza di alternative che
rispondessero all’obiettivo di vendere gli assets Merloni”. Errore, perchè la vendita, per disposto normativo, deve essere congrua anche in assenza di acquirenti; diversamente si deve ricorre alle procedure faliemtari.
- Che la vendita a Porcarelli era l’unica opportunità per tenere agganciati 700, dei 2000 lavoratori della Antonio Merloni, a una prospettiva di lavoro. Errore, perchè l'operazione JP è incentrata sul ricorso massiccio e sistematico agli ammortizzatori sociali e non all'impiego produttivo della manodopera riassunta.
- Che ciò “risponde alle finalità dell’amministrazione
straordinaria”. Errore, perchè le finalità prevalenti dell'amministrazione straordinaria sono legate ai percorsi di risanabilità e alla continuità dell'impresa sottoposta alla procedura
In questo quadro, complessivamente
idilliaco, di cui abbiamo provato a ridimensionare i punti esclamativi, secondo i sindacati si è inserita, come un cuneo acuminato, una
variabile destabilizzante e cioè la decisione delle banche di esercitare, per vie
legali, il proprio diritto di creditori privilegiati riconosciuto dalla normativa
vigente. E per sminuire l'impatto e la fondatezza delle richieste degli istituti
di credito il documento sindacale mette nero su bianco una valutazione del presente rinforzata in negativo dal
comportamento pregresso delle banche che “quando
lavorare con Merloni è diventato rischioso perché il debito cresceva e l’
azienda lavorava in perdita, hanno pensato bene di garantirsi con le ipoteche,
mentre artigiani, fornitori e altri soggetti meno potenti continuavano a
lavorare per Merloni senza alcun tipo di garanzia.” Una
lettura che adombra un ruolo mefitico delle banche nella crisi del
gruppo Merloni, ma che è smentita dalla stessa Relazione consegnata dai Commissari Straordinari
alla Sezione Fallimentare del Tribunale Civile di Ancona. Nel Capitolo dedicato
alle "Considerazioni di Sintesi sull’evoluzione economico patrimoniale del
Gruppo" (http://www.antoniomerloni.it/doc/Relazione-GruppoAntonioMerloni.pdf
pag.65) i commissari Confortini, Montaldo e Rizzi scrivono: “Il progressivo deterioramento della situazione patrimoniale e
finanziaria, benché favorito da una condizione di pregresso elevato
indebitamento, è dunque da leggersi principalmente come una conseguenza dell’insufficiente
capacità reddituale del Gruppo. E’ anzi il caso di sottolineare a tale
proposito come la prosecuzione dell’attività, nonostante e ingenti perdite da
questa prodotte, sia stata possibile proprio grazie al sostegno finanziario di
cui il gruppo ha negli anni beneficiato, da parte sia dell’azionista che
soprattutto del ceto bancario”. Dal che si evince un elemento strutturale di consuntivo e cioè che la crisi dell’Antonio Merloni fu di natura industriale e legata alla incapacità di generare margine operativo e che la situazione non precipitò in precedenza, rispetto alla dichiarazione dello stato d'insolvenza, solo grazie al sostegno finanziario garantito dagli istituti di credito. Il che non corrisponde a quella visione del complotto banciario su cui il sindacato ritiene, accantonando ogni pulsione riformista, di costruire consenso a livello di Governo, lavoratori e opinione pubblica. Da ultimo,
per chiudere il cerchio, le organizzazioni dei metalmeccanici rimarcano la
volontà di Porcarelli di proseguire nell’attività industriale - come se un volontarismo senza pianificazione possa costituire un elemento
dirimente per orientare l'eventuale intervento del Ministero delle Attività
Produttive - e il bisogno di snellire le procedure dell’Accordo di Programma per
favorire nuovi insediamenti produttivi nelle aree interessate alla crisi della
Antonio Merloni. Di fatto, come si diceva in precedenza, quello dei sindacati si rivela per quello che è: un documento politico senza indicazioni per un intervento che deve per forza poggiare anche su basi tecniche e giuridiche. Ci
sono alcuni punti che vanno sottolineati, ancora e sempre, perché danno sostanza a
quel diritto all’informazione che è la base della tutela dei lavoratori e di un’opinione
pubblica coinvolta in veste di stakeholder, ossia di portatrice di interessi riflessi anche se non direttamente connessi alla vertenza:
- Il fondamento giuridico del ricorso delle banche e il doppio annullamento della vendita da parte del Tribunale e della Corte d’Appello che prelude a una plausibile conferma in Cassazione.
- L’inefficacia retroattiva del provvedimento parlamentare "ad fabricam" sul valore orientativo e non tassativo della perizia dio valutazione del lavore dei cespiti.
- Il deficit di informazioni quantitative relativo alle ore uomo lavorate a partire dallo start up dell’operazione JP che possa fornire una indicazione del livello di produzione raggiunto e del conseguente impiego di manodopera.
- I livelli di competitività potenziale di JP Industries (azienda di piccole dimensioni che opera a intermittenza lunga) in un settore come quello degli elettrodomestici in cui una realtà del livello di Indesit - sostanzialmente sana e appetibile oltre che titolare di una significativa quota di mercato – per restare sul mercato deve attuare un importante piano di ristrutturazione e procedere a una partnership capace di garantire una massa critica sufficiente per non essere marginalizzata.
- L’inapplicabilità di fatto dell’Accordo di Programma che non dipende dalle procedure di accesso ai finanziamenti ma dal fatto che gli imprenditori investono se intravedono una prospettiva a lungo termine di remunerazione del capitale investito e non certo perché assumendo un cassintegrato Ardo si può usufruire di qualche vantaggio fiscale e contributivo.
Si tratta di questioni che il sindacato
si ostina a non considerare ma che costituiscono il vero vincolo ideologico e strutturale rispetto all’assunzione di
decisioni necessarie, realistiche e lungimiranti. Ora, sbagliare in buona fede è sicuramente
meno grave che sbagliare in malafede, ma purtroppo non sono le intenzioni a cambiare la
natura e l’entità del danno prodotto.
Bella analisi , completa ed esaustiva, dove giunti in fondo al lungo testo si evince una cosa soltanto,cioè , che se i sindacati si limitassero a fare i sindacati, quindi a tutelare la produttività di un'area invece che cercare a tutti i costi di mantenere il livello occupazionale di un'azienda , invece di fare costantemente azione politica , la vertenza Antonio Merloni dalle sue origini avrebbe potuto prendere una piega ben diversa , se invece di rincorrere solo gli interessi del proprietario, invece che inseguire sempre e solo la volontà di non contraddire il "Padrone" , si sarebbe e si sarebbe dovuto , mettere immediatamente in stato di fallimento al A.Merloni, un'azienda in crisi , certamente , ma appetibile sui mercati in quanto a potere produttivo, in questo modo probabilmente si sarebbe trovato subito uno o più compratori, si perchè mica sarebbe stata una bestemmia vendere i vari poli a più imprenditori!! permettendo così magari di diversificare un pochino le produzioni comprensoriali e magari così facendo fare sentire un pochino meno la crisi generale del territorio, certamente non si sarebbe potuto garantire la totale riassunzione di tutti i dipendenti, ma a conti fatto probabilmente dei 3200 forse sarebbero rimasti fuori meno di 1000 lavoratori che con il tourn over pensionistico sarebbero potuti essere riassorbiti dal tessuto industriale in pochi anni. forse questo mio post è un intervento di fantascienza industriale, ma sta di fatto che da quando i sindacati hanno smesso di essere un sindacato e si sono trasformati in braccio armato politico , gli sfaceli industriali in Italia si sono moltiplicati.Muratori Davide
RispondiEliminaMi ricordo il Pd quando si straccio' le vesti davanti al salvataggio di Alitalia che invece doveva fallire. Invece davanti alla Ardo erge mura ( con i soldi di tutti, tranne i loro). Mi spiegate la differenza?
Eliminaapri un blog Muratori accidenti che commenti lunghi
Eliminache sonno che mi fai venire muratori.....
EliminaPiate un caffè allora con la cicoria così risparmi somarone.
EliminaSimonetti con questo pezzo credo che non hai più nulla da aggiungere a questo tema che hai trattato senza mollare mai
RispondiEliminaCome si dice e adesso mettici una pezza. Non c'è nulla da aggiungere.
RispondiEliminaQuando la polemica e' a questi livelli c'e' solo da imparare
RispondiEliminache ci perso un pò de sordi Simonè coll'Antuan Merlon?
RispondiEliminaDe sordi ce li abbiamo persi tutti, tranne chi ci fatica (fatica parola grossa, dato che c'è chi si è dimenticato come si fa)
EliminaL'imbecille che si contraddistingue non manca mai!!
Eliminaimbecille ce si te faccia da cazzo
EliminaNo no l'imbecille sei proprio tu, son d'accordo con il primo anonimo.
Elimina
RispondiEliminaINCONTRO FABARIANO - NOCERA UMBRA SULLA VICENDA J.P. INDUSTRIES
Il Sindaco di Fabriano Giancarlo Sagramola ed il Sindaco di Nocera Umbra Giovanni Bontempi si sono incontrati per valutare insieme la situazione della J.P. alla luce dell’incontro dello scorso lunedì con il Ministro del lavoro Giuliano Poletti.
Il Ministro Poletti, nel confronto con le parti sociali tenutosi a Fabriano al quale ha partecipato anche il Sindaco Sagramola, ha rimarcato che la via dell’ intesa con le Banche ed i Commissari è l’unica possibilità di salvezza dell’impresa di elettrodomestici guidata da Giovanni Porcarelli.
“E’ un percorso ad ostacoli, ma stiamo facendo di tutto per salvare l’azienda e tutelare i 700 lavoratori” ha dichiarato il Ministro dopo l’incontro.
I Sindaci Sagramola e Bontempi nel rinnovare con forza la richiesta di procedere alla definizione di un accordo in modo da risolvere la questione prima del pronunciamento della Cassazione previsto non prima del 2015, chiedono al Ministro Poletti di ridurre i tempi al fine di arrivare prima possibile ad un’ intesa che consenta una ripresa a pieno ritmo dell’attività produttiva della J.P. Industries .
Fabriano e Nocera rimarcano la centralità della meccanica per il futuro del loro territorio in grande trasformazione.
Antuan tocca che paghi anche Poletti te l'ha detto
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