La scorsa settimana, a Fabriano,
si è tenuto il Forum Unesco delle città creative. Me ne sono tenuto a debita
distanza sia fisicamente che in termini di coinvolgimento intellettuale ed
emotivo. Non certo per snobismo – sentimento che alligna tra chi critica ma poi
adora presenziare -, ma per intimo e convinto dissenso rispetto alla bugia in
abito da sera della Fabriano città creativa. Un concetto che ho criticato in lungo e in
largo perché scava un fossato profondo tra le parole e le cose. Quella che
abbiamo, infatti, davanti non è una città creativa ma una comunità allo sbando,
dove alle strutture di produzione subentra l’archeologia industriale e la
disoccupazione tocca livelli di prossimità col sottosviluppo. Un contesto
socioeconomico dove è difficile immaginare la traccia di percorsi creativi, perché
la cultura del sussidio pubblico e degli ammortizzatori sociali lunghi è quanto
di più estraneo alla tensione, alla curiosità e alla ricerca che generano idee
nuove e le trasformano in qualcosa in cui credere e su cui investire. Di fatto
il Forum Unesco non è stato altro che una rivisitazione breve di Poiesis, la
provvidenza tardiva e in do minore di una dinastia merloniana senza più
connessione materiale e sentimentale con la città. Fabriano ha reagito da par
suo: godendosi il pieno di due giorni diversi dal solito, lasciandosi rapire dalle
parole d’intelletti originali e brillanti, da un po’ di musica di nicchia e dalle
note di successo del figlio di un grande cantautore. Con lo sguardo compiaciuto
dei poveri cristi di campagna che accolgono chi “arriva da fuori” col vestito della
festa e una congenita e subalterna ammirazione. Eppure siamo una comunità che è
diventata marchio, rinomata ovunque per la sua carta che è la ragione - forse
non vera ma di certo presunta - del riconoscimento
Unesco alla creatività pedemontana. E
allora immagini il forestiero curioso che giunge in città, incuriosito dagli
onori internazionali e pensa di rintracciarne a prima vista l’anima di
cellulosa, l’odore delle patine e il sentiero identitario delle filigrane. E invece non trova quel che si aspetta, perché
Fabriano è sicuramente la città della Carta ma girando per le sue vie e il suo
centro storico non te ne accorgi e non ritrovi carta in ogni dove, come giusto
e ossessivo richiamo a una vocazione orgogliosa e originaria. Fabriano è la
città della carta ma non lo sa, e se lo sa se ne fotte perché sono altre le
magie produttive che l’hanno cresciuta, sedotta e poi abbandonata. Il gruppo Fedrigoni
– meritevole a prescindere per aver salvato la Cartiera Miliani dall’appuntamento
con l’abisso prodotto, nella seconda metà degli anni ’90, da una gestione pubblica
inefficiente e demenziale – ha creato un marchio. Si chiama Fabriano Boutique e incarna l’idea di
una carta che cessa di essere materiale di consumo e recupera lo standing
altissimo della nobilità e della bellezza legata alla manifattura. Un’operazione
di marketing che riguarda le libere scelte di un’azienda privata ma chiama in
causa anche una intera città, perché quel nome contiene una storia collettiva di
persone, di relazioni e di cultura prima che un’abilità produttiva da mettere a
profitto con lungimiranza, legittimità e intelligenza. Eppure il forestiero che
giungesse in città convinto di trovare una boutique della carta dovrebbe subito fare i conti
con un’amara delusione perché incontrerebbe solo qualche volenteroso venditore di
filigrane e di fogli XIII secolo, mescolati a libri freschi di stampa e a testi
di ricette e cocktail analcolici. Fabriano
Boutique onora il nome della città e il business di Fedrigoni ad Atene,
Berlino, Londra, Firenze. Fino alla lontanissima Cina, passando per la Beirut
dei cedri e delle dorate latitanze. Ma a Fabriano no, perché i proprietari
della Cartiera Miliani hanno compreso due cose che i concittadini ben sanno ma
si guardano dal dire a voce alta e cioè che Fabriano, nonostante il viatico dell’Unesco,
non è la città della carta e non è luogo di approdo turistico. A riprova di
quella che viene definita l’intelligenza del capitale. Quel che si comprende a
fatica è invece il silenzio delle istituzioni e di chi governa la città perché
immagino fosse possibile trattare col gruppo Fedrigoni su una partnership
pubblico/privato finalizzata a garantire in città un punto vendita di Fabriano Boutique. Così, giusto per dire
che, alla fine, tutto è partito da qui. Invece i rappresentanti istituzionali
delle città creativa e dell’arte cartaria tacciono, come tacquero quando
qualcuno pose il problema delle condizioni d’uso del nome Fabriano come marchio
di fabbrica. Una storia che non è stata mai chiarita fino in fondo e che resta
sospesa in aria come una bolla di sapone soffiata dall’Unesco.
27 giugno 2014
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GRANDE..................giampy..........
RispondiEliminaineccepibile
RispondiEliminaEh gia'....anche oggi facciamo le solite due domande.
RispondiEliminaBravissimo ...Bel post!
Città della carta....da culo
RispondiEliminaSottoscrivo
Eliminapreciso e puntuale come quasi sempre ;-) Marcello Martini (ho il vizio di firmarmi)
RispondiEliminaPianto e rassegnazione....
RispondiEliminavedere tranquillamente in giro gente che ha distrutto questa città mi fa salire una rabbia.....
A me fa salire ribrezzo a pensare che hanno ridotto alla fame una città e il paradosso é che continuano ancora a votarli, c è da complimentarsi con chi continua a svende la nostra città lasciandola in mano a chi la sta buttando via nella spazzatura vergogna
Eliminahttp://s11.postimg.org/bayhocoqr/lacittaideale.jpg
RispondiEliminaah ecco cos'erano quelle strane luci sul san vicino a inizio mese, lU FOrum unesco in avvicinamento!
RispondiEliminaCiao Gian Pietro,
RispondiEliminaho sempre ammirato la tua scrittura, la tua cultura, la tua onestà intellettuale. Cosa dire, cosa dirti: dovresti essere più indulgente. Come sai, sono tornata a Fabriano due anni fa dopo una lunga assenza. Ho trovato una città intorpidita, depressa, impaurita, in attesa del solito “babbo” che arriva da chissà dove e con una pacca sulla spalla risolve tutto. Mi sono guardata un po’ intorno, ho cercato di capire cosa potevo fare. Ben poco in effetti. Soprattutto contro una mentalità così radicata. Ma sono una romantica, appassionata e tenace. Non ho dato ascolto alle tante vocine che a seconda dei casi diventavano dei veri cori polifonici. Sul mio cammino tortuoso ho incontrato Francesca Merloni e il suo gruppo di lavoro. Mi sono proposta come ufficio stampa e ho iniziato a lavorare di buzzo buono. Quando è arrivata la nomina di “città creativa” è stata una grande gioia. Il percorso che ha portato al riconoscimento, come ben sai, è iniziato con Poiesis e con quel bacio di Rodin. L’UNESCO venne in incognito e vide una città avvolta, contaminata, stretta in un unico abbraccio o bacio decidi tu. Si iniziò a lavorare alla nomina. Io non ero ancora tornata a Fabriano ma seguivo “da lontano” le vicende di questa città che ho sempre portato nel cuore. Non entro nel merito del tuo scritto. Dico soltanto che si dovrà molto lavorare per ricostruire un tessuto sociale ed economico distrutto e su questo sono totalmente d’accordo con te. Dico anche che bisogna avere il coraggio di osare, dissentire, urlare, appassionarsi. Per me il Forum e la sua celebrazione non è “una bugia in abito da sera” ma un’opportunità che mi auguro davvero la città saprà cogliere accanto alle sue forze migliori e tu sei tra queste. Cristina Gregori
Il problema è che Fabriano non è una città creativa. Al massimo sappiamo creare nuova disoccupazione. Si va avanti ad ammortizzatori sociali, il terziario non è mai esistito, non c'è mai stato neanche un pluralismo culturale. Qui non si può non essere nichilisti. Ti ringrazio per la stima che riponi nei miei confronti ma non sono tra le forze migliori. Sono solo un fotografo che usa la penna invece che il click
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