29 agosto 2014

La random dei fabrianesi e il Re Taumaturgo




Sicuramente sbagliava Berlusconi a sostenere che l’evoluzione mentale degli italiani corrisponde mediamente a quella di un bambino. Per esibire un briciolo di ragione il buon Silvio avrebbe dovuto circoscrivere il campo visivo alla sola Fabriano, luogo che eccelle per l’inenarrabile vocazione a credere che il diavolo è morto dal freddo, specie quando a incaricarsi della narrazione è un politico o un qualche potente da cui è possibile lucrare incarichi e prebende. Si tratta di una tendenza innata e radicata che cresce e si moltiplica anno dopo anno e generazione dopo generazione. Il fondamento logico di questa “permeabilità alla propaganda” è la cosiddetta memoria random dei fabrianesi, la celeberrima RAM del personal computer: memoria volatile e di transito che non archivia e non sedimenta, ma funge soltanto da appoggio momentaneo. Questo tipo di memoria non produce memorie, non sedimenta storia e aiuta un oblio replicato ogni giorno e tutti i giorni. Solo così è possibile spiegare un fenomeno altrimenti incomprensibile e cioè la tendenza a perseverare in alcune credenze ampiamente smentite dai fatti e dal buonsenso. Di questa poderosa incapacità di storicizzazione resta, come pietra miliare, la lunghissima e farlocchissima saga dell’acquisto della Ardo da parte dei cinesi, ma si potrebbe continuare a lungo e con molti altri aneddoti in grado di dare conferma empirica al primato di una RAM che egemonizza la fabrianesità senza alimentare trasferimento e archiviazione di dati e informazioni nell’hard disk collettivo. Ovviamente questa vocazione viene alimentata e stimolata dai comportamenti del potere e dall’azione complice dell’informazione locale. Ieri, tanto per andar giù di aneddoti, tutte le locandine sparavano una “non notizia” e cioè che Spacca avrebbe incontrato a breve i vertici di Whirlpool. Una locandina a caratteri cubitali colpisce l’occhio e la concisione del messaggio arriva diretta alla mente, la condiziona e la orienta. Il chiarissimo non detto emergeva con brutalità quasi tridimensionale: convincere in modo subliminale il fabrianese che questo incontro non è il semplice gesto di cortesia di una multinazionale nei confronti delle istituzioni locali del territorio in cui si è insediata, ma la prova e il sintomo della capacità di Spacca di influenzare gli americani, di essere interlocutore di una trattativa inesistente sulle strategie e sul Piano Industriale, ma comunque utile per rafforzare il proprio ruolo simbolico agli occhi del cittadino elettore. La RAM, da questo punto di vista, aiuta l’operazione perchè se tra un mese l’incontro tra Spacca e Whirlpool si risolverà in un puro e semplice scambio di cortesie nessuno ricorderà più l'annuncio apologetico di qualche settimana prima, a corollario della capacità taumaturgica del Governatore, quasi trasfigurato a Re Capetingio. Ragion per cui, anche di fronte all’annuncio di un eventuale secondo round autunnale di confronto, i fabrianesi saranno diligentissimi e pronti nel fare “ohhh” - come i bambini della canzone di Povia - in quanto la RAM impedisce di fare tesoro delle esperienze del passato, costringendo tutti a ricominciare da capo ogni giorno come se fosse il primo giorno. A Fabriano questo propagandismo che fa leva sull’infantilismo diventerà sempre più forte nelle prossime settimane e nei prossimi mesi per un motivo semplicissimo e cioè che Spacca traballa coi lupi. Dalle pagine regionali del Messaggero apprendiamo che potrebbe essere la senatrice pesarese Camilla Fabbri la candidata del partito renziano alla carica di Governatore delle Marche. Magari è solo una boutade di fine stagione ma di certo sintomatica di un clima politico, ossia della volontà dei democratici pesaresi di chiudere l’era del Gianmario al comando. Che per resistere al rischio di essere fatto fuori trasformerà Fabriano in una trincea politica ed elettorale, in una Repubblica di Salò destinata ad andare sui coglioni a ogni campanile delle Marche. E ancora una volta i fabrianesi saranno cornuti e mazziati. Ma forse ci meritiamo tutto e di tutto.
    

28 agosto 2014

Sagramola in Provincia? Dio ce ne scampi e liberi




Invece di abolire le province, sbianchettando enti inutili che sono serviti solo a rendere mostruosa e onnivora la spesa pubblica, si è deciso di rimescolare gattopardescamente le carte, cassando il processo elettivo e facendo della Presidenza e del Consiglio Provinciale organi nominati direttamente dalla classe politica dei comuni coinvolti. Il Presidente della Provincia diventerà, quindi, una sorta di Sindaco dei Sindaci, un primus inter pares chiamato  a presiedere una Duma espressione non della sovranità popolare ma dei diritti di un’aristocrazia politica sempre più zarista che cerca, come l’oro, tutto ciò che le garantisce inamovibilità e lontananza dalle centrali democratiche e di produzione del consenso. Considerato il colore politico delle amministrazioni dei municipi della provincia di Ancona, la privatizzazione legalizzata delle cariche pubbliche ha già prodotto un effetto e cioè la certezza che la prima presidenza dell’ente “riformato” spetterà al Partito Democratico, pare nella persona di Giancarlone Nostro Gagliardo e Tosto. Se così fosse verrebbe risolta, d’incanto, la vibrante diatriba tra Sagramola e Sorci, che sta tenendo banco in questi giorni sul caso di Via Bellocchi, con l’ex Sindaco di Fabriano libero di candidarsi a Palazzo Raffaello senza dover fare i conti con la concorrenza interna del primo cittadino in carica. Ma, come scrivevo giusto qualche giorno fa, gli interessi del Pd sono in conflitto permanente con gli interessi dei cittadini. I fabrianesi, infatti, avrebbero meno da perdere da un Sagramola in Regione piuttosto che in Provincia per ragioni di natura politica e amministrativa. In quanto Sindaco in carica Sagramola risulterebbe incompatibile ma non ineleggibile alla carica di Consigliere Regionale, ossia potrebbe candidarsi e qualora eletto dovrebbe scegliere tra la funzione di consigliere regionale e quella di primo cittadino. Considerati i privilegi e la ribalta politica, Giancarlone sceglierebbe ad occhi chiusi Palazzo Raffaello, con la postilla delle inevitabili dimissione da Sindaco. In questo modo i fabrianesi si libererebbero della peggiore Giunta Comunale dal dopoguerra ad oggi e avrebbero la possibilità di scegliere un nuovo Sindaco evitando, se possibile, di regalare la carica di primo cittadino all’ennesimo amministratore di condominio innamorato della fascia tricolore. L’accordo politico interno al Pd, per portare Sagramola al vertice della nuova Provincia, sarebbe invece il massimo della sventura per la città perché Giancarlone resterebbe bello e bullo Palazzo Chiavelli, con un incarico per forza di cose indebolito dall'impegno anconetano. Di fatto non riuscirebbe a fare né il Sindaco di Fabriano né il Presidente della Provincia. Ora, su questo versante a confrontarsi ci sono due scuole di pensiero: da un lato chi plaude all’ipotesi perché ritiene che sbarcandolo ad Ancona farebbe su Fabriano meno danni di quelli che ha combinato fino ad ora (della serie chi non fa non falla); dall’altro la linea di chi teme che un Sindaco costretto a interessarsi di un territorio complesso come quello provinciale, dovrebbe inevitabilmente delegare quote di potere decisionale, se non di indirizzo, al Vicesindaco Tini che, nel tempo che resta per la fine del mandato, trasformerebbe Fabriano in una dépendance della sezione Udc e in una frazione del Comune di San Donato. Insomma, se proprio non riusciamo a farlo dimettere per giusta causa politica e sociale spediamo pure Sagramolone in Regione. Ma dio ce ne scampi dall’ipotesi Provincia. Insomma promuovere per rimuovere. Antica e sempiterna saggezza della politica e del potere.
    

27 agosto 2014

Spacca - Indesit: VentiVenti o TwentyTwenty?




Non ho visto la comparsata televisiva di ieri sera del concittadino Governatore, perché ”la nottola di Minerva spicca il volo sul far del crepuscolo” e suggerisce di non attardarsi innanzi ai prodromi propagandistici delle prossime elezioni regionali. Ma da quel che ho potuto sbirciare in rete, pare che il GOV abbia rivendicato una sorta di tenuta economica in controtendenza della nostra Regione – non confermata da nessun indicatore – rimarcando il peso e il sostegno degli investimenti esteri nell'operazione "tenere botta". In pratica l’abile Gianmario, dopo essere stato scavalcato dall’acquisizione americana del gruppo Indesit, si è intestato l’operazione Whirlpool perché a parte il gruppo Ferretti, transitato in mano cinese, non si vede un gran giro di capitali internazionali nella nostra regione al plurale. Tra l’altro non va dimenticato che nel mese di marzo del 2014 Spacca entrò con passo d'elefante nelle manovre Indesit, siglando un memorandum con i cinesi della Haier, per lungo tempo conteggiati tra i pretendenti della multinazionale fabrianese, e sarebbe interessante capire che fine farà quell’accordo ora che il bianco marchigiano è saldamente in mano americana. Il 3 marzo in un’intervista all’Unità (http://www.partitodemocratico.it/doc/265752/spacca-ho-fatto-lintesa-coi-cinesi-per-sostenere-lindustria.htm) Spacca affermò che “che il protocollo con Haier ha risvegliato l'attenzione di Whirpool ed Electrolux, perché questo fa del nostro distretto un territorio interessante su cui investire e sviluppare prototipi nel settore del "bianco". Una bufala di dimensioni epocali perchè, notoriamente, le grandi multinazionali acquisiscono marchi e mercati e non certo i territori in cui si trovano uffici e stabilimenti, a meno che non si tratti di zone franche di produzione, generalmente ubicate in paesi vantaggiosi in termini di costo del lavoro, flessibilità delle norme ambientali e dei requisiti di salute e sicurezza sul lavoro. E non è un caso, da questo punto di vista, che il GOV, sui giornali del 12 luglio scorso, si dichiarò sorpreso di fronte alla vendita di Indesit a Whirlpool, nonostante l’incontro – evidentemente del tutto interlocutorio – da lui avuto il 23 di aprile con Marc Bitzer, CEO di Whirlpool per il Nord America e l’Europa; una sorpresa confermata anche dallo spottone naif e presenzialista realizzato in compagnia di Milani e Poletti - per battere il tamburo sugli 83 milioni di investimenti previsti da Indesit - che spinse il GOV ad esporsi proprio quando la trattativa con gli americani stava per giungere alle battute conclusive e suggeriva prudenza e low profile. E conoscendo l'abilità del GOV questa scivolata non poteva che essere sintomo di estraneità rispetto processi in atto, perchè, in caso contrario, l'allievo di Moro avrebbe brillato per le sue rinomate doti di salamandra. E’ quindi sinceramente difficile individuare un qualche ruolo centrale di Spacca nell’operazione Whirlpool, ma l’imminenza delle elezioni regionali spiega questa sovraesposizione anticipata e bulimica, necessaria per dare una spinta al ricandidato e al suo disegno VentiVenti. Nel frattempo, mentre i sindacati vanno in tv a esprimere ansia e preoccupazione per l’arrivo degli americani - visti ancora con la fisiognomica di un John Wayne e senza un cenno autocritico sulla fiducia e il sostegno dispensato negli anni al capitalismo familiare e fuggiasco – Whirlpool affida a una società esterna (notizia riportata oggi dal Corriere della sera) la realizzazione di un’operazione meritocratica su 250 manager di Whirlpool Europa e Indesit per individuare, tra di loro, la figure migliori da destinare ai ruoli strategici previsti dalla nuova struttura di governance generata dall’integrazione tra i due gruppi. C’è stato un tempo in cui certe selezioni di ruolo, nelle grandi imprese di Fabriano, avvenivano su basi vicinali, parentali, amicali, di cordata e di leccaculismo diffuso. Ora, gli americani saranno pure stronzi e delocalizzatori ma non sopportano le categorie protette e le corsie preferenziali. Ma su questa nota di merito, ovviamente, Spacca e i suoi irriducibili alleati sindacali non si espongono: perchè VentiVenti da queste parti tira di più di TwentyTwenty.
    

26 agosto 2014

Accordo di Programma: rimodulare faccia, culo e cervello





Quando qualcuno mi domanda per quale motivo dedico tempo a un blog ricorro a una spiegazione di tipo narrativo: scrivo perché mi piace scrivere, raccontare, offrire un punto di vista diverso e, e se possibile, originale. Ma c’è anche un’altra ragione e cioè che adoro rivelare e denudare le cazzate del potere politico, le piccole e grandi menzogne con le quali ammanta la sua notoria e miserabile volontà di durare a scapito dei cittadini e della democrazia. Di pinocchiate, sempre poco innocenti, abbiamo fornito esempi, scampoli e modelli di ogni genere e non c’è mai giorno di pausa perché il potere funziona come un processo a ciclo continuo, una catena di montaggio che non smette mai di spargere i suoi liquami. Oggi, visto che è di colpo tornato in voga, parliamo di uno dei grandi pilastri della menzogna d’entroterra, una minchiata quinquennale sopravvissuta solo grazie alla credulità invertebrata dei fabrianesi: l’Accordo di Programma. Chi ha seguito con piglio e costanza la questione Ardo ricorderà che la genesi dell’Accordo di Programma fu tutta politica e risale al marzo 2010 quando l’allora Ministro delle Attività Produttive Scajola, a dieci giorni dalle elezioni regionali, appose la firma sul documento, consentendo a Spacca di mettere in sicurezza il secondo mandato da Governatore. In realtà quel documento era una scatola vuota, uno strumento general generico di sostegno ipotetico al rilancio produttivo delle aree colpite dalla crisi della Antonio Merloni; un accordo di cui erano evidenti le finalità extraproduttive, l’enfasi bizantina delle parole e la funzione di calmiere politico ed elettorale. Ma nonostante i limiti congeniti di concetto e di impostazione la prima versione dell’Accordo di Programma ottenne il plauso conformista delle parti sociali, e in modo particolare dei sindacati che garantirono una preziosa copertura sociale alla rielezione dell’ottimo Gianmario. Ma come sempre accade passata la festa gabbato lo santo. E infatti dell’Accordo si Programma si persero letteralmente le tracce, al punto che nel mese di ottobre del 2012 Marche, Umbria e Governo furono costrette a una revisione, attivando quella che fu definita – con linguaggio politically correct - la rimodulazione dell’Accordo di Programma, accompagnata da resoconti giornalistici patinati e tutti tesi a narrarne in positivo le potenzialità, l'impatto e le prospettiva. L'Accordo stanziava 35 milioni di euro, finalizzati interventi di rilancio e reindustrializzazione delle aree colpite dalla crisi della Antonio Merloni, ripartiti al 50% tra Marche ed Umbria. Ma come sempre accade quando c'è di mezzo la spesa pubblica, le risorse vengono pensate e destinate affinché si disperdano in mille rivoli e rigagnoli: furono, infatti, 56 i comuni marchigiani e 24 quelli umbri individuati come beneficiari potenziali degli interventi previsti dall'Accordo di Programma. Una dilatazione abnorme della platea, totalmente estranea al vero epicentro della crisi, territorialmente delimitata dalla dorsale appenninica e dai comuni di Fabriano, Nocera Umbra, Gualdo Tadino e limitrofi. L'Accordo di Programma, inoltre, avrebbe dovuto funzionare attraverso misure che facevano riferimento alla legge n.181/89, potenziata per attrarre investimenti e creare occupazione. Si passava, infatti, da un sostegno ai progetti dal 50% al 75%, ma a condizione che venisse assunta una quota minima di lavoratori ex Ardo accompagnata anche da un bonus di 5.000 euro per ogni lavoratore riassunto: un contributo a fondo perduto del 20%, un mutuo agevolato del 50%, una partecipazione al capitale del 5%. Già due anni fa, in totale solitudine, evidenziammo i limiti dell’Accordo di Programma rimodulato, la sua elefantiasi burocratica che impediva di utilizzare le risorse per garantire sopravvivenza e competitività a piccole e medie imprese ancora presenti e attive sui mercati, l’immobilizzazione di risorse ed energie materiali. Ma più di ogni altra cosa l’Accordo difettava di una consapevolezza di base legata a un cardine delle dinamiche imprenditoriali e di mercato e cioè che un imprenditore assume solo se ha bisogno di assumere e quando lo fa sceglie sulla base di requisiti di utilità e non certo perché lo Stato gli regala un bonus per reinserire un cassintegrato, tra l’altro con le competenze bruciate dagli ammortizzatori sociali lunghi. Chi si fosse preso la briga di giudicare le scelte compiute nella loro nuda e cruda concretezza - piuttosto che farsi rintronare l'occhio da fumisterie ammantate di assi, misure, interventi e normative - avrebbe immediatamente compreso che le risorse dell’Accordo sarebbero rimaste congelate. Oggi, i cantori di due anni fa, rilevano i limiti dell’Accordo e i suoi vincoli burocratici. E chiedono l’ennesima rimodulazione. Ma rimodulare faccia, culo e cervello no?!
    

25 agosto 2014

Kramer contro Kramer: quel che duole al Pd fa bene a Fabriano





Mentre Pino P. asciuga i panni bagnati dal gavettone SLA e ripone il secchio nel ripostiglio, la blanda scena politica agostana viene nuovamente strattonata dal Sindaco Emerito Roberto Sorci che, dopo l’esposto alla Corte dei Conti per danno erariale sulla questione Veneto Banca e Tesoreria Comunale, ha pensato bene di smuovere Sagramolone Nostro dall’appisolo estivo, con un toc toc sui lavori in Via Bellocchi, proditoriamente defalcati dal Piano Triennale delle Opere. Una mossa tutta politica quello del Barbuto Redivivo che ha completato l’affondo conficcando nella schiena del Sindaco parole aguzze e infette, un vero e proprio dardeggio da antitetanica: “Ho l’impressione che questa Amministrazione impegni più tempo a cercare di smentire quello che è stato fatto in precedenza che a svolgere la propria attività”. Di fatto Roberto il Guiscardo accusa Sagramola di non fare un cazzo, limitandosi a concepire l'amministrazione come puro e semplice diroccamento delle ultime vestigia sorciane. Si tratta di un j'accuse pesantissimo e per questo focalizzare l’attenzione su Via Bellocchi non restituisce l'essenza del conflitto, così come sarebbe puro errore valutare lo contro tra Sorci e Sagramola come fosse un gioco di ripicche, un Kramer contro Kramer estremizzato dalla prevalenza dei personalismi. La vera posta in gioco sono, infatti, le elezioni regionali dell’anno prossimo: Sorci ci punta di brutto, anche se non scopre le carte manco sotto minaccia; e ci sta facendo un pensierino anche Giancarlone, perché Palazzo Raffaello lo libererebbe dalla tortura delle critiche e dal peso di una dialettica quotidiana che hanno trasformato il suo mandato di primo cittadino in una continuo cimento di ispirazione veterotestamentaria. In questi desideri politici che si sovrappongono ed entrano oggettivamente in attrito, c’è da considerare un aspetto tecnico che diventa subito politico e cioè che il sistema elettorale delle regionali prevede le preferenze ed è basato su collegi a base provinciale. Dal versante delle preferenze potrebbe trarre vantaggio Sorci che è in grado di fare romanella tra gli elettori fabrianesi del PD con i quali ha consolidato, nel corso degli anni, ininterrotte e costanti relazioni personali. Il collegio a base provinciale darebbe invece a Sagramola un vantaggio di popolarità, perchè Giancarlone è stato per lungo tempo Vicepresidente della Provincia di Ancona, carica politicamente smunta ma ricca di occasioni relazionali in quanto legata all’istituzionalità degli eventi, delle inaugurazioni e dei tagli di nastro; prerogative che consentivano ai politici coinvolti di farsi conoscere e di frequentare ogni borgo del territorio provinciale, compresi i più sperduti, dimenticati e remoti. Si profila, quindi, uno scontro sostanzialmente equilibrato tra i due possibili candidati con una certezza che appartiene al novero delle teorie accademiche e cioè che tanto maggiore sarà l’equilibrio tra i contendenti tanto più elevato sarà il livello di distruzione potenziale che la battaglia politica potrà generare nel Pd, partito a cui appartengono sia Sorci che Sagramola. I comunisti di una volta avrebbero detto che ci sono tutte le condizioni per far esplodere le contraddizioni del nemico. Oggi, più modestamente e prosaicamente, ci limitiamo a pensare che tutto ciò che fa male al PD fa bene a Fabriano e ai fabrianesi. Come lo pensavamo a suo tempo della Democrazia Cristiana, la grande madre che Darwin avrebbe definito “l’origine della specie” del Partito Democratico.

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