La prima volta che ho visto in azione Urbano Urbani correva l'anno 2007. Erano passati pochi giorni dal primo turno delle comunali. Carmenati era avanti di un'incollatura su un Sorci ammaccato dal voto ma sempre tignoso come un mulo. Fatti due conti Budino aveva raschiato completamente il barile e già erano in corso i tradimenti dei forchettoni bianchi. Sulla vittoria di Carmenati non avrebbe scommesso nessuno, manco un drogato di videopoker con le pezze al culo per debiti di gioco. Nessuno tranne uno: Urbano Urbani. Me lo ricordo nella sede dell'UDC a Santa Maria in una sera di primavera. Sette o otto giorni prima del ballottaggio. Seduto a un tavolo, con un grande foglio ricamato di righe e spazi, a dare ordini tassativi come un generale tedesco nel bunker di Berlino. E intorno le occhiate smarrite della vecchia guardia politica, a metà tra l'appenato e l'inorridito di fronte a tanto volontarismo da ultimo arrivato ma da primo della classe. Non lo avevo mai visto prima e mi venne spontanea una domanda: "ma chi cazzo è sto fenomeno"? Ma subito mi resi conto che quel parvenu non sarebbe sparito nel gran tonfo carmenatesco. Non per capacità politiche, tuttora ignote anche agli osservatori più indulgenti, ma perchè divorato da un narcisismo che, se avesse un filo di tette, lo spingerebbe anche a fare l'annunciatrice televisiva (Enzo Biagi docet). Nell'autunno 2007 gli dedicai un articolo sull'Azione, chiamandolo Papa Urbano, per via del cambio repentino di rotta che lo stava trasformando da generale prussiano in ecumenico pastore d'anime e di voti. Cambi di rotta senza cambiamento, perchè Urbani è un Arturo Brachetti che passa da un profilo all'altro, da un vestito all'altro, senza lasciare mai una scia di decisione amara, di mutazione profonda, di notte dell'Innominato che risolve dilemmi interiori. Piuttosto ti lascia dentro una persistente sensazione di matrioska, come se per conoscerne la natura più profonda fosse necessario cercare un'identità dentro l'altra, fino a giungere a un minuscolo del tutto indecifrabile e forse irrilevante. Oggi è un candidato sindaco con le scarpe chiodate, che ha ottenuto quel che desiderava, con trasporto manifestamente erotico, da cinque anni: essere il numero uno, vedersi con la fascia tricolore a prescindere dai numeri e dal voto, poter dire ho vinto perchè sono il Re Sole di Nebbiano. E vincere anche perdendo, spacciando la gran bufala della fabbrica che non si può lasciare. E se non ci fossero le favole antiche, la volpe e l'uva, qualcuno ci crederebbe pure alle panzane del Migliore. Un Migliore in maglioncino d'ordinanza, per l'ennesimo travestimento emulativo: presentarsi come il Marchionne locale, il capitano d'industria che prende per mano il volgo disperso che nome non ha e gli martella i coglioni sull'incudine di Made in Fabriano. Ma come diceva mio nonno è illusorio farla sotto la neve sperando di nascondere il misfatto, perchè prima o poi la neve si scioglie e restituisce quel che non si doveva vedere. Basta un solo istante a fare di Marchionne un Minchionne e trovare un bimbo che grida: mamma il re è nudo!
14 aprile 2012
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