Mentre tutti si preparano alla roulette elettorale - come fosse la notte di San Silvestro, con tanto di abiti nuovi, tovaglie fresche di bucato e forchette pronte a nuovi assalti – un pensiero di saluto insolente credo vada dedicato a Roberto Sorci, che dopo dieci anni molla a malincuore l’osso. E’ difficile riassumere la sua opera di amministratore locale, saltando di palo in frasca in poche righe. Sicuramente sarà rivalutato dalla comparazione con il successore. Chiunque esso sia. Personalmente ho sempre visto la politica coi toni michelangioleschi dei corpi in tensione e della fisiognomica lombrosiana. Somatizzare la politica perchè, seguendo Nietzsche, “vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza”. Sorci è stato una rappresentazione corporea della fabrianesità: tendenza amministratore di condominio che sussurra a pochi centimetri dalla narice; eternamente sorridente e socievole ma con predisposizione all’incupimento permaloso e vendicativo, che molto si addice agli egocentrici di provincia; di visione ombelicale, sostenuta da uno stock di capelli svolazzanti da genialone apparente e barba da profezia incompiuta e rimandata. Strafottente e poliedrico: scarpe gialle su grisaglia, cravatte cromaticamente spinte e contrastanti con una logorrea inceppata e carica di subordinate che si mangiano le principali, depistano l’interlocutore e lo spingono dritto dritto all’emicrania. Ci sono mille aneddoti dei Sorci verdi che ci ha fatto vedere. Prima da sgomitatore e poi da sindaco: le superbollette telefoniche per avvelenare i pozzi della politica; i presunti e mai dimostrati giri in altalena dalle parti di Via Dante, il viaggio assieme ad Antonio Merloni a Londra per recuperare una predella del Polittico di Valleromita di Gentile da Fabriano, forse confuso col polanco nostrano di Valleremita; i discorsi castristi alle commemorazioni del 25 aprile; le feste sikh col turbante arancione; l’invenzione dei cinesi che si consultavano con lui – Sor Ci Min - per decidere sulla Ardo; e le mille e mille alzate di ingegno che ne hanno scandito la presenza sulla scena politica. Lo confesso: con Sorci mi sono sempre divertito da morire. Rompergli i coglioni è stato un diletto favoloso: gli ho affibbiato decine di nomignoli, l’ho combattuto più per il gusto dannunziano dell’invettiva che non per approfondita disamina di atti e scelte, l’ho provocato per farne uscire l’indole da cattivo nascosta dal gesto ridanciano. Ma quando una persona suscita attenzione e sfottimento vuol dire che trasmette qualcosa. Se penso a Ottaviani, a Urbani o a Sagramola mi rendo conto che non hanno nulla che possa scatenarmi il dileggio, l’invettiva o l’azione dispettosa. I Sorci verdi non li vedremo più e mancano pochi giorni per la fermata dell’autobus al capolinea. Lo ammetto, mi dispiace. Ma adesso si aprono nuovi orizzonti sul futuro che forse, per una volta, ci vedranno dalla stessa parte della barricata, a coltivare qualche supercazzola prematurata di cui questa città, promessa sposa di politici incolori, avrà sicuramente bisogno. E lo scappellamento non sarà solo a destra, ma pure a sinistra e al centro.
18 aprile 2012
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