30 dicembre 2015

Comunali 2017: non tutte le ciambelle vengono col buco

L'espulsione di Serenella Fucksia dal Movimento 5 Stelle ha fatto salire il livello di confusione politica in città. In tanti, troppi, pensano giorno e notte alle comunali del 2017 e ogni cosa che accade nel globo terracqueo viene interpretata come il segno di una profezia locale, la conferma di una previsione che rimanda sempre a Palazzo Chiavelli.

Siccome la politica è una scienza quasi esatta, perchè basata sui rapporti di forza - compresa quella nevrotica e gregaria di Fabriano - può essere utile qualche considerazione, giusto per diminuire il livello di polveri sottili presenti nel cervello collettivo dei fabrianesi.

La prima considerazione riguarda la Fucksia. Che ci sia qualcuno tentato di utilizzarla per accendere un fuoco contro il Movimento 5 Stelle è comprensibile e scontato. Per nulla plausibile è che la senatrice si presti al gioco. Il suo voto, visti i numeri del Senato, le consegna un qualche potere contrattuale a Palazzo Madama che la Fucksia cercherà di mettere a frutto trattando con Renzi e non certo per candidarsi a Sindaco di un paesello del Centro Italia. Insomma Parigi val bene una messa. Fabriano no.

Un altro elemento di confusione politica è riconducibile alla cosiddetta illusione civica, ossia alla convinzione che per battere il PD e i suoi alleati, la soluzione vincente sia la formula della lista civica, capitanata da una figura di candidato estranea al circuito dei partiti.

L'illusione civica si basa su una considerazione vera e su una deduzione falsa. La considerazione vera è che i partiti non tirano; la deduzione falsa è che se i partiti non tirano, al posto loro, a tirare sono sicuramente i raggruppamenti civici.

In realtà l'elettorato detesta i partiti ma quando si vota segue marchi conosciuti sia perchè l'appeal del noto prevale su quello dell'ignoto sia perchè un marchio affermato muove il meccanismo dell'identificazione e del voto d'opinione. 

Fabriano, come è naturale che sia, non si discosta molto da questa logica. Non è un caso, in tal senso, che nel 2012 i candidati a marchio nazionale  - Sagramola del PD, Urbani del PDL e Arcioni del 5 Stelle - furono i più votati, mentre l'esperimento civico di Ottaviani, dato inizialmente a valori da ballottaggio, si concluse con un risultato nettamente inferiore alle aspettative.

In questi tre anni e mezzo lo schema a marchio nazionale ha modificato la sua natura tripolare perchè i partiti del centrodestra sono spariti dal panorama fabrianese, rimpiazzati da un progetto civico che fa capo a Urbani e che ha tagliato ogni legame con l'area politica berlusconiana. 

Di fatto gli elettori di centrodestra sono oggi atomi vaganti tentati dall'astensione ma sedotti anche dalla voglia di fare la guerra al PD utilizzando la leva del Movimento 5 Stelle. Di conseguenza la partita elettorale del 2017 finirà per essere un confronto a due: da una parte il Pd e i suoi cespugli attestati intorno al 35%; dall'altra il 5 Stelle che senza la competizione del centrodestra potrebbe fare l'aspirapolvere - arrivando tranquillamente al 30% - e sparigliare al ballottaggio.

Questo schema che somiglia a un destino può trovare ostacoli d'applicazione solo se tra i due litiganti arriva il terzo che non gode, una candidatura di disturbo indicata da ambienti che vogliono controllare la città, in grado di creare attrito nell'area del 5 Stelle e di spostare voti da far convergere al ballottaggio sul candidato del PD.

La Fucksia poteva essere l'interprete adatta di questo disegno, ma lo spazio potenziale che l'espulsione le ha aperto in Senato ne sancisce oggettivamente l'indisponibilità. Come spesso accade non tutte le ciambelle vengono col buco, ma siamo certi che dal cilindro usciranno presto altri nomi scalpitanti e pronti a immolarsi per perdere con la convinzione di vincere.

Nel frattempo Sagramola - autosospeso dal Pd ma pronto per una seconda candidatura rispetto alla quale nel partito non ha rivali - porterà all'incasso l'operazione Ostetricia, tempesta in un bicchiere divenuta opportunità politica per il Sindaco grazie allo spirito gregario dei fabrianesi che, senza saperlo e senza volerlo, hanno lavorato alacremente per lui.

Insomma, in apparenza grande è la confusione sotto il cielo ma non abbastanza per chi prova a scandagliarla a occhi aperti. Fossi grillino avrei di che godere, consapevole che l'ultimo miglio è quello in cui i pentastellati sono più deboli e autolesionisti. Ed è esattamente su questo che contano tutti gli altri.
    

26 dicembre 2015

Note sparse ma non troppo su Veneto Banca

Proviamo, per qualche istante, a spegnere le luminarie, a interrompere le libagioni della coda natalizia e ad accendere un piccolo riflettore sul caso Veneto Banca

Con il prezzo di recesso a 7,3 € stabilito per chi non aderisce alla quotazione in Borsa, i risparmiatori fabrianesi, titolari di molte azioni dell'istituto di Montebelluna, hanno subito una perdita che dovrebbe ammontare a parecchie decine di milioni di euro.

Tredici milioni di svalutazione della partecipazione sono riconducibili, con certezza, alla sola Fondazione Carifac che sul tema tace e sembra più interessata ad accreditarsi come governo non elettivo della città e commissario di fatto della Giunta Sagramola che a riflettere pubblicamente sulla situazione che si è venuta a creare.

Quando parliamo di Veneto Banca siamo, ovviamente, in un contesto molto diverso da quello che ha prodotto il salvataggio governativo delle famigerate quattro banche canaglia (Chieti, Ferrara, Banca Marche ed Etruria), ma il modo in cui Veneto Banca ha gestito le relazioni con i risparmiatori lascia sul campo un cumulo di macerie finanziarie e un patrimonio di fiducia e di reputazione che avrà bisogno di molto tempo per essere ricostruito.

Sicuramente è stato cancellato, in poche ore, il concetto di "banca del territorio", utilizzato come un ossessivo driver di comunicazione per costruire un senso di vicinanza, di appartenenza e di identificazione tra i fabrianesi e il gruppo che aveva rilevato la Carifac.

In una città abituata alle cordate familiste, alle transazioni omertose e alle "cene per farli conoscere" la crisi di Veneto Banca se da un lato aggrava le condizioni economico-finanziarie del territorio, dall'altro introduce un elemento di modernizzazione forzata che costringerà i fabrianesi ad affrontare il tema del risparmio, degli investimenti e del rapporto con le banche con più responsabilità personale e rigore e meno delega in bianco al conoscente di rango a Palazzo e all'uomo di fiducia in filiale.

Di fatto si è conclusa l'epoca del monopolio bancario della ex Carifac nel comprensorio fabrianese e la nuova Veneto Banca - che si appresta alla quotazione in Borsa - dovrà fare concretamente i conti con gli effetti prodotti dal calo di fiducia e di reputazione dell'istituto, ossia una diminuzione della raccolta e, di conseguenza, degli impieghi e dei margini

Ciò significa che si addensa nell'area fabrianese l'ennesimo rischio occupazionale, aggravato da voci di corridoio che accreditano una scelta strategica di focalizzazione operativa di Veneto Banca nell'area del nordest, con conseguente penalizzazione di quella che veniva pomposamente definita la dorsale adriatica di sviluppo del gruppo.

Si tratta di un radicale cambiamento di scenario a cui corrisponde, nel corpaccione inerte della città, una lettura comoda e rassicurante dei fatti, un'interpretazione cronachistica incentrata su un postulato secondo cui la crisi è da addebitare, in via esclusiva, al vecchio management di Veneto Banca che gestì l'acquisizione della Carifac

Sicuramente il vecchio board di Veneto Banca ha compiuto scelte spericolate, tipiche di un certo capitalismo finanziario aggressivo, basate sull'adozione di un modello strategico di crescita rapida, tramite fusioni e acquisizioni, che se ha risolto - in modo corsaro - la questione dello sviluppo dimensionale ha evidenziato effetti collaterali che hanno messo a ferro e fuoco l'istituto; effetti efficacemente definiti dal Sole 24 Ore, in un articolo apparso il 22 febbraio 2015, "danni da shopping" (Veneto Banca conta i danni dello shopping).

Leggendo la cronistoria delle acquisizioni emergono con nettezza due elementi: la rapidità quasi vorace delle operazioni e le condizioni di profonda difficoltà in cui versavano le banche acquisite, costrette dalla propria situazione a mettersi sul mercato a prezzi di saldo.

Carifac - quando decise di cercare un partner, come vengono ipocritamente definiti gli acquirenti, in situazioni di stringente necessità - aveva un disperato bisogno di trovare un compratore e quando prevale questo imperativo, il potere contrattuale del venditore si riduce e quella che viene definita "svendita" è solo l'effetto di un meccanismo di mercato che riflette i rapporti di forza dei soggetti che partecipano alla transazione.

Insomma, Carifac fu svenduta non per dolo ma perchè non poteva porre condizioni di alcun genere. Di questa situazione sono prova i risultati del 2008, quando la vecchia banca fabrianese - succube di potentati in crisi e artefice di operazioni da brivido - perse circa 16 milioni di euro, come si evince dal bilancio di quell'anno (Carifac Bilancio 2008), e fu costretta a firmare un accordo con Veneto Banca che aveva un prevedibile e inevitabile sapore di resa.

E qui si apre un altro capitolo e cioè quali ragioni e quali processi storici, politici e clientelari spinsero Carifac sull'orlo del baratro. Come ha scritto Emanuele Macaluso "dopo la Liberazione, i dirigenti della Dc capirono più degli altri che le banche erano essenziali per costruire un sistema politico-elettorale. E la Dc governò il sistema delle banche rurali, locali, delle Casse di Risparmio...”. 

E' esattamente ciò che è accaduto a Fabriano dato che la Carifac, assieme all'Ospedale, al Comune e alle industrie Merloni - fu uno dei quattro pilastri del consenso e del potere della Democrazia Cristiana nella nostra città. 

Attraverso la Cassa di Risparmio è stata costruita una ramificata parentopoli locale - fatta di assunzioni mirate e di concorsi farsa - che serviva per oliare il sistema, per stabilizzarne il consenso, per dare una prospettiva di mobilità sociale ai figli meritevoli dei coltivatori diretti e per fornire un passatempo remunerato ai figli e alle figlie di una certa borghesia stracciona. 

Lavorare in Cassa di Risparmio significava stabilizzare il proprio ruolo nella società fabrianese ed esercitare una funzione di gendarmeria del blocco sociale, di vigilanza in nome e per conto della Democrazia Cristiana: gettando un occhio sui conti dei concittadini, monitorandone croci e delizie economiche, applicando - attraverso un mormorio felpato ma pervasivo e invasivo - un controllo sociale al limite dell'apartheid, verificando le discese ardite e poi le risalite, inquadrando i meritevoli di luce e i destinati all'ombra, i degni d'invito a cena e quelli da scansare per non correre rischi di vicinanze e confidenze. 

Di fatto Carifac non ha mai smesso, neanche per un solo istante della sua storia, di essere il braccio secolare della Democrazia Cristiana. Anche quando la Dc è sparita dalla scena politica i democristiani hanno continuato a governarla, ad assediarne i consigli di amministrazione, a farne il luogo di inveramento di una loro precisa volontà: sopravvivere e comandare.

Il giochino ha funzionato fin quando ha resistito la Antonio Merloni. Con la fine della Ardo, e del suo microcosmo di ex coltivatori diretti divenuti terzisti monocliente, i nodi sono venuti improvvisamente al pettine e la Carifac è stata costretta a fare i conti con la sua storia e la sua identità di istituto governato solo di sfuggita da logiche creditizie e bancarie.

La Carifac che arriva a trattare con Veneto Banca è un istituto col fiato corto, che ha consumato la sua ragione storica ed è costretto dalle circostanze a entrare, obtorto collo, in un circuito di competizione bancaria di cui non gli appartengono né la logica né il sentimento. 

Nonostante ciò, in questa nuova dimensione di gruppo, Carifac porta un patrimonio intatto di fiducia di tanti risparmiatori fabrianesi, ereditato dai lunghi decenni del consenso bulgaro alla Democrazia Cristiana. 

Gli ultimi eventi - a partire dalla perdita di valore delle azioni di Veneto Banca - hanno prodotto una distruzione creatrice di questo residuo fiduciario, eliminando le ultime incrostazioni di democristianeria e abbattendo il nostro piccolissimo Muro di Berlino. 

Molti fabrianesi hanno perso soldi in questa giostra del risparmio tradito. Ed hanno perso anche l'innocenza. Per i soldi dispiace perchè non crescono nel campo dei miracoli. Dell'innocenza perduta assai meno perchè perderla aiuta a diventare più adulti, più liberi e consapevoli. Diciamocelo: non tutto il male viene per nuocere.
    

16 dicembre 2015

Il dramma di Fabriano tra modelli psichiatrici ed equazioni gestionali

Riprendendo il poeta francese Arthur Rimbaud potremmo dire che Fabriano sta vivendo "una stagione all'inferno". L'elemento demoniaco di questa fase è il radicale cambiamento che ha investito la nostra comunità, ma più ancora la velocità in cui esso si è manifestato e le accelerazioni che lo hanno caratterizzato.

In pochi anni una città ricca è diventata povera, un centro di grandi produzioni si è trasformato in uno scenario di dismissione e di archeologia industriale, il valore astronomico dei depositi bancari si è consumato fino a prefigurare il collasso, le protezioni politiche sono sparite e non c'è più quella monarchia costituzionale che garantiva ricchezza, stabilità e piena occupazione.

Che tutto ciò fosse nell'ordine delle cose possibili era già scritto nella maledizione del monoprodotto, ma ciò che ha scosso i fabrianesi è stata la sequenza ininterrotta e brutale dei crolli, che possiamo interpretare ricorrendo alla curva del cambiamento elaborata nel 1960 dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross; un modello che aiuta a capire i comportamenti delle persone di fronte al cambiamento, valutandone la reazione nel tempo e la tendenza a guardare al passato o al futuro.

La curva del cambiamento si basa su tre stadi. Il primo è quello di shock e negazione. In questo passaggio si subisce il colpo in maniera brutale, la capacità di reazione crolla bruscamente e si cercano disperatamente indicazioni e rassicurazioni. A dominare sono la mancanza di informazioni, la paura dell'ignoto e il timore di fare qualcosa di sbagliato. E nel caso di Fabriano fu questa la reazione che si ebbe di fronte al crollo della Ardo, che, non dimentichiamolo, è stata la madre e la sorgente di tutte le crisi.  

Alla fase immediata di shock subentra quella della negazione, in cui si rifiuta di vedere quanto sta accadendo e il cambiamento radicale in atto. Le persone si convincono che tutto andrà per il meglio e che emergeranno soluzioni capaci di riportare la situazione allo status quo ante. E se ci pensiamo è quanto è accaduto in città nella lunga stagione delle ombre cinesi e delle soluzioni persiane al caso Ardo.

La seconda fase è quella della rabbia e della depressione. In questo passaggio appare, di norma, un capro espiatorio che può prendere la forma di un'organizzazione, di un gruppo o di una persona, come è accaduto con Sagramola. Concentrare la colpa su qualcuno consente di proseguire nella negazione della verità, individuando un punto di riferimento, seppur negativo, su cui scaricare le paure e le ansie che l’impatto del cambiamento sta provocando. I sentimenti dominanti di questa fase sono il sospetto, lo scetticismo e la frustrazione.

Il punto più basso della curva giunge quando la rabbia comincia a svanire e prende corpo la consapevolezza del cambiamento che genera depressione, in quanto ciò che si è perso viene chiaramente individuato e riconosciuto. Fabriano - con la protesta per Ostetricia e la rabbia per le luminarie natalizie - è appena entrata nello stadio della rabbia ed è bene essere consapevoli che ci approssimiamo alla fase di depressione, ossia al punto più basso della curva del cambiamento. Inoltre, nella fase depressiva si tende a concentrarsi su piccoli problemi a scapito delle grandi questioni.

Seguendo il modello di Elisabeth Kübler Ross - ormai ritenuto universalmente un punto di riferimento nell'analisi degli effetti prodotti dal cambiamento - possiamo sostenere che Fabriano non è ancora giunta al suo culmine negativo ma, di certo, siamo ormai prossimi al raggiungimento del punto più critico della curva.

Il modello prevede una fase conclusiva di accettazione e integrazione in cui comincia ad emergere uno stato d'animo più ottimista e subentrano sentimenti positivi di speranza e fiducia. 

Le modalità e la tempistica di affermazione di questa fase positiva sono condizionati da un fattore, ossia dalla consistenza della resistenza al cambiamento. I guru americani Richard Beckhard e Reuben T.Harris, a questo proposito, hanno messo a punto una equazione del cambiamento, espressa dalla formula D x V x F > R: Dissatisfaction x Vision x First Steps > Resistance to Change.

Ciò significa che un cambiamento può affermarsi in termini positivi quando il prodotto del malcontento per la situazione attuale, della vision di ciò che si può fare nel futuro e i primi passi in direzione della vision è maggiore della resistenza al cambiamento. Se uno dei tre fattori è uguale a zero o vicino allo zero, anche il prodotto sarà zero o vicino allo zero e la resistenza al cambiamento risulterà prevalente. 


Nella nostra città il valore del malcontento è altissimo e quasi fuori scala; la vision del futuro è inesistente per l'assenza di un guida politica all'altezza dei problemi e di conseguenza anche i primi passi in direzione della vision risultano a valore zero. 

Ciò significa che a prevalere, tra i fabrianesi, è la resistenza al cambiamento e senza una guida all'altezza dei problemi e dotata di una vision del futuro la fase depressiva si prolungherà, compromettendo quell'accettazione speranzosa del cambiamento che è necessaria per produrre nuove idee e cambiare nel profondo il nostro tradizionale modo di essere, evidente concausa del dramma economico e sociale che viviamo.

    

10 dicembre 2015

Cosa ci aspetta nel dopo Sagramola

A iene e avvoltoi non importa che animale muoia. Gli interessa che la vittima stiri gli zoccoli rapidamente per spartirsi le carni e beccare le spoglie quando il banchetto finisce. Sagramola sta diventando come uno gnu isolato dal branco, grosso e corazzato ma circondato da chi ha cominciato a fiutare l'odore del sangue. 

E come suggeriva, con cinismo rivoluzionario, Mao Tze Tung, è invitabile che si bastoni il cane che affoga.

Di fatto il destino politico di Sagramola è una cosa che riguarda solo lui e l'eventuale sistema di convenienze politiche contingenti che è ancora in grado di aggregare attorno a sé.

Il suo modus operandi da capro espiatorio designato ha prodotto, come effetto politico di rimbalzo, una vera e propria corsa alla successione, basata sull'annullamento di ogni raziocinio e sulla gara a chi piscia più lontano ed è più munito di minzioni magiche e risolutive.

Il percorso che ci condurrà alle elezioni comunali sarà, quindi, lastricato di buonissime intenzioni e di puttanate siderali e si concluderà non con l'elezione di un nuovo Sindaco ma con l'investitura di un sedicente Re Taumaturgo, guaritore della comunità ferita e riduttore di complessità ferrigne.

In verità, che piaccia o meno, anche i successori dello Gnu Caracollante dovranno fare i conti con i vincoli del Patto di Stabilità, con i debiti fuori bilancio e con la rigidità della spesa corrente. Elementi che hanno praticamente azzerato qualsiasi margine di discrezionalità della decisione politica.

Ciò vuol dire che si sta procedendo, sempre più speditamente, verso un concetto di decisione unica e obbligata a cui un Sindaco è obbligato a conformarsi, a prescindere dalla sua volontà e dal colore politico dello schieramento che lo ha espresso.


Ciò significa che la figura del Sindaco perderà sempre più peso dal punto di vista politico a vantaggio di un profilo più tecnico e commissariale, ossia estraneo alla natura e alla dinamica dei processi politici ed elettorali.

La conseguenza naturale è che i cittadini sceglieranno tra chi spara la cazzata più grossa e avremo un Re Taumaturgo che potrà fare le stesse cose del candidato sconfitto. Con la prevedibile decadenza d'immagine di metà mandato e il solito rimpallo tra chi certifica le promesse non mantenute e chi si difende riparandosi dietro l’ombra lunga del Patto di Stabilità.
    

9 dicembre 2015

Perchè prendersela con Sagramola andrà sempre più di moda

 

Giancarlo Sagramola, dopo il colpo della sentenza Penzi, ha annunciato dimissioni che non darà. Non le darà perchè non è tipo da immolarsi per la bellezza del "gesto" e perchè sa bene che se lascia la sua carriera politica è finita e dovrà rientrare in un cono d'ombra che i politici fanno fatica ad accettare e digerire.

Eppure ha provato a simulare una reazione estrema, per uscire dall'angolo in cui si è cacciato in tre anni di solitaria ostinazione.

Il problema di Sagramola, infatti, non sono i debiti fuori bilancio, non sono i margini di manovra ridotti a zero, non è il funzionamento perverso di un ente comunale che non offre servizi e pratica la spoliazione sistematica dei sudditi. 

Il problema di Sagramola si chiama Sagramola. In tre anni è riuscito a concentrare su di sé tutti i mali della nostra comunità, a fungere da unico capro espiatorio, a rappresentare - nell'immaginario collettivo - la summa dei problemi irrisolti, di quelli risolvibili e di quelli insolubili.

Abbiamo dato al Sindaco la colpa di tutto: della crisi industriale, delle imprese che chiudono, del Natale senza luci, della città abbandonata, dei cessi che non funzionano, dei giardini pubblici abbandonati, della tristezza che ci assale e delle partorienti costrette a girare per ospedali limitrofi. 

Giancarlone meritava oggettivamente un carico di negatività così unanime e corale? A mio avviso gli si può attribuire solo una parte di responsabilità, ma è riuscito a realizzare il capolavoro di polarizzarsela addosso tutta intera.

Un capolavoro psicologico e di comunicazione, prima che politico, che ha consentito ai fabrianesi di fare quel che sanno fare meglio: rimuovere la verità, banalizzarla, semplificarla e riproporla, sminuzzata e digerita, in forme collettivamente sostenibili e commestibili.

La grande colpa di Sagramola è aver consegnato ai fabrianesi l'idea che eliminato Sagramola finiranno d'incanto pure i problemi e che per risolverli basti l'opera di un Re Mida che prometterà, senza uno straccio di denari da spendere, un Municipio sorridente, efficiente e amico.

Ci sono due situazioni - che sono politiche e sociali e non di bilancio - che hanno spinto il Sindaco ad accelerare prendendo le distanze da quella fascia tricolore che ha curato e coccolato con una passione quasi materna; due situazioni che ne radicalizzeranno il ruolo di capro espiatorio fino a renderlo gigantesco e insostenibile: la manifestazione a difesa del reparto di Ostetricia e la quotazione in Borsa di Veneto Banca.

La manifestazione rappresenterà un'occasione interessante per vagliare l'applausometro politico e misurare i decibel di consenso dedicati a figure più interessate alla candidatura a Sindaco che alle "doglie di prossimità". Ed è possibile che la contestazione a Sagramola trovi, nella manifestazione, un innesco brutale come quello che si verificò all'Oratorio della Carità nel mese di dicembre del 2013.

La quotazione in Borsa di Veneto Banca rappresenterà un altro elemento di crisi perchè oltre al prezzo di recesso (7,3 €) anche il probabile valore di listino a Piazza Affari sarà ben lungi dal valore nominale delle azioni possedute da tantissimi fabrianesi che, assieme alla Fondazione, rischiano un salasso che troverà nel Sindaco il più rapido e comodo degli alibi.
Parafrasando uno slogan grillino potremmo dire che prendersela con Sagramola andrà sempre più di moda. Ed è per questo che il Sindaco cerca di uscire dall'angolo mostrandosi vittima di un contesto su cui non può intervenire. Ma ha aspettato troppo e ha dosato malissimo il mix di scelte compiute e vincoli subiti. E forse, giunti a questo punto, neanche un dio potrà salvarlo.
    

27 novembre 2015

Ostetricia: una difesa legittima ma insostenibile

E' giusto e comprensibile che tante persone si siano mobilitate a difesa del reparto di Ostetricia dell'Ospedale di Fabriano

E' giusto e comprensibile perchè se una comunità non difende i propri servizi collettivi, specie quelli sanitari, vuol dire che ha perso ogni barlume di socialità e di appartenenza

Si tratta, quindi, una legittima difesa che non può essere contestata e criticata, fatta di petizioni, di appelli, di sindaci in fascia tricolore, di consigli comunali aperti, di moral suasion istituzionale, di battage giornalistico, di primari che fanno ricorso alla leva mediatica. 

Il problema non è la legittimità della difesa ma la difendibilità del Reparto e, più in generale, la funzione di un Ospedale sovradimensionato rispetto al bacino d'utenza e al peso economico-sociale di Fabriano, ormai al centro di un trend di progressiva marginalizzazione.

Come mi è capitato di scrivere alcune settimane fa su questa pagina, Fabriano è una città che sta invecchiando anche in ragione di un consistente flusso di giovani in uscita che non trovano, nel territorio, opportunità economiche e di lavoro adatte ai loro sogni, alle loro ambizioni e alla loro idea di futuro.

Una comunità che subisce un'emorragia crescente di giovani generazioni brucia potenzialità demografiche e riduce il necessario ricambio generazionale. Per questo a Fabriano nasceranno sempre meno bambini se non si verificherà, sul breve periodo, una svolta economica e imprenditoriale capace di rigenerare benessere e prospettive.

In questo senso la legittima difesa di Ostetricia è materialmente insostenibile, in quanto la funzionalità del Reparto è oggettivamente condannata dal combinato disposto di processi demografici e di tagli di spesa pubblica. Rimandare la chiusura è, forse, l'unico obiettivo possibile, sapendo però che non si può più contare sull'antico adagio andreottiano secondo il quale "un problema rimandato è mezzo risolto".

L'unica partita possibile è contrattare il ruolo complessivo dell'Ospedale di Fabriano, sapendo che sono i reparti e i servizi essenziali la vera linea del fronte. Del resto ogni territorio del nostro Paese ha mille buone ragioni per chiedere che non si modifichi lo status quo e i fabrianesi - come già fecero negli anni delle vacche  grasse - non possono chiedere trattamenti speciali e corsie preferenziali.

E, purtroppo per noi, non saranno le parole "accorate" di Sindaci in fascia tricolore e di pastori benedicenti l'elemento in grado di cambiare le dure leggi dell'economia, di ridurre gli effetti della disoccupazione e di arginare il peso devastante e decisivo dei trend demografici.
    

24 novembre 2015

JP vince in Cassazione ma il Piano Industriale è un'araba fenice


Alla fine Porcarelli l'ha spuntata ribaltando, sulla vendita di Ardo a JP, sia il pronunciamento di primo grado della sezione fallimentare del Tribunale di Ancona, sia la conferma dell'annullamento  sancita in secondo grado dal Tribunale del Riesame.

Attendiamo di conoscere le motivazioni della sentenza della Suprema Corte, che chiude definitivamente il contenzioso aperto con gli istituti bancari, ma sin da ora è possibile esprimere una valutazione di consuntivo su una vicenda che si trascina da almeno cinque anni ed ha assunto, nel tempo, il profilo di una commedia che nulla ha a che vedere con una strategia industriale supportata da scelte ragionevoli e di prospettiva.

Gli ottimisti fanno quel che devono spargendo ottimismo, immaginando un brutto capitolo del capitalismo italiano che si chiude e una nuova pagina che si apre con JP che inizia a produrre, a riconquistare redditività, a saturare capacità produttiva, a conquistare quote di mercato vendendo auto elettriche, nuova frontiera produttiva dopo il declino dei piccoli elettrodomestici e la fine di un'illusione di competività sul bianco che il mercato non ha concesso neanche a Indesit.

Sicuramente, al di là di una strage del diritto dal sapore pannelliano e che dipende soltanto dalla continua interferenza della politica sulla vicenda, è inutile rimuginare sul passato e su quanto si sarebbe dovuto fare e non si è fatto. 

Da oggi JP Industries non ha più alibi e ha il dovere di informare istituzioni, cittadini, lavoratori e parti sociali su cosa intende fare, a livello industriale, per giustificare le condizioni di favore dell'acquisto della Ardo e togliere di mezzo la sensazione nettissima e brutale di un'acquisizione in stile IRI in cui è lo Stato e non l'imprenditore a farsi carico delle componenti negative dell'operazione.

Non è un caso, in questo senso, che la notizia del pronunciamento della Cassazione sia uscita giusto qualche ora dopo la firma del prolungamento per altri 21 mesi della cassa integrazione per i 700 lavoratori migrati dalla Ardo alla JP

Una coincidenza dal significato lapalissiano: la produzione in JP continuerà a procedere a singhiozzo, senza riassorbimenti stabili e significativi di manodopera e con un Piano Industriale che, come l'araba fenice, è ormai entrato a pieno titolo nel campo della mitologia economica del territorio fabrianese.

Gli amici delle organizzazioni sindacali, che guardano il dispositivo della Cassazione sul lato delle esigenze immediate dei lavoratori coinvolti, hanno comprensibilmente la notizia rimarcandone la sostanziale positività. 

Per chi guarda, invece, la vicenda pensando più in generale al futuro del territorio, la vera notizia sarebbe l'esistenza di un Piano Industriale della JP Industries, perchè solo attraverso di esso è possibile misurare la prospettiva, valutare l'andamento dell'azienda e collocare i risultati a medio termine in un quadro di ripresa economica del territorio. 

Per ora non c'è segno di pianificazione e di progettualità, ma il tempo è scaduto e gli alibi consumati. Tirare avanti per non tirare le cuoia non è più sostenibile. Non è più possibile.
    

13 novembre 2015

Triplo filotto alla Best: uccisi solidarietà, posti di lavoro e sindacati

Alla Best hanno ucciso, in pochi istanti, la solidarietà, i posti di lavoro e il sindacato. Un triplo filotto reale che mancava dai tempi dello storico e metaforico match, al tavolo verde, tra il Rag.Fantozzi e il Conte Catellani.

Il caso Best è in piedi da un paio di anni ed è basato su un elemento chiarissimo per ogni osservatore e per tutti i soggetti coinvolti: l'azienda ha intenzione di smobilitare. Di fronte a questa volontà la negoziazione tra sindacati e azienda non può che essere profondamente asimmetrica, con le organizzazioni dei lavoratori confinate nel recinto stretto di una contrattazione difensiva.

Ciò significa che l'azienda punta a dividere i lavoratori, utilizzando l'arma efficacissima dei licenziamenti coattivi mentre i sindacati sono costretti a trovare mediazioni risicate che, inevitabilmente, scontentano una parte dei lavoratori, sempre più divisi in una partita ambigua tra "sommersi" e "salvati".
La contrattazione difensiva, proprio a causa della sua natura minimalista, rende il sindacato più fragile e soggetto a critiche ma tende comunque a mantenere un certo grado di agibilità fin quando non si rompe il filo della rappresentanza esercitata dalle organizzazioni dei lavoratori.

Questo filo sottile ma necessario si è rotto alla Best l'altra sera e certifica un orizzonte negoziale a tinte fosche per i lavoratori di quell'azienda. Le tre sigle sindacali dei metalmeccanici (Fiom, Fim e Uilm) avevano sottoposto ai lavoratori un documento, sulla cui base andare a contrattare con l'azienda.

Il documento sindacale era fondato su un principio: scongiurare la linea aziendale dei licenziamenti formulando ipotesi, sicuramente difensive, ma di certo meno traumatiche e più solidali: trenta dimissioni volontarie entro due anni accompagnate da un consistente incentivo. 

Qualora non si fosse raggiunto questo risultato, al termine dei due anni previsti, gli altri lavoratori avrebbero accettato una riduzione sostenibile dell'orario di lavoro per garantire l'ammontare di economie richieste dall'azienda.
Il 40% dei dipendenti ha detto no, forse convinto di appartenere alla categoria dei "salvati" e dimenticando che, nelle ristrutturazioni aziendali nessuno si salva da solo, e che quando si rompe il patto non scritto di solidarietà tra i lavoratori si precipita in un darwinismo capace di rendere il naturale istinto di autoconservazione e di sopravvivenza una vero e proprio oggetto contundente, da utilizzare contro chi vive il medesimo disagio.

Il risultato di questo "no" è, appunto, triplice: solidarietà a puttane; sindacati delegittimati e quindi a rappresentatività dimezzata; licenziamenti a go go impugnabili solo individualmente. 

Ciò che è accaduto alla Best è il frutto di una convergenza di elementi che restituisce un quadro più sociologico che sindacale: il peso della crisi mondiale, la smobilitazione industriale del territorio, la persistenza di un familismo amorale arcaico e contadino, l'assenza di una cultura operaia capace di produrre solidarietà orizzontali e la totale inesistenza di una classe politica locale in grado di svolgere un ruolo di mediazione, di dialogo e di moral suasion.

Forse peccheremo di pessimismo ma siamo di fronte a un segnale che è grave anche da un punto di vista prospettico, perchè la ricostruzione economica di un territorio tanto colpito non potrà avvenire senza un impegno comune, certificato innanzitutto da forme di solidarietà attiva tra i lavoratori e tra i cittadini. 

E di certo dalla Best non è arrivata una buona prassi ma soltanto una manifestazione plateale di egoismo che non porterà fortuna a nessuno.
    

12 novembre 2015

Le mille righe blu. #parcheggiamoSagramola

L'amministrazione comunale di Fabriano di sicuro non vola ma certamente vive nel blu dipinto di blu. Quello della vernice che delimita gli spazi di parcheggio a pagamento, ormai diffusi come una tagliola ovunque e dappertutto; l'ultima, animosa frontiera del conflitto tra governanti e governati in una città che ha parcheggiato fuori dal mercato del lavoro circa 6.000 persone.  

Avremmo anche potuto capire la moltiplicazione dei parcheggi a pagamento se fosse stata il frutto del desiderio di chiudere il centro storico senza assumersi la responsabilità politica di farlo.  

Sarebbe stato di certo un fare patologico - perché se si vuole chiudere il centro storico se ne delibera la chiusura e si fa l’anello esterno a senso unico con ampia possibilità di parcheggio su ambo i lati -  ma lo avremmo capito perché da una Giunta di tal fatta non si possono pretendere spremute d'uva ma soltanto un suino abbondare di ghiande. 

Il problema è che non possiamo capire. Non possiamo perchè siamo scesi sotto il livello di guardia, al di là dell’indecisione e dell’ignavia. Sagramola e i suoi accoliti stanno presentando il conticino perchè la pecunia è il loro unico orizzonte e piuttosto che niente è sempre meglio piuttosto. 

Volete sapere dove osano le quaglie? E’ presto detto: moltiplicare i parcheggi a pagamento dove le persone sono costrette a farne uso perchè quel che non si ottiene per amore si estirpa con mosse da bari caravaggeschi. 

Già, perché i ghiandari hanno le scarpe grosse ma il cervello fino e sono convinti, non a torto, che dopo un po’ di resistenza iniziale i cittadini molleranno l’osso e finiranno per parcheggiare tra quelle mille righe blu ad oggi favolosamente deserte; molleranno l'osso e pagheranno quell'obolo che l'amministrazione cerca morbosamente, quasi sfiorando l'orgasmo monetario.

In passato mi è capitato di utilizzare i parcheggi a pagamento. Da oggi non lo farò più perchè non mi piace essere preso per il culo e spero che nessun fabrianese sia disposto a donare un solo centesimo ai disegni voraci di questa amministrazione.

E allora non parcheggiamo le auto, #parcheggiamoSagramola
    

29 ottobre 2015

Perchè è impossibile reindustrializzare Fabriano

In un post di qualche giorno fa ho sostenuto che uno dei problemi più insidiosi che deve affrontare Fabriano risiede nella natura del suo trend demografico, ossia nel rischio concreto che certi flussi - inizialmente congiunturali e transitori - si consolidino in forma strutturale e definitiva

Alcuni amici hanno contestato questo approccio "verista", invitandomi a immaginare soluzioni senza troppo badare ai vincoli di contesto. E' una sollecitazione che raccolgo solo in parte ma non prima di aver sviluppato un'ulteriore riflessione su ciò che ostacola la ripresa del nostro territorio.

Il punto di partenza è il numero degli inoccupati. Parliamo di circa 5.500 persone in una realtà di 32 mila abitanti, al lordo dei cittadini in pensione e dei giovani in età non lavorativa. Una disoccupazione così vasta da "meridionalizzare" economicamente e socialmente la città, può essere riassorbita - in tempi decenti e non geologici - soltanto attraverso processi di rendustrializzazione del territorio.

Si tratta di un bisogno ineludibile, ma è una prospettiva plausibile? A mio avviso no, perchè una reindustrializzazione seria e duratura è possibile solo se imprenditori veri investono senza assistenzialismo, senza denaro pubblico e senza utilizzo spregiudicato degli ammortizzatori sociali.

Di conseguenza un industriale potrebbe, realisticamente, investire nel nostro territorio soltanto se trovasse condizioni di investimento favorevoli, ossia vantaggiose rispetto ad altre realtà comparabili.

Siccome la situazione di crisi economica del Paese non consente di richiedere, per Fabriano, lo status di Zona Economica Speciale - in quanto creerebbe un precedente emulabile da decine e decine di altri territori con distretti produttivi in crisi - non sussistono ragioni di vantaggio fiscale, contributivo e di costo del lavoro che possano sollecitare un trasferimento di produzioni nel nostro territorio.

Proviamo, allora, a individuare e descrivere alcune delle condizioni che possono convincere l'imprenditore a investire in un certo territorio, dando loro la forma di un decalogo ragionato e declinato sulla realtà fabrianese.

Adattabilità dei lavoratori. Segnala il livello di riconversione delle competenze dei lavoratori attraverso processi di formazione continua. A Fabriano gli operai metalmeccanici sono stati riconvertiti a pizzaioli, professionalità nobilissima ma inutile per insediamenti produttivo di tipo industriale.

Occupabilità dei lavoratori. Fa riferimento un sistema di competenze che consente ai lavoratori di essere spendibili sul mercato del lavoro e ricollocabili in una dimensione produttiva. Gli inoccupati fabrianesi presentano un basso livello di occupabilità perchè gli ammortizzatori sociali ne hanno invecchiato le competenze diminuendone l'attrattività e il potere contrattuale.

Qualità del capitale umano. E' un indicatore legato alla densità delle attività di ricerca e sviluppo, alle relazioni con Università e istituti di ricerca, alla presenza di autonomi centri di elaborazione culturale e a un livello culturale medio-alto dei cittadini. Su questo versante la città, complice anche l'emigrazione dei giovani più scolarizzati, presenta livelli di qualità del capitale umano assai lontani dalla linea di decollo.

Tasso di crescita delle imprese. Questo indicatore segnala il dinamismo imprenditoriale e lo spirito d'iniziativa di un territorio. L'area fabrianese vive una vera e propria morìa d'imprese che alimenta un saldo negativo. Ciò dipende in parte dalla situazione di stallo economico e in parte da un deficit di cultura d'impresa, come emerse da uno studio presentato, lo scorso anno, dal Prof.Gabriele Micozzi, dell'Università Politicnica delle Marche.

Trend del mercato immobiliare. Il mercato immobiliare è fermo. Il valore patrimoniale degli immobili privati è in caduta libera per eccesso di offerta e per una vendita massiccia di seconde case finalizzata a evitare un pesante prelievo fiscale sulle famiglie. Ciò significa che gli investimenti immobiliari, privati e/o industriali, a Fabriano sono soggetti a una congenita perdita di valore.

Mix industria, commercio, servizi e artigianato. La stabilità economica di un territorio, e quindi la sua attrattività, dipende anche dall'equilibrio tra i settori economici. A Fabriano la crisi dell'industria ha consumato la redditività e il ruolo del commercio (storicamente vissuto a ridosso del reddito industriale e quindi povero di autonomia, innovazione e visione) mentre non è mai esistito un settore avanzato di servizi, ridotto all'azione di professionisti e microsocietà che hanno vivacchiato da terzisti - come molte imprese artigiane - grazie a piccole prebende dispensate dalla grande industria.

Accordi territoriali. Gli accordi territoriali di secondo livello tra le parti sociali e le istituzioni sono utili per generare condizioni di attrattività senza modificare i contenuti del contratto nazionale e la legislazione. Su Fabriano è stato modulato e finanziato un Accordo di Programma che è rimasto lettera morta perchè rigido nelle procedure e burocratico rispetto all'esisgenza di sostenere progetti industriali capaci di creare competitività e occupazione.

Qualità e funzionalità delle infrastrutture. Strade, ferrovie, collegamenti, assi viari sono elementi costitutivi della competitività di un'impresa e quindi di un investimento produttivo. Purtroppo Fabriano risente di un deficit cronico di infrastrutture, dovute oltre che a fattori politici anche alla sua posizione geografica e alla morfologia del territorio, che la rendono poco attrattiva. In questo contesto il completamento della Quadrilatero rischia di arrivare fuori tempo massimo, ossia quando il raddoppio stradale servirà solo per arrivare prima al mare o per fare un salto a Perugia in occasione di Eurochocolate.

Attrattività del centro urbano. La convenienza di un investimento produttivo dipende anche dalla capacità di una comunità di esprimere un qualche "magnetismo" perchè, come scrisse l'economista Giacomo Vaciago, ciò che non attira non trattiene. Una città che non offre svaghi, servizi e opportunità di "consumo" del tempo libero non sarà mai in grado di attirare investimenti perchè le figure professionali più evolute tenderanno a non risiedervi. E sappiamo bene come questo fenomeno abbia inciso, e incida tuttora, nelle dinamiche di alcune grandi realtà aziendali fabrianesi.

Approccio delle amministrazioni locali. I Comuni possono fare poco per favorire materialmente la localizzazione di impianti industriali per via della normativa e per la fattispecie del danno erariale, che ormai aleggia in ogni scelta che non sia puramente ragionieristica e condominiale. Di certo le amministrazioni locali possono lavorare sul clima, ossia assumere atteggiamenti collaborativi e di favore rispetto al sistema d'impresa. La classe politica fabrianese è, invece, mediamente ostile all'impresa il cui valore, dal suo punto di vista, risiede unicamente nella possibilità autoreferenziale di mungerla a livello di tasse e tributi.

Che piaccia o meno questo è lo stato dell'arte e il peso dei vincoli strutturali. Qualsiasi idea e proposta di futuro non può che fare i conti con queste condizioni inesistenti e partire da un dato: abbiamo perso dieci anni in fuinzioni, finendo sempre più in basso. E mano a mano che si scende diminuiscono anche le risorse per risalire e si viene risucchiati sempre più in giù. 

Fabriano ha assoluto bisogno di essere reindustrializzata ma non può essere reindustrializzata perchè la crisi ha reso impossibile conseguire condizioni minime di attrattività del capitale: una verità dolorosa e paradossale, destinata a diventare un rebus e un rompicapo senza soluzione.