Mi è capitato più di una volta di scrivere che il problema di Fabriano non è la globalizzazione economica ma il fatto che la città abbia vissuto sotto una cupola di protezionismo economico fondato sulla mutazione genetica dei due soggetti della modernità: la borghesia e la classe operaia. La borghesia fabrianese - che avrebbe dovuto produrre idee e trasformazione - ha abdicato alla sua responsabilità storica, vivendo a ridosso della grande impresa più come una "nobiltà assenteista" che come protagonista del cambiamento. La classe operaia, d'altro canto, è esistita solo in termini nominali perchè, nel concreto, era una sommatoria di individualità rurali, di mezzadri e coltivatori diretti che hanno vissuto la fabbrica come occasione aggiuntiva ma senza mettere in discussione la centralità culturale e relazionale della campagna. Con questi chiari di luna - e mi scuso se continuo a pensare che certe categorie marxiste abbiano ancora una loro adeguatezza descrittiva - è del tutto naturale che la città viva una profonda crisi di identità e che sia tutto un rincorrersi di ipotesi, di iniziative e di suggestioni sul futuro. Un caos che somiglia ai movimenti di un moscone rinchiuso in una stanza, che sbatte a destra e a manca prima di trovare il pertugio da cui uscire e far ritorno a qualche amatissima deiezione. Fuor di metafora le ipotesi di nuovo sviluppo economico cittadino somigliano assai al volo disordinato del moscone: per il contatto diretto con l'inverosimile e la totale assenza di un sistema d'orientamento condiviso. Il problema di chi racconta quel che accade è che nulla si può obiettare alla "prassi del moscone" senza essere accusati di disfattismo, pessimismo e sabotaggio, come disertori in fuga dalle trincee del Piave. Ieri mattina, tanto per dire, si è tenuto un convegno del Rotary Club di Fabriano, ossia di uno dei due club della borghesia locale, sul fare impresa in città, di cui oggi i giornali offrono un ampio resoconto. Il professor Gregori dell'Università di Ancona ha inquadrato un concetto fondamentale, che credo verrà omertosamente rimosso e occultato dai tanti mosconi locali, e cioè che quando la manifattura emigra lo fa in modo irreversibile e non torna più nel paese di origine. Ciò significa che è necessario dire la verità ai faVrianesi, emancipandoli da quel paternalismo delle idee che è stato il dirimpettaio logico del paternalismo del lavoro. E la verità è che Fabriano deve archiviare le sue nostalgie produttive e quell'appendice del sogno industriale che è l'illusione di inattesi insediamenti produttivi provenienti dalla filantropia di qualche imprenditore non nativo. Il problema cruciale è che vecchio è morto ma il nuovo stenta clamorosamente a nascere. Archiviata la lunga parentesi dell'industria e dello sviluppo senza fratture, occorrerebbe riflettere sulle forme di una nuova economia, che dovrebbe avere una caratteristica di fondo e cioè l'essere quantitativamente in grado di riassorbire gli esuberi di manodopera. Ma siccome l'alternativa all'industria risiede solo nel terziario va sinceramente rimarcato che Fabriano non possiede competenze "soft" adatte alla transizione ma soltanto abilità di manifattura industriale a basso tasso di valore aggiunto. Morale della favola: bisognerebbe importare competenze dall'esterno per trasferirle ai fabrianesi e dotarli di nuova autonomia economica. Ma si tratta di un investimento molto oneroso anche perchè uno dei problemi congeniti di Fabriano è che non essendo luogo attrattivo e privo di life quality, costringerebbe a caricare un onere aggiuntivo sull'eventuale importazione di competenze. E come scrisse tempo fa l'economista Giacomo Vaciago, ciò che non attira non trattiene. Sono considerazioni fondate o disfattiste? Purtroppo temo che la risposta non sia la seconda. E la fondatezza delle ipotesi trova conferme importanti ripercorrendo alcune tappe della grande illusione. La prima avventura "futurista" fu la Mostra del Gentile. Un evento eccezionale ma non troppo, che spinse imprudentemente molti a parlare di Fabriano come città d'arte, come centro capace di diventare luogo turistico e meta di pellegrinaggi artistici. Ma purtroppo la città Gentile, gentil non fu. Al punto che proprio in questi giorni si ragiona sulla debacle dei numeri della Pinacoteca Civica. Poi fu la volta di Poiesis e della città del fare. Dire, fare, baciare, lettera e testamento. Col testamento in pole position, visto che trattasi di formula che funziona tre giorni l'anno attraverso un format esportabile, che non lascia tracce evidenti nell'economia di medio periodo della città e che si limita al massimo a lubrificare, giusto per qualche ora, le casse di pizzaroli, gelatai e ristoratori. Poi è stata la volta dell'Unesco, con il riconoscimento di Fabriano come città creativa ma anche il gatto sa che queste sono marchette allo stato primordiale e cristallno perchè sfido chiunque a sostenere cosa ci sia di creativo in una città monoprodotto, monocultura e monocerebro. E da ultimo il convegno del Rotary di ieri, dove si giunti a ipotizzare, evocando il caso Pordenone, di Janus Valley, ossia di una Fabriano che risorge e rinasce attraverso un utilizzo strategico e lungimirante del sapere tecnologico (che la città non possiede). Ed è per questo che attendiamo con ansia crescente l'arrivo di un nuovo profeta, di un inedito futurista che ci racconti di un'altra Fabriano ancora, di una ridente città del Peto Mentale in cui grandi opportunità deriveranno dallo sfruttamento energetico della flatulenza cerebrale. Prodotto rispetto al quale la città sa esprimere livelli ineguagliabili di profondità ed eccellenza.
11 novembre 2012
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Caro Giampietro condivido ciò che hai scritto, stanno tutti aspettando un nuovo profeta che non arriverà mai! in un territorio sconvolto dalla crisi economica, da chiusure di aziende, esercizi commerciali e via dicendo, il silenzio dei favrianesi è assordante, eccezion fatta per i soliti catastrofisti che vanno predicando sventura da tempi non sospetti! Questa pletora di uomini "responsabili" che ora pretendono pure di fare la morale non ha mai capito ( o voluto capire) che il settore industriale fabrianese, monoprodotto e con basso valore aggiunto, prima o poi doveva collassare e con esso il modello sociale e culturale del metalmezzadro. Come te anche io vedo flatulenze mentali e null'altro.
RispondiEliminaEnrico Morettini
citando Lenin, che fare?
RispondiEliminaIo personalmente ho una idea. Purtroppo è costosa. Siccome non ci capiamo un cazzo nessuno su come uscirne fuori sarebbe il caso di assoldare qualche mente dall'esterno. prendendo qualcuno che ha già dato prova di come si rimette in moto una progettazione economica e urbana. Ma uno serio non la solita marchetta a pioggia per far contenta una società amica. Perchè è scontato che nessuno a Fabriano abbia una ricetta valida. Ma non ce la vedo la classe politica ed economica locale a fare un atto di umiltà. Qui il più stupido suona il violino coi piedi...
RispondiEliminaSe ci sono industrie che possono ancora reggere senza essere vassalle e che hanno una qualche dimestichezza di export in italia o oltre io direi di partire da quelle. In quanto alle grandi idee, quelle sono solo dei grandi uomini, e a favrià....
RispondiEliminacaro gian pietro
RispondiEliminasottoscrivo parola per parola quello che tu dici, sono mesi che cerco disperatamente qualcuno che mi proponga anche un cavatappi che per una serie di motivi, come ad esempio l'abilità unica e non copiabile della nostra manodopera o la centralità delle nostre infrastrutture viarie, che sia assolutamente competitivo con il resto del mondo e che quindi possiamo vendere ricavando i soldi per la nostra sopravvivenza come facevamo con gli elettrodomestici, ma nessuno a tutt'oggi mi ha dato una risposta eccetto per i grandi proclami di affidarsi alla nostra innata, creatività, alla nostra unicità italiana ed ad altre cose che al paese mio d'origine si chiamano minchiate. Leggevo questa mattina nei giornali locali che la disoccupazione a fabriano compresa la cassa integrazione è di circa 8.000 persone cioè 4 volte un antonio merloni che era uno dei più grandi terzisti di elettrodomestici d'Europa.Ora come possiamo ricreare 4 industrie della dimensione dell'ex antonio merloni inseriti per di più come siamo nel contesto di una nazione che è in crisi come e quanto noi. Nessuno mi sa dare nè una risposta nè un semplice ma maledettamente concreto cavatappi. I profeti nel frattempo ci annunciano la venuta imminente del Messia, gli Ebrei sono millenni che lo aspettano, e con questa visione ho paura che lo aspetteremo a lungo anche noi io mi augurerei un semplice competitivo cavatappi sporco, maledetto e subito!!!!!
Giuseppe Gagliano
La Spada dell'Islam
Ma anche esistesse un genio disposto a venire qui, nella terra della sagra di Santa Maria, se anche ci fossero i soldi per pgarlo e attuare i suoi piani, chi dell'attuale politica fabrianese sarebbe disposto ad accoglierlo? io la vedo grigia
RispondiEliminaFabriano ormai è con la merda oltre il collo, altro che flatulenze
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