22 agosto 2013

Quel che ci attende e quel che si può fare: pensieri agostani in salsa settembrina

Dopo una settimana di silenzio, causa penna stesa al sole, riprendo le pubblicazioni con alcune considerazioni agostane che, credo, possano avere qualche proiezione settembrina e qualche fondamento autunnale. Per questo proverò a individuare e descrivere i link che, a mio avviso, connettono tra loro temi apparentemente distanti: l'incompatibilità di Tini, la vertenza Indesit e l'esigenza impellente di un "patto locale tra i produttori". Sul caso Tini diverse persone mi hanno chiesto per quale ragione mi sia tanto accalorato sulla presunta incompatibilità dell'assessore alle finanze e se ci fosse qualcosa di personale nella critica aspra che da tempo gli riservo. Sgombero il campo da ogni equivoco: considero Angelo Tini una persona simpatica, un politico fine e uno dei pochi democristiani capaci di riservare alla politica una bruciante passione (nel suo caso quella per il bilancio pubblico). Inoltre c'è da dire che la mia "infanzia politica" si è consumata in un mondo declinante che considerava i personalismi il frutto di un'inaccettabile depravazione liberale. E questa avversione nei confronti dell'individualismo in politica resta, per me, una stella polare e un sistema fondamentale di orientamento che mi consente di distinguere sempre tra il personale e il politico. Per queste ragioni considero il caso Tini una questione eminentemente politica. Tini, in questa fase della vita fabrianese, incarna il rischio tecnico, ossia una politica spogliata di creatività, di istinto e di azzardo che si riduce a scadenzario e si restringe a vincolo e imperativo contabile. Ma cosa comporta il rischio tecnico? Il suo effetto più rilevante è la soppressione di ogni dialettica di posizioni ispirate da valori, ideologie e visioni. La soluzione tecnica è sempre una e mai trina, si nutre di neutralità ed è fondata su competenze specialistiche, che nulla hanno a che spartire con l'umanesimo incerto e mobile della politica. E se la politica diventa gara di competenze finisce che a comandare siano ristrette elite di "conoscitor della peccata" e che la partecipazione non abbia altra impronta che quella negativa del'invasione di campo. Ossia l'esatto contrario di quel che serve oggi a Fabriano: una politica capace di mettere in circolo idee e di delegare agli apparati tecnici la ricerca di soluzioni conseguenti. La linea Tini è invece quella di fare delle idee una variabile dipendente dal primato assoluto della compatibilità finanziaria, che da strumento di razionalizzazione ed efficienza si trasforma sacro e indiscutibile tabernacolo. La linea "ragionieristica" è, ad oggi, prevalente nel sistema politico locale. Essa trova il pieno consenso del Sindaco, della sinistra sociale convertita al rigorismo dei tecnici, dei poteri forti dell'apparato comunale, fino a produrre qualche suggestione anche in ambienti dell'opposizione. Un equilibrio di potere - segnato dalla diarchia non elettiva e quindi democraticamente opinabile tra assessore alle finanze e dirigente dei servizi finanziari - che mette a repentaglio il necessario armistizio tra idee e risorse, vera base di sopravvivenza e di rilancio della comunità fabrianese. In questo senso una battaglia sull'incompatibilità di Tini - al di là dell'ossequio alle regole - significa perseguire una finalità di indebolimento politico dell'assessore alle finanze e quindi della sua linea ragionieristica. Un modo per far saltare il tappo che imprigiona la circolazione delle idee e la rende prigioniera di pochi guardiani delle risorse scarse. Come si sarebbe detto in altri tempi, l'operazione Tini configura, quindi, uno scampolo non marginale di una "rivoluzione dall'alto" che si rende necessaria anche alla luce della risacca che pare aver riassorbito il conflitto sociale in Indesit. Gli operai della Indesit hanno legittimamente delimitato il campo delle loro rivendicazioni alla difesa - sacrosanta - del posto di lavoro, senza coltivare l'ambizione di farsi anche classe generale sul territorio e di puntare a un cambiamento profondo della cultura e della politica cittadina. E questa dimensione della vertenza - sostanzialmente economica e tradeunionista - lascia aperta, ad oggi, una prateria senza presidio, perchè non basta garantire il clima necessario alla circolazione delle idee se non si determinano le condizioni necessarie alla loro produzione. Il grande interrogativo d'autunno sarà quindi incentrato sui luoghi e sui modelli organizzativi necessari per strutturare i nuovi "pensatoi" locali. In questo senso il Comitato del Giano rappresenta un modello organizzativo interessante e una buona prassi che, forse, è possibile e auspicabile replicare e aggiornare: tematiche delimitate e circoscritte, leadership policentrica, adesione informale a cipolla, centralità dell'opinionismo, saldatura tra imprinting tecnico e risvolti umanistici, registri comunicativi sottratti alla dittatura dell'immagine coordinata. Insomma, una terza via tra organizzazione liquida e aggregazione solida che è riuscita a fare lobby sul decisore senza intrupparsi nella mediazione strumentale e classica delle vecchie e nuove forze politiche. La sfida che Fabriano ha davanti è quella di un patto tra i produttori che abbia l'obiettivo di riscrivere il profilo della città su almeno tre versanti: economico, urbanistico e di mentalità. Va iscritto all'ordine del giorno un esperimento sociale nuovo: far incontrare imprenditori, lavoratori e cittadini - al di fuori del rapporto di lavoro e al netto di ogni filtro istituzionale - per generare idee sulle tre grandi aree di rifondazione territoriale e tracciare i mille percorsi che legano urbanistica, produzione e socialità. Un'operazione di fioritura di tanti soggetti collettivi a termine e a tema, liberata dalla tentazione burocratica del coordinamento e capace di convergere in un grande e informale "forum della rinascita cittadina". Una rivoluzione copernicana che dovrà nascere da chi ha voglia di farla nascere e che di certo non annovera tra i suoi amici il ragionierismo della politica e il crescente minimalismo del sindacato. La città delle idee è lontana anni luce dalla città dei residui attivi e da quella di un corporativismo straccione ma risorgente. Ma se così non fosse spero sappiate perdonarmi, considerando queste impressioni di settembre frutto di calura agostana, di idromassaggi e di encomiabili prosecchi.
    

6 commenti:

  1. Caro GianPietro prima di tutto ben tornato. Mi permetto di suggerire che all'ordine del giorno nel quale proponi un esperimento sociale nuovo sarebbe bene , secondo me ,non invitare tutti coloro che utilizzano come soluzione ad ogni nostro problema la parola " tocca " senza però indicare mai il soggetto : chi .Tanti saluti urbani urbano

    RispondiElimina
  2. Ben tornato sig. Simonetti,ogni commento sembra inutile alla sua come sempre attenta e oculata situazione di questa citta'. Citta' che ancora ostenta serenita' e fiducia nel futuro.Riscrivere il profilo di questa citta' e' un compito assai arduo, avendo tra i soggetti imprenditori che delocalizzano,lavoratori bistrattati e cittadini distratti da prosecchi e cene a base di pesce,su lidi sempre piu' lontani da occhi indiscreti....

    RispondiElimina
  3. pensavo fosse finita, speravo che fosti emigrato invece ti ostini a scrivere ancora e poi Tinitares bella mazzata tramite equitalia, l'incotro di cui parli non avverrà mai la città è triste e invidiosa e manca di inventiva non sa e non saprà mai osare.............

    RispondiElimina
  4. ...è uno degli articoli più belli scritti in questo blog...spero veramente che la città tutta recepisca e renda fattiva questa linea volta a far rifiorire Fabriano, lavorando su tutti i possibili punti di incontro e su una necessaria conversione di mentalità ormai desueta, direi anzi ancestrale, e inconcludente. Non sono d'accordo con il pensiero tipo "pessimista-leopardiano" che leggo nei commenti sopra e vorrei aggiungere un monito che ciascuno di noi cittadini potrebbe far proprio: "Volere è potere!"

    RispondiElimina
  5. Bentornato! (era ora!)
    non posso che condividere il tuo pensiero...la qualità di una città la fanno gli abitanti,se si interessano alle cose senza fini personali diversi dalla soddisfazione di sapere che le cose vengono fatte nel miglior modo possibile.

    ______________
    G.R.

    RispondiElimina
  6. L'orticello fabrianese verrà coltivato ancor con più egoismo. Il cambiamento non ci sarà mai, sopratutto con le teste Dell attuale giunta

    RispondiElimina

Sarà pubblicato tutto ciò che non contiene parolacce, insulti e affermazioni discriminatore nei confronti di persone