Se la cantante italo-francese Dalida fosse ancora viva e avesse letto il Messaggero di ieri non avrebbe esitato a intonare un suo celebre motivo del 1974: “Arriva Gigi l'amoroso!! Il rubacuori, gli occhi neri da insolente. Gigi l 'amoroso! Il vincitore senza cuor ma cosi affascinante. Che festa grande è starlo ad ascoltar”(Dalida Arriva Gigi l'Amoroso). Già, perché la notizia del superassessorato a Gigi Viventi in Regione merita note, testo e interpretazione. Perde la delega alle Infrastrutture ma diventa l’uomo forte della spending review, il demiurgo della nuova macchina amministrativa regionale. I maligni, e mi annovero tra questi, sostengono che il rimpasto di Giunta sia il primo effetto della vittoria di Sagramola a Fabriano e che il Modello Marche, di fondo, altro non sia se non il patto di ferro tra Spacca e Viventi, antichi allievi di Aldo Moro e storico sodalizio della terza generazione democratico cristiana. La vicenda di Gigi l’Amoroso è emblematica di come essere democristiani significhi avere garantita, fin nel codice genetico, l’alternanza tra morte e resurrezione. Viventi nel 1990 è il vicesindaco dell’ultima Giunta Merloni. Quella trionfante dei 17 consiglieri comunali su 30. E’ l’uomo che cerca di dare un volto umano al pugno di ferro del Patriarca Antonio, il Nobilitatore Dialogante dell’Impero. In questa interpretazione è sostenuto dal suo modo di essere e di porsi: sorridente, mascellone, quasi una replica locale di quel Ridge Forrester che, proprio in quegli anni, comincia a spopolare nella tv nazionale. Il ruolo crescente trova il suo compimento nel 1995, quando si candida a Sindaco di Fabriano. Sembra un gioco da ragazzi ritrovarsi successore del Divo Antonio ma le cose vanno storte. Un po’ per la scissione nazionale nella Democrazia Cristiana, un po’ per il Risiko manovriero messo in piedi dal Gatto e la Volpe, al secolo Sorci&Bellucci. Infatti, vince a sorpresa Giancarlo Castagnari. Per Viventi è un colpo mortale. Il sistema elettorale fondato sul ballottaggio, di norma, ammazza i candidati perdenti e li costringe ai margini della scena politica, al di là dei meriti e dei demeriti. Invece cinque anni dopo, alle elezioni del 2000, entra in Consiglio Regionale con il CDU per la prima resurrezione dopo la debacle delle comunali. Il risultato viene confermato alle Regionali del 2005 quando Viventi è l’unico eletto nelle file dell’UDC. Il secondo mandato in Regione coincide con il precipitare della crisi della Antonio Merloni, di cui Gigi l’Amoroso è Direttore del Personale. La crisi dell’azienda è profondissima, un vero e proprio fallimento evitato solo dalla nomina di tre commissari, da un massiccio ricorso alla cassa integrazione e da un tira e molla su improbabili acquirenti stranieri: prima gli iraniani, poi cinesi poi il diavolo che se li porti. Sembra la fine del tragitto viventiano, la seconda e definitiva morte politica sancita dalla mancata rielezione alle regionali del 2010, nonostante la lista fosse stata concepita per facilitarne al massimo la corsa. Ma da democristiano di razza Viventi resiste al suo personale tzunami elettorale e viene paracadutato in Giunta dal Governatore amico, che sull’Udc a rimpiazzo della sinistra costruisce una nuova fase politica. Restava da sbrogliare soltanto il nodo Fabriano, con quell’anomalia del partito di Casini a fare finta opposizione a un’amministrazione chiaramente spacchiana. Problema risolto con l’elezione di Sagramola, accompagnata da un risultato elettorale dell’Udc che neanche i più ottimisti avrebbero preso in esame. E così Gigi l’Amoroso non solo è risorto, ma è salito al cielo diventando, di fatto, una sorta di Vice Governatore delle Marche. Nel post di ieri, citando Machiavelli, ricordavo la funzione del culo in politica e come la fortuna governi una parte consistente degli avvenimenti pubblici. Viventi è la prova provata di quanta ragione avesse il Segretario Fiorentino, che non conosceva i democristiani ma a cui, di certo, avrebbe dedicato profonde riflessioni circa la durata, la pervasività e l’immortalità in politica. Facciamocene una ragione definitiva e rassegnata: moriremo democristiani. Forse perché alla fine lo siamo un po’ tutti. Come avrebbe detto Giorgio Gaber, non ho paura del Viventi in sé ma del Viventi in me.
31 maggio 2012
30 maggio 2012
Gianchannibal e l'Anticiclone di Bernacca
Nicolò Machiavelli, cercando di dare contorni precisi al profilo del suo Principe, scriveva: “Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi.”. Il che, tradotto brutalmente, significa che la botta di culo origina circa la metà dei successi in politica. L’altra metà, invece, dipende dalle manovre degli uomini e dal loro agire losco. Certo, il Fiorentino in quanto a cantonate era un esperto mica male, tanto che aveva incarnato la sua alta scienza in un figuro come Cesare Borgia, figlio viziato di un papa trombatore e simoniaco oltre che vitellone romagnolo avvezzo ai coltelli e agli strangolamenti, ma politicamente insulso. Proiettare Machiavelli e la scienza politica del cinquecento sulle vicende da caminetto della politica nostrana, effettivamente è un po’ come dare Ferrero Rocher ai porci. Però, se Sagramola si affidasse di più alla dea bendata avrebbe fatto il filotto che gli serve. Perché se è vero che la totalità del suo libero arbitrio è stata conculcata dagli appetiti dei partiti è altrettanto vero che un 50% di culo pieno potrebbe rigirarselo a suo favore. Il culo di Sagramola alberga nel clima politico che avvolge il Paese. Se lo annusasse come Hannibal Lecter annusava le fragranze di Clarice Starling e senza mettersi controvento, potrebbe far provare ai partiti un dito insabbiato e tenerli zitti, buoni e seduti: imponendo le sue scelte, dettando l’agenda e trasformando i capobastone dei partiti in cagnolini consenzienti, come i pupazzetti che una volta dicevano di si dal vetro posteriore delle Fiat 600. Con l’aria che tira e il grillismo che spiana i fortilizi elettorali nessuno sarebbe tanto folle da azzardare un ammutinamento. Ma dico, ve lo immaginate il partito vorace e insoddisfatto che fa cadere la giunta o inventa un ribaltone, utilizzando la sfiducia costruttiva, per punire il Sindaco di richieste non accolte? Farebbe la fine del sorcio in cantina. E allora il Sindaco deve giocare su questa debolezza del sistema: i partiti hanno bisogno di prendere tempo per sopravvivere, di evitare altri appuntamenti elettorali, di tenersi al riparo dallo tzunami dell’antipolitica tenendosi in disparte. Meno si fanno vedere più è alta la possibilità di salvarsi le chiappe. Non è la convinzione ma il clima che li costringe alla moderazione, alla ponderazione e all’inazione. Invece Sagramoletto da Marischio non sembra appassionarsi alla meteorologia politica. Gli manca la stoffa del Barnacca e si ostina a non vedere che razza di anticiclone spazzanuvole gli ha messo in mano la perturbazione politica generale. Se lo metta in testa: i partiti di maggioranza non possono fare nulla che lui non voglia e disponga: se gli dà il dito i partiti si prendono il dito ma se si prendono il braccio vuol dire che il braccio gli è stato offerto di buon grado. Qualcuno ha sollevato un precedente illustre ed emblematico, ossia la vicenda Castagnari, il Ceruleo Mazziniano che venne affossato per l’indole alla Francesco Crispi e per la propensione alla bastonatura pedagogica dei partiti. Tutto vero e fondato, ma era diverso il clima e spiravano venti dolciastri di scirocco, non certo le tramontane secche di oggi: il quadro politico si era stabilizzato dopo le tempeste di Tangentopoli e – diversamente da ora - non si sgambettava più nella turbolenze economiche e morali. Sagramola ha una grande opportunità per mettere in riga il partitismo scalpitante. Ma deve iniziare a sfruttarla perché, come diceva un mio vecchio compagno di servizio militare, “aveccelo e non metteccelo è compagno de non aveccelo”.
29 maggio 2012
Intervista fresca fresca a Urbano Urbani
Ho inviato dieci domande a Urbani. Come già avevo fatto con Sagramola. E Urbani ha risposto. I contenuti li trovate di seguito e da essi ognuno può trarre indicazioni e conclusioni strettamente personali. Quel che mi ha colpito è il tono: secco, essenziale, senza fronzoli. Come se dalla sconfitta il candidato del Pdl avesse maturato una nuova visione delle cose e un linguaggio duro che si fa quasi fatica ad associare all'immagine personale su cui ha lavorato, indefessamente, per cinque anni. Urbani 2.0 si potrebbe dire, seguendo una vulgata che ama abusare di terminologie tecnologiche. Quali effetti produrrà questo cambio d'approccio è presto per dirlo ma l'impressione è che sia tornato allo spirito degli inizi, mettendo in guardaroba la tiara papale per indossare nuovamente la mimetica. Soldato Urbani: presente!
Inizio con la stessa domanda che ho rivolto a Sagramola: tre cose che ti piacciono del nuovo Sindaco e tre che ti stanno cordialmente sullo stomaco.
Di Giancarlo mi piace che è una persona generosa, che ha un buon rapporto con i giovani e da sempre conosce la macchina amministrativa. Non mi piace che sia il Sindaco del modello Marche e che consideri come attacchi personali il dovere di controllo esercitato dall’opposizione.
All'opposizione c'è il raggruppamento civico di Ottaviani, il Cinque Stelle, una spruzzata di sinistra radicale, tu con la tua lista civica e D'Innocenzo da solo a rappresentare il Pdl. Il centro destra è tecnicamente finito?
Al ballottaggio è andato un candidato del modello Marche contro uno del centrodestra, che ha ricevuto il 45% dei consensi dell’elettorato. Il centrodestra è più vivo che mai. Peccato che gli altri raggruppamenti abbiano perso l’occasione di scegliere a chi fare opposizione.
Al ballottaggio hai raddoppiato la percentuale dei voti dopo cinque anni di moderazione e un primo turno a profilo basso. Non ti è sorto il dubbio che la radicalizzazione politica mobiliti più dello spirito costruttivo?
Elettoralmente radicalizzare lo scontro paga, ed è anche più facile fare campagna elettorale alzando i toni. Se ami la città in cui vivi e lavori, tuttavia, non puoi prenderla in ostaggio per il tuo tornaconto in un momento di crisi come l’attuale. Abbiamo sentito il dovere di fare delle proposte, di indicare soluzioni. Il Consiglio Comunale, specie con le giunte Sorci, è stato molto svilito delle sue funzioni. Per questo abbiamo proposto di dare il Presidente del Consiglio alla minoranza, per riportare la politica a una partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni che li riguardano.
E’ passato un messaggio: che l’Udc assieme a te era il rinnovamento e con Sagramola il regime. Non pensi sia un approccio che ha lasciato perplessi molti elettori?
La risposta è implicita nella domanda. Dopo 18 anni di malgoverno del centrosinistra l’UDC con il PDL avrebbe scelto l’alternanza e il rinnovamento. Con il PD hanno scelto le poltrone.
Biondi ha rassegnato le dimissioni da vicesegretario del Pdl. E’ l’otto settembre del Popolo delle Libertà o l’inizio del suo rinnovamento?
Biondi segue coerentemente un suo percorso politico. Il PDL è fortemente impegnato in una opera di rinnovamento, sia a livello locale che nazionale.
Sono in molti a scommettere che la nuova giunta non durerà più di due anni. Nel caso Sagramola non ce la facesse ti candideresti di nuovo a Sindaco?
Personalmente favorirò un forte ricambio della classe politica locale, mettendo la mia esperienza a disposizione dei giovani che vogliono impegnarsi a partecipare alla costruzione della Fabriano futura
Con Tini hai fatto battaglie comuni sul Bilancio. Lo consideri un traditore o un amico che ritornerà?
Una cosa è la politica, altra cosa è l’amicizia che non può essere intaccata nemmeno da scelte di schieramento così diverse dalle mie.
Se fossi al posto di Sagramola con la sua coalizione chi metteresti in giunta? Chi al Bilancio, chi ai Lavori Pubblici e chi alle Attività produttive? Chi alla Presidenza del Consiglio Comunale?
La mia giunta non era stata preconfezionata. Come avevo detto essa sarebbe nata dopo gli incontri con le altre forze politiche, sulla base di professionalità e competenze. Un nome però voglio farlo: Giovanna Leli, assessore alle frazioni e territorio perché donna, giovane e capace.
Ho proposto a Sagramola di indicarti come nuovo Presidente del Consiglio Comunale. Sarebbe fantapolitica o il segnale di una nuova stagione?
Ti ringrazio per avermi proposto. Tuttavia non è una questione legata ai personalismi ma a una diversa visione della partecipazione democratica alla politica. In ogni caso non sono disponibile ad accettare tale incarico; meglio un giovane.
28 maggio 2012
La Giunta dei Sogni Infranti
Visto che Giancarlone traccheggia e non scioglie le riserve, nonostante dalla clessidra scendano granelli di polvere del tutto indifferenti all'incompatibilità di Angelo Tini, mi pare opportuno che gli si dia una mano. Signore e Signori, direttamente dal pensatoio di Poiesis, ecco a voi la Giunta dei Sogni Infranti. Mauro Bartolozzi - meglio noto come Graziello Scontobello - Assessore al Commercio e Polizia Urbana. Con un programma di radicale cambiamento: expo permanente di prodotti per la casa al Palazzo del Podestà; ai Giardini del Poio dimostrazioni collettive sulle virtù ideologiche della cottura a vapore; apertura al traffico del centro storico giorno e notte e multe salate ai pedoni che passeggiano senza cinture di sicurezza e privi di buono spesa in bella mostra. Assessore ai Lavori Pubblici: Vincenzo Castriconi, l'uomo della Ricostruzione Modello di Belvedere, il nemico giurato dei danni da terremoto. Poche idee ma chiare e concrete: sottoporre Fabriano a un Piano di Demolizione integrale del centro urbano e relativa ricostruzione leggera e pesante. Ovviamente con criteri antisismici. Una scelta di alto profilo economico, roosveltiana, con il Comune che paga una squadra di operai per fare una buca e una seconda per ricoprirla; il moltiplicatore keynesiano garantirà crescita e benessere per tutti. Assessore alla cultura: Giancarlo Bonafoni. Munito da Nostre Signore di utilissimi occhi a piagne rappresenta la soluzione più immaginifica per dare corpo a un'idea brillante e ariosa della cultura: serate mariane al Teatro Gentile con interpretazione collettiva del rosario; visite forzate della cittadinanza al deposito locomotive della stazione ferroviaria, con pranzo al sacco da consumare al binario; proliferazione sfrenata di nomine a Maestri del Lavoro, delle Arti, della Scienza e dello Spettacolo di cui Bonafoni è attivissimo promoter e di cui, notoriamente, Fabriano è prodiga. Assessore al Turismo Roberto Bellucci. Noto alla cittadinanza per la sua vocazione in materia di visitatori con cartina e macchinetta digitale pare intenzionato a proporre una rivoluzione copernicana nel settore della ricettività e dell’accoglienza del forestiero. In questo senso sono previste modifiche radicali alla segnaletica urbana, che sarà riprogettata mettendo al centro la località Ciaramella, luogo segnato dal destino e centro di gravità di un nuovo municipalismo. Le visite in Pinacoteca saranno sostituite da un tragitto guidato alle Cantine Bellucci e la vicchieretta di fresco di grotta prenderà ufficialmente il posto della bottiglia di minerale che fa così chic da rendersi totalmente imbevibile e antipatica. Assessore alle Attività Produttive: Gianni Lotti. E’ l’unico che, nonostante, la crisi continua a fatturare, grazie a una vertiginosa diversificazione dell’offerta: saggi filosofici, libri di cucina, penne, matite, carta fatta a mano, pastori del presepe, fischi e botti come da rima condivisa. A suo modo ha delocalizzato ma in loco, passando dal negozietto sotto l’arco – da dove si esibiva in magnifiche missioni alla Fontana Sturinalto per il lavaggio delle scope – ai più spaziosi locali di Corso della Repubblica, governati da un caos che somiglia a un ordine segreto. Per l’estrema e rinomata morigeratezza pare sia in ballo anche per la delega al bilancio. Un uomo. Un Mito che rappresenta un simbolo vincente, resistente e renitente della fabrianesità colpita a morte dal cosmopolitismo della crisi. E per concludere l’Assessore al Bilancio: non riuscendo a trovare uno che ci capisca davvero – e Tini nonostante quel che si dice coi conti cc’azzecca poco – si procederà a un bando di gara aperto a tutti i parrucchieri della città. Visto che ci sono solo tagli da fare – per di più lineari e trasversali - meglio se a farli è uno con mano ferma ed esperienza di forbici. A confronto di quel che uscirà dal cilindro sagramolesco questa non sarebbe una semplice Giunta ma una gran corte di Luigi XIV. Aspettare per credere. Ancora poche ore e ci daremo ragione.
27 maggio 2012
Il pagellone di Poiesis e dintorni
La più bella su Poiesis e dintorni me l'hanno raccontata in piazza ieri pomeriggio. Un signore entra dal giornalaio di Piazzale Matteotti per comperare il giornale. Sente che si parla della tre giorni culturale e, con un lampo di genio degno di una raccolta d'aforismi saggi, sentenzia: "Qui stamo a pensà all'Unesco...ma fra poco a Fabriano ce tocca chiamà la FAO..". Voto 8.
Il Movimento Cinque Stelle chiude la sede esponendo una scultura in stile Poiesis, come contributo alla riuscita dell'iniziativa. Un'idea originale per marcare la distanza da un sistema politico che quando sente parlare di cultura, di norma, mette subito mano alla rivoltella. Insomma, dal Movimento Cinque Stelle al Monumento Cinque Stelle senza passare dal via. Voto 7
Edizione un po' deludente Poiesis 2012. Dopo l'enorme successo dell'anno scorso la rassegna di quest'anno è sembrata un po' troppo di nicchia e senza la delicatezza di un tributo al nazionalpopolare, che è il fondamento culturale della città della carta. Quindi un plauso in tono minore per Francesca Merloni, deus ex machina e Metallurgica Sognante. E viste le condizioni da centro minerario inglese in cui è ridotta Fabriano il prossimo anno sarà meglio organizzare una rassegna di spogliarellisti disoccupati ma organizzati. Direttore Artistico Ken Loach.Voto 6
Il Sindaco Sagramola, ieri pomeriggio, si aggirava circospetto, in polo verde scuro, cercando di mimetizzarsi fra i visitatori e gli acculturati. Pare, infatti, fosse assai concreta la possibilità di una rischiesta di duetto sul palco con Elisa. Giancarlone, astuto, ha preferito nascondersi dietro una delle colonne del Palazzo Vescovile, indicando Sorci come primo cittadino in carica e pregiata voce bianca. Dopo elezioni sfigate meglio non rischiare pure le canzoni stonate. Voto 5
Mentre i fabrianesi si riscoprono colti, con l'appetito ossesso di chi viene tenuto a dieta di pensiero per 362 giorni l'anno, la politica cittadina si interroga drammaticamente sulle deleghe assessorili. Anzi, di più: sulla presunta incompatibilità di Tini come membro di Giunta. Hanno ragione i cinesi: quando il sole è al tramonto l'ombra dei nani si allunga. Voto 4
25 maggio 2012
Il favoloso mondo di Amelie e il triste cosmo di Giancarlone
Lo ammetto. Sono in ansia. Stasera inizia Poiesis e non so cosa mettermi. Eravamo rimasti alla porchetta e al pecorino. Così rassicuranti. Stile casual impolverato. In un baleno alle cotiche arrostite subentrano parole, arte, opera, cultura. Ci vuole l’abito giusto e uno stomaco adeguato. Stop alle fiatelle da libagione elettorale. Poiesis merita altro, reclama una riconversione gastrica. E’ il trionfo dell’anoressia colta, dell’intelletto disgustato, della massima distanza dai bisogni primari dell'umano troppo umano. Non si vive di solo pane no?! Ma, per grazia di Dio, c’è un mondo parallelo che consuma, in queste ore, le sue sfrenate pulsioni alimentari. Non è il favoloso mondo di Amelie ma il triste cosmo di Giancarlone, dove pare che le bulimie assessorili siano diventate irrefrenabili. Intanto il nuovo Sindaco prende tempo, posticipa, dilaziona, scuce e ricuce la tela, come un Penelopone scaltro. Certo, se il caos calmo del dopo voto celasse la volontà di stupire il popolo potremmo capire l’attendismo, ma il tintinnar di forchette ha raggiunto decibel da inquinamento acustico elevato e Sagramola pare trascorra le giornate rintanato in cambusa, per dare corso a un’equa distribuzione di pani e di pesci alle affamate boccucce del Modello Marche. Il problemone è a monte, come si dice adesso. Esattamente nel criterio scelto per riempire le ventresche: i più votati delle singole liste fanno gli assessori. Si tratta di un comandamento che, notoriamente, non stimola le funzioni intellettive ma solo quelle motorie. Per raccattare voti, infatti, pensare non conta un cazzo. Serve correre. Correre tanto e più degli altri. E calpestare senza pietà le lumache, i perditempo, gli incerti e i ben educati. La democrazia diventa così un acquario popolato di squali (i più aggressivi sono sempre quelli bianchi..guarda caso!) e la selezione passa dalle forche caudine del darwinismo: vincono quelli con la pinna più nera, i tutto “petto e pelo” coi molari d’acciaio. E quando uno ha corso e morso, il conto, in un modo o nell’altro, lo presenta. E salato come l’acqua di mare. Il suicidio della classe dirigente, molto spesso, non dipende dalla volontà ma dalle zone di comfort che non si prova neanche a scardinare, dall’idea sbagliata secondo cui è l’inerzia delle cose il modo naturale di risolvere i problemi. Il criterio dei voti è un postulato della vecchia politica e diventerà una pistola fumante appoggiata alla tempia di Sagramola, che ha una sola alternativa di scelta: o subire il ricatto del colpo in canna o tentare una via di fuga. Stasera inizia Poiesis e il Giancarlone che debutta, avrà un’occasione d’oro per riflettere sulle virtù dello stomaco vuoto di cibo ma rimpinzato di cultura. Faccia la mossa del cavallo se vuole conservare le chiappe: indichi Urbani come Presidente del Consiglio Comunale. Avrebbe la sponda di un pezzo d’opposizione pacificata, per compensare il potere d’interdizione e l’appetito che i voti e il sistema elettorale hanno consegnato all’UDC. E’ l’unico modo, e politicamente saggio, per dare vita a un mandato in cui il Sindaco conta più dei partiti. Sorci a modo suo li aveva tenuti a bada, regalando giochi e giochetti. E Sagramola? Inventi qualcosa ma si sbrighi. Perché rischia grosso come nessuno dei predecessori.
24 maggio 2012
L'Apocalipto Olfattivo del Divora Monnezza
Quando da piccoli, dopo ore di appelli e capricci, ci portavano finalmente al giardino pubblico, i genitori, sempre pronti al pistolotto morale e umorale, ci indicavano col dito puntato, quasi fossero moniti edificanti, alcuni cartelli piantati sui vialetti. Tra i tanti ne ricordo sempre e soltanto uno: non calpestare le aiuole. Forse per la feroce bocconata di vocali che ci costringeva a ingoiare o forse perché le aiuole incutevano rispetto, come una cosa troppo delicata e preziosa per essere abbandonata alle pedate irrispettose dei bimbi o al calco largo di una ruota di bicicletta Graziella. E così siamo cresciuti assaliti da questi precetti minimi, con un senso del decoro che era, innanzitutto, condivisione di cose belle da godere assieme agli altri per pura assenza di proprietà individuale. La domanda che mi sono sempre posto è la seguente: ma quel bischero a cui è venuta l’idea di piazzare un Divora Monnezza avanti alle Poste Centrali era uno che da piccolo calpestava aiuole, ci cagava sopra e mandava a farsi fottere la mammina fresca di permanente? No, perché diciamocelo…ci vuole una fantasia addestrata alla burla maleducata e una cultura da simpatiche canaglie per abbellire il centro storico con un contenitore che si riempie di lische di pesce, ossi di pesca e ritagli di nervo bovino. Nelle piazze delle città normali ci sono piccole fontane e, se vale male, qualche minuscolo segno di natura, che fa sempre tanto cultura. Qui, da dieci anni, ci si dedica al miasmo, alla fetida nasata, a quel sottofondo di rancido evoluto che accompagna il breve tratto di strada che affianca questo monumento ai caduti dell’olfatto. Così monumentale da essere circondato da rassicuranti catenelle e da un rialzo piastrellato che punta a evidenziarne la nobiltà e l’onore rispetto alle cose circostanti. Ma il rito del dio Puzzone trova il suo culmine d’estate, verso le tre del pomeriggio, quando la calura fa fumare l’asfalto ed è una delizia per pochi e sceltissimi eletti sorbire, in solitudine, il denso afrore di ammine e molte altre leccornie esalate dal carbonio quadrivalente. Col tempo ci siamo abituati a questo Apocalipto sensoriale e pian piano la polemica è scemata, tanto che Topesio Paglialunga, l’assessore lungo e smilzo che ci ha costretti a differenziare pure il cerume delle orecchie e i peli del culo, non ha mosso un dito per eliminare lo scempio olfattivo, che, ironia della sorte, è stato beffardamente collocato a ridosso di un negozio di profumi. Così tanto per confondere le idee e le narici. Ora, in attesa che dal ventre sagramolesco escano, festanti, i nuovi Visitors in tuta da assessori ci sembra giusto chiedere al Sindaco di smontare quell’orrore metallico e di restituire quello spicchio di centro storico ai suoi naturali odori. Prima che quel piccolo ecomostro diventi una metafora azzeccata del nuovo corso politico inaugurato da Giancarlone nostro.
23 maggio 2012
Esclusivo: intervista semiseria a Sagramola
Come si dice a Fabriano, manco l’ho fatto freddà. Ho atteso giusto poche ore e poi, senza tante tiritere, ho chiesto a Sagramolone di rispondere a qualche domanda. Domande d’antipasto e senza troppi grassi da digerire a un primo cittadino non insediato e forse ancora provato da una partita elettorale meno lineare del previsto. Il neosindaco ha risposto con tempestività, proponendosi in un format amichevole e autoironico. In piena continuità col predecessore Sorci, che aveva già tolto alla carica di Sindaco ogni tratto di solennità e di formalismo. Se poi Sagramola abbia risposto bene o male alle domande, se abbia centrato i giusti contenuti o se sia ricaduto nella melassa del politichese lo lascio al giudizio di chi legge. Per ora ci accontentiamo della disponibilità. Ma solo per ora.
Sindaco, il giorno dei festeggiamenti ti ho visto dimagrito. Anzi sciupato come si dice a Fabriano. E’ stata una dieta politica a base di sola pasta in bianco o ti ha fatto venire lo scagaccio Urbani?
Ho partecipato a tutti i catering per spiare il "nemico" ma devono essersene accorti e ci hanno messo il guttalax. Mi hanno fatto perdere 8 chili
Durante la campagna elettorale ho lanciato il neologismo “Urbamola” per dire che siete stati due candidati difficili da differenziare. Dato che siamo qui dimmi tre caratteristiche che ti piacciono di Urbani e tre per cui ti sta cordialmente sullo stomaco.
Mi piace che c'ha un'azienda, che voglia bene alla sua famiglia e che vada a pesca. Poi però non parla in faccia, è berlusconiano e si mangia le pellicine sulle unghie.
Ancora su Urbamola che è un concetto che so che non ti piace. Vi ha votati, cumulativamente, meno del 50% degli elettori. E’ perché non vi siete spiegati bene o perché la città non vi ama?
La verità è che hanno sbagliato a non andare a votare. Io credo nel voto, ho votato anche quando alle politiche la scelta era tra uno di rifondazione (Galdelli) e uno di AN. Ma ho scelto io. Non ho fatto scegliere agli altri.
La verità è che hanno sbagliato a non andare a votare. Io credo nel voto, ho votato anche quando alle politiche la scelta era tra uno di rifondazione (Galdelli) e uno di AN. Ma ho scelto io. Non ho fatto scegliere agli altri.
Ti sei impegnato a promuovere politiche di pari opportunità ma è stato eletto un solo consigliere comunale donna, tra l’altro d’opposizione. Quante ne metterai in Giunta per riequilibrare?
Ne metterò, difficile dire quante, ma ne potranno entrare anche alcune in consiglio, ci sono anche altri ruoli da valorizzare. Le donne sono il sale, altrimenti Sagramolone Pastinbianco risulterebbe anche sciapo!
Il tuo mandato inizia, anche se non formalmente, con un evento culturale Poiesis. Se avessi a disposizione un milione di euro indivisibile lo destineresti al Muso della Carta o alla Pinacoteca civica?
Se avessi un milione disponibile sarei un Sindaco fortunato. Comunque lo impiegherei per il Museo della Carta e in tutte le attività collaterali. Credo sia il nostro brand principale; quello che ci può rilanciare.
Quando si chiuderà il contratto con Equitalia punterai sulla riscossione in house o sull’appalto ad aziende private?
Voglio capire bene come fare. Quando riscuoteva il Comune ci siamo portati dietro somme non riscosse per anni ed anni. Sceglieremo quelli che spremono meno i cittadini.
La zona di Fabriano e Serra San Quirico fornisce l’acqua a tutta la provincia ma nella Multiservizi comandano Ancona e Senigallia. Cosa scegli tra: rivedere le quote societarie di partecipazione; battersi per sgravi consistenti sulle bollette delle popolazioni montane; uscire dalla Multiservizi?
Punto a migliorare i servizi perchè l'acqua è un bene di tutti. Noi ci salviamo con l'acqua che viene da Nocera. Multiservizi ha migliorato la gestione dell'acqua ma si può ancora migliorare.
Una domanda su Angelo Tini. Sarà il probabile assessore al Bilancio, si è opposto ai conti di Sorci per dieci anni e tu sei in continuità con Sorci. Pensi che Tini sarà l’oppositore di se stesso o soltanto il tuo?
Bella questione. Tini potrebbe anche fare l'assessore ai trasporti, o alla Sanità, o fare il Presidente del Consiglio, o il capogruppo del'UDC, o il Presidente della Casa di Riposo. Di bilancio ci capisce e potrà comunque dare una mano a chiarire a tutti i conti. I bilanci pubblici sono complicati
Ti impegni a discutere in Consiglio Comunale tutti i provvedimenti rispetto ai quali sono sufficienti le delibere di Giunta?
Le competenze sono diverse altrimenti non ci sarebbero giunta e Consiglio. Al Consiglio: indirizzo e controllo. Ai Dirigenti ed alla Giunta attività di gestione.
Consideri il Movimento 5 Stelle un fenomeno passeggero di antipolitica o un cambiamento strutturale della politica?
Sono uno stimolo e se disponibili al dialogo una risorsa. Si struttureranno e dovranno democratizzarsi con tutti i possibili rischi. Ma rappresentano tanti cittadini e non sono un fenomeno passeggero.
22 maggio 2012
Giancarlone e i Fiocchi Rosa
Giancarlo Sagramola, il 19 aprile 2012, firma l’adesione alla Campagna a favore della democrazia paritaria nei Comuni italiani promossa dall’Anci. Non solo firma ma rivendica il nero su bianco e lo rilancia come elemento di caratterizzazione politica sua e della coalizione che lo sostiene. Intervistato in merito dichiara testualmente: “Il nostro contesto politico e il sistema dei partiti in generale scontano un grave ritardo su questi temi rispetto agli altri paesi europei. I dati indicano un tasso di presenza delle donne nelle amministrazioni locali del nostro Paese pari al 19,5% del totale. Cambiare lo status quo è necessario, per questo ho immediatamente sottoscritto l’adesione alla campagna dell’Anci”. Tutto lascia intendere una presa di posizione forte in materia, il varco culturale attraverso il quale arrivare al cuore del consenso femminile e alla promozione di politiche di conciliazione. Arrivano il voto di primo turno e il ballottaggio conclusivo. E cade l’asino. Infatti entra in Consiglio Comunale una sola donna, eletta nelle file dell’opposizione, mentre la maggioranza sagramoliana esibisce la sua totalitaria uniformità di genere: tutti maschi, come nelle camerate di un collegio bacchettone o nelle celle di una tristissima abbazia benedettina. Ossia il contrario dell’impegno del 19 aprile. Adesso, se Sagramola vuole davvero fondare il suo mandato sulla coerenza del progetto, deve metterci rapidamente una pezza. Se non volesse ispirarsi alla rigidità ideologica delle quote rosa potremmo pure capirlo. Ma tra i posti riservati per default in base al sesso e la sparizione di genere ce ne corre. Le donne a Fabriano, come dappertutto, sono la maggioranza della popolazione, lavorano, fanno girare i soldi, fanno funzionare parecchi ingranaggi familiari e sociali e si ritrovano una rappresentanza politica del 4% C’è qualcosa che non va; qualcosa che va oltre il brutale maschilismo montanaro secondo cui la politica, diversamente dal ciambellone e dalle crostate, non è robba da femmine. Visto che sul Consiglio Comunale non si può intervenire perché elettivo, Sagramola potrebbe giocarsi la regina di cuori direttamente nella nuova giunta che, diversamente dal Consiglio, nasce dalle sue insindacabili scelte. Perchè non piazzare un paio di donne, preparate e di valore, a fare gli assessori, munendole di deleghe pesanti e senza circoscriverle, quindi, alla solita solfa della cultura e dei servizi sociali? E’ mai possibile immaginare un centrosinistra di soli uomini che sostiene una giunta di solo uomini, come fossimo in una missione gesuita del Paraguay? Certo sul versante dell’opposizione le cose non è che cambino di molto. E’ entrata in Consiglio la sola Giovanna d’Arco Leli, la Pulzella di Collamato che ha sbaragliato la concorrenza col voto compatto del suo paesello e un sorriso solare, esibito senza pause pubblicitarie e interruzioni umorali. Insomma, una novizia assoluta che ricorda Alice nel Paese delle Meraviglie, ma è animata da una volontà di ferro e una gentilezza retrò che possono farne, senza mezzi termini, o una damigella senza prospettive o una rivelazione della nuova politica liberata di vecchi e tromboni. Per il momento una cosa possiamo dirla con certezza: con una trentina di Giovanne sparse nelle diverse liste ci sarebbe stata una vera e propria pulizia etnica dei candidati maschi, che sarebbero spariti dalla circolazione senza neanche un biglietto di saluto. Sapete cosa rischia la Pulzella di Collamato in quella fossa di leoni che è Palazzo Chiavelli? Di diventare la mascotte del consiglio comunale, il logo sorridente di un’istituzione che fa finta di includere e ti ride dietro, sbertucciando l’ingenuità dei novizi specie quando sono donne. Insomma la brava ragazza che piace a tutti, a cui tutti vogliono bene, a cui si danno consigli, esempi e testimonianze ma che nessuno, alla fine, si fila (politicamente s’intende). Per intenderci ancor meglio, quelle a cui si dà la parola per parlare di pari opportunità e per presentare ordini del giorno indignati contro la violenza a Rocca Cannuccia. Ma non fate l’errore di sottovalutarla la Pulzella di Collamato: sarà tra quelli che si applicheranno di più, che studierà attentamente veline, faldoni norme e tutto quel che serve per fare il consigliere comunale rompicoglioni. Magari non la vedremo fare ostruzionismo, fingendo collassi al microfono, ma su questo siamo tranquilli perché finché c’è D’Innocenzo c’è speranza. Ma questo lavoro di tombolo la nostra Giovanna d’Arco sarà costretta a farlo in totale solitudine, senza reti di genere e col supporto paternalista e sbrigativo dei soli maschi. A meno che, un Sagramola di colpo ispirato non faccia saltare il banco, infilando un fiocco rosa in giunta e un paio di signore pronte a far sanguinare i cervelli ottusi del maschilismo locale. Ma temo che pure stavolta tutto si ridurrà a una mimosa, sperando che Giovanna Leli, a fine mandato, possa tornare a Collamato senza conoscere i roghi politici di Rouen.
Pensieri maliziosi su come sarebbe stato se...
Pare che il gallo Brenno, intento a pesare l’oro dopo l’occupazione di Roma, pronunciasse la celebre frase vae victs - guai ai vinti – per rispondere alle proteste dei romani che si erano accorti che barava nelle pesate. Il sistema elettorale dei comuni, col suo finale tipicamente referendario, è il più congeniale al vae victis, perché sancisce con durezza chi vince e chi perde. Ad esempio a Meda, storica roccaforte leghista in Lombardia, il candidato del Carroccio ha perso di un voto. Quanto basta, almeno sotto il profilo numerico, a sancire la vittoria e la sconfitta. Dal punto di vista del giudizio politico, ovviamente, le cose si complicano e subentrano interpretazioni più articolate, perché le risultanti possono essere almeno quattro: vincere bene, vincere male, perdere bene, perdere male. E su questo ognuno si può sbizzarrire in mille analisi. Il giudizio prevalente è che Sagramola abbia vinto male e Urbani abbia perso bene. Ma appena alziamo gli occhi e la telecamera dallo spazio ristretto del paesello la scena cambia completamente. Basta fare una quarantina di chilometri in direzione Ancona e fermarsi a Jesi. Cosa è accaduto nella città di Federico II°? Il favoritissimo Melappioni, - uomo forte del Pd ed ex assessore regionale – perde al ballottaggio contro l’outsider Bacci e la sinistra lascia il governo della città dopo 37 anni di mandato ininterrotto. Al primo turno Melappioni era al 41% e Bacci al 21%. Un quadro simile a quello di Fabriano, con la differenza che Bacci era l’espressione di un raggruppamento civico mentre Urbani era il candidato del Pdl e di alcune civiche di supporto. Al ballottaggio di Jesi, confluisce su Bacci un fronte trasversale che coinvolge anche l’elettorato del 5 Stelle, che non appoggia i candidati di partito ma è più disponibile verso esperimenti prettamente civici. A Fabriano Urbani dimezza il differenziale rispetto a Sagramola ma chiude, comunque, a dieci punti di distanza dal vincitore, senza emulare il ciclone Bacci. Paradossalmente, quindi, Sagramola ha vinto a Fabriano e ha pure compensato la legnata in Vallesina. Merito suo? Forse, ma resta un dubbio irrisolto e grande come una casa, il frutto di un senno di poi che non avrà mai soddisfazioni empiriche: se al ballottaggio contro Sagramola ci fosse arrivato Joselito Arcioni, oppure Marco Ottaviani, siamo sicuri che la fascia tricolore l’avrebbe conquistata Giancarlone? Chissà...certo è che il dubbio che sia stata l’esistenza di Urbamola la vera garanzia di successo per il centrosinistra ci tormenterà per lungo tempo. Anche se, come sempre accade, cosa fatta capo ha.
21 maggio 2012
Traballa coi Lupi
Giancarlo Sagramola è il nuovo Sindaco di Fabriano, col 55,1% dei voti e stasera potrà, finalmente, buttare una manciata di paprika sul suo meritato piatto di mezzemaniche al sugo. In tempi di sistema stabile, con questo risultato, l’avremmo definito un Sindaco con le Palle di Bronzo. Oggi no, perché già emergono prepotenti i mille varchi di un disegno politico incrinato all’origine. Di certo, in questo momento, agli ex Magazzini Latini si brinda e si festeggia. Ma più per lo scampato pericolo che per un reale sapore di vittoria. Il centrosinistra tira un sospiro di sollievo, ma il suo sistema di consenso è entrato pericolosamente in crisi e forse a Sagramola spetterà pure il compito di chiudere un lungo ciclo politico, inaugurato nel 1998 con l’elezione di Francesco Santini. Ma anche per questo Sagramola gode di uno spazio politico inedito, in cui può osare e battere i pugni sul tavolo: se vuole può essere solo il curatore fallimentare del centrosinistra oppure dare al suo mandato un’impronta politica innovativa. Dipende principalmente da lui, dalla sua volontà di lasciare un segno alla Zorro di Marischio, da quanto sarà consapevole che è stata la riedizione della DC il suo tallone d’Achille e la vera chiave di lettura di un’attrattività mai forte e ribalda. Urbani, dal canto suo, ha perso con onore e senza rompersi le ossa. La sua base di partenza era troppo risicata e la speranza di farcela ridotta al lumicino, ma il 45% significa aver dimezzato il differenziale percentuale del primo turno e non era davvero scontato. Resta il fatto che i fabrianesi non lo hanno visto come l’alternativa, perché la protesta ha bisogno di aculei e non di colline morbide e rotonde come quelle che Urbani ha continuato a proporre anche in questi ultimi giorni di radicalizzazione dello scontro politico. Ma l’elemento davvero nuovo di queste elezioni, che spiega anche la debolezza politica dei due contendenti, riguarda il contesto politico disegnato dai fabrianesi. Vale la pena quantificarlo, perché racchiude il senso profondo di questa tornata elettorale, ossia la vera e propria diserzione di massa rispetto al candidato unico Urbamola: ha votato solo il 53,16% degli aventi diritto e il 6% di chi l’ha fatto ha annullato la scheda o l’ha lasciata bianca. Vuol dire che abbiamo un sindaco e uno sconfitto votati, in solido, dal 47% degli elettori e che il sistema politico tradizionale è affondato come il Titanic, senza neanche l’attenuante di una storia d’amore sul ponte o del gorgheggio ispirato di una Celine Dion. In sintesi la crisi economica è entrata nelle urne. Per ora nell’unico modo possibile, in una città di gente mite, conservatrice e pacifica. Se Sagramola vuole dare una risposta efficace e di sistema a questo collasso incipiente, deve sviluppare, da subito, un’azione politica coraggiosa e creativa. Getti alle ortiche la bava furente dei partiti in astinenza e le loro pretese da campieri del latifondo politico. E faccia un gesto di rottura politica e di investimento istituzionale. Una vera sparigliata da “statista municipale”, capace di mettersi alle spalle veleni e asprezze dell’ultima ora, in nome della malconcia comunità che da oggi rappresenta: metta mano subito allo statuto dei diritti dell’opposizione e proponga Urbani come Candidato alla Presidenza del Consiglio Comunale. Sarebbe un modo astuto, urbamolato e creativo di migliorare il clima politico, di riconoscere il peso specifico dell’opposizione e di sottrarsi alla strizzata permanente di coglioni a cui lo sottoporranno Tini e l’Udc, con il supporto dell’anestesista Pellegrini incaricato di ridurre la sofferenza a colpi di etere e di flebo. Altrimenti la sacrosanta festa di oggi si tramuterà in un incubo e la poltrona vellutata di Sagramola in un baldacchino instabile che balla e traballa…traballa coi lupi.
20 maggio 2012
E il Sindaco Podestà divenne Anatra Zoppa
Alle 12 di oggi ha votato per il ballottaggio l'8,73% dei fabrianesi contro il 12,29% del primo turno. Il calo è significativo e, anche limitandoci a un semplice e spannometrico calcolo lineare di proporzioni, ciò significa che questo ballottaggio rischia di vedere la partecipazione di circa la metà del corpo elettorale. E' probabile che la percentuale risalga, specie nella giornata di domani che sarà densa di sollecitazioni e di inviti alla mobilitazione, ma con ogni probabilità si manterrà lontana dal già negativo dato del primo turno. Ciò significa che il nuovo sindaco sarà eletto con i voti di una minoranza netta di elettori. Certamente legittimato dalle regole della democrazia formale ma politicamente in affanno e più fragile nell'esercizio di quella leadership che è uno dei fondamenti culturali di questo sistema elettorale, oltre che la garanzia del margine di manovra autonomo del Sindaco rispetto alla maggioranza che lo sostiene. Comunque vada a Palazzo Chiavelli salirà un'anatra zoppa, ma nulla vieta che possa essere proprio questo limite congenito - sancito da un elettorato che comincia a disobbedire agli ordini di cordata - la base di una stagione politica in cui si archivia quel sistema dei "monologhi assistiti" che purtroppo ha messo il suo sigillo anche su questa campagna elettorale. Chiunque vinca, al di là del programma, ha una grande occasione, ossia rendere inclusivi i meccanismi della decisione e della partecipazione, sperimentando forme innovative di governance amministrativa:
- Impegnandosi a far passare per il Consiglio Comunale ogni decisione, comprese quelle che potrebbero essere legittimamente "processate" attraverso le delibere di Giunta
- Limitando, attraverso la cosiddetta moral suasion, i poteri decisionali della tecnostruttura comunale che è politicamente irresponsabile, in quanto non soggetta a filtro elettorale, oltre che professionalmente inamovibile.
- Facilitando, anche attraverso modifiche profonde allo Statuto del Comune, i meccanismi di partecipazione popolare a partire dal refendum consultivo
- Attribuendo alla minoranza le Presidenze di Commissione
- Riconoscendo, nella costruzione dell'ordine del giorno del Consiglio Comunale, il diritto alla precedenza per interpellanze, interrogazioni e mozioni presentate dall'opposizione.
- Imponendo agli assessori un silenzio stampa permanente per evitare non solo la gara a chi è l'assessore più figo ma, più di ogni altra cosa, l'assunzione di decisioni orientate più dall'impatto mediatico che dalla reale utilità.
Un Sindaco Podestà farebbe fatica a digerire anche uno solo di questi punti. Un'Anatra Zoppa, seppur a malincuore, ha la possibilità concreta di tirare davvero una riga. I poteri per farlo li mette a disposizione la legge. La volontà di farlo dipenderà dalla consapevolezza e dall'umiltà del nuovo primo cittadino. Ma su questo, diversamente da Muzio Scevola, faccio davvero fatica a mettere la mano su fuoco.
18 maggio 2012
Dichiarazione di voto...... per Furio Tarancola
Care elettrici ed elettori,
visto che non si poteva stampare la scheda per il ballottaggio con il solo nome di Urbamola ho deciso di scendere in campo per completare l’offerta elettorale. Eccomi quindi al vostro cospetto, anche se non ho tempo di farmi conoscere come vorrei. Ma credo sia sufficiente il mio programma a raccogliere tanti e tanti consensi arrapati e felici. Mi chiamo Furio Tarancola e sono un uomo qualunque. So di rappresentare il 31% dei cittadini che non è andato a votare e il 40% che ha votato contro Urbani e Sagramola. In totale fa 71% e metteteci una pezza ragionieri del piffero. Se sarò il nuovo sindaco chiamerò tutti, cani e porci, per fare una giunta di godimento e sbracamento civico. Di me non si ricordano successi ma penso che il cazzeggio più improduttivo e sfacciato sia la grande sfida per questa città. Vedo segnali estremamente positivi: cassintegrati ai Monticelli, gente che ha preso la residenza al bar, fondi di solidarietà per i paraculi, famiglie in ginocchio che mantengono i figli tutti belli e arleccati, pettegoli che hanno modo e tempo di spargere merda come fosse una delizia. E’ questa la Fabriano che ho in mente. E’ questo il mio sogno, grande come una casa: fare di questa città un modello per tutti quelli che vogliono condividere e apprezzare le pezze al culo che ci regalerà la crisi. Per questo beccatevi il mio programma, che ho sintetizzato in sette bollini adesivi che vi prego di apporre al depliant che vi arriverà nel culo in forma di aeroplanino di carta. Chi riconsegnerà il depliant con tutti i bollini avrà in premio due bellissime padelle antiaderenti, per migliorare la cottura e i diritti inalienabili del cittadino a tavola, seduto a piedi pari.
- 50.000 ore di trombate garantite e gratuite per i 25.000 fabrianesi adulti. Non è tantissimo ma le risorse sono quelle che sono, quindi accontentatevi
- potenziare la raccolta indifferenziata dei rifiuti, perché abbiamo le palle piene di convivere col pesce marcio in casa in attesa che arrivi il camioncino a ritirare il sacchettino dell’organico
- stop all’IMU e alla TARSU per chi insedierà in città strutture produttive, tecnologiche e ad alto valore aggiunto, come locali per scambisti, night club, casinò
- mettere in cassa integrazione tutti per avere più gente in giro nelle giornate di sole e nelle ore dell’aperitivo
- istituire, ogni settimana a carico delle aziende, la giornata della felicità con giochi all’aperto tra le maestranze e pranzo in amicizia. Pomeriggio libero
- distribuzione gratuita di ciambelle e alcolici per dimenticare tutte le cazzate raccontate da Sagramola e Urbani
- Giunta a tempo perso retribuita con bussolotto trasparente disposto all’ingresso di Palazzo Chiavelli
Questa è la Fabriano che vogliamo tutti. Avanti fino alla vittoria. Vota Furio Tarancola: per fare casino tutti insieme e sbattercene della crisi. Con un’alzata di spalle e un’oscillata di culo.
17 maggio 2012
Urbamola, salga a bordo cazzo!
Un cielo limpido e quasi settembrino brilla, stasera, su Fabriano. Penultimo tramonto sulla campagna elettorale. Per circa 40 giorni ho martellato i santissimi dei candidati. Quelli favoriti e quelli di rincalzo. I delusi, i confermati, le rivelazioni. Purtroppo non ho avuto modo e tempo di raccontare quel che faceva l’esercito dei candidati al Consiglio Comunale. Un formicaio di fisionomie, caratteri e storie che ho intravisto soltanto in qualche video spot, segnalatomi, per caso, dai curiosi più accaniti e goliardici. Candidate cotonate e pizzute, masculi spelacchiati ma volitivi, giovani leoni con la criniera ancora rada, sprovveduti con la puzzetta al naso, menefreghisti storici trasformati in geni dell’apostolato politico. Una galleria di tipi psicologici e bizzarrie lombrosiane su cui si poteva scrivere un libro di biografie frivole ma impegnate. Sono le ultime ore. E sono rimasti solo in due: Sagramola e Urbani. Li ho colpiti e sbertucciati senza tregua, creando nomignoli, imbastendo racconti, saltando di palo in frasca, paragonandoli a qualsiasi cosa fosse evocativa del loro pensiero, a partire dal corpo che, come ho sempre pensato, è il primo, grande contenitore di psicologia applicata. Le mie fresche e laceranti sventure politiche con la Lega mi avevano spinto a fare un passo indietro, come fanno i gatti feriti che preferiscono nascondersi piuttosto che dare a vedere la seppur minima sofferenza. Poi ho saputo che parecchi si sfregavano le mani per il rompicoglioni che tornava a casa sputtanato e solo. E lì è partito il vaffanculo cosmico, anche grazie al sostegno e alle parole piene di grazia di chi non mi ha lasciato solo nemmeno un istante. E mi son detto: di sicuro sono un pessimo politico ma me la cavo a raccontare la politica e i suoi protagonisti, a dare a un gioco meschino di tradimenti e menzogne la dignità di un racconto quanto meno divertente. Ed è nato questo blog che, giorno dopo giorno, ha cominciato ad affollarsi di visitatori. Mille solo negli ultimi tre giorni, tanto per darsi un po’ di arie e la mano da soli. La soddisfazione più bella: due ragazzi del SEL, mai visti prima, che mi hanno detto: siamo lontani anni luce ma non possiamo fare a meno di leggerti e godere di quel che scrivi. Tutta questa lunga pugnetta personalistica e intimista per dire che prendo un impegno. I Bicarbonati di questa pagina continueranno a circolare e a mitigare l'acido fiammeggiante che sale dallo stomaco della cattiva politica. Seguirò passo passo le gesta del nuovo Sindaco e della sua Giunta, raccontandone i molti vizi, le poche virtù e le mille puttanate che scandiranno, giorno dopo giorno, questo difficile mandato di governo della città. E mi impegno anche a raccontare l’opposizione, quella della piazza e quella di Palazzo Chiavelli, con il rispetto che si deve alle minoranze e che spesso langue in questa città, piccola e spietata, che ama bastonare i cani che affogano e e le anime salve senza protezione. Faccio quindi i migliori auguri ai candidati sindaco, anche per la patata bollente che uno dei due si ritroverà in mano. Ma le tenerezze finiscono qui. Urbamola, salga a bordo cazzo!
Disertori ma felici
Non potevo perdermi il voce a voce radiofonico tra i due candidati. E’ stato una morte lenta della democrazia, coi cittadini totalmente privati del “non verbale” che decide vincitori e vinti, quanto meno dal punto di vista mediatico: espressioni del viso, smorfie, rivoli di sudore, sopracciglia aggrottate, camicie pezzate dall’umido corporeo, oscillazione dei piedi e delle gambe. Unica concessione il video in differita di stasera, che è come vedere la finale dei mondiali dopo che la coppa è stata assegnata e il giro di campo di festeggiamento compiuto. Ma anche via radio si è capito il trucco. Sagramola con la voce a saetta, che divorava parole su parole e il tono inequivocabile di chi legge, perché nel leggere salta quella punteggiatura verbale fatta di pause, sospiri, momenti di vuoto che dà sapore, colore e calore alle idee che si esprimono. Didascalico e inespressivo il candidato del centrosinistra, totalmente incapace di toccare corde sentimentali, se non in forma retorica attraverso la rivendicazione delle origini, i forni abbandonati e i lavatoi di Marischio da rianimare. Un discorso da nonno saggio, da zio zitellone che rimpiange il piccolo mondo antico che non c’è più e più non tornerà. E’ andato appena meglio Urbani, perché il poco che aveva da dire lo ha memorizzato, ripetendolo come un mantra, dopo giorni e giorni di video propedeutici col fido Gattucci. Voce più decisa di quella del contendente, ma resa fragile da inflessioni dialettaliprofonde e altrettanto profondi limiti di sintassi; parole chiave pigiate e rimarcate da metalliche sottolineature di tono, come moniti da scaraventare sul viso di ascoltatori subalterni; un ragionare bonario per toccare le corde del popolino e artigliato per tenerlo a debita distanza. Ma alla fine è stato un pareggio sostanziale, anche perché entrambi hanno toppato l’appello finale. Sagramola intortando una noiosa filippica di educazione civica sul voto come dovere, sul sangue versato per conquistarlo e il richiamo a scegliere uno dei due come se questo o quello fossero la stessa cosa. E di certo lo sono, ma è strano che sia lui a dirlo. Urbani invece – non dimentichiamolo capogruppo del PDL in consiglio comunale per cinque anni - ha sbagliato per il continuo proporsi come inatteso coniglio uscito dal cilindro dell’antipolitica e custode abusivo del 62% di chi non ha votato Sagramola, ma almeno sincero nel dire di voler essere il nuovo Sindaco. Come elettore interessato ma neutrale, coinvolto ma senza passione, posso dire che mi è salita dentro una voglia matta di meteo, di spiaggia e bibite fresche da consumare al sole. Invece saranno ancora giorni di pioggia. Ma pure col diluvio un’alternativa la si trova, perché Sagramola e Urbani un miracolo urbamolato sono riusciti a compierlo: levarci dalla coscienza e dalle balle l’ultimo senso di colpa di fronte all’astensione. Disertori ma felici.
16 maggio 2012
Il retroscena di un faccia a faccia mancato
Lo confesso. Mi sono divertito una cifra a far dispetto ai candidati, proponendogli un faccia a faccia "moderato" da me. Ed è stata una goliardata di successo, uno schiaffo alla stazione degno del Conte Mascetti in Amici Miei Atto II°. Di quelli a rendimento garantito, tipo andare a pesca al Lago di Villò e tornare col cesto ricolmo. Sapevo che bastavano due parole a mandarli in tilt. Loro e i loro staff che annegano in un bicchiere d'acqua. Perchè, diversamente dal passato quando non sudava mai, la politica di oggi gira armata di pannoloni Pampers rinforzati, perchè ansia e scagaccio regnano maleodoranti e sovrani. Però qualche previsione l'ho sbagliata. Ero convinto che avrebbero fatto entrambi orecchie da mercante, a conferma della teoria dell'esistenza di Urbamola, il candidato unico e trasversale che ha segnato indelebilmente queste elezioni comunali. Invece col buio dell'ora tarda, quando la nottola di Minerva spicca il volo e porta saggezza, il sultano Al Sagram ha detto si, forse confortato dalla fornitura di peperoncino di Calabria messagli a disposizione, senza proferir parola, da Pino Pariano da Cotronei. D'intinto ho pensato, tra me e me: se accetta anche Urbani verrà fuori una bella partita e sarò un arbitro imparziale come un Collina alla finale dei Mondiali. Invece ho sbagliato di nuovo perchè Papa Urbano, diversamente dall'Uomo del Monte, ha detto no: "Ti ringrazio Gian Pietro ma domani ho un altro impegno in radio". Che tradotto in "parla come mangi" suona così: Caro Gian Pietro non regalerò il mio scalpo a un pezzo di merda come te". Ho risolto il caso pensando a un problema personale perchè, notoriamente, sto sui coglioni a Urbani quanto Bin Laden alla CIA. Me era una spiegazione troppo sciocca per uno che punta a fare il Sindaco e mi sono convinto che non poteva essere così con le parole di una canzone di Cristiano Malgioglio: "lui potente, io niente, eroe di mamma mia solamente". Alla fine ho trovato la risposta più plausibile. Urbani ha detto no per due ragioni: la prima è la paura atavica di un confronto senza paracadute e materassi di gomma a protezione.Con domande vere che non avrebbe accettato manco se al mio posto ci fosse stato un manichino della Benetton addestrato per settimane nelle campagne di Nebbiano. La seconda è che Urbani non ha avuto timore di me ma della mia totale e intrattabile autonomia nella scelta dei temi da affrontare. Molto più comodo e confortante affidarsi alle domande di rito di qualche fido scudiero che neanche concepisce il più innocente strappetto. Che è come se un torero di successo decidesse di toreare un pacifico Manzo di Romagna piuttosto che rischiare le cornate di un toro Miura da 600 kg. E questo vale a maggior ragione se consideriamo che Urbani si è autorappresentato come incarnazione del cambiamento, che è notoriamente, rischio, azzardo e sfida. E chi ha paura di una decina di domande non concordate in anticipo è uno che sta al cambiamento come un deltaplano sta a un caccia della Marina degli Stati Uniti. I faccia a faccia, infatti, vengono bene quando a intervistare sono i cani rabbiosi, le penne intinte nel veleno e i severissimi con la faccia da Caronte e gli occhi di bragia. Perchè sono quelli che possono mettere in luce la stoffa del candidato, la sua resistenza alle tensioni, la reale vocazione democratica e l'attitudine a gestire le situazioni. Colui che intervista è solo un piede di porco al servizio dell'opinione pubblica, uno strumento attivo di rivelazione e disvelamento. Al posto di Urbani mi sarei fatto impiccare anche dal demonio pur di mettere a segno un colpo finale contro il mio avversario. Ma come diceva Manzoni, in uno straordinario passo dei Promessi Sposi, il coraggio chi non ce l'ha non se lo può dare. Anche se sul profilo di Facebook mette la foto di Giovanni Falcone e si colloca tra gli uomini che non hanno paura.
15 maggio 2012
Fate un faccia a faccia...ve lo modero io...a modo mio!
Leggendo a destra e a manca le dichiarazioni dei candidati sindaci e la loro disponibilità al confronto la sparo grossa: essendo l'inventore del neologismo Urbamola mi offro come moderatore di un faccia a faccia con la pistola fumante tra Urbani e Sagramola. Senza domande comunicate in anticipo; all'americana, con l'obiettivo dichiarato di farli scivolare su qualche buccia di banana. Insomma un moderatore con la bava alla bocca e non il solito scendiletto che fa da garzone al potente di turno. E voglio vedere chi ha le palle di farsi scorticare vivo dal sottoscritto. Prometto solo cerotti, garze e un due dita di mistrà. Saranno così audaci o si telefoneranno "pucci pucci" per scongiurare il rischio?
Se siete d'accordo sostenete la mia proposta lasciando un commento di sostegno a questo post
Il totoassessori che non ci sarà
Sergio Romagnoli, neoconsigliere comunale del Movimento Cinque Stelle, ha lanciato una proposta ai due candidati al ballottaggio: fuori i nomi degli assessori. In teoria sarebbe una buona idea perché darebbe ai cittadini la possibilità di avere qualche elemento di giudizio in più e toglierebbe al Sindaco che verrà quell’aura podestarile che gli viene assegnata da un sistema elettorale che scatena i personalismi più blasfemi. E’ vero che la norma stabilisce che la titolarità dei poteri è tutta del Sindaco - che delega assessori senza diritto di voto, costretti a dimettersi nel caso fossero stati eletti in consiglio comunale – ma sapere in anticipo chi saranno i collaboratori del primo cittadino è una opportunità su cui ragionare. Ma questa è la teoria politica. Poi ci sono il machiavellismo pratico e le considerazioni di opportunità. Sappiamo bene, infatti, che i candidati sindaco evitano di tirare fuori i nomi degli assessori per non dare assist e alibi ai delusi che, non essendo nominati, chiuderebbero baracca e burattini smettendo di correre e cercare voti. Nel 2007, un malconsigliato Carmenati, fece questa sceriffata letale, pensando di fottere il Barbuto con l’asso nella manica. Ma il Barbuto rimase immobile come un Caimano di Monte, resistendo alle pressioni e ai richiami degli ansiosi che lo spronavano ad allinearsi agli Avvocati. Contro Carmenati si aprirono le acque del Mar Rosso e finì come sappiamo. Quindi quello di tirare fuori i nomi è un asso che, in genere, calano gli inseguitori per recuperare terreno ma che raramente funziona davvero. Sulla pagina di Facebook di Romagnoli è quindi intervenuto Urbani o chi per lui, cercando di tenere assieme capra e cavoli, ossia senza dire i nomi ma limitandosi a evocare i criteri con cui comporrà la Giunta. Una prudenza che si spiega con l’esperienza passata, perché quando Carmenati fece quell’errore madornale era presente anche Urbani, designato alla carica di assessore alle frazioni. Paradossalmente è proprio nei rapporti di forza tra i candidati che si scorge la ragione che indurrà entrambi a tacere: Sagramola non può e non vorrebbe perché sarebbe un suicidio, visto il suo dato personale e quello delle liste; Urbani vorrebbe ma non può perché si troverebbe di colpo isolato, con Silvano D’Innocenzo e Claudio Biondi, uomini di partito umiliati dal “fuori tutti”, che avrebbero qualche motivo concreto per operare col culo girato. Morale della favola: avremo tante parole impegnative sui criteri, sulle intenzioni, sui parametri e sulle magnifiche sorti e progressive della nuova giunta comunale ma nessun nome. Manco a cavarglieli di bocca con le tenaglie. Perché, in politica, non è detto che chi mena prima mena due volte. Anzi a volte è detto esattamente il contrario.
14 maggio 2012
Il voto New Age e il diritto all'astensione
Nel 1975 Maurizio Ferrara, comunista di ferro e padre del sulfureo Giuliano, scriveva a proposito di Pannella e compagnia: “i radicali so’ ’na manica de gente assai lasciva / finocchi e vacche ignude alla Godiva”. Ora, anche senza aver flirtato per il giro radicale di froci, mignotte e bagarozzi, va detto che dobbiamo molto al partito della Rosa nel Pugno. Gli dobbiamo molto in termini di cultura democratica e liberale e visto il Paese sostanzialmente clerico-fascista che siamo mi pare un debito di riconoscenza di primaria importanza. Ma c’è una cosa straordinaria, che nasce dal pensiero radicale e che anche oggi affolla il piccolo e il grande dibattito politico: la rivendicazione dell’astensionismo attivo, il diritto democratico di esprimersi anche disertando le urne, di considerare l’astensione non un sottoprodotto dell’ignavia e del cerchiobottismo nazionale ma uno schiaffo alla pretesa del voto furbetto. Ho ripensato a questo sdoganamento radicale leggendo, specie su Facebook, i richiami civici al dovere del voto in vista del ballottaggio di domenica. Richiami che non provengono da qualche antiquato cultore delle regole formali ma dagli schieratissimi sostenitori di Urbani. La tesi corrente, a dire il vero alquanto autoritaria, è che chi non vota appoggia Sagramola. Si tratta di una puttanata galattica perché il ballottaggio somiglia a un referendum ma non prevede quorum e, quindi, non serve una soglia minima di validazione del voto per eleggere il primo cittadino. Se vanno a votare dieci persone si diventa legittimamente sindaco con sei voti. Se ce ne vanno venticinquemila servono 12.501 voti, perché i valori si calcolano sul numero dei voti validi. La questione non è, quindi, di senso civico ma semmai prettamente politica ed è presto detta. Urbani è lontano qualche anno luce da Sagramola ed è convinto che una maggiore affluenza ai seggi lo premierebbe. Dimenticando che il centrodestra è sempre più fiacco degli avversari nel ballottaggio perché ha una base militante più esigua di quella dei compagni. Questa convinzione nasce da un ragionamento astruso che ho percepito guardando un’esilarante intervista rilasciata dal candidato del Pdl a Daniele Gattucci. Urbani, a un certo punto, pronuncia una frase emblematica e rivelatrice e cioè che il 62% dei fabrianesi ha votato contro il Modello Marche. Messa in questi termini la partita diventa di una facilità sublime: basta convincere quel 62% ad andare alle urne e il buon Giancarlone se ne torna a fare il dipendente comunale. Poco importa che in questa massa indistinta ci siano grillini, comunisti, centristi, rivoluzionari e pantofolai. Ossia persone e soggetti attratti dalla destra quanto una iena da una cassetta di pomodori sammarsani. Ma Urbani è un politico new age, un seguace di Scientology convinto che le cose si ottengano soltanto desiderandole e con input extrasensoriali lanciati agli invisibili fili che governano le leggi dell’attrazione. Quindi è assai più comodo immaginare questa massa indistinta come un’argilla plasmabile, pronta a votare per il candidato del Pdl se solo Urbani riuscisse a mobilitarla con qualche parola piccante e risolutiva. Ora, a parte che si potrebbe far rilevare a Urbani che il 78% degli elettori non ha votato per lui. Il che significa che se il Modello Marche non ride il modello Urbani di sicuro piange, ma sarebbe un inutile gioco a rimpiattino. Ma la cosa che sconvolge è, invece, la totale assenza di realismo e di lucidità politica che muove la coalizione del Capparo coi Denti d’Acciao. Un delirio alla Cervantes che ha trovato, stasera, un’ulteriore conferma con un manifesto in sette punti, uno più demagogico e irrealizzabile dell’altro. Compresa la creazione di posti di lavoro che, notoriamente, dipende dal livello comunale quanto il sole dai cambi di stagione sulla Terra. Un fritto misto di grillismo, di sovversivismo un tanto al chilo e di berlusconismo stravecchio e stracotto. Il modo migliore per alimentare un altro botto di astensione. Chapeau!
13 maggio 2012
Il Califfo Al Sagram e la Crociata di Papa Urbano
La campagna elettorale di Urbani è cambiata repentinamente, come il tempo in questo fine settimana. Dopo un primo turno segnato da un ricalco, quasi maniacale, dei fasti del democristianesimo tisanato e del catering più pervasivo, Papa Urbano l’Ecumenico ha interrotto i lauti pasti e proclamato la Crociata, per liberare Fabriano dal califfato incombente e vagamente asiatico di Al Sagram. Fine delle bontà trasversali, delle opposizioni costruttive, delle benedizioni urbi et orbi, del “semo figli di Adamo ed Eva a condizione che me votate”, del voltiamo pagina tutti assieme, de tacco e de punta. Come d'incanto le pagine da voltare sono diventati fogli che bruciano, anatemi che rombano e dita puntate che impongono, perché nelle crociate l'impronta nodosa del grossolano subentra sempre alla vaghezza anemica del sottile. Ecco quindi i corteggiamenti cazzuti ma surreali al Cinque Stelle antisistema e alla sinistra classista; l’approccio da Fronte Popolare con gli sconfitti, in nome della comune lotta all'Obitorio Marche; il tentativo di accreditarsi come guida mosaica del popolo nomade degli anti Sagramola; i volantini protestatari e aitanti, con corde che si strappano e appelli accorati a un risveglio civico in forma di elettroshock. E poi i candidati azzurri che dilagano nei social network, che rintuzzano con zelo le pulsioni astensioniste, che chiamano a un "di qua o di là" come se si dovesse scegliere tra democrazia e comunismo e non tra due signori sostanzialmente indifferenziati; la pagina personale di Facebook del candidato - tirata a lucido senza più bambini che non nascono imparati, con tanto di rimembranze falconiane e viste sul centro storico a volo d'uccello - che tambureggia twittate secche e perentorie; l’attacco inatteso, e assai poco amletico, alle banche e a Equitalia; il saccheggio sistematico e orgoglioso degli altrui programmi come se il proprio fosse affetto da invecchiamento precoce. Un Urbani che si spoglia del maglioncino Minchionne Style e indossa mimetica e anfibi per scivolare repentinamente a destra, con una disinvoltura quanto meno sospetta, visto che la radicalizzazione politica è quanto di più estraneo alla sua personalità e alle sue convinzioni. Per anni ha rivendicato con orgoglio la propensione al centro, i pomiciamenti tiniani e ottavianei, il disprezzo per ogni nota che stonasse, in chiave estremista, rispetto alla sua ninnananna. La conversione improvvisa da Bianconiglio a Lupo Mannaro è un colpo di coda tardivo e ansiogeno, affidato a parole che non gli appartengono; parole che profumano di destra sociale, di un rigurgito missino che contrasta sideralmente con lo sforzo di rappresentarsi come uomo della società civile e tecnico neutrale rispetto al teatrino delle idee e degli schieramenti. Non ci si inventa gladiatori in una notte, perché chi ama i marmi del Senato non può appassionarsi alla sabbia del Colosseo senza spargere un forte profumo di finzione. Certo, Urbani ha diciassette punti da recuperare e una base di partenza minoritaria. Dire cose di destra gli serve a mobilitare una quota di elettorato apatico, a dargli un sacro fuoco da alimentare e un’illusione breve su cui investire. Ma è troppo tardi. perchè il più grande avversario di Urbani non è stato Sagramola ma Urbani stesso, col suo rifiuto di incarnare un’alternativa politica inclusiva e chiara e non soltanto un disegno di successo personale spinto al limite dell'eiaculazione precoce. Non è riuscito a coalizzare forze politiche che avrebbero potuto sostenerlo, perché il suo nome non era il frutto di una strategia politica ma l’incarnazione di un diktat indiscutibile e primordiale, vincolato al successo di un impossibile accordo con l'UDC e con Ottaviani. E alla fine non è riuscito a mobilitare nemmeno gli elettori, nonostante un monumentale dispendio di energie, impegno e denaro. E’ la solitudine dei numeri primi, il cruccio di chi si divide solo per se stesso, di chi pensa che tutti gli altri siano, per default, delle menti limitate che non possono comprendere certe grandezze. E per certi versi Urbani è stato l'espressione più compiuta della crisi della rappresentanza politica, ridotta - anche grazie a un sistema elettorale figlio della crisi del '92 - a gioco referendario, a lotteria personalizzata, a battaglia tra fisionomie, caratteri, temperamenti e modi di essere e di fare. Comunque vada, il centrodestra a Fabriano somiglia, ormai, a un villaggio fantasma battuto dalla polvere e dal vento, come in uno Spaghetti Western. Il Pdl è pelle e ossa, la Lega uno scheletro di cartongesso e la destra ex An è stata lessata in un brodo civico che l’ha consumata nella sua identità più profonda. Per ricostruire qualcosa serviranno nuovi barbari e nuove fantasie. Per ora abbiamo davanti un deserto che chiamiamo pace e di doman non c'è certezza.
12 maggio 2012
Urbamola alla Primavera Fabrianese
Domani c'è la Primavera Fabrianese, la manifestazione sportiva più amata in città. E' un momento di festa per i podisti assatanati e i mariti scoglionati, per le mogli che scoderizzano, i vecchi che stramazzano e i bambini che impazzano. Una giornata particolare e trasversalissima, a sette giorni puliti dal ballottaggio; un evento che farebbe sbavare - come una lumaca sotto sale, pronta per la sagra di Cancelli - anche il meno mondano dei papabili. Si mormora di una fugace sagramolata tra i corridori. Di Urbani, invece, non si hanno notizie certe, ma pare si aggiri per i viottoli di Nebbiano, con una canna di pesca a mosca in mano, sussurrando agli organizzatori come Nanni Moretti in Ecce Bombo: " Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino al gazebo degli arrivi, di profilo, in controluce. Voi mi fate "Urbà vieni qui con noi, dai" ed io "andate, andate, vi raggiungo dopo". Vengo, ci vediamo là. Mi porto anche un Gattucci telecamerato che, quanto meno, l'intervista da non perdere ci scappa di sicuro. Anzi no, non mi va, non vengo." In attesa di vedere quel che davvero accadrà, gli scommettitori impazzano e c'è pure chi azzarda previsioni al limite della decenza: manifesti elettorali al punto di ristoro del km 10, con razione energetica e salutista di fave e porchetta per spingere meglio nelle salite; Sagramola nudo a Capretta, addobato di tazebao mobile con su scritto "La gazzella quando si sveglia sa che deve correre perchè c'è il leone. Ma pure io devo correre perchè l'UDC non magna da vent'anni"; Al Puro si vocifera, addirittura, di un Urbano's point dove i podisti saranno costretti a respirare ossigeno direttamente dal bocchettone di una cappa con motore trifase. Ma c'è anche chi ipotizza una lite ai nastri di partenza tra Urbanetto e Giancarlone sul numero della pettorina: non riuscendo a trovare la quadra su chi debba indossare la numero uno e la due, pare si giungerà a un accordo dando a Sagramola la 12, a Urbani la 21 e scrivendo su entrambe "dopo la lunga corsa tutti a casa". Non si esclude una presenza, simbolica ma democratica, dei candidati esclusi: Emanuele Rossi per stimolare i podisti più stanchi al grido di "ora e sempre resistenza"; Ottaviani a incitare gli avviliti: dai forza, mancano solo 3.0 chilometri al traguardo; Arcioni a fianco del podista che chiede aiuto e gli rifila in faccia un bel "cazzi tuoi noi non ci apparentiamo"; e da ultimo Paoletti che tace perchè non se lo fila nessuno e annuncia gare di logorrea col patrocinio verbale di Pino Pariano. Poi, alla fine della giornata tutti assieme felici e contenti: catering di qualità e pasta in bianco per tutti. E gli elettori...una scheda in mano e rutto libero.
Gli orgasmi di Tini, il rutellone di San Donato
Ieri ho visto Angelo Tini. E ci ho scambiato pure qualche parola veritiera sul voto e sui candidati che si affronteranno al ballottaggio. Poi, a semifreddo, mi sono rivolto alcune domande amletiche: ho, forse, improvvisi problemi di stitichezza, visto che non sono subito corso in bagno in preda a deliri intestinali? Oppure devo chiamare uno strizzacervelli in grado di svelarmi qualche imprevedibile linea d'ombra? Dopo qualche istante di meditazione accorata ho sciolto la riserva: non ero io l'origine dell'improvvisa distensione ma la felicità di Tini, in preda a orgasmi seriali da ritorno trionfale alla poltrona assessorile. Abbigliamento sportivo, colori coloniali, trippone esacerbato da consumo affratellante e bulimico di vettovaglie elettorali, capelli ingrifati da eccessivo utilizzo di spazzole elettrizzanti, l'espressione sospesa tra l'arguta sciaperia di Alberto Sordi e gli occhioni imploranti di un Rutelli condannato all'esilio a San Donato. Come se cinque anni di opposizione alla giunta Sorci fossero spariti in un nonnulla e dissolti in un oblio morbidissimo e sorridente. Perchè essere democristiani non è una scelta politica ma uno stato d'animo, un disinvolto riposizionamento che non lascia tracce: mai i segni di un conflitto, mai la sindone profana di una giravolta sofferta, mai e poi mai la tentazione dell'osare, del lanciarsi in mare senza allarmi e capitanerie di porto. In questo esilarante diluvio di buonsenso io e Tini siamo lentamente giunti ai confini del reale, dove le parole s'innalzano e svolazzano, come l'elio dei palloncini comprati agli infanti nelle feste di paese: io con le gambe accavallate dell'uomo a disagio e Tini giulivamente assiso in una panca di legno con le mani adagiate sulla ventresca espansa, mentre narrava di voti e voti disgiunti, con preferenza a lui e croce sul Sindaco del Cinque Stelle. Come se il vaffanculo antisistema fosse una variante istituzionale e automatica dell'incularella democristiana, come se vecchio e nuovo non fossero altro che rappresentazioni gemellate e una genialità scudocrociata, riveduta e corretta, inquinasse ogni vagito di possibile rinascita. E' stato esattamente questo il miracolo dell'UDC nelle elezioni comunali: sbianchettare i ricordi del passato, adulterare la memoria e fare la sola cosa che sanno fare le chiappe inaffondabili quando sono investite dalla crisi, e cioè aspettare. Calati juncu ca passa la china dicono, con amaro realismo, i siciliani. Abbassati finchè non passa la piena. Ora la piena è passata e Tini dopo lunga traversata nel deserto, avvantaggiata dalle brame di un culone desiderante, ritorna a Tipperary, come se il passato fosse solo una gigantesca e flessibile pelle dei coglioni. La politica, putroppo, non è solo sangue e merda ma anche un'insopportabile tanfo di estrema unzione. E come, diceva Albert Camus, la libertà che ci rimane è solo e soltanto il diritto di sputare quando l'afrore del cadavere rimbalza, magari per caso, sulla punta della lingua.
11 maggio 2012
Straziami ma di baci saziami!
Ieri ho lasciato la macchina a viale Moccia, avanti alle plance elettorali. Mi è caduto l’occhio su due classici manifesti di ringraziamento per i voti ricevuti: quello di Urbani e quello di Sagramola, i gemelli diversi. Personalmente considero il manifesto postelettorale di ringraziamento una delle cose più ridicole e false che si possano fare, una sorta di peto impacchettato per fottere, in seconda battuta, la buonafede degli elettori. Ma l’occhio mi ci è caduto lo stesso e non ho potuto fare a meno di trovare conferma a una mia tesi. Manifesti di ringraziamento di Urbani: “Ora tutti insieme per voltare pagina”. Manifesto di Sagramola: “Ora insieme al ballottaggio”. La domanda sorge spontanea: ma Urbamola è davvero soltanto un mio delirio o invece una concretissima realtà politica e antropologica? Possibile che su un vocabolario che comprende circa settemila termini d’utilizzo quotidiano i due candidati siano riusciti a usare due parole uguali su un totale complessivo di nove? Ci sono due spiegazioni. Una vera e l’altra verosimile. La vera è che scrivono parole uguali in quanto psicologicamente uguali, e non a caso il linguaggio è innanzitutto una traccia del pensiero. La seconda, verosimile, ma non accertabile e che i due si siano telefonati per mettersi d’accordo. Provo, allora, a immaginare una ipotesi di dialogo telefonico:
U: Pronto Giancà. So Urbà.
S: Ciao Giancà come stai?
U: Che cazzo dici Giancà so Urbà no Giancà
S: Santo Dio Urbà me confonno sempre. Sarà che ce arsomiamo così tanto Urbà
U: No gnente Giancà stavo a pensà a come ringrazia la gende che c’ha votato.
S: Urbà sai che ce stavo a pensà pure io! Ma pensa te Urbà, stavamo a pensà tutti e due la stessa cosa allo stesso momento. Volemo fa na cosa Urbà? Scrivemolo uguale sto ringraziamento così la gente pensa che se vinci tu ho vinto pure io e se vinco io puoi festeggià pure tu.
U: Giancà ma lo sai che c’hai avuto proprio na bella idea? Io ce scrivo voltamo pagina e tu?
S: Io Urbà ce scrivo ballottaggio. Almeno glie famo crede che l'avemo fatti diversi. Ecco così me piace Urbà.
U: Si bravo Giancà scrivemocelo. E poi è ora che stamo insieme noialtri, perchè semo fatti della stessa pasta. Pastimbianco tutti e due. Ora, insieme.
S: Urbà c’hai ragiò! So proprio tanto contento che la pensamo uguale mannaggia li pescetti rossi.
U: Stamme bene Giancà, co tutti sti grilli che sta a cantà non se fa mai notte. Prepara le fave pe la festa che io ce metto la porchetta.
S:Ciao Urbà te vojo vene
U: Anche io Giancà.
Non sappiamo cosa sia realmente accaduto e se i messaggi fotocopia siano frutto di accordo o di pochezza linguistica. Ma è tra questi due che dovremo scegliere. Volenti o nolenti. E che Dio ce la mandi buona.
U: Pronto Giancà. So Urbà.
S: Ciao Giancà come stai?
U: Che cazzo dici Giancà so Urbà no Giancà
S: Santo Dio Urbà me confonno sempre. Sarà che ce arsomiamo così tanto Urbà
U: No gnente Giancà stavo a pensà a come ringrazia la gende che c’ha votato.
S: Urbà sai che ce stavo a pensà pure io! Ma pensa te Urbà, stavamo a pensà tutti e due la stessa cosa allo stesso momento. Volemo fa na cosa Urbà? Scrivemolo uguale sto ringraziamento così la gente pensa che se vinci tu ho vinto pure io e se vinco io puoi festeggià pure tu.
U: Giancà ma lo sai che c’hai avuto proprio na bella idea? Io ce scrivo voltamo pagina e tu?
S: Io Urbà ce scrivo ballottaggio. Almeno glie famo crede che l'avemo fatti diversi. Ecco così me piace Urbà.
U: Si bravo Giancà scrivemocelo. E poi è ora che stamo insieme noialtri, perchè semo fatti della stessa pasta. Pastimbianco tutti e due. Ora, insieme.
S: Urbà c’hai ragiò! So proprio tanto contento che la pensamo uguale mannaggia li pescetti rossi.
U: Stamme bene Giancà, co tutti sti grilli che sta a cantà non se fa mai notte. Prepara le fave pe la festa che io ce metto la porchetta.
S:Ciao Urbà te vojo vene
U: Anche io Giancà.
Non sappiamo cosa sia realmente accaduto e se i messaggi fotocopia siano frutto di accordo o di pochezza linguistica. Ma è tra questi due che dovremo scegliere. Volenti o nolenti. E che Dio ce la mandi buona.
10 maggio 2012
Il perizoma di Arcioni e il frustino urbamolato
Nel 1992, quando la Lega sbaragliò la Prima Repubblica, i partiti corsero goffamente ai ripari. Come al solito tagliandosi le palle da soli. Craxi, il più audace della compagnia, organizzò addirittura un ritrovo di socialisti a Pontida. Cosi, giusto per salvare la faccia facendo credere di essere più federalista della Lega. Poi le cose andarono come ben sappiamo. Ma, come sempre, la storia si ripete. Prima i partiti sottovalutano e poi quando si ritrovano in braghe di tela corrono ai ripari facendo i cuculi che rubano i nidi degli altri. E se nel 1992 per battere la Lega ci si raccontava federalisti convinti da sempre, oggi per fermare l’onda del 5 Stelle i partiti giocano a descriversi come grillini ante litteram, non rendendosi conto che ogni movimento che fanno è solo una stretta aggiuntiva al cappio che hanno appeso al collo. Raccontano gli osservatori che l’operazione svuotamento del 5 Stelle sia iniziata pure a Fabriano dove il 15% raccolto da Arcioni e la sua band fa gola, ovviamente, sia a Sagramola che a Urbani. Ottaviani invece, che prima del voto sembrava dovesse decidere la vita e la morte della politica fabrianese con il pollice di un imperatore romano al Colosseo, è ormai soltanto un comprimario, che avrà pure una sensibilità diversa (come diceva in un suo manifesto), ma che il cane e il gatto (sempre dello stesso manifesto) se li dovrà tenere stretti, giusto per avere un po’ di compagnia e non sentirsi solo. Ma torniamo alle tentazioni di Sagramola e Urbani, che sanno bene che se il Cinque Stelle sostenesse uno di loro Arcioni verrebbe impiccato dagli elettori sulla pubblica piazza all’ora dell’aperitivo e senza neanche la soddisfazione di un ultimo prosecco. Ma quei voti fanno gola perché sono davvero tanti, troppi. E allora che fare? L’attacco frontale, comprensivo del divieto di sosta grillesco del primo turno, non ha funzionato. E quindi, dopo la stagione delle minacce, s’inaugura la fase delle seduzioni. Ma il problema è di metodo: come sedurre? Le seduzioni possibili fanno riferimento a una casistica ristretta. Quella più a buon mercato è la seduzione programmatica, modello Berlusconi 2001 all’assemblea di Confindustria a Parma: il mio programma è il vostro, quindi datemi i voti e fatemi eleggere che poi ghe pens mi. Si tratta di una tipologia a basso costo e limitata efficacia, la più insulsa sia per chi la propone che per chi l’accetta. La seconda è quella di convincere un uomo rappresentativo del movimento a entrare in giunta senza portare il movimento in maggioranza. In sintesi a tradire, ma si è visto che non funziona perché il Sindaco si ritrova sul groppone un assessore che poi verrebbe immediatamente impalato dal movimento. Una strategia di elevato costo e bassa efficacia. In realtà non c’è alcuna possibile strategia di colonizzazione perché, nella fase nascente, i movimenti antisistema assorbono una massa critica di tensioni e di aspettative che vanno conservate al netto di ogni contaminazione. E considerato che il 5 Stelle ha preso il 15%, è il secondo partito in città, e ha il vento in poppa, presumo non siano così irrimediabilmente ingenui da abbracciare il cadavere del partitismo proprio mentre sta per stirare gli zoccoli. Sarebbe un autolesionismo degno di una notte estrema di bondage col frustino urbamolato. E Joselito in perizoma, appeso a un gancio di metallo, mentre Urbani lo sculaccia severo e dominante, faccio davvero fatica a immaginarlo.
9 maggio 2012
Fratelli coltelli in Casa Sagramola
Questo celebre olio su tela ricorda l'omicidio di Marat, icona estremista e sanguinaria della Rivoluzione Francese, nel periodo della guerra civile. Marat venne ucciso in una vasca da bagno, mentre era intento a dare sollievo alle carni tormentate dall'eczema. L'omicida era una giovane donna, Charlotte Corday. Non si trattava di una prostituta con tendenze sicarie ma soltanto di una rivoluzionaria di simpatie girondine, indignata per il repulisti della sua fazione di cui Marat era stato un feroce e urticante artefice. E adesso vi faccio sbellicare, facendola letteralmente fuori dal vaso: Marat mi fa pensare a Sagramola. Ovviamente i due non hanno un cazzo da spartire, sia nel temperamento che nel furore ideologico, per non parlare della vocazione alle barricate. Ma Giancarlone, che attende il suo destino ruminando pasta in bianco, rischia di finire come Marat nella vasca: accoltellato senza preavviso in un momento di distrazione. I pugnalatori, in questo caso, non hanno le fattezze delicate e forti di una giovane rivoluzionaria ma i tratti rubizzi e scalcagnati di qualche politicante convinto di essere il più figo e il più sveglio del bigonzo. Le prime lame hanno cominciato a saettare quando sono usciti i dati ufficiali, con Giancarlone quattro punti sotto alla somma dei voti delle sue liste. Era un primo messaggio, una testa di cavallo nel letto del candidato sindaco. Così, tanto per capire l'antifona. Della serie: caro Sagramola è inutile che ti sbatti tanto e rivendichi libertà dai tutors. La camicia di forza, che un tempo ti avrebbe fatto indossare la Sagrada Familia, adesso te la mettono i partiti, che non sono le tue truppe cammellate ma i tuoi azionisti di maggioranza. E da lì è iniziato il finimondo. Da una parte Sagramola, rasserenato dal mezzo flop di Urbani, che ha possibilità di raggiungerlo quanta ne ho io di suonare il pianoforte per Lady Gaga; dall'altra i partiti del centrosinistra, vogliosi come un'orda di vecchi, con la prostata infiammata e la pasticchetta blu, all'ingresso di un night club. Il problemone di Sagramola sono le preferenze, perchè Pastimbianco dovrà scegliere gli assessori non in base al volume del cervello ma al numero di preferenze sgraffignate. Altrimenti a palazzo Chiavelli ci taglia solo un panettone o al massimo due. E capite bene che sto giro sono tanti i galli e poche le galline e quindi la covata non si quaglia. Verso San Donato pare sia forte e carducciano il ribollir de'Tini; poi c'è chi si scotta con la paglia lunga. Altrove invece Fulmini e Saitte e poco distante un silenzio quasi inumano, il silenzio assai votato di Pariano. Ma Giancarlone guarda e tace. Indifferente al rumore di sciabole osserva, goloso e desiderante, un piatto ricolmo ma incolore: "Urbani, m'hai provocato e io me te magno, te distruggo Maccarone!". Dimenticando che non sono gli avversari ma sempre i fratelli quelli da cui temere insidie e coltelli.
8 maggio 2012
Il Sig.Bonaventura nel Regno di Urbanistan
A prima vista i giochi sembrano fatti e il ballottaggio appare un'inutile formalità. Ma guai a sottovalutare le doti reattive del contendente, specie dopo che i partiti del centrosinistra hanno servito a Giancarlone Pastimbianco un bel piatto di fischiotti crudi e crudeli, conditi con Olio Disgiunto invece che con l'Extravergine di Spoleto. Mai sottovalutare il contendente, specie se si chiama Urbano Urbani, sacramento d'uomo abituato a battere il ferro e a piegare lamiere. Certo la distanza numerica è incolmabile e gli apparentamenti improbabili, ma mai dire mai perchè la politica è piena di traditi e traditori e si mormora di vendette modello Borgia tra i partiti del centrosinistra. Il voto a Urbani si presta a una doppia lettura: politica e culturale. Sul versante politico non è andato così male: prendere il 22% con il Pdl che crolla dappertutto e due liste civiche caserecce come le fettuccine della domenica, è un risultato politico più che dignitoso. Più di questo non si poteva fare e pretendere. Adesso però il gioco si fa duro perchè Urbani non aggrega e sembra aver raschiato il barile. In più Ottaviani può fargli arrivare, via FLI, qualche voto di trafugo ma se si apparentasse ufficialmente sancirebbe soltanto un'alleanza sconfittista tra Cric e Croc. Fatto sta che alla fine dei giochi Urbanetto da Nebbiano si è portato a casa un partito personal aziendale di tre consiglieri, a scapito del Pdl che ha salvato la faccia solo grazie alle magie del DJ Silvano, alle preferenze di Tutanklaudion Biondi e alla vita da mediano di Olindo Stroppa, al secolo The Voice. Insomma, se non è stato un successo non è stata manco una sconfitta. Diciamo un pareggio, un punticino strappato in trasferta tra tifoserie ostili. Altra storia se guardiamo il risultato dal punto di vista culturale. Urbani aveva in mente un disegno preciso: trasformare Fabriano in Urbanistan, in una città ideale a sua immagine e somiglianza. Per conseguire questo obiettivo aveva studiato una tattica paracula: proporsi come apolitico e trasversale, pidiellino per caso, tecnico dell'eccellenza imprenditoriale prestato a una politica guastata dal professionismo e dall'abitudine. In parallelo Urbani si era studiato bene pure il retroterra politico e logistico più consono alla sua personalità, ossia le frazioni, spazio ad alta fidelizzazione personale e portatrici di uno spirito di rivalsa verso la città spocchiosa e progressista. Il tutto legittimato da un'operazione come Made in Fabriano -manovra di marketing politico in cui Urbani e la città si sovrapponevano fino a diventare un tutto indistinto - e condita con una spolverata di generose liberalità economiche, stile Sig. Bonaventura: per le sagre di paese, i cori di parrocchia, i tornei di calcetto, le serate danzanti, i saggi ginnici, le conviviali della bocciofila, le biciclettate, le sbraciolate e chi più ne ha più ne metta. Compreso qualche paternostro e quale salveregina funzionali al disegno egemonico. Insomma, un ambaradan di alto livello, un piano quinquennale concepito a Nebbianograd, un leninismo in salsa imprenditoriale da far rizzare i peli anche a un glabro. Risultato: 22%, ossia un delta oceanico rispetto a tanta massiccia mobilitazione di risorse e impegno. La montagna ha partorito il topolino ma quel sogno resta conficcato dentro la mente tenace e ferrigna di Urbanov da Nebbianograd. E sarà bene che Giancarlone Pastimbianco si cosparga di tabasco se non vuole trasformare il ballottaggio in un incubo. E gli incubi di solito si presentano sul far del mattino. Al fotofinish di una notte agitata.
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