16 maggio 2012

Il retroscena di un faccia a faccia mancato

Lo confesso. Mi sono divertito una cifra a far dispetto ai candidati, proponendogli un faccia a faccia "moderato" da me. Ed è stata una goliardata di successo, uno schiaffo alla stazione degno del Conte Mascetti in Amici Miei Atto II°. Di quelli a rendimento garantito, tipo andare a pesca al Lago di Villò e tornare col cesto ricolmo. Sapevo che bastavano due parole a mandarli in tilt. Loro e i loro staff che annegano in un bicchiere d'acqua. Perchè, diversamente dal passato quando non sudava mai, la politica di oggi gira armata di pannoloni Pampers rinforzati, perchè ansia e scagaccio regnano maleodoranti e sovrani. Però qualche previsione l'ho sbagliata. Ero convinto che avrebbero fatto entrambi orecchie da mercante, a conferma della teoria dell'esistenza di Urbamola, il candidato unico e trasversale che ha segnato indelebilmente queste elezioni comunali. Invece col buio dell'ora tarda, quando la nottola di Minerva spicca il volo e porta saggezza, il sultano Al Sagram ha detto si, forse confortato dalla fornitura di peperoncino di Calabria messagli  a disposizione, senza proferir parola, da Pino Pariano da Cotronei. D'intinto ho pensato, tra me e me: se accetta anche Urbani verrà fuori una bella partita e sarò un arbitro imparziale come un Collina alla finale dei Mondiali. Invece ho sbagliato di nuovo perchè Papa Urbano, diversamente dall'Uomo del Monte, ha detto no: "Ti ringrazio Gian Pietro ma domani ho un altro impegno in radio". Che tradotto in "parla come mangi" suona così: Caro Gian Pietro non regalerò il mio scalpo a un pezzo di merda come te". Ho risolto il caso pensando a un problema personale perchè, notoriamente, sto sui coglioni a Urbani quanto Bin Laden alla CIA. Me era una spiegazione troppo sciocca per uno che punta a fare il Sindaco e mi sono convinto che non poteva essere così con le parole di una canzone di Cristiano Malgioglio: "lui potente, io niente, eroe di mamma mia solamente". Alla fine ho trovato la risposta più plausibile. Urbani ha detto no per due ragioni: la prima è la paura atavica di un confronto senza paracadute e materassi di gomma a protezione.Con domande vere che non avrebbe accettato manco se al mio posto ci fosse stato un manichino della Benetton addestrato per settimane nelle campagne di Nebbiano. La seconda è che Urbani non ha avuto timore di me ma della mia totale e intrattabile autonomia nella scelta dei temi da affrontare. Molto più comodo e confortante affidarsi alle domande di rito di qualche fido scudiero che neanche concepisce il più innocente strappetto. Che è come se un torero di successo decidesse di toreare un pacifico Manzo di Romagna piuttosto che rischiare le cornate di un toro Miura da 600 kg. E questo vale a maggior ragione se consideriamo che Urbani si è autorappresentato come incarnazione del cambiamento, che è notoriamente, rischio, azzardo e sfida. E chi ha paura di una decina di domande non concordate in anticipo è uno che sta al cambiamento come un deltaplano sta a un caccia della Marina degli Stati Uniti. I faccia a faccia, infatti, vengono bene quando a intervistare sono i cani rabbiosi, le penne intinte nel veleno e i severissimi con la faccia da Caronte e gli occhi di bragia. Perchè sono quelli che possono mettere in luce la stoffa del candidato, la sua resistenza alle tensioni, la reale vocazione democratica e l'attitudine a gestire le situazioni. Colui che intervista è solo un piede di porco al servizio dell'opinione pubblica, uno strumento attivo di  rivelazione e disvelamento. Al posto di Urbani mi sarei fatto impiccare anche dal demonio pur di mettere a segno un colpo finale contro il mio avversario. Ma come diceva Manzoni, in uno straordinario passo dei Promessi Sposi, il coraggio chi non ce l'ha non se lo può dare. Anche se sul profilo di Facebook mette la foto di Giovanni Falcone e si colloca tra gli uomini che non hanno paura.
    

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