31 maggio 2012

L'eterno ritorno di Gigi l'Amoroso

Se la cantante italo-francese Dalida fosse ancora viva e avesse letto il Messaggero di ieri non avrebbe esitato a intonare un suo celebre motivo del 1974: “Arriva Gigi l'amoroso!! Il rubacuori, gli occhi neri da insolente. Gigi l 'amoroso! Il vincitore senza cuor ma cosi affascinante. Che festa grande è starlo ad ascoltar”(Dalida Arriva Gigi l'Amoroso). Già, perché la notizia del superassessorato a Gigi Viventi in Regione merita note, testo e interpretazione. Perde la delega alle Infrastrutture ma diventa l’uomo forte della spending review, il demiurgo della nuova macchina amministrativa regionale. I maligni, e mi annovero tra questi, sostengono che il rimpasto di Giunta sia il primo effetto della vittoria di Sagramola a Fabriano e che il Modello Marche, di fondo, altro non sia se non il patto di ferro tra Spacca e Viventi, antichi allievi di Aldo Moro e storico sodalizio della terza generazione democratico cristiana. La vicenda di Gigi l’Amoroso è emblematica di come essere democristiani significhi avere garantita, fin nel codice genetico, l’alternanza tra morte e resurrezione. Viventi nel 1990 è il vicesindaco dell’ultima Giunta Merloni. Quella trionfante dei 17 consiglieri comunali su 30. E’ l’uomo che cerca di dare un volto umano al pugno di ferro del Patriarca Antonio, il Nobilitatore Dialogante dell’Impero. In questa interpretazione è sostenuto dal suo modo di essere e di porsi: sorridente, mascellone, quasi una replica locale di quel Ridge Forrester che, proprio in quegli anni, comincia a spopolare nella tv nazionale. Il ruolo crescente trova il suo compimento nel 1995, quando si candida a Sindaco di Fabriano. Sembra un gioco da ragazzi ritrovarsi successore del Divo Antonio ma le cose vanno storte. Un po’ per la scissione nazionale nella Democrazia Cristiana, un po’ per il Risiko manovriero messo in piedi dal Gatto e la Volpe, al secolo Sorci&Bellucci. Infatti, vince a sorpresa Giancarlo Castagnari. Per Viventi è un colpo mortale. Il sistema elettorale fondato sul ballottaggio, di norma, ammazza i candidati perdenti e li costringe ai margini della scena politica, al di là dei meriti e dei demeriti. Invece cinque anni dopo, alle elezioni del 2000, entra in Consiglio Regionale con il CDU per la prima resurrezione dopo la debacle delle comunali. Il risultato viene confermato alle Regionali del 2005  quando Viventi è l’unico eletto nelle file dell’UDC. Il secondo mandato in Regione coincide con il precipitare della crisi della Antonio Merloni, di cui Gigi l’Amoroso è Direttore del Personale. La crisi dell’azienda è profondissima, un vero e proprio fallimento evitato solo dalla nomina di tre commissari, da un massiccio ricorso alla cassa integrazione e da un tira e molla su improbabili acquirenti stranieri: prima gli iraniani, poi cinesi poi il diavolo che se li porti. Sembra la fine del tragitto viventiano, la seconda e definitiva morte politica sancita dalla mancata rielezione alle regionali del 2010, nonostante la lista fosse stata concepita per facilitarne al massimo la corsa. Ma da democristiano di razza Viventi resiste al suo personale tzunami elettorale e viene paracadutato in Giunta dal Governatore amico, che sull’Udc a rimpiazzo della sinistra costruisce una nuova fase politica. Restava da sbrogliare soltanto il nodo Fabriano, con quell’anomalia del partito di Casini a fare finta opposizione a un’amministrazione chiaramente spacchiana. Problema risolto con l’elezione di Sagramola, accompagnata da un risultato elettorale dell’Udc che neanche i più ottimisti avrebbero preso in esame. E così Gigi l’Amoroso non solo è risorto, ma è salito al cielo diventando, di fatto, una sorta di Vice Governatore delle Marche. Nel post di ieri, citando Machiavelli, ricordavo la funzione del culo in politica e come la fortuna governi una parte consistente degli avvenimenti pubblici. Viventi è la prova provata di quanta ragione avesse il Segretario Fiorentino, che non conosceva i democristiani ma a cui, di certo, avrebbe dedicato profonde riflessioni circa la durata, la pervasività e l’immortalità in politica. Facciamocene una ragione definitiva e rassegnata: moriremo democristiani. Forse perché alla fine lo siamo un po’ tutti. Come avrebbe detto Giorgio Gaber, non ho paura del Viventi in sé ma del Viventi in me.
    

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