12 maggio 2012

Gli orgasmi di Tini, il rutellone di San Donato

Ieri ho visto Angelo Tini. E ci ho scambiato pure qualche parola veritiera sul voto e sui candidati che si affronteranno al ballottaggio. Poi, a semifreddo, mi sono rivolto alcune domande amletiche: ho, forse, improvvisi problemi di stitichezza, visto che non sono subito corso in bagno in preda a deliri intestinali? Oppure devo chiamare uno strizzacervelli in grado di svelarmi qualche imprevedibile linea d'ombra? Dopo qualche istante di meditazione accorata ho sciolto la riserva: non ero io l'origine dell'improvvisa distensione ma la felicità di Tini, in preda a orgasmi seriali da ritorno trionfale alla poltrona assessorile. Abbigliamento sportivo, colori coloniali, trippone esacerbato da consumo affratellante e bulimico di vettovaglie elettorali, capelli ingrifati da eccessivo utilizzo di spazzole elettrizzanti, l'espressione sospesa tra l'arguta sciaperia di Alberto Sordi e gli occhioni imploranti di un Rutelli condannato all'esilio a San Donato. Come se cinque anni di opposizione alla giunta Sorci fossero spariti in un nonnulla e dissolti in un oblio morbidissimo e sorridente. Perchè essere democristiani non è una scelta politica ma uno stato d'animo, un disinvolto riposizionamento che non lascia tracce: mai i segni di un conflitto, mai la sindone profana di una giravolta sofferta, mai e poi mai la tentazione dell'osare, del lanciarsi in mare senza allarmi e capitanerie di porto. In questo esilarante diluvio di buonsenso io e Tini siamo lentamente giunti ai confini del reale, dove le parole s'innalzano e svolazzano, come l'elio dei palloncini comprati agli infanti nelle feste di paese: io con le gambe accavallate dell'uomo a disagio e Tini giulivamente assiso in una panca di legno con le mani adagiate sulla ventresca espansa, mentre narrava di voti e voti disgiunti, con preferenza a lui e croce sul Sindaco del Cinque Stelle. Come se il vaffanculo antisistema fosse una variante istituzionale e automatica dell'incularella democristiana, come se vecchio e nuovo non fossero altro che rappresentazioni gemellate e una genialità scudocrociata, riveduta e corretta, inquinasse ogni vagito di possibile rinascita. E' stato esattamente questo il miracolo dell'UDC nelle elezioni comunali: sbianchettare i ricordi del passato, adulterare la memoria e fare la sola cosa che sanno fare le chiappe inaffondabili quando sono investite dalla crisi, e cioè aspettare. Calati juncu ca passa la china dicono, con amaro realismo, i siciliani. Abbassati finchè non passa la piena. Ora la piena è passata e Tini dopo lunga traversata nel deserto, avvantaggiata dalle brame di un culone desiderante, ritorna a Tipperary, come se il passato fosse solo una gigantesca e  flessibile pelle dei coglioni. La politica, putroppo, non è solo sangue e merda ma anche un'insopportabile tanfo di estrema unzione. E come, diceva Albert Camus, la libertà che ci rimane è solo e soltanto il diritto di sputare quando l'afrore del cadavere rimbalza, magari per caso, sulla punta della lingua.
    

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