30 settembre 2012

I fumi e gli arrosti della domenica

Per essere domenica la giornata politica, a una prima lettura dei giornali, sembra essere piuttosto ricca di fumi e di arrosti. Le notizie degne di nota sono sostanzialmente tre: i dodici milioni di euro di contenzioso che ha in piedi il Comune, l'appello urbi et orbi per la salvezza della città lanciato da Sorci sul Corriere Adriatico e per concludere, la richiesta di dimissioni di Galli avanzata dal redivivo Tutanklaudion Biondi. Dodici milioni di euro di contenzioso significa che se il Comune perdesse tutte le cause pendenti dovrebbe automaticamente dichiarare la bancarotta. A mio avviso la faccenda del contenzioso pendente è una giusta causa per avviare la procedura di commissariamento del Comune di Fabriano, se fosse minimamente vero e non paraculo quanto dichiarato ieri dal Ministro Passera in merito ai provvedimenti da adottare nei confronti degli enti pubblici non virtuosi. E' recentissima la causa da 240.000 euro persa dal Comune di Fabriano per una cattiva valutazione del corrispettivo da erogare a fronte di un esproprio. Un ammontare addebitato alla collettività - attraverso l'aumento dell'IMU - e non invece ai tecnici e ai politici che avallarono quel procedimento. Non è una situazione da azione di responsabilità, o meglio da class action come si dice adesso? A mio parere si. La seconda notizia è l'intervista di Sorci al Corriere Adriatico, che fa seguito al baccano combinato sulla Fondazione, di cui questo blog ha dato ampio risalto negli ultimi giorni. L'intervista di Sorci è un appello ecumenico alla città, un volemose bene tardivo, una paraculata in cui tutto fa brodo. A partire dall'apertura a Urbani, che forse prelude ad altre mosse future su cui non faremo mancare un sano monitoraggio. Di fatto è un colpo basso a Sagramola, che viene oscurato e ridotto a comparsa. Tanto che Sorci a un certo afferma che chi ha fatto il Sindaco resta Sindaco a vita. Habemus papam! Ma il troppo stroppia e quindi l'imperativo odierno sarà: "salviamo il soldato Sorci". Da chi? Ma è ovvio! Da se stesso. E per finire il boomerang di Tutanklaudion Biondi che chiede le dimissioni di Galli. Il motivo è presto detto: Galli si era esposto sull'IMU con le imprese locali. Ma la Giunta ha fatto quel che voleva il Quintino Sella di San Donato, lasciando il gallo da solo nel pollaio. Al che uno dice: Gallo resisti! Ti hanno spuntato la cresta ma, badoglianamente, la guerra continua. E invece arriva l'oppositore Biondi, che non infilza Tini e Sagramola ma se la piglia con Galli, reo di aver fatto la battaglia su cui anche Tutanklaudion era d'accordo e di averla persa. Come se la sconfitta e non invece il disonore fosse una buona ragione di dimissioni. Della serie "bastona il cane che affoga", come avrebbe consigliato Mao Tse Tung. Ma più che lezione maoista quella di Biondi è vecchia solidarietà democristiana. E per questo speriamo di svegliarci ancora, per molte mattine ancora, con un bel chicchirichì che giunge di lontano.
    

29 settembre 2012

L' "altra FaVriano": il Centro Studi Attilio Franca

Diverse settimane fa raccontammo, su questo blog, una pagina di storia dell'altra Fabriano, quella artigiana e urbana che una storia riscritta dai vincitori merloniani e metalmezzadri ha cercato di occultare e spingere ai margini della memoria. Una pagina eroica scritta durante la Settimana Rossa d'inizio Novecento, quando Fabriano divenne epicentro di movimenti e azioni rivoluzionarie travolgenti. E ricordammo Luigi Bennani, grande avvocato socialista, che arringava la folla dal balconcino di Palazzo Chiavelli, e il sanguigno Pietro Nenni, padre della patria democratica e repubblicana, che fu addirittura candidato non eletto al Consiglio Comunale della nostra città, in una lista che aveva sostenuto la ribellione cittadina. La conoscenza approfondita di questo pezzo di storia locale sarebbe stata impossibile senza gli studi solitari e ostinati di Stefano Gatti, fabrianese doc che sta cercando di ricostruire - pezzo dopo pezzo, attraverso i suoi studi storici - un profilo dettagliato della vicenda politica, sociale e culturale della nostra città e della nostra comunità. Gatti ha un approccio di adesione profonda con l'oggetto dei suoi studi e per questo offre un punto di vista netto e nitido sulle cose che racconta. Questo impegno si è recentemente concretizzato nella fondazione di un Centro Studi intitolato ad Attilio Franca su cui Gatti ha chiesto al Comune l'accreditamento e una sede. Conoscendo chi ci governa ho qualche dubbio che possano sostenere un'operazione culturale che non faccia riferimento alla cultura e alla tradizione cattolica. Ma Gatti ha fatto bene a provarci e credo che ogni fabrianese, quale che sia la sua ispirazione culturale e politica, possa trarre beneficio anche da una rinascita degli studi storici perchè la ricostruzione di un rapporto intimo tra storia e memoria rappresenta un requisito fondamentale di relazione con il futuro. A Gatti ho quindi chiesto di tracciare, per questo blog, un profilo di Attilio Franca che trovate di seguito, per capire meglio chi fosse questo straordinario personaggio dell' "altra FaVriano".

Attilio Franca fu un tipografo anarchico nato a Fabriano nel 1889. Entrò ben presto a far parte di uno dei gruppi anarchici presenti in città, il “Pietro Gori” (l’altro era il “Carlo Cafiero”). Era, come tutti i sovversivi repubblicani, anarchici, socialisti, sorvegliato accuratamente dalla polizia politica. Sicuramente, nonostante il ben noto rifiuto anarchico della delega, gioì della prima, epocale vittoria delle sinistre alle elezioni comunali del 1910. A 22 anni, fu accusato e condannato per il presunto attacco alla processione del Corpus Domini del 15 giugno 1911, insieme ad altri rivoluzionari anti-clericali. Fu un anarchico noto a livello regionale e non solo. A Fabriano era attivo in tutti i numerosi incontri del movimento. E proprio nella città della carta si tenne, il 9 e il 10 febbraio 1913, un importantissimo convegno socialista anarchico umbro-marchigiano, che anticipò il ritorno,  l’estate successiva (anche se per poco tempo), di Napoleone Papini, la “leggenda vivente” dell'anarchismo marchigiano, che venne accolto dalla sua città natale come si conviene ad un eroe (egli era fabrianese ma viveva in Argentina). Oltre che con Papini, Franca si rapportò con altri personaggi di spicco del movimento anarchico internazionale, ad esempio Errico Malatesta, da molti ritenuto il più grande rivoluzionario italiano di tutti i tempi, e Luigi Fabbri, anch’egli fabrianese. Nel 1913 Franca emigrò a Montecarlo, dove trovò lavoro come operaio ma venne ben presto espulso a causa dei suoi trascorsi sovversivi. Rientrò in Italia, quindi, in tempo per partecipare alla settimana rossa che, com’è ben noto, a Fabriano assunse toni insurrezionali. Ovviamente l’avvento del totalitarismo fascista inasprì il controllo su di lui e su tutti gli altri sovversivi. Ma Attilio Franca fu presente alle riunioni clandestine degli anti-fascisti e fu poi attivo nella Resistenza, soprattutto nella redazione del giornale “La Riscossa”: anche i suoi figli furono partigiani, comunisti. Attilio morì nel 1960, 9 anni dopo le elezioni comunali che avevano segnato la svolta e che avevano portato alla guida della città Aristide Merloni e la sua gente, ben diversa dagli uomini e dalle donne della Fabriano urbana, operaia e rivoluzionaria di cui la famiglia Franca faceva parte.


    

28 settembre 2012

La lettera di Sorci ai Soci della Fondazione: la Versione di Barney

Quello che segue è il testo integrale della lettera inviata dall'ex Sindaco Roberto Sorci ai Soci della Fondazione Carifac. Si tratta di un documento interessante sotto diversi punti di vista e che credo possa risultare di sicura utilità anche per quell' "altra Fabriano", stanca di essere messa al corrente di ciò che bolle in pentola solo quando la pasta è già stata scolata da un pezzo. E' invece ora di cominciare a fare come i bolscevichi che appena giunti al potere rivelarono tutti patti segreti e gli accordi top secret del regime zarista. La lettera contiene elementi tecnici, personali, politici e gestionali che ciascun lettore è perfettamente in grado di decifrare e valutare. Per quel che mi riguarda, essendo stato uno dei pochi ad approvare pubblicamente l'ingresso di Veneto Banca in Carifac, mi godo il lusso, libero e liberale, di pubblicare anche la Versione di Barney, ossia le parole di uno dei più accesi e dichiarati nemici della soluzione veneta. Perchè la dialettica è vita per questa città che ha da sempre il terrore delle verità e dei confronti senza minuetto.



Cari Soci,
voglio cogliere l’occasione della vendita delle restanti azioni Carifac della Fondazione a VENETO BANCA per coinvolgervi su una riflessione sulla natura della Fondazione e sulla sua utilità. Molti di voi conoscono bene il mio pensiero sull’attività della Fondazione e sulle vicende della vendita della Banca ma non è questa la riflessione, lo spunto lo traggo dalla cessione oramai definita ma non resa ancora nota del 10 % del restante delle azioni e sulla destinazione degli oltre 25 milioni di euro del ricavato.
Come a Voi è noto, la Fondazione ha commissionato all’Università Politecnica delle Marche uno studio sulle azioni che la Fondazione deve mettere in campo per aiutare il  territorio ad uscire dalla crisi. Un lavoro interessante che il prof. Gregori ha illustrato presso la sede della Fondazione nello scorso mese di giugno: alcune di quelle indicazioni vorrei riprenderle per coinvolgervi sulle decisioni e non lasciare all’ignavia il governo di questo particolare momento storico della città e del suo territorio.
Vorrei richiamare alla vostra attenzione alcuni dati che riguardano Fabriano (ho evidenziato solo Fabriano per mia personale comodità) di cui, sicuramente, avete la percezione ma non la quantizzazione:

italiani
stranieri
Residenti Iscritti CIOF
M
F
M
F
Totale
Var. Quan. Anno rispetto 2010
Incremento % var. rispetto 2010
2010
1.044
1.447
342
365
3.198
0

2011
1.132
1.534
378
410
3.454
256
30/08/2012
1.200
1.683
387
444
3.714
516
16,1
Anni
% Iscritti CIOF su popolazione lavorativa Fabriano
2010
15,5
2011
16,7
30/08/2012
17,9


Le tabelle sopra riportate esprimono la gravità della situazione per cui o si trovano delle sinergie per fermare questo trend, o per attenuarlo, o saremo tutti  travolti; nessuno escluso e lo ribadisco nessuno escluso.
Già tre anni fa nell’approvazione del piano di attività della Fondazione proposi di inserire una linea di credito per lo sviluppo delle cooperative per i lavoratori che avevano perso il posto di lavoro. Chi ricorda finì con un  promessa per l’anno successivo!
Alcuni mesi fa, poi, proposi nella mia funzione di Sindaco, di utilizzare il capitale della Fondazione per la costituzione di un “FONDO ROTATIVO” per aiutare le piccole e medie imprese che, altrimenti, non sarebbero  sopravvissute visto il comportamento degli istituti Bancari. Ebbene senza neanche capire cosa volesse dire la proposta,  la risposta della Fondazione per bocca del suo segretario fu che “la Fondazione non è una banca”. Ritengo che risposta più qualunquista non potesse essere data.
Il dott. Malpiedi e gli Amministratori pensano che la Fondazione si gestisca solo per la conservazione del suo capitale, ma rimanere immobili per la sola conservazione di se stessi, in un territorio che va in malora, è dimostrazione di incapacità e di non assolvere agli scopi per cui la Fondazione è nata.
Probabilmente una attenta e responsabile lettura della parabola dei talenti (Vangelo: Mt 25,14-30) sarebbe opportuna!
Ora, anche lo studio del prof. Gregori asserisce che la Fondazione dovrebbe costituire un FONDO ROTATIVO per aiutare le imprese che si trovano nell’assurda situazione di non avere liquidità per il comportamento delle Banche, per cui sono impossibilitate a produrre pur con ordini già acquisiti.  Una situazione assurda e pericolosissima.
Come ho detto in passato e spiegato al Segretario della Fondazione e agli Amministratori, il ruolo della Fondazione non può risolversi nella mera gestione di contributi per richieste provenienti da più settori.  Attenzione: tutte attività benemerite che vanno aiutate.
Oggi si richiede ad una Fondazione bancaria che non è proprietà dei soci ,ma della collettività, un minimo di spina dorsale e una buona dose anche di responsabilità ad assumersi i rischi nell’interesse della collettività. Io sono un uomo di mondo e capisco anche le debolezze umane, ma essere “ossequiosi” con Veneto Banca nella gestione del rapporto Banca - Fondazione sia quasi un atto dovuto non lo condivido.
Attenzione Veneto Banca fa il suo mestiere e non è qui che ha i suoi interessi, ricordatelo bene , e ripensate a quanto disse il dott. Mariani all’assemblea di Cerreto rispondendo al sottoscritto: che mi sarei dovuto vergognare di rappresentare la mia città, per aver detto che l’occupazione  del “palazzo di vetro” sarebbe diminuita. Addirittura il Direttore asserì che i progetti nuovi avrebbe portato ad incrementare gli occupati! Per vedere chi aveva ragione basta chiedere i numeri, oggi è evidente che chi dovrebbe vergognarsi sono altri, non chi ha cercato di garantire sempre gli interessi legittimi della collettività.
Non si può amministrare solo per svendere. Oggi gli Amministratori, specie chi amministra i beni altrui, hanno l’obbligo morale di riparare gli errori fatti. Al di là delle chiacchiere con cui ci hanno riempito la testa, vorrei ricordare a tutti che la Fondazione era titolare della maggioranza azionaria di Carifac ed è quindi la prima responsabile della gestione della banca e della sua vendita a prezzi di realizzo. Non dimentichiamolo mai, che ci piaccia o non ci piaccia.
Tanto per non dimenticare la vendita totale della Banca avverrà, alla fine della fiera, se tutto va bene, alla cifra di 45 milioni di euro, di cui la maggior parte in azioni di Veneto Banca  il cui valore  non è determinato dal mercato azionario, ma dall’assemblea dei soci; attenzione e soprattutto visti i tempi ciò rappresenta un forte rischio essendo la partecipazione in Veneto Banca quasi il 25% del capitale della Fondazione.
Bisogna guardare agli interessi generali con coraggio e non solo per il posto o la tutela dei propri interessi. Sono quindi ad invitarvi come soci della Fondazione a dare corpo a quanto emerso dalle indicazioni dello studio dell’Università Politecnica delle Marche: costituire il FONDO ROTATIVO prendendo parte del capitale della Fondazione da mettere a disposizione del territorio a condizioni di interesse “non bancario” mentre  la gestione dovrà essere svolta attraverso la Banca.
Il capitale impegnato sull’intero territorio di competenza della Fondazione, dovrebbe essere almeno di 20-25 milioni che, unito agli strumenti già in vigore e in via di emanazione da parte dello Stato e Regione (Accordo di Programma Stato/Regione) potranno aiutare il territorio a creare lavoro e sviluppo.
Quale è il rischio di questo investimento? Che parte del capitale della Fondazione non ritorni, ma  quello che andrà a buon fine avrà comunque creato sviluppo.
Alle vostre eventuale perplessità rispondo con un interrogativo: quando si discuteva della valutazione delle azioni al momento della cessione della Banca in un documento dal titolo  alcune considerazioni su aumento di capitale e cessione dei diritti di opzione analisi di Carifac” e agli atti del Comitato d’indirizzo, Ubaldo Sassaroli avvocato e professore universitario ed ex membro del Consiglio di Amministrazione di Carifac, evidenziava che nella valutazione avremmo perso un sacco di soldi e mi domando a favore di chi?
Se dovesse andare male il “FONDO ROTATIVO” potremo affermare che tutti abbiamo tentato di fare il bene collettivo rispettando lo statuto della Fondazione che all’art.4 recita :
La Fondazione non ha fini di lucro e persegue esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico. ……………….omissis
Mi sono permesso di scrivervi per richiamare la vostra attenzione sulla situazione attuale perché, al di là delle frasi di circostanza, la situazione è davvero difficile ed io sono convinto che o ci salviamo tutti insieme, mettendo in questa fase da parte i propri interessi anche se legittimi per privilegiare la collettività, oppure affonderemo tutti senza eccezione.
In ogni caso ognuno  dovrà fare i conti con la propria coscienza.
Cordialmente
Roberto Sorci
    

Democratizzare la Fondazione: il Fondo Rotativo e non solo

Stamattina sulle loncandine dei quotidiani campeggia l'aumento dell'IMU. Un aumento accompagnato dal solito, scontatissimo, atto di dolore di una Giunta che prende decisioni difficili e opinabili e nel momento stesso in cui lo fa non ha il coraggio di rivendicarle ma si scusa e recita l'atto di dolore. Un po' come fa il fidanzato/a quando molla il partner e gli rifila pure il feroce "sei una brava persona...spero resteremo amici...". Ma la vera notizia di oggi non riguarda le gesta di quella coppia di statisti - Sindaco &Vicesindaco - che decide sulle nostre teste ed entra nelle nostre tasche perchè, come già anticipato in solitudine da Claudio Curti sul Messaggero e dal sottoscritto su questo blog, è la Fondazione Carifac a essere al centro della scena per via di una partita da 25 milioni di euro, il corrispettivo della cessione da parte della Fondazione delle azioni Carifac a Veneto Banca. E nella partita è entrato in modo ruvido e mastino l'ex sindaco Roberto Sorci che ha inviato, a tutti i soci della Fondazione, una succosa lettera tecnico-politica che, ovviamente, si è premurato di inoltrare pure alla stampa e ai Bicarbonati. Le bacheche dei giornali, coi loro titoli, forniscono un'interpretazione contrastante dell'intervento dell'ex Sindaco. Il Messaggero scrive di un Sorci attacca i vertici della Fondazione. Il Carlino, sorciano con Sorci in sella e sagramoliano nel regno di Sagramola, preferisce invece rimarcare un Sorci che sprona i vertici della Fondazione. Personalmente credo che si debba resistere alla tentazione di vedere nell'intervento di Sorci una pura e semplice strategia personale di risposizionamento sulla scena e di interpretare la lettera come azione preventiva in vista delle nomine in Fondazione. Solo in questo modo è possibile ragionare sul merito della questione senza fare come gli eretici donatisti del IV secolo dopo Cristo, secondo i quali il valore dell'eucaristia era direttamente connesso alla moralità del sacerdote che li amministrava. Insomma il fatto che Sorci sia un politico peccatore non vuol dire che le sue tesi debbano essere gettato nell'armadio dei cani senza tanti complimenti e approfondimenti. Sorci apre la sua missiva ricordando un recente studio dell'Università di Ancona sulla situazione economica del comprensorio e sull'inarrestabile trend della disoccupazione cresciuta, in un anno e mezzo, di circa il 16%. Su questa base Sorci va al dunque articolando una proposta che questo blog aveva già adombrato in un post di qualche giorno fa, ossia "la costituzione di un Fondo Rotativo per aiutare le piccole e medie imprese del territorio". Secondo Sorci questa proposta è l'unica possibilità concreta di rilancio del territorio ma cozzerebbe contro le posizioni degli Amministratori che "pensano che la Fondazione si gestisca solo per la conservazione del suo capitale, ma rimanere immobili per la sola conservazione di se stessi, in un territorio che va in malora, è dimostrazione di incapacità e di non assolvere agli scopi per cui la Fondazione è nata". E su questo passaggio la lettera diventa durissima laddove l'ex Sindaco, assai opportunamente, ricorda come la Fondazione non sia proprietà dei soci ma della collettività rimandando addirittura alla cristianissima parabola dei talenti. Ma come dovrebbe funzionare il Fondo Rotativo? "Prendendo parte del capitale della Fondazione da mettere a disposizione del territorio a condizioni di interesse "non bancario" mentre la gestione dovrà essere svolta attraverso la Banca. Il capitale impegnato sull’intero territorio di competenza della Fondazione, dovrebbe essere almeno di 20-25 milioni che, unito agli strumenti già in vigore e in via di emanazione da parte dello Stato e Regione (Accordo di Programma Stato/Regione) potranno aiutare il territorio a creare lavoro e sviluppo." In questo quadro Sorci anticipa anche l'obiezione più naturale al suo ragionamento e cioè come possa configurarsi la gestione del rischio a fronte di un investimento di questa natura. La risposta del Barbuto è tagliata con l'accetta ma risulta piuttosto efficace: la quota di investimento che non dovesse rientrare sarebbe ampiamente compensata dall'azione di sviluppo promossa dai prestiti andati a buon fine. E non a caso viene riportato l'incipit dell'articolo 4 dello Statuto della Fondazione, laddove si afferma che " La Fondazione non ha fini di lucro e persegue esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico". Concludo questo post con una domanda: facciamo discutere di queste cose solo la borghesia decadente ammessa nel saltto buono della Fondazione oppure iniziamo a pensare la Fondazione stessa come qualcosa che appartiene a tutti i faVrianesi? Su queste cose, a mio avviso, occorre la massima glasnost e ha fatto bene l'ex Sindaco a divulgare la sua lettera, evitando che tutto restasse coperto nelle segrete e silenziose stanze in cui si riuniscono per decidere i soliti compagnucci della parrocchietta.
    

27 settembre 2012

Le vollette tocca pagalle

Dal Consiglio Comunale ho ricevuto in tempo reale un sms. Con un giudizio fulminante su Tini che, proprio in quel momento, stava indottrinando consiglieri, pubblico e assessori. Nell'sms c'era scritta una frase secca: Quintino Sella. Non ho potuto fare a meno di scompisciarmi dal ridere perchè era troppo stridente lo scarto tra la faccia bonacciona di Tini, il suo eloquio abborracciato e l'immagine austera, solenne e minacciosa del Padre della Patria e leader della Destra Storica innamorato del rigore e dei conti in ordine. Nei momenti di difficoltà credo che arraparsi coi numeri e spacciarsi per uno che ne capisce assai, non sia sufficiente a tenere in piedi la baracca se la volontà non è aiutata pure dal fisico e dalla fisiognomica. Elementi in cui Tini oggettivamente difetta come un qualsiasi Angelino in Sella. Ma devo dire che nel pomeriggio ho ascoltato con attenzione il suo intervento a difesa dell'aumento dell'IMU. Almeno fin quando non ha pronunciato una frase killer, in pieno slang faVrianese, a proposito del costo delle sedi comunali: "le vollette tocca pagalle". Prima di questo scivolone non abbiamo ascoltato altro che una debole difesa dell'operazione IMU, basata sulla solita comparazione furbetta su quel che fanno gli altri comuni. Con il fantastico riferimento ad Ancona che porta l'IMU al massimo senza aver avuto la neve, ma omettendo che il capoluogo ha conosciuto, in questi anni, un'amministrazione che ha fatto più buchi e danni delle cavallette. Ma il massimo è stato quando Urbani ha reclamato la presenza del Sindaco in aula, affinchè l'amministrazione fosse rappresentata al massimo livello durante una discussione tesa e importante come quella sull'IMU e Pinuzzo Pariano si è trovato a dichiarare che Sagramola si era dovuto assentare per partecipare a un funerale. Mistero sul defunto. Chi si tratti di decesso politico? E di chi, nel caso? Ma forse è tutto molto più semplice e il concittadino Onofrio del Grillo avrebbe probabilmente dichiarato ad alta voce che non è successo niente:  è solo morta la politica. E poi pure la giustizia e il buonsenso. E allora differenziamola questa massa di materia ormai inerte. Ma portiamola direttamente a Monsano. Il camioncino lo guida di sicuro Giancarlone, mentre Alianello e Paglialunga si beccano tra loro ramazzando tra i sacchetti intonsi che hanno nascosto in casa solo per fare un dispetto a Ottaviani. Tiè!
    

26 settembre 2012

Grandi manovre in Fondazione Carifac

C'è un tema di grande rilievo che sta sfuggendo allo sguardo attento dei cittadini perchè, fatta eccezione per qualche isolato flash informativo, è stato volutamente relegato sul fondo della scena. Succede così quando ci sono di mezzo palate di soldi: più si allarga la platea di chi sa, conosce, immagina e intuisce e più diventa difficile contrattare spazi e posizioni senza darlo a vedere. Della serie non do nell'occhio per dartelo meglio nel culo, e mi si scusi il francesismo. E' quanto sta accadendo attorno alla Fondazione della Carifac che pare abbia venduto a Veneto Banca il proprio pacchetto di azioni della Cassa di Risparmio, per un ammontare nominale di circa 25 milioni di euro, la cui erogazione sarà probabilmente dilazionata nel tempo e vincolata da giri e rigiri tecnici. Si tratta di una cifra golosa, un tesoretto attorno al quale - anche in previsione di un imminente cambio al vertice della Fondazione - già si aggirano corvi nerissimi e affamati. Pare quindi poco probabile che su questo versante possa svilupparsi un disegno o un progetto che vada a vantaggio della collettività faVrianese. Con una crisi industriale che non lascia scampo, la Fondazione sta infatti diventando, per la disorientatissima classe dirigente faVrianese, quel che fu la ridotta valtellinese per i repubblichini in fuga: l'impossibile colpo di coda di un regime morente. La Fondazione della Carifac, nonostante il susseguirsi di batoste, continua infatti a proporsi come la vetrina ufficiale della morente borghesia locale, la Camera Alta a cui si accede solo per cooptazione politica e di censo. In questo contesto risulta plausibile un utilizzo mirato del tesoretto, volto a far sopravvivere il sistema, dando concretezza a operazioni che, a seconda della logica prevalente, potrebbero lasciare un segno in città o scriverne l'epitaffio. Una prima ipotesi, di cui si mormora, è che una quota del tesoretto possa essere utilizzata per finanziare la nascente Banca di Credito Cooperativo, così da connotarla come nuova "banca del territorio" e sottrarla al claudicante destino che l'attende. Ma questo disegno potrebbe incontrare rilievi e obiezioni che vanno ben oltre Fabriano e che coinvolgerebbero la Banca d'Italia nelle sue funzioni di vigilanza sul sistema bancario. Ma la BCC, per come è nata e come è stata pensata, sarebbe eventualmente in grado di svolgere la funzione di cassaforte del rilancio comprensoriale o si troverebbe ad erogare finanziamenti a pioggia legati alla vicinanza o alla lontananza col sistema di potere? Chissà. Ma circola pure un'altra ipotesi e cioè che la Fondazione - attraverso accorgimenti giuridici correlati ai vincoli di statuto - possa animare un soggetto economico, titolato a entrare temporaneamente nel capitale delle aziende in crisi rimaste, aiutandole a tenere botta e a sopravvivere, uscendo poi dal capitale a conclusione del soccorso. Ma la verità è che l'esito della partita non dipende dal buonsenso degli attori coinvolti e dalla loro visione strategica, ma solo dai diversi posizionamenti sullo scacchiere del potere e dalle nomine che, di conseguenza, si profileranno. Ad oggi i nomi che vanno per la maggiore appartengono al giro organico o contiguo della politica, a dimostrazione di come i tentacoli della conservazione siano sempre incombenti, nonostante la sacrosanta rivolta qualunquista che sta montando in Italia e anche nella nostra piccola città.
    

25 settembre 2012

1997 - 2012: il terremoto infinito di Fabriano


Non mi appassionano i compleanni, le ricorrenze, le rimembranze. Men che meno gli anniversari, che stanno lì a ricordarti lacerazioni e ferite difficili da rimarginare. Ma domani sono quindici anni dal terremoto del settembre 1997. Una data simbolo per Fabriano, perché da quel giorno niente è stato più come prima. E’ come se quell’indimenticabile sussulto della terra avesse scritto la parola “fine” sulla nostra età dell’innocenza, e una comunità spensierata avesse casualmente incontrato l’altra faccia della vita, quella più lacera e inquietante. A distanza di tre lustri si celebra una memoria comoda e rassicurante, qualla che narra la perizia degli aiuti, l'ardore dei volontari, le maniche rimboccate dei concittadini, la professionalità emozionata della Protezione Civile, i mille balzelli bypassati della ricostruzione leggera e pesante. Con quello strascico quasi divertente della ricostruzione di Belvedere, raccontata come epopea del buonsenso e della lungimiranza: dieci milioni di euro per rifare un paesello di cento case e 70 anime. Alla faccia dell’efficienza e del risparmio! Comunque sia da quel 26 settembre – ed è opinione comune della maggioranza dei faVrianesi – nulla è stato più come prima. Sono affluiti soldi, molti soldi, per una ricostruzione che a ogni terremoto si abbatte quasi come una seconda calamità naturale. E si è costruito molto, troppo: nuove lottizzazioni, nuovi quartieri, nuove colate di cemento. Case e appartamenti largamente superiori alle necessità abitative ma in grado di provocare un effetto spugna verso cittadini che arrivavano a Fabriano per lavori a termine e poi si stabilizzavano in una città ancora certa e illusa del suo rigoglioso sviluppo. E’ iniziata così la svalutazione del patrimonio immobiliare, quasi un primo step dell'incipiente bancarotta economica collettiva. E da qui ha preso le mosse la mutazione antropologica di una popolazione ancorata a questi luoghi da un moto affettivo e da un profondo senso dell’appartenenza. Una popolazione chiamata a combinarsi e mescolarsi con nuovi cittadini giunti da un altrove senza garanzie di partecipazione, solidarietà e radicamento. Crisi immobiliare e crisi antropologica avrebbero meritato risposte alte e risolute. Ma gli sguardi dei decisori e degli influenzatori erano troppo presi a rimirare, sbavanti, il fiume di denaro che affluiva in città e si disperdeva in mille paraculissimi e vantaggiosissimi rivoli. E poi lo schianto finale: la crisi del monoprodotto rovinata addosso a una comunità già stressata dalle scosse della terra e dell'anima in un cortocircuito finale che ci ha spinti fino alla depressione economica. La notte tra il 25 e il 26 settembre 1997 una scossa del 5° grado della Richter ci svegliò nel cuore della notte. A distanza di quindici anni quel sobbalzo ci desta ancora. Perché da quella notte non abbiamo mai smesso di subire gli eventi e di guardarli col capo chino e le ginocchia piegate. Buon Anniversario Fabriano.


    

24 settembre 2012

Sette guanciali caldi e sudati

Il segretario Udc fa buon viso a cattiva sorte
Per quante possano dirne gli zelanti precettori del Partito Democratico, i Bicarbonati sono sempre in possesso di notizie fondate, di prima mano e di ottimo naso. Comprese quelle che riguardano universi sideralmente lontani dall'autore, come l'UDC di Fabriano. Giusto ieri, su questa pagina, si rifletteva sul recentissimo travaglio della locale Balena Bianca, più che mai divisa in tre filoni non proprio armonizzati tra di loro. Una geometria che tende a comporre un Triangolo - della Morte o delle Bermude dipende dai gusti e dalle inclinazioni - al cui centro, in funzione mediatoria, è assiso il segretario Roberto Pellegrini, uomo di robuste passioni e robuste pareti. Ai vertici i Tre Sceriffi di questo particolare momento politico: Tini, Galli e Bellucci. In questo quadro abbiamo azzardato l'ipotesi di un cambio di equilibri all'interno del partito, con il cortocircuito dell'appeasement tra Tini e Bellucci e un possibile, seppur inverosimile, micio micio bau bau tra Bellucci e Galli. Un Accordo di Deterrenza per sminare l'approccio rigorista dato da Tini all'assessorato alle finanze, che rischia di fare dell'UDC un partito più luterano che cattolico nel considerare l'equilibrio dei conti un valore in sè e al netto di ogni opzione solidaristica. L'uscita di Galli sul Messaggero di oggi -  unico quotidiano locale che affronta temi politici invece di eccitarsi coi concerti di Madonna e relativi licenziamenti - colpisce per la durezza dei toni e dei contenuti: è un no secco e dichiarato all'operazione IMU proposta da Sagramola e Tini. Per sapere come andrà a finire sarà sufficiente attendere il succosissimo Consiglio Comunale di giovedì che dovrebbe anche affrontare la materia delle spese per l'emergenza neve. Intanto, però, è possibile decodificare alcuni spunti illuminanti. E si tratta di segnali deduttivi, totalmente affidati al buonsenso politico, ma sintomatici di un clima che si respira e di una prospettiva che si delinea. Se Galli si permette di battere il pugno sul tavolo, con un tono che è di sfida sia verso Sagramola che al cospetto del capodelegazione Tini, vuol dire che è nella condizione di farlo senza correre il rischio del linciaggio interno. Un assessore salta nell'istante stesso in cui il Sindaco gli ritira le deleghe e senza neanche il contentino del ripiego consiliare. E se nessuno lo lincia o gli ritira le deleghe vuol dire che Galli non è solo ma che ha dietro la maggioranza del partito. Un partito, l'UDC, politicamente e numericamente necessario alla conservazione della maggioranza che sostiene Giancarlone. La morale della favola è quindi a senso unico: sono repentinamente cambiati i rapporti di forza all'interno dell'Udc. Tini non è più in maggioranza nel partito e si profila un inedito e, per certi versi, picaresco asse tra Galli e Bellucci. Ieri ho scritto che Sagramola, contando sul divide et impera, poteva dormire tra sette guanciali. Da oggi, visto l'andazzo nell'UDC, mi sa che i guanciali del Sindaco si inzupperanno di caldo e di sudore.
    

23 settembre 2012

Angelo Tini under attack

E alla fine una piccola faglia si aprì pure nel corpo mistico dell’Udc. Non sono stigmate né deliri di fede, ma segni di insofferenza politica. E l’IMU sembra aver agito da detonatore, catalizzando un ribollimento che lo scampato pericolo delle comunali sembrava aver sopito e accantonato a bordo campo. L’aumento dell’IMU, a copertura delle spese dell’emergenza neve, pare non piacere ai bellucciani dell’Udc, più orientati a un ulteriore taglio ai servizi che a qualche atmosfera aggiuntiva di pressione fiscale. Conoscendo il fiuto, nel contempo animalesco e superficiale del Vegliardo Bianco Robertone Bellucci, dubito possano sussistere motivazioni di bilancio e di approccio ai conti pubblici in questo dissenso della mai doma componente biancofiore ciaramelliana. Molto probabilmente, invece, l’IMU è soltanto un’occasione propizia – la migliore, la prima – per rimarcare le potenzialità dirompenti che si annidano in un malessere politico non curato al momento giusto. Un malessere che riguarda, innanzitutto, la linea del rigore montiano, sostenuta con una certa tracotanza da Angelo Tini, il capodelegazione dell’Udc al governo della città. Questo significa che forse si sta rompendo, o si è già rotto, quel patto di non belligeranza tra Tini e Bellucci che ha consentito all’UDC di uscire senza tracolli dal massacro di immagine della crisi Ardo e dall'ordalia elettorale delle comunali. L’UDC si fa, quindi in pochi istanti, "partito uno e trino": da una parte Angelino con la calcolatrice e le forbici in mano; dall’altra Roberto Bellucci, il Corazziere della Ciaramella, pronto a guastare la tela e a staccare la spina, giusto per vedere l'effetto che fa e ridare dinamismo a un quadro politico ipnotizzato dalla mediazione continua di Sagramolone; e in mezzo l’outsider del momento, quel Gallo della Dorsale Appenninica che sta all'UDC come Roberto Pellegrini alla dieta macrobiotica. Ognuno con una sua partita personale da giocare, una visione politica e un personalissimo slancio napoleonico. Per il momento Giancarlone – divide et impera – può dormire sonni tranquilli, perchè l’UDC non è un partito che decide, ma una federazione di consorterie personali che mediano senza rompere, anche se il Corazziere della Ciaramella gira sempre col suo carico di nuvolose e piovose incognite. Quelle che si profilano, per il momento, sembrano quindi azioni di assestamento, di riposizionamento, di riequilibrio. Ma il dato politico interessante è che il Tini deus ex machina dei primi mesi di amministrazione Sagramola, dovrà cedere il passo a una dinamica più collegiale perché quando Bellucci s’impunta è capace di tutto, anche di fracassare l’unità del partito. Come in passato ha dimostrato di saper fare in più di una occasione. Diversamente da Tini che, invece, è uomo d'apparato tout court e senza vocazioni scissioniste. Più complicata sarebbe, d'altro canto, la formazione di un asse Bellucci – Galli perché la politica, per quanto puttana, non può compensare e comporre differenze che sono prevalentemente di natura antropologica e prepolitica. Ma un dato è certo: l’era del Tini imperante, gaudente e trionfante volge rapidamente al termine, perché da un democristiano ci si attende che faccia il democristiano e non il tecnico dal cuore di pietra. E il democristiano vero, se non vuole tradire se stesso, non s‘impunta sui conti ma aggiusta, accomoda e asseconda. Perché come sempre – e giova ripeterlo fino allo sfinimento – chi nasce tondo non muore mai quadrato. Ed è un bene che sia così.
    

22 settembre 2012

FaVriano tra Belle Epoque e Eau de Fogne

Il Palazzo di Vetro
La sede centrale della Carifac in Via Don Riganelli l'abbiamo ribattezzata per anni, utilizzando forse una spericolata antonomàsia, il Palazzo di Vetro. Dietro questa definizione, a metà tra il confidenziale e il deferente, c'erano assieme il rispetto per un'istituzione nostrana - o nostrale come dicono i veri faVrianesi - e il disgusto per una formidabile enclave di clientelismo, dove l'unica meritocrazia era di natura familiare, parentale, amicale, reddituale o politica. Un Palazzo di Vetro in apparenza sgombro di esseri umani ma popolato di esistenze ordinate, rassicuranti e conformiste, l'emblema visivo e visibile dell'evoluzione sociale del mezzadro che diventa operaio e del figlio del mezzadro operaio che riscatta fatiche generazionali assurgendo a colletto bianco. Oggi, anche se dall'esterno non si nota alcuna differenza col passato, il Palazzo di Vetro è semivuoto e a breve sarà riconvertito a memoriale dì un'antica ed estinta civiltà della mazza e del castelletto, dell'oblò e del salvo buon fine. Dopo l'acquisto della baracca da parte dei veneti si sono intensificati i segnali di fuga verso Montebelluna - di cui ieri ci ha dettagliatamente informati il Messaggero - e lo slogan sulla "vanga del teridorio" - come direbbero i veri faVrianesi - sembra sempre di più una veste adamitica, una foglia di fico buona per ammorbidire l'ennesima fuga di realtà aziendali da questa landa sempre più disperata. Personalmente non rimpiango gli anni d'oro della Carifac perchè prima di essere una cassa di risparmio era un feudo democristiano, la cassaforte del potere economico e politico, un architrave fondamentale del merlonismo e dei suoi corollari umani, sociali e politici. L'ingresso di Veneto Banca mi è sembrato necessario perchè serviva per salvare la Carifac da una finaccia sicura; una banca che non era più una banca - e forse non lo era mai stata davvero - ma un comodo materasso di campagna, coi denari del metalmezzadro al posto della lana e un fare non sempre cristallino. Oggi si discute nuovamente di cambiare nome alla vecchia cassa di risparmio e la cosa desta scandalo, ma solo in chi rimpiange i tempi d'oro in cui era ridotta a culo della serva. A che titolo denominarsi Cassa di Risparmio di Fabriano quando, a breve, non ci saranno più produzione, risparmio e finanche Fabriano? Magari la cosa procura un naturale dispiacere ma strategicamente risulta obbligata, specie se l'obiettivo è quello di utilizzare la struttura della Carifac per aprire un varco e un collegamento nell'Italia centrale tra versante adriatico e tirrenico. In questo senso non mi appassionarono e non mi appassionano la disquisizioni  tecniche, le ipotesi fatte a posteriori e gli interrogativi che rimbalzano da anni: se sia sia trattato di vendita o di svendita, di soluzione necessaria o di vigliaccheria, di affarone o fregatura. Mi inquieta altro, qualcosa di cui la vicenda Carifac è stata una conseguenza a tasso ridotto di drammatizzazione sociale. E cioè la fine ingloriosa e repentina, quasi da regime sovietico, di una città che si era vantata a lungo dei suoi splendori economici, della sua dinastia neorinascimentale e di una corte presuntuosa, bulimica e rozza. Un vanto infondato e contraddetto da una realtà in cui il gigante era soltanto un bamboccione coi piedi di argilla. Ha scritto il grande storico francese Francoise Furet che il valore di un'epoca si misura anche dal modo in cui quell'epoca finisce. Ebbene: la vicenda di FaVriano è finita in merda. E vuol dire che pure la sua Belle Epoque non era che un misto di Eau de Fogne e Cacarel 5.
    

21 settembre 2012

L'IMU, il danno e la beffa

Con ogni probabilità Giancarlone aumenterà l'IMU su seconde case, negozi e capannoni per coprire le spese sostenute durante il nevone di febbraio, visto che lo Stato Disertore non paga quel che promette, sbattendosene i coglioni delle emergenze e delle calamità naturali. Sagramola, di fronte a questo dato di fatto, aveva quattro possibilità: la più improbabile era fare una battaglia di principio bloccando a titolo di indennizzo la quota di IMU di competenza statale; la seconda era di intervenire appesantendo le tariffe dei servizi, la terza rimodulare l'aliquota l'IMU, ossia l'unica leva impositiva a disposizione dei comuni, e l'ultima applicare una tassa di scopo. Sagramola ha scelto la soluzione numero tre, accompagnata da qualche sforbiciata ai trasporti e dal congelamento della nomina del portavoce del Sindaco. Al suo posto avrei adottato una tassa di scopo. Per una ragione molto semplice e cioè che si sarebbe potuto lavorare sulla progressività di questa imposta straordinaria, garantendo l'equità sociale ed evitando di tartassare ulteriormente il commercio e le imprese che ancora operano sul territorio. Tra l'altro, come evidenzia con molta chiarezza la denominazione, la tassa di scopo configura un'operazione a termine chiara, definita e anche per questo relativamente sopportabile. Il rischio che sempre incombe, infatti, è quello di dare stabilità ed eternità a ciò che, secondo le intenzioni, dovrebbe essere transitorio. E per questo Sagramola, tanto per chiudere dignitosamente un cerchio che poteva essere disegnato diversamente, dovrebbe prendere un solenne impegno affinchè l'aumento dell'IMU vada, appunto, inteso come una tantum, come risposta a termine a una specifica emergenza. Per dare un segnale di serietà e apertura ai cittadini e con l'impegno di tornare alla situazione precedente non appena sarà chiuso il capitolo nevone. Perchè sappiamo bene che in Italia tutto quel che nasce come emergenza diventa rapidamente routine irreversibile e ghiotta occasione per fare il culo ai contribuenti, e non vorremmo trovarci nella spiacevole e arcinota situazione di aver tribolato per la neve e di averci pagato e ripagato sopra vita natural durante. Insomma, caro Giancarlone dopo il danno proviamo almeno ad evitare la beffa! Altrimenti, alla prossima nevicata, la carota potrebbe non servire soltanto per fare per fare il naso al pupazzo avanti casa.
    

20 settembre 2012

Le parole di Nicodemo, la Gola Profonda del Pd

L'altra sera ho parlato con un esponente del Pd faVrianese che ho subito ribattezzato Gola Profonda. Un soggetto poco avvezzo alle chiacchiere, che mi ha cercato promettendo succose confidenze politiche. In cambio di cosa? Non glielo ho chiesto. E sinceramente poco importa, anche se, con ogni probabilità, Gola Profonda ha bisogno di un amplificatore politico da utilizzare nelle sue battaglie interne. Ma mi ha colpito questo approccio alla Nicodemo, il fariseo che di notte andava di nascosto ad ascoltare Gesù, mentre di giorno simulava un rigoroso rispetto dei precetti ebraici. Che cosa ha raccontato Nicodemo, la Gola Profonda piddina? Per cominciare mi ha rappresentato e narrato un clima: quello di un'amministrazione in gap strutturale rispetto alla dimensione delle sfide; un'amministrazione inceppata dal sigillo culturale dell'azione cattolica, ma sostanzialmente inamovibile perchè priva di conflitti politici interni di rilievo e tenuta assieme da quello straordinario collante che è la paura di non facerla al prossimo giro. Inoltre, secondo il giudizio di Nicodemo la Gola Profonda, non si intravede alcuna minaccia che possa concretamente provenire dall'opposizione. Perchè ce ne è una parte prontissima a saltare il fosso, compreso qualche insospettabile che fa la faccia feroce ma sotto sotto inciucia e di che tinta. Di fronte alla mia espressione fintamente stupita Gola Profonda mi ha fatto notare una faccenda su cui, ultimamente, avevo mollato l'osso: il ricorso sull'ineleggibilità di Tini. Una prova di forza dell'opposizione evocata, promessa e minacciata ma via via sparita dal dibattito politico e dalla concretezza delle scelte. E secondo Nicodemo l'opposizione ha rinunciato a giocare questa carta perchè alcuni suoi pezzi di rilievo condividono il medesimo timore della maggioranza di essere spazzati via dal voto popolare. Una carta, insomma, che sarebbe l'unico asso che potrebbe disarticolare gli equilibri interni alla Giunta e che non viene giocata perchè il sistema politico locale, in questo momento, ha un'esigenza comune e trasversale: sopravvivere. Perchè se Tini venisse dichiarato ineleggibile sarebbe rimpiazzato in Giunta da un altro esponente di quel partito ma meno rappresentativo di Angelino. E siccome Galli è ritenuto un outsider autonomista, l'Udc diventerebbe soltanto un rimorchio della maggioranza e un collo senza testa. E a quel punto cercherebbe e troverebbe l'alibi per uscire dalla maggioranza per salvare le proprie prospettive politiche future. A Gola Profonda ho obiettato che se uscisse l'Udc ci sarebbe, di certo, qualcuno pronto a entrare a rimpiazzo, facendo valere, in toto, la propria utilità marginale. La risposta è stata arguta e spiazzante: nel caso nessuno entrerebbe a rimpiazzare nessuno perchè l'accusa di inciucio sarebbe politicamente insostenibile - sia per chi ospita che per chi rimpiazza - in presenza di un moto d'antipolitica tuttora in fase fortemente ascendente. Io non so se Nicodemo sia un abile mentitore o se racconti solo la quota di verità che più gli fa comodo a fini interni, me se fossi all'opposizione qualche domanda me la farei a prescindere per non finire come molto piace all'antipolitica: e cioè in un tripudio di tromboni, con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni (F.De Andrè).
    

18 settembre 2012

I legami del legale

Fabriano è una città che abbonda ed esonda di avvocati. In passato questa moltitudine di uomini e donne del diritto era il sintomo di una realtà vivace, animata da un tessuto economico e d'impresa abbastanza solido da garantire pane e companatico a un sistema di studi legali avvezzo a una continua gemmazione. Al bacino dell'impresa privata si è, via via, aggiunto - in forma sostanzialmente complementare - il sistema pubblico, con i suoi incarichi legali e i suoi corposi e vantaggiosi problemi di contenzioso. Un sistema pubblico che, con la crisi del distretto industriale metalmeccanico, ha acquisito un ruolo sempre più centrale per la professione legale, seppur in una dimensione tale da non garantire quote di sopravvivenza ai tanti, troppi professionisti locali. In questo contesto, quindi, è diventato cruciale il posizionamento del singolo avvocato o del singolo studio legale rispetto al potere politico e decisionale della pubblica amministrazione. Si tratta di un processo che configura un ulteriore elemento di meridionalizzazione della città, perchè quando la libera professione si nutre di assistenzialismo vuol dire che in quel contesto sociale e comunitario non ci sono più i presupposti di una reale competitività. In pratica uno spezzone di borghesia faVrianese non ha fatto altro che transitare dalla poccia privata alla poccia pubblica e, da qui in avanti, questo processo di "pubblicizzazione delle professioni" diventerà sempre più radicale e necessario, generando vicinanze e lontananze "a fisarmonica", a seconda dei vincitori e dei vinti nelle competizioni elettorali comunali. Gli americani lo chiamano spoil system, e significa che chi vince piglia tutto - cariche e incarichi - e chi perde se lo piglia in culo e resta fermo un giro, sperando che il prossimo sia migliore. Va collocata in questo quadro la vicenda sollevata da Silvano D'Innocenzo in merito ad alcuni incarichi dati dalla Giunta Sagramola a legali faVrianesi. Secondo il consigliere comunale del Pdl ci troveremmo di fronte a una forma lampante e marchettara di clientelismo, che premia sostenitori diretti e indiretti della Giunta Sagramola. In realtà potremmo anche considerarla un'espressione locale dello spoil system. Anche perchè se avesse vinto il centrodestra credo sarebbero stati favoriti professionisti appartenenti o contigui a quell'area politica. Il che, sicuramente, non è ne giusto ne corretto ne etico, ma fa parte della prassi di un bipolarismo che deve essere giudicato a partire dalla realtà dei fenomeni, senza farsi preventivamente incantare dall'invettiva e dal moralismo un tanto al chilo. In una visione laica e liberale il discrimine è rappresentato dalla violazione o meno della legge. Il punto quindi non è criminalizzare per default chi ha avuto un incarico, ma verificare che la scelta compiuta sia effettivamente il combinato disposto di professionalità accertate e di onorari compatibili con la situazione economica e finanziaria del Comune. Sagramola ha affermato che gli incarichi sono il frutto di una selezione effettuata a partire da diversi preventivi. Non è una spiegazione sufficiente. E' quindi necessario conoscere anche i criteri con cui è stata valutata la professionalità dei legali contattati e a chi è stato attributo il compito di valutare e di effettuare la scelta. Perchè la questione vera non è se i legali incaricati siano riconducibili a un'area politica o professionale "sospetta" ma se la loro scelta, pur in un'ottica di spoil system che esiste sotto ogni latitudine e ogni cielo, sia da ritenersi vantaggiosa o deprecabile per il Comune. Credo sia questo l'approccio più utile: una terza via riflessiva contro gli opposti estremismi delle marchette clientelari e delle invettive giacobine che sono giacobine solo perchè il voto ha premiato altri. E così sia.
    

17 settembre 2012

Il Portavoce dal cerotto in bocca

Pare siano 14 le domande depositate per partecipare al bando relativo alla nomina del portavoce del Sindaco. Un incarico da 100.000 euro in cinque anni, decisamente eccentrico rispetto alla situazione dei conti del Comune e alla sopravvenienza negativa legata alle spese per l'azione straordinaria antineve del febbraio scorso, che lo Stato pare voglia coprire solo in minima parte. Centomila euro che potrebbero essere impiegati per ripianare il buco del trasporto pubblico di bambini e disabili o per finanziare il sovrapprezzo relativo alla quantità di indifferenziata che produciamo sul nostro territorio. In questa situazione difficile, in cui al Sindaco tocca fare il Ragioniere (Copyright del primo cittadino), si vocifera di un profondo e sofferto ripensamento di Sagramola circa l'opportunità di procedere alla nomina del Portavoce. Nel caso si tratterebbe di un'apprezzabile retromarcia che potrebbe essere condita, senza disonore e con intelligente situazionismo politico, anche di dolorosi richiami alla difficile congiuntura economica e alle ristrettezze del Bilancio. Insomma, una via di fuga possibile e praticabile, di quelle che lasciano sul campo soltanto pochi morti e qualche sporadico ferito. La verità politica è però un'altra e cioè che a Sagramola, su questa faccenda, è letteralmente scappato il piede dalla frizione. Tutta la città conosce il nome del prescelto/a, la cui identità può essere tranquillamente rintracciata frugando nella copiosa discografia di Eric Clapton, e tutta la città ha giustamente stigmatizzato "l'operazione bando" che è stata soltanto un modo ipocrita e peloso per dare una correttezza formale a una designazione già avvenuta, in quanto politicamente e umanamente fiduciaria. In questo senso sarebbe stato preferibile procedere direttamente alla nomina perchè su un incarico fiduciario, tra l'altro contemplato dalla normativa, nessuno può eccepire o sindacare se non in termini di opportunità finanziaria e di opinabilità politica. Agendo, invece, in ossequio a un formalismo ridondante e superfluo, il Sindaco si è infilato in un vicolo cieco da cui, a questo punto, può uscire soltanto rimettendo in discussione i presupposti iniziali, ossia rimandando - sine die - la nomina e l'incarico. Con quattordici partecipanti, infatti, la scelta diventerebbe estremamente complessa e sarebbe un numero da acrobati circensi presentarsi alla città affermando che, con una così ampia articolazione di concorrenti, la scelta è caduta di nuovo sulla persona informalmente incoronata da mesi e mesi. Diciamocelo fuori dai denti, una volta per tutte e alla faVrianese: Giancarlone, sto giro, s'è fatto magnà il cazzo dalle mosche, cincischiando troppo e rimandando ogni decisione sensata. Già qualche mese fa lo invitai a fare marcia indietro, perchè questa è la classica buccia di banana con cui si sputtana integralmente un intero mandato amministrativo. L'emergenza neve e i suoi costi senza copertura sono l'occasione buona per una fattiva e concreta autocritica. E per una volta Sagramola ha davvero centomila buone ragioni per ritornare sui propri passi. Perchè Parigi val bene una messa, caro Sindaco! E vista la solida ispirazione del primo cittadino non sarà di certo una messa l'ostacolo più insormontabile.
    

16 settembre 2012

La nuova Dc e Cena di Moscano

Cominciamo con gli annunci. A partire dai prossimi giorni inaugureremo, su queste pagine, una Galleria d'Arte Moderna che conterrà soltanto ritratti e primi piani indimenticabili, un'antologia di Spoon River liberamente ispirata ai componenti di quella microcomunità impolverata che è il Consiglio Comunale. Il dopo elezioni, infatti, è stato dominato dagli assessori e da qualche guizzo, non proprio da piscina olimpica, dell'opposizione. Ragion per cui s'è quasi naturalmente imposta la sensazione di una dissoluzione della politica come diritto di tribuna, polemica consiliare, dialettica e fioretto incarnati dalla capacità e dalla personalità del singolo consigliere comunale. Per ora la gran parte dei consiglieri, che molto hanno trottato per raccattare preferenze e sostegni, gioca alle belle statuine e al gioco del silenzio e forse un po' di pepe in culo è quel che ci vuole per destarli da questa prolungata e antidemocratica catalessi. L'unico nodo da sciogliere è con chi cominciare. Attendo suggerimenti in proposito. Altrimenti risolvo direttamente con il sacchetto della tombola.

Secondo annuncio oggettivamente tragico. Che a FaVriano si fosse ricostituita la Dc lo avevano capito pure i cultori di lumache e gli appassionati di filatelia. Le strade erano lastricate di prove politiche: biancofiori sparsi a destra e manca, un vago odore di cantina e la metamorfosi di molti sguardi, felici di aver ritrovato quell'espressione del volto a metà tra il dimesso e l'imbambolato che connota la sintonia con il cattolicesimo politico. Ora, ricostituire la Dc, in questa città che non ha mai smesso di essere democristiana neanche ora che finge di essere di sinistra, non è soltanto un peccato politico ma un crimine generazionale che atrofizza ogni cambiamento e ripropone, fino alla nausea, nomi e fisiognomiche di soggetti che sono l'eterna ripetizione del medesimo. Ma per chiudere il cerchio di questo passato che si fotte il presente e il futuro, era necessario un momento simbolico unificante, qualcosa che fosse in grado di restituire, con chiarezza, il penetrante odore di violette che accompagna la metempsicosi dei democristiani. E quale poteva mai essere il momento unificante per un gruppo di storici e incalliti seguaci del "Biancofiore simbolo d'amore"? Una passeggiata sulle rive del Giano con approfondimento su origini e prospettive della fauna ittica?Noooooooo! Una visita guidata ai tesori dell'arte locale con morigeratissimo prosecco conclusivo al Bar Centrale? Nooooooooo! Una giornata di volontariato dedicata agli anziani che soffrono e ai disoccupati che se la pigliano in culo? Noooooo! E allora... dove vanno a simboleggiare la riunificazione questi inossidabili e impenitenti ammiratori di Gava e Andreotti? Ma che domande!! Si va sforchettare da qualche parte, con la consapevolezza che la scuola dei Forchettoni Bianchi è in grado di competere, per qualità e potenza, con quella jesina di scherma femminile. Complice l'invito alla festa di compleanno della Cortigiana Bianca Sandra Girolametti - avvocato in FaVriano e consigliere in Comune -, intorno a uno dei tavoli imbanditi al Ristorante la Castellaia di Moscano si sono ritrovati, l'altra sera, per un miratissimo e ideologico desinare nell'ordine: Giancarlone Pastimbianco, che ha obbligato i commensali a benedire pane e companatico; Pinuzzo Nduja Pariano, che con la campanella da Presidente ha dato il via alle libagioni, togliendo forchetta e bavaglino ai più golosi e indisciplinati; Ridge Viventi, con barba, baffi e parrucca bionda per non farsi riconoscere dai cassintegrati Ardo incazzati neri per la finaccia; Angelo Tini, convinto che la tagliata alla rucola fosse un modo per sforbiciare calorie e rispettare il Patto di Stabilità. Quindi Giancarlo Bonafoni, con gli occhi ammagonati e lo sguardo da salice piangente e Giorgio Saitta, che ha censurato il disordine morale connesso all'abuso di grassi animali e vegetali; e per concludere Leonardo Meloni, convinto che la cena fosse da pagare alla romana attingendo direttamente al gettone di presenza nelle Commissioni Consiliari, e Giuseppe Galli, costretto a una presenza coatta per evitare di ritrovarselo in Piazza del Comune a intrattenere giovani elettori o a coordinare il traffico alle rotatorie al posto dell'esausto Comandante Strippoli. Il menù proposto dalla Cortigiana Bianca ha rispettato pienamente la vocazione nazionalpopolare della Dc: niente manicaretti light, zero verdurine grigliate e gratinate, anche se pare abbiano fatto capolino riso e farro, giusto un attimo prima di essere cassati da una circolare gastronomica del segretario del partito. Si è invece puntato - in linea con l'insegnamento degli antichi padri del cattolicesimo democratico - su fritti misti, pizzette, affettati, parmigiano, tagliata con insalata e scaglie di parmigiano. Il tutto bagnato da giuste e morigerate dosi di prosecco e vinello. La Dc è ora ufficialmente ricostituita. E ci sta davvero bene un Prosit! Pardon...un rutto libero!