Forse sbaglio ma ultimamente Fabriano profuma meno di
lamiera e più di beltà. E’ difficile quantificare un’impressione o pesare un
sentore, ma è come se la città fosse
improvvisamente più croccante e reattiva, meno inchiodata a una decadenza
vissuta per mesi e mesi come destino ineluttabile e profezia che si autoavvera.
Il negativo di una comunità ha bisogno di grigiore
condiviso, di pensiero fosco, di una medicina degli umori focalizzata
direttamente nella bile, di uno spleen
decadente: “Quando, come un
coperchio, il cielo pesa greve schiaccia l'anima che geme nel suo eterno tedio,
e stringendo in un unico cerchio l'orizzonte fa del dì una tristezza più nera
della notte…”(C.Baudelaire). L’eterno tedio fabrianese ha conosciuto
anche il suo splendore - di cui sentiamo nitida la coda durissima da scorticà –
ma trattasi di cosa andata e appassita. Per questo la dialettica di oggi non è
più tra destra e sinistra, tra manifattura e terziario ma tra grigiore e bellezza, tra la città
vecchia che c’è e la nuova che prova a nascere. Nelle ultime settimane questo
conflitto ha trovato luoghi e spunti adeguati: mostre pittoriche, festival
spirituali ed esposizioni d’artigianato hanno restituito centralità ai luoghi, intesi come spazi inediti di
bellezza colonizzati dai rampicanti del quotidiano e vera ragione d’aggregazione
collettiva. Indirettamente questa convergenza
di format diversi ma incentrati sull’utilizzo e la valorizzazione degli spazi,
ha rimesso al centro della scena la “questione
urbanistica”; un tema che era già
stato posto dallo scoperchiamento del Giano
che – si badi bene - non può essere concepito come un corollario funzionale
della collettazione fognaria, ma si configura come operazione che impatta oggettivamente sul profilo urbanistico
della città. Fino ad oggi è invece prevalsa quella declinazione della
bruttezza che sono i “lavori pubblici”, portatori di una cognizione del rattoppo che tende a trasformare la città in un
terrificante vestito d’Arlecchino
cronicamente orfano di un disegno unitario e del desiderio di pianificare gli
spazi inserendoli in una dimensione multidisciplinare e di scenario gemellata a
un coordinamento dei saperi che la politica non è in grado di suscitare e garantire.
Nel marzo del 2013 l’architetto Giampaolo
Ballelli mise nero su bianco, per questo blog, alcune parole che mi piace
riportare testualmente perché individuano lo
scontro di civiltà tra la bellezza e lo sciatto che connota un certo
presente e una certa politica. ”La
bellezza è un elemento concreto, economico, di qualità della vita. Purtroppo
Afrodite è una Dea capricciosa, si nasconde alla maggior parte degli uomini,
specie se sono nati nella città dei Fabbri e dei Cartai. Conservare il bello è
un modo di pensare e di vivere. Se conservi la città salvi le relazioni tra le
persone. Questi rapporti positivi si manifestano, prima di tutto, nello spazio
urbano e sono favoriti quando, come nei centri storici, qualità e bellezza sono
tangibili e danno una gerarchia all’architettura. Sono gli spazi di relazione
nel tessuto urbano che danno la forma alla città antica. È nella forma della
città e del suo territorio che i comportamenti umani nascono, si riproducono e
migliorano.” Ci sono due passaggi di questo ragionamento che meritano una particolare
sottolineatura: conservare la bellezza
salva le relazioni e rende migliori le persone e i loro comportamenti. La
bellezza, quindi, come impegno collettivo, forma di socialità e, di conseguenza,
come dimensione politica. La Fabriano che cambia pelle, che cerca di trovare una
via d’uscita dalla crisi, che si interroga sulle forme di un nuovo paradigma
economico e sociale non può prescindere da un’idea
di città, da una vision urbanistica.
Per immaginare il futuro servono tecnici e sogni, architetti e poeti, idealisti
e bottegai. Per questo lancio una provocazione che è innanzitutto proposta: è davvero
impossibile, in questa Maker City, trovare
un gruppo di architetti –ovvero organizzatori
creativi di spazi - disposto a redigere il Manifesto per una Nuova Urbanistica a Fabriano? Sarebbe uno
straordinario e inedito momento di partecipazione civica e il sintomo di una
riscossa della società civile che non può essere confinata nel circoletto, nella
camarilla o tra le portate di una cena di gala.
10 settembre 2014
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