Aveva ragione Charles Baudelaire nel dire che chi beve acqua ha qualcosa da nascondere. E credo che saremmo tutti d'accordo nel privatizzare l'acqua se in cambio ci garantissero fontane pubbliche irrorate di rosso o di spumeggianti bolle della Valdobbiadene. Purtroppo però il Paese di Bengodi - con le sue salsicce attaccate ai fili - è soltanto uno sfogo onirico da contrapporre alla crisi e quindi è meglio impegnarsi direttamente nella difesa dell'acqua e dei beni comuni. Meno saporiti ma altrettanto gustosi dello Spirito Di Vino. Anni fa, a un convegno sulle ricchezze del futuro, ebbi modo di ascoltare le parole ciniche dell'amministratore delegato di un'azienda petrolifera, che invece di parlare di benzine, nafte e idrocarburi concentrò tutta la sua prolusione sull'acqua, sulla sua natura di "oro blu" e di risorsa strategica dal punto di vista macroeconomico, geopolitico e commerciale. Ovviamente l'acqua è diventata anche un grande affare per la politica. A tutti i livelli. E la tendenza è quella di spingere verso la creazione di società - le cosiddette multiutilities - capaci di abbinare la gestione idrica, la distrubuzione del gas e la fornitura di energia elettrica. Questa ricerca ostinata della dimensione e delle economie di scala nella gestione dell'acqua, ha determinato il superamento della vecchia gestione municipale degli acquedotti, ritenuta inefficiente e primordiale. In realtà l'approccio artigianale e la prossimità dei vecchi "fontanieri" ai problemi dei cittadini consentiva una erogazione del servizio di tutto rispetto, senza costi esorbitanti e con una mantenzione intelligente e minuziosa che teneva in efficienza la rete senza ricorrere a grandi investimenti. Servizio che non sembra molto migliorato col nuovo corso societario e modernista, visti e considerati i livelli nazionali di dispersione idrica, la condizione generale delle reti e l'entità delle tariffe applicate ai cittadini consumatori. Nella provincia di Ancona opera la Multiservizi Spa, una società a totale capitale pubblico, partecipata in maniera non paritaria da 46 comuni soci della provincia. L'assetto societario attuale è fondato sulla centralità di Ancona e Senigallia, detentori in solido di circa il 57% del pacchetto azionario a fronte del 4,4% di Fabriano e dello 0,2% di Serra San Quirico, come si può desumere dal bilancio consolidato della Multiservizi Spa del 2010, a pag.38, di cui si riporta il link http://www.multiservizi-spa.it/images/stories/Bilancio_consolidato_anno__2010.pdf). Ciò significa che i comuni dell'area montana forniscono l'acqua ma non contano nulla in termini di governance e la costa si prende l'acqua che arriva dai monti e ci comanda pure sopra. E qui entra in ballo il federalismo della risorse, tema che, con ogni probabilità, non suscita nè emozioni nè decisioni nel Sindaco Sagramola, notoriamente centralista, ma che potrebbe rappresentare un'interessante chiave di lettura per i cittadini e per le realtà associative che disdegnalo la privatizzazione del patrimonio idrico locale ma, nel contempo, non si fidano dei carrozzni pubblici che maneggiano, spesso in modo opaco, centinaia di milioni di euro. Federalismo delle risorse vuol dire che siccome l'acqua sgorga nell'area compresa tra Fabriano e Serra San Quirico è la zona montana la proprietaria della risorsa idrica e che il possesso deve trovare un suo riconoscimento. Ciò non significa che sia buona cosa assetare la costa, costringendo i comuni di mare a dissalare l'acqua dell'Adriatico, ma semplicemente creare condizioni vantaggiose per le comunità dell'entroterra montano. Le possibilità sono sostanzialmente quattro:
- battersi per una revisione delle quote societarie di partecipazione che valorizzi il ruolo dell'entroterra nella governance della Multiservizi. Per farlo occorre trattare con energia politica, senza sudditanza e con la volontà di tirare fuori anche un bel po' di soldi
- lavorare per redigere accordi compensativi capaci di creare condizioni di vantaggio economico con sgravi consistenti sulle bollette delle popolazioni montane;
- attivarsi per la costituzione di un consorzio montano per la gestione del servizio idrico in grado di trattare da pari a pari le condizioni di accesso al servizio idrico con altri soggetti provinciali coinvolti
- uscire dalla Multiservizi, magari anche forzando la normativa e tornare alla gestione municipale del servizio, anche se ciò significasse violare la legge con l'intento di accedere un riflettore sovracomunale e nazionale sulla questione acqua.
Purtroppo per la nostra comunità temo che l'amministrazione comunale non sceglierà tra nessuna di queste quattro soluzioni, accampando il solito feticcio della "normativa che nol consente", rivendicando i valori statalisti della centralizzazione del servizio e la dura lex degli equilibri politici provinciali e regionali, ossia le faccende domestiche del Pd e dell'Udc. Ragion per cui l'acqua continuerà imperterrita ad andare verso il mare e il vino continuerà gioioso a far cantare. Prosit!