LA CRESTA E I VERDI PASCOLI DELLA POLITICA
Ci sono soltanto due cose certe
nella vita: la morte e le tasse. Si tratta di un postulato fondamentale per comprendere,
senza distinguo frondosi e insulsi, la funzione di rapina esercitata dalla politica e
dalla burocrazia pubblica. Prendiamo, non a caso, gli enti locali. Il giochetto vessatorio è
molto semplice: fare in modo, attraverso il gioco delle aliquote e delle
previsioni, che le entrate complessive generate da un tributo siano
superiori alle necessità e ai costi connessi a un determinato servizio. In
questo modo l’ente pubblico – che per mission teorica dovrebbe essere al
servizio dei contribuenti – utilizza le entrate tributarie per farci sopra la
cresta e garantirsi un tesoretto. Il surplus viene giustificato dando la colpa
a “naturali e umanissimi” deficit previsionali oppure, più nobilmente,
ricorrendo a imperativi prudenziali, ossia al bisogno della tecnostruttura di pararsi il culo, visto che essa eternamente dura. La
realtà è, ovviamente, un’altra e cioè che la cresta serve per foraggiare
clientele politiche e attività elettoralmente remunerative. Ogni assessore,
infatti, dispone di un suo pascolo e un suo gregge e, notoriamente, non c’è niente di
più comodo e redditizio che farsi pagare bisogni e svaghi politici dalla mano invisibile del
contribuente.
SAGRAMOLA E LE TASSE: NON LO FAI PER AMORE MIO..
Di fronte a questo reiterato scempio è letteralmente paracula la
tiritera sulle tasse che non aumentano, sui servizi a parità di costo e sul
buon governo di chi si reputa così bravo da poter evitare anche gli adeguamenti
tariffari in base Istat. Ecco perché la politica, di fondo, non è altro che l'arte di mettere le mani in tasca ai cittadini
senza essere denunciati per furto o per molestie. Personalmente comincerò
a fare un tifo da ultrà per il Sindaco il giorno in cui Sagramola - invece di rompere i
coglioni sostenendo, con espressione affranta, di aver fatto di tutto e di più
per non aumentare le tasse – smetterà di dire che le tasse servono per
finanziare i servizi, ossia per soddisfare le esigenze dei cittadini. Perchè,
caro Giancarlo, è evidentissimo e lapalissiano che non lo fai per amor mio ma per far piacere a dio. E il dio dei
sindaci è il benessere dei
dipendenti pubblici, il vizio inestirpabile di una struttura che può farti tirare avanti o
lastricarti la strada di ostacoli, a seconda di quanto ti metti a pecora di fronte
alle sue esigenze di durata e a quelle vaghe e irritanti zone di comfort che coltiva con mano d'artista. Di fronte a
un discorso incentrato su queste verità mi sentirò in dovere di omaggiare la ruvida ma chiarificatrice onestà
intellettuale dei decisori.
IL GIRO DEI TRIBUTI: UNA CIPOLLA SFOGLIATA AL CONTRARIO
Gli introiti generati dai tributi, infatti, funzionano come una cipolla
sfogliata al contrario, ossia da dentro a fuori, sulla base di tre priorità sequenziali
e ferocemente gerarchizzate: il grosso delle risorse in entrata serve per coprire
la crescita bulimica dei costi di struttura del baraccone comunale. La seconda
quota è costituita dalla cresta che viene destinata al finanziamento delle
operazioni di propaganda politica e al sostegno delle famiglie numerose che
portano tanti voti ai partiti di governo. Quel che resta, ossia una quota
residuale, serve per tenere in piedi la finzione dell’interesse pubblico, ossa
per finanziare il sistema dei servizi al cittadino, la maggior parte dei quali –
vale la pena ricordarlo - funziona in un regime non certo casuale di deficit
strutturale.
L'ASSASSINO DELLA DEMOCRAZIA COMUNALE NON E' IL PATTO DI STABILITA'
Di fronte a questa scena – che può essere contraddetta solo a
colpi di pandette e bizantinismi dai professionisti del capello spaccato –
emerge in tutta la sua geometrica potenza l’inutilità della politica e del
procedimento elettorale negli enti locali. Lo dico da tempo e lo ripeto con granitica convinzione: per governare una città di 30 mila abitanti è sufficiente una
figura neutra, un servitore dello Stato a tempo determinato, un Commissario di governo che
svolga la funzione amministrativa per cinque anni per poi essere sostituito da un'altra
figura equivalente. La democrazia municipale non l’ha uccisa il Patto di
Stabilità ma una politica scroccona alleata di una burocrazia pubblica vorace come le cavallette della narrazione biblica.