10 settembre 2014

Fabriano, l'urbanistica e la dea capricciosa



Forse sbaglio ma ultimamente Fabriano profuma meno di lamiera e più di beltà. E’ difficile quantificare un’impressione o pesare un sentore, ma è come se la città fosse improvvisamente più croccante e reattiva, meno inchiodata a una decadenza vissuta per mesi e mesi come destino ineluttabile e profezia che si autoavvera. Il negativo di una comunità ha bisogno di grigiore condiviso, di pensiero fosco, di una medicina degli umori focalizzata direttamente nella bile, di uno spleen decadente: “Quando, come un coperchio, il cielo pesa greve schiaccia l'anima che geme nel suo eterno tedio, e stringendo in un unico cerchio l'orizzonte fa del dì una tristezza più nera della notte…”(C.Baudelaire). L’eterno tedio fabrianese ha conosciuto anche il suo splendore - di cui sentiamo nitida la coda durissima da scorticà – ma trattasi di cosa andata e appassita. Per questo la dialettica di oggi non è più tra destra e sinistra, tra manifattura e terziario ma tra grigiore e bellezza, tra la città vecchia che c’è e la nuova che prova a nascere. Nelle ultime settimane questo conflitto ha trovato luoghi e spunti adeguati: mostre pittoriche, festival spirituali ed esposizioni d’artigianato hanno restituito centralità ai luoghi, intesi come spazi inediti di bellezza colonizzati dai rampicanti del quotidiano e vera ragione d’aggregazione collettiva. Indirettamente questa convergenza di format diversi ma incentrati sull’utilizzo e la valorizzazione degli spazi, ha rimesso al centro della scena la “questione urbanistica”; un tema che era già stato posto dallo scoperchiamento del Giano che – si badi bene - non può essere concepito come un corollario funzionale della collettazione fognaria, ma si configura come operazione che impatta oggettivamente sul profilo urbanistico della città. Fino ad oggi è invece prevalsa quella declinazione della bruttezza che sono i “lavori pubblici”, portatori di una cognizione del rattoppo che tende a trasformare la città in un terrificante vestito d’Arlecchino cronicamente orfano di un disegno unitario e del desiderio di pianificare gli spazi inserendoli in una dimensione multidisciplinare e di scenario gemellata a un coordinamento dei saperi che la politica non è in grado di suscitare e garantire. Nel marzo del 2013 l’architetto Giampaolo Ballelli mise nero su bianco, per questo blog, alcune parole che mi piace riportare testualmente perché individuano lo scontro di civiltà tra la bellezza e lo sciatto che connota un certo presente e una certa politica. ”La bellezza è un elemento concreto, economico, di qualità della vita. Purtroppo Afrodite è una Dea capricciosa, si nasconde alla maggior parte degli uomini, specie se sono nati nella città dei Fabbri e dei Cartai. Conservare il bello è un modo di pensare e di vivere. Se conservi la città salvi le relazioni tra le persone. Questi rapporti positivi si manifestano, prima di tutto, nello spazio urbano e sono favoriti quando, come nei centri storici, qualità e bellezza sono tangibili e danno una gerarchia all’architettura. Sono gli spazi di relazione nel tessuto urbano che danno la forma alla città antica. È nella forma della città e del suo territorio che i comportamenti umani nascono, si riproducono e migliorano.” Ci sono due passaggi di questo ragionamento che meritano una particolare sottolineatura: conservare la bellezza salva le relazioni e rende migliori le persone e i loro comportamenti. La bellezza, quindi, come impegno collettivo, forma di socialità e, di conseguenza, come dimensione politica. La Fabriano che cambia pelle, che cerca di trovare una via d’uscita dalla crisi, che si interroga sulle forme di un nuovo paradigma economico e sociale non può prescindere da un’idea di città, da una vision urbanistica. Per immaginare il futuro servono tecnici e sogni, architetti e poeti, idealisti e bottegai. Per questo lancio una provocazione che è innanzitutto proposta: è davvero impossibile, in questa Maker City, trovare un gruppo di architetti –ovvero organizzatori creativi di spazi - disposto a redigere il Manifesto per una Nuova Urbanistica a Fabriano? Sarebbe uno straordinario e inedito momento di partecipazione civica e il sintomo di una riscossa della società civile che non può essere confinata nel circoletto, nella camarilla o tra le portate di una cena di gala.
    

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