30 giugno 2012

Giugno 1914: Fabriano e la "Repubblica dei Polli"


In questa calda giornata di giugno mi piace proporre un'altra storia di giugno. Di quasi cento anni fa. Una storia di Fabriano, dell'"altra Fabriano", quella con meno benessere e più passioni. E' una storia della nostra gente che merita il diritto al ricordo e un po' di sano vizio della memoria. Se è vero che il futuro ha radici antiche, queste meritano tutto il nostro rispetto e anche un piccolo comizio d'amore.
Il 7 giugno 1914 è una giornata piovosa ma probabilmente calda. Non c'è Scipione e nemmeno il suo collega Caronte ma dalle nostre parti si boccheggia lo stesso. A poche decine di chilometri da Fabriano si tiene un comizio antimilitarista. Proprio in occasione dell'anniversario dello Statuto Albertino. Tanto per rendere ancora più simbolico e beffardo il dissenso rispetto al militarismo e alla guerra. Repubblicani, anarchici e socialisti si danno appuntamento ad Ancona dove parlano, tra gli altri, Errico Malatesta e Pietro Nenni di fronte a qualche centinaio di persone. Poi, gli organizzatori decidono di confluire verso Piazza Roma dove si tiene un concerto della banda militare. La forza pubblica spara e muoiono tre dimostranti tra i 17 e i 24 anni. A Fabriano le prime notizie arrivano verso sera, in una città che ribolle da tempo di culture sovversive. Proviamo a immaginare la scena: non c'è internet, non c'è la televisione e le notizie giungono imprecise, sporadiche e magari fuorvianti. Repubblicani e anarchici sorseggiano bevande fresche al Bar Ideale, sotto l'occhio attento e indagatore della polizia regia. Poi mollano i bicchieri e si dirigono verso l'Oratorio della Carità per una riunione spontanea. Forse si decide cosa fare, col cuore sempre bollente dei romantici e dei ribelli. La notte trascorre tranquilla. C'è da attendere solo qualche ora e sarà lunedì, l'inizio di una nuova settimana di lavoro. La mattina scorre lenta, come tutte le mattina estive. Una giornata di calma piatta, di attesa, di nervosismo tenuto a freno. Poi il segnale: nel primo pomeriggio gli operai delle Cartiere abbandonano il lavoro e si dirigono verso la Piazza del Comune, raggiunti dalla cittadinanza verso le cinque . I negozi chiudono e viene proclamato lo sciopero generale. Dal balcone di Palazzo Chiavelli - dove oggi vanno a fumare i consiglieri comunali - si affaccia Luigi Bennani, avvocato socialista, che invita i manifestanti a non avere paura e a non disperdersi in mille rivoli di solitudine. Ha trent'anni, un cuore appassionato e un futuro politico che lo attende: primo Sindaco di Fabriano dopo la Liberazione, deputato socialista alla Costituente e parlamentare fino al 1953. Un grande fabrianese dimenticato dai posteri, convinti che prima di Merloni ci fosse solo il buio oltre la siepe. Ma torniamo al 1914. Verso le 9.30 del giorno dopo, martedì 9 giugno, un gruppo di manifestanti si reca alle Fornaci Mercurelli Giuli per invitare i lavoratori a scioperare. Si accorgono del passaggio del Diretto 907 proveniente da Ancona e diretto a Roma. Che fare? La decisione è immediata e spontanea. Un gruppo si stacca e raggiunge la ferrovia. Qualcuno si stende sui binari e i macchinisti sono costretti fermare il convoglio. Una folla di fabrianesi, tra il curioso e l'infuriato, si riversa alla Stazione. "Vengono bloccati i treni merci e passeggeri provenienti da Urbino, Macerata, Ancona e Foligno, e su un fanale lungo i binari è appesa una corona con nastro rosso e la scritta: agli assassinati dal piombo regio il proletariato fabrianese" (S.Gatti). Intanto in Piazza del Comune si tiene un comizio degli anarchici mentre gruppi di cittadini presidiano la stazione ferroviaria. Verso le undici di sera un gruppo di dimostranti intima ai dipendenti della Stazione di spegnere le luci. Ma, ligi al dovere, gli impiegati rifiutano. Scoppia il finimondo: uffici devastati, vetrate rotte e fili del telegrafo recisi di netto. Mercoledì 10 giugno è il giorno della reazione dei cattolici e dei liberali fabrianesi. Alla stazione ferroviaria un impiegato si accorge che un carro merci contiene dei polli chiusi in gabbia. Stanno lì abbandonati e morenti. E allora decide di metterli in vendita a prezzi stracciati. Come accade anche oggi una folla si riversa per fare affari nell'improvvisato mercatino di carni bianche e qualcuno, approfittando della situazione, ruba anche altri oggetti. Informati dell'accaduto i giornali clericali e liberali si scatenano contro la "Repubblica dei polli a 5 soldi" aizzando quello scandalo benpensante che fa sempre comodo per tagliare le unghie alle classi pericolose. La situazione precipita giovedì 11 giugno. Ale 18 arriva una compagnia di bersaglieri per ristabilire l'ordine alla stazione ferroviaria. Un brigadiere dei Carabinieri viene accoltellato. Iniziano le colluttazioni e un membro della forza pubblica spara sulla folla uccidendo Nicolò Riccioni di sedici anni e ferendo gravemente Settimio Frigio di dodici anni. E' la fine della settimana rossa e la domenica successiva, 14 giugno, nella città torna l'ordine. Bennani, assieme ad altri militanti repubblicani e anarchici, viene arrestato mentre Luigi Fabbri ripara a Lugano, città fatale dell'anarchismo novecentesco. Il 27 luglio ci sono le elezioni comunali. La Fabriano ribelle si presenta con una lista unitaria ma prende solo sei seggi su trenta. Tra i non eletti un signore indimenticabile e straordinario; uno di quelli che hanno fatto la storia dell'Italia democratica e repubblicana, il vecchio amico di Mussolini che visse combattendo contro Mussolini: Pietro Nenni, il romagnolo sanguigno. Pietro Nenni non eletto consigliere comunale. Come Renato Paoletti. Ma questa è un'altra storia. E forse, anche il segno dei tempi.
    

29 giugno 2012

La leggenda del Santo Manutentore

Claudio Biondi è un pezzo da novanta della grande archeologia fabrianese, ma il sole non tramonta mai sulla sua rinomata chioma moganata. Tutanklaudion lo conosco da quando ero bambino e abitavo a Via Mercantini, nella casa a fianco a quella del mitico Alessandro Mercia che Biondi era solito frequentare con rumorosa passione personale e politica. E quindi tendo a essere indulgente con lui, perché mi ricorda un mio splendido passato remoto. Poi, un po' più grandicello, me lo sono ritrovato come avversario in Consiglio Comunale, periodo nel quale Biondi era assessore ai lavori pubblici. Me lo ricordo capace di tutto e con una irrefrenabile brama di cementificazione. Un Santo Manutentore col camion di breccia sempre pronto all'uso, la bitumiera in servizio permanente e un rispetto dei parametri urbanistici e ambientali comparabile con quello di un sobborgo colombiano. La sua polizza di assicurazione è sempre stata una simpatia non casuale, nutrita di battute sempre pronte e di un'estroversione intensissima ma distratta. In questo modo, come una salamandra munita di certificato d'origine, è uscito indenne da tutti i fuochi, fino a sfiorare l'elezione a Sindaco. Ma in tutto quel che fa si porta dietro un marchio inconfondibile: la tendenza a strafare, a spararla sempre più grossa e alla fine a pisciare rumorosamente fuori dal vaso. Stamattina mi sono letteralmente spataccato con lui che, solenne come un Cardinale in Conclave, chiede un Consiglio Comunale per decidere sulla riapertura del Giano. Una decisione che, secondo Tutanklaudion, spetterebbe solo al supremo organo nella sua natura di centro sovrano della democrazia municipale. Mi sono spataccato meditando sull'ossimoro: Claudio Biondi, il discendente di Attila, il nemico giurato di ogni ambientalismo che si duole per la triste sorte del fiume Giano! Uno shock emotivo di quelli che non si dimenticano. Ho provato a figurarmelo ai tempi d'oro, alle prese col Ponte dell'Aera. Ma quali studi di idraulica! Quali perizie universitarie! Quali pareri da luminare! Tutte sovrastrutture perché, con lui al timone, la soluzione sarebbe stata "chiavi in mano": du operai co le schiene cotte, un camion de breccia e na spruzzata de catrame. Scoprirlo dolente e vibrante alleato del Fiume Giano, tradito dalla modernità e dalla burocrazia, fa parte di quella commedia dell'arte che, attraverso le maschere, descrive magnificamente lo spirito delle genti e delle comunità che solo gli italiani possono davvero comprendere e apprezzare. E se Arlecchino è bergamasco, poi Gianduia torinese, Claudio Biondi è il fabrianese!
    

28 giugno 2012

Se nasce il Comitato di Salute Pubblica...


La diagnosi del Prof. Gian Luca Gregori, Preside della Facoltà di Economia dell’Università di Ancona, fa tremare i polsi, ma la conoscevamo tutti piuttosto bene: Fabriano è una città di anziani, con i giovani  e gli stranieri senza lavoro e senza prospettive e con rischi concreti di alcolismo, consumo di droghe, incremento degli stati depressivi e della criminalità. Unica possibilità salvare il salvabile finché si è ancora in tempo. Per riuscirci c'è il rischio concreto di dover ricorrere a un Papa Straniero, una figura totalmente estranea ai riti e ai commerci delle camarille locali. Ma al momento non è tecnicamente e politicamente possibile. E quindi è più probabile che si determinino le condizioni di un Commissariamento della città a tempo determinato - magari approfittando dell'esito di qualche ricorso. Una possibilità che potrebbe animare la costituzione di un Comitato di Salute Pubblica trasversale, culturalmente già in fase embrionale, che si faccia carico dei problemi di Fabriano senza riproporre il solito schema, fintamente democratico e parruccone, del conflitto tra maggioranza e opposizione. Non si tratterebbe della solita pugnetta sull'accordo tra gli uomini di buona volontà, che fa tanto cattolicesimo liberale e democratico, ma di un esperimento giacobino in cui ogni protagonista si libera dalla camicia di forza dell’appartenenza politica. A Fabriano esiste la possibilità concreta di “una democrazia dell’emergenza”, perchè la dialettica politica classica funziona quando c’è polpa e valore da redistribuire e non certo nelle fasi in cui si sta grattando disperatamente l’osso. Può sembrare una visione apocalittica ma non lo è. E quel che oggi appare fantascienza fra poche settimane sarà una sfida probabile e ineludibile. Perché, come ogni altra cosa umana, anche la politica non si compie che sulla propria rovina. (E.Cioran)
    

27 giugno 2012

I tre segni velenosi di El Raton

Uno spettro si aggira sul Ponte dell'Aera. Lo spettro di El Raton. Liberato, non per scelta ma per obbligo di legge, dalla prigione del terzo mandato, vaga ormai a piede libero meditando la replica di antichi sortilegi. Gli stolti, abbarbicati alla memoria breve del presente, ne ridimensionano il potenziale nefasto descrivendolo, come al solito, loquace ma attrottolato su se stesso. Gli esegeti del rito sorciano, più opportunamente, ne segnalano invece l'inconfondibile simbolismo che prelude all'attacco. Roberto El Raton ha una concezione seriale dell'omicidio politico. Le sue vittime passate e future, di solito, girano in fascia tricolore e commettono tutte lo stesso, fatale errore: considerarlo un'innocua vestigia del passato. E' una banalizzazione di cui l'Omicida Seriale si serve per sviluppare il suo humus e convincere gli avversari ad abbassare la guardia. Ma chi lo conosce bene sa decifrarne ogni fotogramma. Anche quello in apparenza più irrilevante. A partire dall'ora delle telefonate. El Raton, quando indossa abiti istituzionali, è uomo di conversazione pomeridiana. Quando si traveste da tanghero messicano scavalca brillantemente il vespro e il crespuscolo e compare con telefonate fluviali diversamente modulate a seconda del dosaggio venefico da instillare: alle 20.30 telefonata ad elevata immunizzazione per il ricevente. Alle 23.30 trilli al sapore d'arsenico in cui ogni parola rimanda ad altro e poi ad altro ancora. Secondo campanello d'allarme: gli articoli ai giornali. Quando Roberto El Raton comincia ad inviare cartelle tematiche all'Azione vuol dire che il tema trattato è poco più che un pretesto per lanciare imperativi e avvisi A destra e a manca. A Francesco Santini, eletto Sindaco nel 1998 con lo slogan riveduto e corretto "ti ascolto per fare...come me pare", attraverso la modalità giornalistica fece letteralmente barba, capelli e ascelle. E a quanto mi risulta l'opera seriale di destrutturazione è già cominciata con un triplo filotto reale di articoli inviati al settimanale diretto da Carlo Cammoranesi. Ma non rivolta a Sagramola, che non pare essere una sua vittima sacrificale, ma piuttosto ad Angelo Tini, il leader principale del cerchio magico. Adesso siamo in attesa del terzo segnale d'allarme ossia l'organizzazione di qualche evento culturale apparentemente di secondo piano: la presentazione di un libro di qualche improvvisato scrittore locale, una mostra di croste d'autore, una rassegna di unghie smaltate. Così che il popolo della politica possa pensare che El Raton ha trovato un giochetto innocuo con cui baloccarsi. Situazione adattissima per muoversi sottotraccia e senza troppi sguardi attenti. Conoscendolo attendiamo con fiducia. Certi che non ci deluderà. Ne ora ne mai. Banzai!
    

26 giugno 2012

No Tini? No Party! Seconda puntata.

Immagine sito Asur 1 giugno 2012

Immagine sito Asur 26 giugno
Stasera sono allegro e pizzuto. Per questo voglio giocare con i lettori alla Settimana Enigmistica, rifacendomi a una rubrica storica di quel giornalino per menti intuitive: "Trova le differenze". Vi propongo due immagini, che potrete cliccare per ingrandirle, di cui ogni bravo fabrianese è in grado di riconoscere la provenienza. Una è del 1 giugno 2012, la seconda di oggi pomeriggio. Guardatele con molta attenzione, poi fate le vostre personali considerazioni e magari confrontatevi anche con amici e conoscenti. Così, giusto per vedere se avete l'occhio lungo, la mente lucida e il cerebro aguzzo. Quando avrete trovato la soluzione datevi la mani da soli e imprimete nella vostra mente e nel vostro cuore una significativa frase di Giambattista Vico: la storia è fatta di corsi e....ricorsi. Banzaii!!!!!
    

Alianello e la clava fiscale sulla monnezza

Wilma dammi la clava! Si potrebbero commentare così le dichiarazioni di questa mattina di Claudio Alianello ai giornali locali. Argomento: la monnezza. A chi fa l'assessore si deve dare un tempo minimo di insediamento. Per guardare le carte, conoscere i dati, farsi un'idea delle strozzature organizzative e dei colli di bottiglia operativi. Poi, dopo aver delineato una ricognizione esauriente si parla alla città e si danno le dritte agli operatori. Invece Alianello, che conoscevamo come pacioso e pacifico mediatore, ha preferito fare subito la voce minacciosa da baritono sul tema monnezza, tra l'altro senza specificare se è intervenuto come assessore all'ambiente o come segretario del Pd visto che, al momento, cariche di partito e ruolo pubblico coincidono, alla faccia della separazione tra politica e amministrazione. Fatto sta che il segretario assessore ha tirato subito fuori il pugno di ferro, accusando i cittadini di essere i responsabili dei bassi livelli di raccolta differenziata che si registrano sul nostro territorio. O differenziate per bene o saranno multe salatissime e incrementi della pressione fiscale. Questo il messaggio conciliante e generoso lanciato alla città. Nemmeno una parola sul fatto che ci costringono a differenziare anche i peli del culo, i Cotton Fiock inceronati, la carta sporca di pizza, i pannolini smerdati e le unghie dei piedi incarnite. Non una parola sul centro storico coi sacchetti volanti, i gatti festanti e i peli di culo svolazzanti. Zero sillabe sui mesi e mesi di riunioni balbettanti e sulle concertazioni traballanti per decidere dove collocare quegli orrendi bidoni di plastica colorata. Neanche un gemito sulla tracciabilità dei rifiuti, sul sacrosanto diritto di sapere come e dove cazzo vanno a finire i nostri  rifiuti dopo aver bestemmiato l'empireo per differenziarli a dovere. Caro Alianello, c'è solo la nostra cronica e infantile negligenza di bipedi belanti alla radice di tutto o qualche domanda dovrebbero farsela pure gli uffici preposti e tutto quel mondo di specialisti che fa tanta poesia attorno allo smaltimento delle lische di pesce e delle scorze di formaggio di fossa? Perché, con gli anni, una cosa l'ho imparata e cioè che più conosco il sistema pubblico e più mi converto al liberismo più assoluto e selvaggio. Alianello mi ha consolidato in questa certezza apocalittica. Non a caso per redimere i negligenti l'assessore ha subito paventato la formula montiana della clava fiscale. Se non fate i bravi aumentiamo le tasse e via andare. Certo è prevista dal decreto Ronchi la soprattassa per i Comuni che non rispettano gli obiettivi minimi di differenziazione. Ma è una cosa sensata usare la clava fiscale contro i cittadini per rispettare un parametro? Al posto di Alianello avrei convocato l'ufficio ambiente e gli avrei dato una settimana di tempo per trovare una soluzione efficace e praticabile. A partire da un dato fondamentale e prepedeutico e cioè che la raccolta differenziata era bacata a monte, che non avrebbe funzionato manco con Ancona Ambiente a dormire dentro casa e che differenziare pure il pulviscolo atmosferico era un metodo perfetto per impedire la differenziazione efficace. In questo modo invece il potere pubblico se ne lava le mani e scarica le colpe sui cittadini in maniera facile, comoda e redditizia. Sergio Ricossa, grande e incompreso liberale italiano, ci ha insegnato che uno Stato che complica la vita dei suoi cittadini è soltanto un ostacolo allo sviluppo della creatività e del senso civico. Bei tempi , quindi, quando i comuni erano uno strumento di mediazione, un apparato che funzionava attraverso la facilitazione e la conciliazione. Oggi sono l'ente di prossimità della vessazione pedagogica e fiscale. Tanto per cominciare sarebbe davvero buona cosa se Sagramola imponesse ai suoi assessori un benefico silenzio stampa. Le parole al vento, infatti, aumentano la temperatura e col caldo la monnezza puzza pure di più.
    

25 giugno 2012

Un'Area Vasta che Spacca!

Se cliccate su questo link troverete un'interessante intervista al Governatore delle Marche (Intervista a Spacca) a proposito della sede amministrativa dell'Area Vasta, che è stata oggetto di uno scontro furibondo tra Fabriano e Jesi, arricchito tra l'altro dagli interventi poco diplomatici dei sindaci Sagramola e Bacci. Spacca si propone come mediatore non neutrale nella contesa tra i due principali centri della provincia di Ancona, ricordando quanto Jesi abbia usufruito degli interventi regionali e quanto, di quegli stessi, abbia oggi bisogno Fabriano, che vive una stagione terribile di crisi economica e produttiva. Non entro nel merito dell'Area Vasta e delle sue sedi, perché le considero espressione di quell'ingegnerizzazione organizzativa del sistema pubblico che serve a dilatare la spesa fingendo di razionalizzarla. C'è però un passaggio dell'intervista di Spacca che considero fondamentale, perché fornisce una chiave di lettura decisiva per comprendere quale potrà essere il futuro della nostra città. Spacca afferma che a Fabriano "il pubblico non ha mai fatto investimenti in burocrazia, in università, in centri di qualsiasi natura" e che quindi la sede dell'Area Vasta costituirebbe una sorta di azione compensativa per dare, anche alla nostra città, un profilo più caratterizzato dalle attività del terziario amministrativo. L'idea di Spacca è, quindi, quella di avviare un processo di trasformazione strutturale di Fabriano, da città industriale a centro imperniato sulla burocrazia pubblica e sui suoi apparati. Si tratta di processo di irizzazione della città che non può essere realizzato in forma tradizionale perché dal 2002 non c'è più l'Istituto per la Ricostruzione Industriale e che, per questo, viene proposto in modalità tipicamente burocratica e amministrativa. In questo modo è il pubblico a gestire sul territorio una sorta di "imponibile di manodopera", accelerando quel processo di meridionalizzazione della società fabrianese che ha già trovato un pericoloso brodo di coltura nelle politiche degli ammortizzatori lunghi praticata per il caso Ardo e nella crescita esponenziale di occupazione prodotta dalla sanità e dalla struttura comunale. Se l'identità di Fabriano fosse ricostruita incrementando ulteriormente gli spazi della burocrazia pubblica ciò significherebbe attrarre dall'esterno competenze che sono estranee al tessuto sociale di una città ad elevata, convinta e forse anche cronica industrializzazione. Competenze che creerebbero una nuova divisione sociale tra fabrianesi condannati ad occupare posizioni produttive marginali e residuali e immigrati - italiani e non - a elevatissima scolarizzazione, che occuperebbero le principali posizioni chiave, egemonizzando la città anche dal punto di vista economico, sociale e politico. Spacca insomma, nonostante sia il più dotato dei politici marchigiani, cerca individuare una risposta efficace sul breve periodo, adeguandosi al vecchio principio del "pochi, maledetti e subito". In questo caso riferito ai posti di lavoro e non ai lilleri. Ma se la sede amministrativa dell'Area Vasta invece che una operazione una tantum, si configurasse come l'inizio di un processo di creazione forzata di occupazione - attraverso la dilatazione della mano pubblica - la Fabriano autonoma e anti assistenzialista rischierebbe di essere buttata nell'armadio dei cani. Fabriano per non morire non può fare a meno di uno stock di industria che - seppur ridotta dimensionalmente - necessita di servizi di terziario avanzato privato che a Fabriano non hanno mai messo radici. E solo alla fine, quando si saranno create condizioni preliminari, potranno risultare utili anche enti pubblici capaci di agevolare e supportare l'operazione di rilancio. Il percorso virtuoso, secondo logica, dovrebbe seguire questa traiettoria. Camminare al contrario, come i gamberi, può essere un'idea di facile consumo e a tecnicamente fattibile. Ma non è detto che un'idea facile e fattibile sia pure una buona idea.
    

24 giugno 2012

Prima che Galli canti...

All'interno della Giunta Sagramola a Giuseppe Galli dell'Udc è stata attribuita la delega più bollente, quella al Lavoro. Un impegno gravoso, non c'è che dire. Forse la posizione più delicata di questa stagione amministrativa. Galli non lo conosco personalmente e nemmeno politicamente. Mi sono fatto un'idea molto generica di lui cercando di coglierne alcuni tratti fisici, che ritengo una fonte fenomenale di conoscenza. Capelli neri, fronte alta, bocca a salvadanaio, passo deciso e piglio secco tra il garibaldino e il napoleonico. Una durezza attenuata da lineamenti  regolari che gli consentono di restituire, a piacimento, l'immagine di un duro predisposto alla trattativa o quella di un accondiscendente vocato al morso che fa male. Leggendo le sue dichiarazioni di ieri al Carlino si sono alternate entrambe le fisionomie: il duro e il morbido, il buono e il cattivo. Galli, sul lavoro, ha detto cose condivisibili. E tra le tante una in particolare e cioè che occorre istituire un tavolo permanente per avere dalle imprese informazioni su quel che intendono fare, specie quando in città iniziano a circolare voci poco rassicuranti. E' scandaloso infatti che si chiudano impianti, si delocalizzi e si faccia ricorso alla cassintegrazione - ossia a denaro del contribuente - come se ciò fosse soltanto una privatissima prerogativa delle imprese e non, invece, una riflessione che deve coinvolgere la comunità, in un'ottica di responsabilità sociale e di rispetto del territorio. I Comuni, notoriamente, possono fare poco ma di certo hanno la possibilità di agire sul sistema delle imprese locali, in termini di moral suasion, e le posizioni di Galli sembrano andare in tale direzione. L'elemento curioso è che l'assessore propone questa linea come fosse un elemento originale della riflessione politica cittadina. In realtà così non è. Perchè quel che sostiene Galli, fu uno dei cavalli di battaglia di Enrico Carmenati nel 2007, che sulla questione dell'informazione preventiva fondò la sua campagna elettorale, nonostante fossimo in una fase di scrocchiolii senza deflagrazioni del sistema delle imprese locali. Che Galli non rammenti cose di cinque anni fa ci può pure stare, anche se venne eletto nella coalizione dell'Avvocatone di Piazza Garibaldi. Meno probabile è che gli siano sfuggite un paio di mozioni depositate dai consiglieri comunali del Cinque Stelle in data 18 giugno 2012. Una per l'istituzione di un tavolo pubblico per il monitoraggio e la salvaguardia dell'occupazione. L'altra per dare vita a una commissione speciale sul mondo del lavoro e dell'occupazione. Se Galli si fosse ispirato anche alle posizioni dell'opposizione ci sarebbe solo da plaudire, perchè l'autosufficienza di maggioranza è un atto di presunzione che non conduce lontano. Ma nel caso sarebbe stato ancor più significativo e ammirevole riconoscere che certi approcci non sono mai stati farina del sacco di centrosinistra ma provengono da ambienti di opposizione. Perchè quando una convergenza di linee si dichiara siamo nel campo del confronto costruttivo mentre glissando si recita, inevitabilmente, la parte del cuculo che si impossessa dei nidi altrui. Certo è difficile, per un assessore dell'Udc, ammettere di essersi ispirato alle posizioni di un socialista di destra come Carmenati o a quelle degli sfregiatele del Cinque Stelle o ancora a quelle della sinistra radicale. Ma sarebbe stato sufficiente pensarci prima. Giusto un istante prima che Galli canti. Perchè alla fine la verità è sempre rivoluzionaria. Lo sosteneva Antonio Gramsci ma credo possa valere anche per gli accoliti di Pierferdinando Casini.
    

22 giugno 2012

Il Video decesso di Fabriano: 5 minuti di dolore


Questo è un servizio su Fabriano apparso su La 7, nel programma L’Aria che Tira. Sono cinque minuti di desolazione, con testimonianze sulla realtà economica locale che sembrano arrivare da qualche cittadina meridionale, abbandonata da Dio e dagli uomini, invece che da una realtà del Centro Italia diventata povera di colpo e senza averne piena consapevolezza. Si ha la sensazione che vivendo qui abbiamo smarrito, tutti quanti, la capacità di percepire l’abisso in cui siamo precipitati. Poi c’è pure qualche passaggio patetico che chi conosce la vera storia di Fabriano sa decifrare senza commozione e qualche ottimismo che rende ancor più agghiacciante il quadro d’insieme. Resta il fatto che la verità di Fabriano è condensata in pochi passaggi del servizio. E si riparte da qui. Guardate e meditate cliccando sul link sotto. Senza fazzoletti di carta possibilmente.

    

Tagli, ritagli e frattaglie


Le mode linguistiche sono diventate come gli abiti e le scarpe. Vanno e vengono ma quando s’impongono sulla scena bisogna adattarsi e plaudire. Adesso è il tempo della spending review. Ossia della revisione della spesa. Ma detta in italiano sembra una cosa da buon padre di famiglia, mentre adesso c'è un grande bisogno di nobilitare le cagate, già a partire dalla denominazione. Revisione della spesa, nel nuovo gergo della politica, significa forbici e mazzolate. Anche Angelo Tini, nel suo piccolo di assessore minato dai ricorsi e a rischio sopravvivenza politica, sta lavorando - con Lapis all'orecchio da buon droghiere dei numeri - su tagli, ritagli e frattaglie. Ma siccome Sorci gli ha lasciato la tavola già bella che apparecchiata, il buon Angelino da San Donato si trova in una situazione che sfiora il ridicolo: fare propri i conti che ha contestato per cinque anni. Sagramola, dal canto suo, ha colto subito la palla al balzo per giocare il ruolo del frate trappista: tagli ai costi della politica a partire dagli stipendi di Sindaco e Giunta. Un risparmio complessivo di cinquantamila euro. Una bazzecola. Trentamila in meno di un mitico capitolo di spesa che, qualche anno fa, prevedeva circa ottantamila euro per la pulizia dei cessi pubblici. Manco ci pisciasse l'Emiro del Qatar! Però i giornali, che gareggiano a compiacere il nuovo corso, hanno subito venduto la notizia come la rivoluzione di Copernico. Personalmente credo si debba dare una bella rasoiata ai privilegi dei politici. Ma a livello comunale non ci sono privilegi da tagliare, perché in una cittadina di 30.000 abitanti la politica è povera senza scampo. Per questo credo che Sagramola abbia solo voluto dare un contentino al popolo. Quando un assessore percepisce una retribuzione mensile di 500 euro, ossia due terzi di quel che guadagna un cassintegrato Ardo a zero ore, siamo allo sputtanamento delle cariche pubbliche. Se uno fa l’assessore con impegno e coscienza dovrebbe farlo a tempo pieno, ossia per almeno otto ore al giorno. Per un totale di centosessanta ore al mese. Il che significa 3,13 euro l’ora, il 40% di quanto prende una baby sitter. Si dirà: fare il pubblico amministratore è un servizio e in più i 500 euro valgono per gli assessori che già svolgono un’altra attività professionale. Certo, ma resta il fatto che una soglia di retribuzione così bassa toglie ogni prestigio all’incarico e danneggia la legittimità della rappresentanza. Fare l’assessore diventa una faccenda da cinesi, una roba la cui unità di misura monetaria si abbassa nettamente al di sotto di uno straccio bagnato. Insomma ci sarebbe da litigare per non averle le deleghe dal Sindaco! Ci si passa per sfigati. Sono sincero: il taglio dei costi della politica, quando diventa un'operazione conformista per adeguarsi alle nuove demagogie mediatiche, sfocia inevitabilmente nel ridicolo. Il problema, anche in questo caso, è a monte. Per approvare una delibera che autorizza a posizionare quattro lampioni in una via poco illuminata sono davvero necessari 24 consiglieri comunali, un sindaco, sei assessori e una manica di dirigenti e impiegati? Sarebbe sufficiente un Podestà. O un Commissario Prefettizio. E non è detto che non arrivi. 
    

21 giugno 2012

Grillini! Giù dalle brande cazzo!

Durante la campagna elettorale, forse per la mia predisposizione al sostegno di cause massimaliste, sono stato accusato di simpatie per il Movimento Cinque Stelle. In effetti non mi sono accodato alla carovana degli sputtanatori e questo, magari, è stato ritenuto un indizio sufficiente per formulare l’accusa di fiancheggiamento. In realtà simpatie e antipatie sono sempre condizionate dal dinamismo delle cose e a chi guarda dalla finestra, sputacchiando di tanto in tanto sulla testa dei passanti, viene naturale rilevare le variazioni di temperatura e di pressione dell'ambiente politico. E qualcosa è cambiato. Provo a spiegarlo parlando d'altro. Si racconta che ogni surfista di rango viva nell'attesa spasmodica della Grande Onda. C'è chi aspetta settimane, chi mesi e chi anni. C'è addirittura chi appende la tavola senza aver goduto di questa sfida esistenziale alla potenza degli oceani. Gli amici del Cinque Stelle hanno avuto più culo che anima. Appena giunti in spiaggia hanno subito incontrato l'onda anomala e non hanno dovuto far altro che tuffarsi in acqua muniti di tavola. Hanno surfato con indubbia abilità e con molta fortuna e i risultati hanno oltrepassato le più rosee aspettative. Ma per ora l'Onda si sono limitati a surfarla senza cavalcarla fino in fondo. Certo, le elezioni sono malattie con un loro decorso. Prima l'adrenalinica euforia, poi l’attesa dell’insediamento del Consiglio, quindi il debutto degli eletti. Un mese e mezzo in cui il Cinque Stelle sembra come sparito di scena, quasi avvolto in uno spaesato "silenzio degli innocenti". Quando chiedo a qualche attivista o simpatizzante del movimento la ragione di questo silenzio benedettino mi tornano indietro risposte che somigliano a un mantra: ci stiamo organizzando, abbiamo aperto la nuova sede, stiamo attivando i gruppi di lavoro. Tutte azioni propedeutiche di buonsenso, sia chiaro. Ma si ha quasi la sensazione che questo prolungare gli allenamenti sia una sorta di rito sciamanico per esorcizzare la paura del debutto, che non è quello in Consiglio Comunale ma la costruzione di una sintonia profonda con la società fabrianese e i suoi problemi. E' come se il movimento vivesse la vertigine del successo, quel senso di nausea che affiora quando si riflette su un successo così grande da lasciare attoniti i protagonisti. Per questo credo valga la pena scuotere il Movimento Cinque Stelle ricordando, come fosse una fiasca d'aceto sotto il naso di uno svenuto, qualche dato significativo: il movimento è la seconda forza politica cittadina; è un soggetto che ha una capacità di mobilitazione e di coinvolgimento in piena fase espansiva; raccoglie energie che scarseggiano altrove ed è trascinato da un'onda lunga da cui il resto del sistema politico deve invece difendersi. In più è in piena luna di miele con l'elettorato, stato amoroso che in politica si consuma in meno di un semestre. Insomma, come direbbero i fabbri del Palio di San Giovanni, tocca batte il fero quanno è callo. Il che significa non dare il tempo agli avversari di leccarsi le ferite e coprirle con le garze. Devono colpire adesso con un'azione multitasking: spezzando il circuito mediatico - che è tornato subito a suonare il liuto modello "Sagramola salva la pista di pattinaggio" - e occupando quasi militarmente tutti gli spazi della socialità cittadina, a partire da Piazza del Comune. Il Movimento Cinque Stelle funziona perché i cittadini lo percepiscono come una forza d'urto. E alla forza d'urto occorre dare una dimensione fisica e carnale. I fabrianesi vogliono vedere il Movimento Cinque Stelle in carne e ossa. A presidiare la città sotto il sole rovente, a fracassare i coglioni della gente che risale il Corso con la borsa della spesa il sabato mattina, a schiattare tra gazebo e banchetti su ogni virgola che possa interessare i cittadini. L’imperativo non può che essere alta tensione e alta pressione perché, tra l'altro, sono le condizioni che impediscono alla larve partitiche di riprodursi e di infestare l'ambiente. Per festeggiare i suoi venti anni il quotidiano Il Manifesto, tempo fa, fece una pubblicità bellissima, ritraendo un bimbo tra le braccia di Morfeo accompagnato da uno slogan straordinariamente ambiguo: la rivoluzione non russa. E' proprio così amici del Cinque Stelle. La rivoluzione non russa. E allora, giù dalle brande cazzo!
    

20 giugno 2012

Politici al Satyagraha per la causa dei Caramba!

Carte in tavola. Fabriano è tra i primi dieci comuni italiani per estensione del territorio, ha tassi di disoccupazione da provincia meridionale, un’immigrazione su cui nessuno ha ragionato e un incremento di microcriminalità fortemente connesso al crescente disagio economico e sociale del territorio. Ma, in questo quadro, il probabile declassamento della Compagnia dei Carabinieri a Tenenza non sembra coinvolgere troppo i cittadini. Se c’è da battagliare per aprire il Ponte sul Giano si mobilita anche mamma mentre prepara il sugo. Ed è bene così. Ma sulla sicurezza, sui Carabinieri, sulle cose di peso meglio evitare di esporsi. E allora facciamoci i complimenti da soli perché siamo davvero gente con un’invidiabile etica pubblica e una chiara cognizione degli interessi collettivi. Facciamo fallire aziende storiche alzando le spalle, lasciamo delocalizzare le produzioni pensando sia pure giusto e comprensibile. E, per finire, ci permettiamo anche l’ultimo ganassone senza che si levi una lagna se proprio non vogliamo pretendere impossibili grida di dolore. Giova saperlo: la Tenenza comporterà una riduzione di uomini, di mezzi e di servizi di pubblica sicurezza sul territorio. Non sono esperto in materia ma, vista la riduzione degli organici, ho il dubbio che ci vada di mezzo il servizio di Pronto Intervento che è quello di maggiore utilità per i cittadini e il meno gradito dai delinquenti. Di certo festeggiano i topi d’appartamento, le baby gang e gli spacciatori. E i cittadini con cosa si difendono? Cominciamo a chiedere il porto d’armi e a tenere la pistola sul comodino? I giornali di oggi raccontano un Sagramola che va correndo a destra e a manca per scongiurare il declassamento. E’ il minimo sindacale che può fare un Sindaco, perché su queste cose può accadere anche che ci si rimetta il mandato. Poi, però, cadono le braccia quando apprendiamo che già che c’è Giancarlone ha fatto di tutta l'erba un fascio, infilandoci dentro pure la difesa del Tribunale, che non smuove una becca che sia una, in termini di sicurezza ma è fondamentale per tutelare la life quality degli avvocati. E questo abbinamento porta decisamente male perché lascia intendere che Giancarlone non si focalizza sul problema principale, che è il mantenimento della Compagnia, ma lo diluisce e lo ridimensiona nella solita logica del pacchetto general generico in cui il dettaglio, alla fine, prevale sulla ciccia. Su questa faccenda siamo curiosi di conoscere il pensiero delle forze politiche. Anzi faccio una proposta a Sagramola, alla Giunta e a tutti gli eletti. Iniziate il Satyagraha, la lotta nonviolenta radicale e pannelliana, a difesa dei diritti dei cittadini che dite di rappresentare: sciopero della fame a tutela della Compagnia dei Carabinieri e per la sicurezza dei fabrianesi. Avete voluto la bicicletta? Adesso pedalate. E dichiaratelo che pedalerete. E cominciate subito ad allontanare il piatto. Al solo pensiero della pastasciutta che prende il largo mi si stampa in faccia una risata spontanea. Chissà perché...


    

19 giugno 2012

Intervista sul metalmezzadro: "tanto ce pensa el padrò, ce pensa Merlò!"

Considerati i molti lettori che si sono soffermati sul mio intervento relativo agli effetti prodotti dalla permanenza e prevalenza del metalmezzadro, credo sia utile continuare ad approfondire la materia. In proposito ho scambiato quattro chiacchiere con Stefano Gatti, amico di lunga data e storico fabrianese, che nelle sue pubblicazioni ha sempre cercato, in totale solitudine, di raccontare "l’altra storia" del territorio. Secondo Gatti quella che definiamo "fabrianesità", immaginandola come un destino condiviso e naturale, non è altro che il prodotto storico di uno scontro tra due modelli che si è consumato tra gli anni cinquanta e sessanta. Tra le pubblicazioni di Gatti vale la pena ricordare un libro degli anni ’90 sulla storia economica di Fabriano dalla fine dell'Ottocento fino al trionfo del Modello Merloni – che consiglio a quanti desiderano conoscere meglio la vicenda del nostro territorio - e, più recentemente, una preziosa ricerca di storia sociale dedicata al successo e al declino delle miniere di Cabernardi. Le risposte di Gatti sono illuminanti e incarnano un punto di vista interessante su come una città che dettava il tempo alla campagna si ritrovò, di colpo, dominata dalla sua cintura rurale. Buona lettura.

Stefano la crisi del modello industriale fabrianese sancisce il tramonto del metalmezzadro, come figura centrale di uno specifico modello di distretto. Tra i fabrianesi è sempre circolata l’idea che prima del metalmezzadro non ci fossero altro che pascoli, pecore e povertà. Tu sei stato l’unico che ha studiato senza apologie il modello Fabriano. Cosa c’era prima che cominciassimo a guardare la vita attraverso l’oblò di una lavatrice?
Quando, nei miei libri, mi riferisco all'"altra Fabriano" intendo proprio quel vissuto tipicamente fabrianese-urbano che si scontrò e perse nei confronti del cosiddetto "Modello Merloni", la cui genesi è storicamente rurale. Prima di Aristide Merloni Fabriano non era una città sottosviluppata, arretrata e depressa. Questa è la narrazione successiva dei vecchi notabili democristiani, ripresa e sostenuta dai nuovi notabili del Modello Marche che poi, guarda caso, sono sempre gli stessi. La straordinaria vivacità del movimento operaio fabrianese, del movimento cooperativo, dell'associazionismo dimostrano, invece, che la "Fabriano urbana" era una città eccezionalmente viva e sicuramente non povera: c’era molto artigianato ma soprattutto due grandi poli industriali, quello cartaio ad ovest e quello meccanico ad est, con lo stabilimento del Maglio.
E’ azzardato sostenere che l’affermazione del modello metalmezzadrile sia stata una vittoria delle campagne sulla città?
E’ sicuramente fondato. Corrado Barberis lo scrive chiaramente: "la città governata dalla campagna". Fu questo il senso della svolta del 1951. L'albacinese Aristide Merloni, campione di un modello di sviluppo totalmente diverso da quello che aveva caratterizzato Fabriano fino ad allora, si pose alla guida della Dc, partito all'opposizione, e vinse le elezioni comunali. E la Dc le avrebbe vinte, e a volte stravinte, per 44 anni, fino al 1995, l'anno della vittoria di Castagnari.
Il monoprodotto, ritenuto da tutti l'origine del male e l’elemento scatenante della crisi, era una conseguenza della visione metalmezzadrile o si è trattato soltanto, sul lungo periodo, di un gigantesco errore di strategia industriale?
Penso fosse un elemento caratteristico. Fabriano - soprattutto le frazioni e gli operai-contadini - si abbandonò completamente nelle mani della famiglia Merloni e quindi della Dc. Mi ricordo bene la frase ricorrente, quella che concludeva gran parte delle discussioni sul futuro della città: "stamo tranquilli, nun ce preoccupamo, tanto ce pensa el padrò, ce pensa Merlò!". La vita politica, la conflittualità, la dialettica vennero completamente azzerate. Moltissimi accettarono questo indirizzo, delegando sempre e comunque i Merloni, accettando il loro paternalismo in cambio del lavoro "sicuro", vicino alla propria casa, in prossimità del proprio campo e coinvolgendo in questo processo anche i propri figli. Con questo modello di sviluppo come pensi che potesse esserci spazio per la diversificazione e per l'innovazione?
L’economista Giorgio Fuà definiva la nostra una terra di «sviluppo senza fratture». Il sociologo Aldo Bonomi parla ormai di "fratture senza sviluppo". Il metalmezzadro non è il vero freno alla possibilità di un cambiamento positivo per Fabriano?
La vera rivoluzione, la vera intuizione di Aristide Merloni (proprio per questi i sociologi parlavano di "modello Merloni") fu quella di costruire gli stabilimenti, di piccole dimensioni, nelle campagne, assumendo come manodopera i contadini. Essi trasferirono e replicarono in fabbrica certi aspetti della loro cultura, sicuramente non aperta all'associazionismo solidale, diffidente rispetto conflittualità e incline all'individualismo. Aristide e anche i suoi figli non ebbero mai problemi con la loro classe operaia, che anzi li appoggiò, sempre e massicciamente, anche dal punto di vista politico. Per questo Fuà parlò, giustamente, di "industrializzazione senza fratture": non ci fu una cesura tra la società contadina pre-industriale e la società industriale-contadina. Ma questo modello non può andare oltre a ciò che è stato e quindi, secondo me, ha costituito un freno alla possibilità di uno sviluppo di tutto ciò che fosse "altro".
Non pensi che il metalmezzadro, come hanno sostenuto in molti, sia quasi più una realtà etnografica che una figura economico sociale?
Tu usi spesso la parola metalmezzadro, io preferisco "operaio-contadino": mi sembra una definizione più corretta. E sai anche che io ho una visione essenzialmente classista della società. Possiamo quindi dire che l'operaio-contadino è stato parte integrante del nostro proletariato rurale più che di quello industriale, proprio per gli aspetti cui abbiamo accennato.
Una volta si diceva, con un certo compiacimento, che erano merloniani pure i comunisti, come a dire che il sistema è sopravvissuto e prosperato anche grazie a un entusiasta consenso di massa. Come se ne esce?
E' verissimo: all'inizio la sinistra fabrianese, egemonizzata dal monolitico Pci, non capì la portata rivoluzionaria di Aristide Merloni, dell'operaio-contadino, del cambiamento venuto dalle campagne. Se leggi "Il Progresso" degli anni '50 e '60 non trovi mai un articolo di analisi seria, scientifica del modello Merloni. Anzi, non lo si riconosceva come modello, non si faceva autocritica, non si capivano le cause delle enormi batoste elettorali che la sinistra subiva. La sinistra non capiva come i Merloni e la Dc potessero godere di un consenso così imponente. A un certo punto rinunciarono a capire, a contrastare, a battersi contro, scegliendo altre vie: socialisti, socialdemocratici e repubblicani fecero ricorso a un'alleanza diretta, entrando nelle giunte con la Dc; il Pci lavorò a un'alleanza più sotterranea, meno palese. Quello che accadde nel 1998 ne è una convincente ed ennesima prova: per far rientrare gli eredi della Dc dei Merloni, estromessi quasi a sorpresa dal 1995 dal controllo politico su Fabriano, la "sinistra" (Pds e Rifondazione) scelse di sfiduciare un sindaco di sinistra e una giunta di sinistra! Quando lo racconto durante lezioni e conferenze che tengo presso le università o presso altri enti, il pubblico rimane per davvero a bocca aperta. Ecco, quella della giunta Castagnari - con tutti i limiti di una prima giunta di sinistra dopo 44 anni - era forse l'occasione per uscirne fuori, caro Gian Pietro, un'occasione che abbiamo clamorosamente e scioccamente sprecato.
    

17 giugno 2012

Meditate berluschini, meditate!

La guerra in corso nel Pdl di Fabriano, tra la componente maggioritaria che fa riferimento al Segretario Giampaolo Ballelli e quella di minoranza raccolta intorno a Silvano D'Innocenzo, si protrae ormai da circa cinque anni e rientra nella casistica dei conflitti permanenti a intensità variabile. Con momenti di acredine acuta, fasi di latenza e picchi improvvisi di incontenibile effervescenza. Le ragioni politiche del conflitto non sono mai emerse con chiarezza e col passare del tempo si è consolidata la sensazione che l'origine del male sia sostanzialmente riconducibile a scontri personali, estranei alla contrapposizione di linee politiche e a modelli alternativi di governance del partito. Il culmine della prima fase del conflitto si era condensato in tutta la sua potenza alle regionali del 2010, quando la scelta di D'Innocenzo di sostenere un altro candidato fu decisiva per impedire l'elezione in Consiglio Regionale di Urbano Urbani, producendo, tra l'altro, un danno agli interessi della comunità fabrianese, privata di una rappresentanza locale nel massimo organo di governo del territorio. Il clima rovente del conflitto era sembrato addolcirsi qualche mese prima delle elezioni comunali. Esattamente quando furono indette le primarie, a cui D'Innocenzo aveva dichiarato di voler partecipare da candidato. All'annuncio della discesa in campo di Urbani, D'Innocenzo si era, invece, immediatamente ritirato e questo sembrava il segnale di un nuovo appeasement all'interno del partito. Un cessate il fuoco confermato anche dalla composizione delle liste e della coalizione: Urbani candidato sindaco, due liste civiche di supporto con larga partecipazione di iscritti al partito e D'Innocenzo capolista del Pdl. I risultati elettoriali li conosciamo ed è inutile ritornarci su. Fatto sta che con una manovra tatticamente impeccabile, il Pdl - nonostante il crollo percentuale della lista - riesce a entrare in Consiglio Comunale con quattro consiglieri iscritti al partito. Ossia gli stessi presi dall'Udc con quasi il doppio dei voti e il vantaggio di far parte di una coalizione prima favorita e poi vincente. Anche gli osservatori più smaliziati e cinici avrebbero dato per scontata la costituzione di un gruppo consiliare del Pdl, comprensivo di tutti e quattro gli eletti. Invece no. Con una disputa statutaria e regolamentare politicamente asfittica, D'Innocenzo ha bruciato i tempi costituendo un gruppo consiliare del Pdl ad personam, con la precisa volontà di escludere Urbani e di dare il colpo di grazia alla dirigenza del partito. La battaglia si è scatenata senza esclusione di colpi: comunicati, dichiarazioni ai giornali, commenti sui social network e chi più ne ha più ne metta. Un conflitto politico che somiglia sempre di più a una lite tra comari e che si potrebbe tranquillamente archiviare come sussulto finale di un partito in crisi di sopravvivenza. Ma se guardiamo le cose senza il gusto di mettere il becco in casa altrui e in un'ottica puramente di sistema il quadro cambia in profondità. Fabriano ha bisogno di essere governata e di avere un'opposizione forte che faccia il culo a chi governa, perchè più la competizione è stringente e serrata più le scelte saranno efficaci e di qualità. Ora, visto che quattro consiglieri su nove di minoranza sono del Pdl, ogni cittadino animato da senso civico e spirito democratico dovrebbe essere allarmato per la guerra civile in corso nel Pdl, perchè questo spappolamento diminuisce l'impatto dell'azione complessiva dell'opposizione e quindi la qualità delle scelte compiute dalla Giunta e dalla sua maggioranza. Un lusso che la città non può permettersi. Tanto più che la minoranza, in questo mandato, è a forte trazione civica (3.0. e Cinque Stelle) e per questo contiene fortissimi elementi di innovazione politica la cui carica, per non dissolversi in forma di permanente volatilità, avrà bisogno di incanalarsi anche attraverso un alveo più tradizionale e istituzionale, che nel caso specifico è rappresentato dal Pdl. Vista nell'ottica dell'interesse del sistema, la guerra in corso nel Pdl è quindi un danno in sè che i dirigenti di quel partito hanno il dovere civico, prima che politico, di sanare e risolvere. Prima si conclude la guerra civile nel Pdl prima sarà possibile avere un'opposizione complessivamente all'altezza della sfida politica che l'attende. Per concludere le guerre ci sono tanti modi: le rese incondizionate, i bombardamenti a tappeto, gli armistizi, i cessate il fuoco, i disarmi unilaterali, gli interventi dei caschi blu, le diplomazie creative, la chirurgia militare. La scelta del metodo riguarda solo e soltanto il Pdl, nella sua autonomia politica e culturale di forza storica. Gli effetti deleteri di un ulteriore prolungamento delle ostilità riguarderebbero, invece, tutti i cittadini e l'intero sistema di governo locale. E quindi...meditate berluschini, meditate!
    

15 giugno 2012

Fabriano e Full Monty

Stamattina ho fatto un salto in piazza a vedere i lavoratori della Indesit. Così, giusto per respirare un po' di conflitto sociale, quanto meno dal punto di vista della scenografia e del colpo d'occhio. Non siamo abituati alle manifestazioni, ai tamburi, ai fumogeni, alle uova tirate contro le palazzine lucenti delle aziende e ai panini con la frittata consumati dopo una notte di viaggio in pullman. Non ci siamo abituati perchè a Fabriano, in principio fu l'undicesimo comandamento. Quello che, senza badare troppo al galateo, invitava ad occuparsi dei cazzi propri: affari, vantaggi, piccole raccomandazioni e tanto tanto leccaggio di culo in contropartita. Un familismo amorale radicato che consentiva una sola deroga, da esprimere in forma di pettegolezzo: ficcare il naso nelle faccende altrui ma solo per questioni di talamo e di soldi, amplificare le briciole per farne pagnotte cariche di dettagli, curiosità e aneddoti spesso al confine tra il verosimile e lo sciagurato. Poi di colpo è cambiata la scena. Incapaci di coltivare quella dote sottile ed elegante che è la riservatezza ci siamo affidati all'omertà. Un tempo, dopo aver faticato in fabbrica e raccolto i pomodori nell'orto, si sparlava del prossimo tuo e mai di te stesso. Oggi si mormora, si smadonna a voce bassa ma sempre con grande prudenza perchè il nemico ti ascolta. Altrochè se ti ascolta! Tacere è diventato un fatto politico che ha ucciso il linguaggio della politica: da una parte le parole ufficiali, vuote come un appartamento sfitto, ad uso e consumo di una rassicurante palude in cui tutto va bene e se casomai va male è meglio non dirlo sennò si spaventano i moderati; dall'altra un fitto sussurro di verità, di squarci di luce che emergono, di tanto in tanto, come dentro a un gigantesco confessionale. Fabriano pare sprofondata in un fiato sospeso che sembra prolungarsi come in attesa di una deflagrazione finale. Nel frattempo critichiamo la cassa integrazione ma non abbiamo le palle per dire che ci abbiamo fatto affari d'oro usandola per seminare il campo di famiglia. Così come facevano comodo la malattia per arare e le ferie per raccogliere. Ascoltiamo compiaciuti sanissimi appelli all'unità d'intenti di fronte alla crisi industriale ma non diciamo che chi delocalizza non può fregiarsi del titolo di capitano. Proviamo a inventarci momenti di altissima cultura ma senza rivelare il sospetto che tutto nasca da un bisogno concretissimo di spingerci a guardare altrove, per ballare sul mondo fingendo di non sapere che sono gli ultimi giorni di Pompei. Ci vantiamo di essere solidali e di aver accolto di tutto e di più ma senza l'onestà di riconoscere che siamo in troppi, che non c'è abbastanza polpa per sfamare bocche sempre più affamate ma sempre più pretenziose. Fabriano ha bisogno di lavoro ma anche di verità e per questo ha un dovere sociale da assolvere: ricominciare a farsi gli affari degli altri che poi sono quelli di ciascuno e quelli di tutti, capire che la logica poderale del contadino furbissimo e solo è niente di più che another brick in the wall. Così come "Tengo famiglia" non è più una virtù ma la più arcaica delle tentazioni. Gli operai venuti questa mattina da Torino, da Bergamo e dalla Campania erano certamente qui per difendere il loro lavoro, ma senza volerlo, coi loro corpi segnati dallo sconforto e dalla stanchezza, hanno incarnato un po' di mondo reale nel microcosmo chiuso delle nostre vite. La metamorfosi è cominciata: la città gentile somiglia sempre di più a Sheffield, decrepito centro minerario inglese nonchè sfondo tragicomico di quel bellissimo affresco sociale delineato nel film Full Monty. Anche qui disoccupati. Ma non organizzati. In mutande ma senza il coraggio di ballarci e di mostrare il culo. Non per vergogna. Solo per omertà. Ed è già una sconfitta.
    

Giancarlone il Carbonaro, leghista per caso


Ieri mattina sul Resto del Carlino è apparsa un’intervista di Alessandro Di Marco al Sindaco Sagramola. Intervista sulla sicurezza, a seguito dei recenti colpi messi a segno da bande di ladri in alcune abitazioni della nostra città. Nel leggerla, tra una strabuzzata d’occhi e l’altra, non ho potuto fare a meno di pensare a un episodio spassosissimo del Marchese del Grillo: il risveglio di Gasparino il Carbonaro, il sosia proletario di Alberto Sordi che si ritrova, per via di un’ennesima burla del divino Onofrio, nel letto del Marchese. Mi sono chiesto: ma che ha fatto Sagramola? Si è svegliato nel letto di Flavio Tosi? Già, perché nelle risposte a Di Marco c’è qualcosa di molto leghista e securitario: telecamere, illuminazione notturna, controllo del territorio, prevenzione, repressione. Parole d’ordine che conosco bene e, di certo, non fanno parte del bagaglio lessicale del cattolicesimo democratico e di sinistra. E allora mi sono immaginato Giancarlone il Carbonaro risvegliarsi di colpo, in un alberghetto di Pontida, in camicia verde da Guardia Padana, tutto sudato e urlante: “Padroni a casa nostra”!!!. Immagino gli sia costato alquanto assumere le sembianze di Flavio Tosi, ma spero vivamente che Tosi non lo venga mai a sapere, perché potrebbe essere lui a soffrire di brutto nel sapere chi è il suo sosia marchigiano. Perché non c’è niente di più estraneo alla visione di Sagramola dell’idea di sicurezza, di tolleranza zero e di repressione. Se è arrivato a fare il democratico in salsa leghista, e a sostituire la pasta in bianco all’olio e parmigiano col pesto alla genovese - saporitissimo, verde e padano –, è perché la situazione è arrivata al livello di guardia. Non c’è giorno, ormai, in cui una famiglia di fabrianesi non faccia i conti con la visita di qualche topo da appartamento. Nessuno dorme più tranquillo e si sta sempre sul chi va là. E’ una cosa che va avanti da anni ma è sempre stata rimossa, dalla coscienza pubblica e dalle decisioni politiche, per evitare scoperte spiacevoli e per non mettere in discussione la grande mistificazione della città accogliente, solidale, ospitale in cui si balla e si canta tutti abbracciati e affratellati. In passato c’era la sinistra radicale a dire sempre di no, accusando di leghismo qualsiasi espressione di buonsenso in materia di sicurezza. Oggi, almeno in teoria, il Sindaco ha le mani più libere, ma non credo che riuscirà a far sloggiare il buonista che c’è in lui e a imitare Zanonato, il sindaco Pd di Padova che si chiama Flavio (nome fatale per la sicurezza) ed è più securitario di Borghezio. Da leghista senza tessera e senza estremismi voglio dare un consiglio a Sagramola: metta mano al centro storico. E’ lì la radice del problema sicurezza a Fabriano. Dopo il terremoto del 1997 si è follemente scelto di ricostruire privilegiando le piccole case, i monolocali, gli appartamenti con pochi vani che hanno spinto le famiglie fuori dal centro storico; un centro storico da cui sono stati espulsi proprio i fabrianesi, che erano gli unici ad avere una relazione sentimentale e di cura con questa straordinaria porzione di spazio urbano. Quando un anno fa organizzammo, all’Oratorio della Carità, un convegno sulla sicurezza il Prefetto Michele Capomacchia, uomo di grande esperienza in materia e protagonista della sicurezza in realtà difficili, disse una cosa bellissima e interessante. C’è un modo solo per garantire la sicurezza: fare in modo che i centri storici si riempiano di nuovo di famiglie, di bambini, di mamme e papà con passeggini e carrozzine. La socialità è lo strumento più efficace per garantire la sicurezza perché, in natura, quando un pezzo di territorio viene abbandonato dai nativi c’è sempre qualcuno che arriva, lo occupa e magari lo devasta. Non c’è bisogno di fare tanta sociologia. Basta guardare Il Re Leone e le sue adultissime metafore. Quando i fabrianesi si riprenderanno il centro storico la sicurezza comincerà ad essere qualcosa di concreto e rassicurante. E sono convinto che ci sia più sicurezza nella battaglia per la riapertura del Ponte dell’Aera che in cento telecamere piazzate nelle zone calde. Pensateci un attimo e capirete il perché.
    

14 giugno 2012

Paglialunga, Romagnoli e La Disfida di Burletta

Il bello dei social network come Facebook - Twitter lo bypasso perchè mi sa una roba più da fighetti - è che sono diventati pure una gustosa arena di battibecchi politici. Con il vantaggio che non c'è più bisogno di attendere, il giorno dopo, la versione edulcorata proposta dai quotidiani locali che, solo di tanto in tanto, si accorgono di quel che accade in rete. Ultimamente si posta e si controposta assai, si clicca "mi piace" e poi "non mi piace più", come fossero schiaffi e carezze dispensati senza troppo impegno. E mentre ti sbecchi con qualcuno stai pur certo che intorno al post comincia ad affollarsi un codazzo di persone impepate, verbose e spesso irate. Rincalzano, rinculano e, a loro volta, si sbeccano, aprendo infiniti sottoinsiemi di polemiche e di partigianeria virtuale. Durante la campagna elettorale delle comunali, Facebook è stato uno dei luoghi calienti della battaglia politica. Non a caso da una foto lì postata e commentata a cazzo è partita la madornale gaffe sul camper di Beppe Grillo risalito contromano, uno degli elementi simbolici che più hanno trainato il consenso al Movimento 5 Stelle. A questo proposito, nella giornata di ieri s'è rinfocolata una vecchia rogna politica, rimasta a covare sotto la cenere in queste settimane del dopo elezioni. Quella tra grillini e dipietristi. Protagonisti di questa Disfida di Barletta, che forse non avrebbe ispirato Massimo d'Azeglio a scrivere l'Ettore Fieramosca, due pezzi da novanta - tra l'altro mie amici - delle rispettive fazioni: da una parte Sergio Romagnoli, ribattezzato Fronte del Porto per la tenacia, l'ardore e il piglio marlonbrandesco; dall'altra Mario Topesio Paglialunga, il segaligno assessore alla Sicurezza della Giunta Sagramola che per un'instabilità politica quasi comparabile con la mia, è meglio conosciuto come Vario Paglialunga. Come ogni buon duello che si rispetti il casus belli è sempre di dettaglio. Non a caso fu per una ripicca sentimentale che si combattè dieci anni a Troia e che con l'alibi di una partita di calcio si scatenò il massacro etnico in Jugoslavia. E con questi chiari di luna pensate che a Fabriano i duelli siano frutto di sovrumani silenzi e profondissima quiete? Manco per il piffero. Infatti succede questo: Romagnoli incontra Paglialunga lungo i corridoi del Comune, lo saluta, ma l'assessore non risponde. Anzi, pare si limiti a rivolgersi a Fronte del Porto con uno sguardo tra lo stralunato e il sarcastico. Romagnoli, da genuino pretoriano dell'indignazione anticasta, se ne ha molto a male e scaglia la ciabatta via Facebook. L'accusa è di quelle taglienti: Paglialunga non saluta perchè ha dentro i vizi del potere, che è maleducato non per difetto di galateo ma per eccesso di supponenza nei confronti dei cittadini, trattati per default come sudditi. Topesio attende ma poi affida a un paio di commenti al post la sua memoria difensiva. Prima si mantiene distante ricorrendo a privatissime spiegazioni, e già me lo immagino mentre medita sulla tastiera con una Muratti pencolante dalle labbra. Poi rilancia giocando alla divisione tra l'Arcioni Buono e il Romagnoli cattivo. Infine rimarca le molte preferenze in più raccolte rispetto a Romagnoli con un partito decisamente più piccolo. Della serie piglia e porta a casa. Dettagli come dicevamo. Piccole cose di pessimo gusto. Ma siccome sono due amici credo di potermi concedere una certa franchezza. Entrambi hanno molte cose da dire e prevedo scintille a partire dalle prossime settimane. Ma i fuochi tendono ad essere fatui quando ardono fuori dai confini canonici della lotta politica. Da Fronte del Porto ci aspettiamo che si attacchi come un pitbull al polpaccio di Paglialunga sulla sicurezza e sull'utilizzo della Polizia Urbana. Fregandosene del galateo e delle buone maniere se serve. Da Paglialunga i cittadini desiderano invece scelte coraggiose sulla sicurezza, sulla repressione delle baby gang e azioni di coordinamento con la Polizia di Stato e i Carabinieri per intensificare il controllo del territorio. Poi, se magari ci libera pure da quella cagata del centro storico come centro commerciale naturale gliene saremo eternamente grati. Solo attraverso questo antagonismo muscolare ma costruttivo sarà possibile innalzare la qualità del duello e trasformare la Disfida di Burletta in una vera Sfida all'Ok Corral. Diceva Ramon, nel film di Sergio Leone "Per un pugno di dollari", che quando un uomo col fucile incontra un uomo con la pistola, quello con la pistola è un uomo morto". Per ora tra Fronte del Porto e Topesio siamo alle bicchierate nel saloon. Attendiamo con ansia di sapere quanto siano davvero bravi a prendere la mira e sparare il primo colpo.
    

13 giugno 2012

Tendenza Pariano


Assieme al Sandokan di Salgari considero "I Ragazzi della Via Paal", dello scrittore ungherese Molnar, il grande libro della mia infanzia. Si racconta di due bande di ragazzi che si fronteggiano in un quartiere di Budapest dove si mescolano orgoglio, onore, tradimento, bassezze e coraggio. I mille ingredienti della vita, maneggiati con l'immaginazione feroce e lo sguardo brufoloso degli adolescenti. Un libro senza tempo e per questo capace di parlare alle generazioni che subentrano l'una all'altra. In questo controcanto al maschile di "Piccole donne crescono" c’è un personaggio che mi è rimasto nel cuore, assai più di Boka e Ats, i due capi fazione temuti e riconosciuti: Ernesto Nemecsek, il biondino fragile, l'unico soldato semplice del gruppo e per questo condannato a rincorrere il sogno di una promozione che riconosca il merito e l'onore. Nemecsek è il personaggio con la dimensione morale più spiccata, quello che si becca una polmonite letale pur di recuperare la bandiera trafugata dalla banda nemica. Sembra una figura minore ma emerge sul lungo periodo come la personalità centrale e alla fine del libro rimane sulla scena come unico eroe di questa piccola saga per ragazzi. Nemecsek l'ho visto sabato al Consiglio Comunale. Non si chiama più Ernesto ma Pino. Pino Pariano. Capace di sbattere in faccia ai compagni di partito una colata di preferenze, ridimensionato a più non posso come aggregatore di un voto geograficamente determinato, ritenuto dal Pd dei fighetti e dei radical chic inadatto a ricoprire il ruolo di assessore nonostante i ferrei principi stabiliti prima del voto: chi piglia più preferenze fa l'assessore. Ok per tutti ma non per Pariano l'uomo eccezione. L'ho incontrato la mattina di sabato. Sorridente ed educato come sempre, con quel filo di modestia sincera che sta sempre tanto bene addosso a un politico. Gli ho detto: Pino dai che te lo sei meritato. E lui: vabbè dai vediamo. Neanche un cenno alla staffilate che gli rifilo da questo blog. Lo stesso approccio discreto che ha tenuto quando accadde il patatrac della lista della Lega. L'unico che non mi si sia avvicinato sornione e curioso per indagare su cosa diavolo fosse successo. In Consiglio Comunale non ha trattenuto l'emozione, gli si è rotta la voce, ha chiesto più volte un bicchiere d'acqua per idratare le corde vocali. Il soldato Nemecsek è entrato a Palazzo Chiavelli a riprendersi la bandiera. Lo abbiamo irriso per i prolungati silenzi del precedente mandato, dimenticando che madre natura ci ha donato una bocca e due orecchie. E un motivo ci sarà. Lo abbiamo considerato un ultimo arrivato, con quel ruvido nonnismo che rende ancor più antipatica e distante la politica e i suoi protagonisti. Nemecsek non frequenta circoletti borghesi, non va alle cene della gente che conta, non ha l'aplomb del democratico "prosecco e salmone" ma fornisce ogni giorno notizie alla città. Via Facebook e tramite il suo blog. Tutte medaglie al valore che mi pare giusto appuntargli alla giacca. E faccio anche una scommessa, perchè mi piace vincere facile: sarà un Presidente del Consiglio Comunale coi fiocchi. Perchè ha qualcosa da dimostrare e qualche grado ancora da conquistare sul campo. Come Nemecsek, che riceve dal gruppo nemico l'onore delle armi per il coraggio e la dirittura. Per riuscirci ha una sola strada da percorrere: essere imparziale e super partes fino a dimenticare la propria provenienza politica. Che è poi il solo modo possibile per interpretare correttamente un ruolo di garanzia che, per la sua natura, dovrebbe essere sottratto alla logica violenta dello spoil system. Qualche anno fa Maria Latella, occhiuta giornalista di Sky, scrisse un libro incentrato sulla vita discreta di Veronica Lario, la ex signora del Berlusca, intitolato "Tendenza Veronica". Che sia giunto il tempo di una nuova pubblicazione sulla "Tendenza Pariano"? Chissà. Lo lasciamo decidere al tempo, il grande ed equanime galantuomo.
    

12 giugno 2012

Chi di metalmezzadro ferisce....

Dopo lungo silenzio, complici le elezioni che deformano la realtà delle cose, è ritornata in scena una questione operaia che la città ha sempre preferito collocare a lato di se stessa. Un ritorno in tre atti. Atto numero uno. Il sasso in piccionaia lo ha lanciato Claudia Mattioli, cassintegrata Ardo neoletta in Consiglio Comunale, presentando un ordine del giorno poi approvato all’unanimità dal civico consesso. Quando si vota all’unanimità le possibilità sono due: o c’è una mobilitazione ardente che arriva fin dentro le istituzioni o ci si sbriga, tutti assieme, a togliersi di dosso una faccenda divenuta pesante da sopportare. Considerato il clima che si respira in città tendo a pensare si sia trattato di un’alzata di spalle collettiva, trasformata in uno di quei gesti che sono parte integrante della tirannide del politicamente corretto. Atto numero due. Sui giornali si ricomincia a leggere dell’indignazione degli operai esclusi dall’operazione J.P. Industries. Affermano di essere stati presi in giro dai sindacati, che avevano garantito il rinnovo della cassa integrazione straordinaria e una nuova fase di Legge Marzano. Come se la dialettica sociale fosse davvero appesa a una firma ministeriale e come se la deindustrializzazione del territorio possa essere scongiurata a colpi di denaro pubblico e di meridionalizzazione del lavoro e del non lavoro. Scena numero tre: venerdì affluiranno da tutta Italia i lavoratori Indesit per una manifestazione nazionale che fa seguito all’annuncio della chiusura dello stabilimento di None in Piemonte. Fabriano nuova capitale operaia quindi? Fa sorridere il solo pensarlo. Perché se a Fabriano ci fosse stata una cultura operaia molto probabilmente non saremmo in questa situazione. Non perché gli operai siano automaticamente artefici di una resistenza ai processi di deindustrializzazione ma perché, di norma, sono portatori di una visione “disperata” che è in grado di produrre forme negoziali creative, solidarietà e cultura comune. Ma Fabriano è una città operaia senza cultura operaia e non poteva che reagire così: prediligendo il silenzio e l’erosione solitaria, intaccando risparmi e patrimoni familiari, illudendosi di essere ancora città a problemi zero e disoccupazione sottozero. Leggevo qualche tempo fa sul quotidiano della Cisl, Conquiste del Lavoro, che la crisi Ardo è stata la più grave dopo quella Alitalia, sia per gli effetti diretti che per i contraccolpi sull’indotto. Allora immagini che gli operai facciano cose turche per fare del caso Ardo una metafora del declino nazionale e per difendere il posto di lavoro; ti figuri una città messa a ferro e fuoco non per il gusto di distruggere ma per tenere in piedi la ragione sociale di molte vite. Invece no. Neanche una manifestazione, di quelle col cielo grigio e le palle girate. Soltanto un presidio consumato in pochi giorni e la tendenza irredimibile a pararsi il culo da soli. Nulla a che vedere con le lotte degli operai della Tyssen a Terni, tanto per dirne una. Niente che potesse produrre letteratura e romanzo sociale e quindi identificazione. Nessuno scrittore fabrianese potrà mai scrivere un libro come Acciaio o come Storia della mia gente. Non a caso l’unica battaglia è stata quella per gli ammortizzatori sociali lunghi, ossia per una soluzione d’emergenza trasformata in forma cronica di sovvenzione improduttiva, che si fa sintomo di sconfitta proprio per il suo essere percepita come unico discrimine tra speranza e disperazione. La verità non detta è che hanno mobilitato di più tre operai appollaiati per qualche settimana su una gru o su un tetto che 2.500 cassintegrati del nostro territorio, che hanno preferito andare a funghi o passeggiare ai Monticelli – con le dovute eccezioni ovviamente – piuttosto che costruire una piattaforma sindacale degna di questo nome. Nel 1996, quando conoscemmo la prima crisi industriale locale con il caso Cartiere Miliani, venne in città un parlamentare di rango, che sintetizzò la situazione con una battuta che non ho mai dimenticato: non vedo copertoni bruciati, macchine rovesciate e cassonetti divelti. Non vedo gli effetti di questa crisi di cui parlate. Si trattava, ovviamente, di una boutade perché non è che una crisi esiste soltanto se si rivela attraverso forme luddiste, ma di certo era evocativa di un clima, mediatico e sociale, che è necessario per alimentare attenzione, consenso e soluzioni. La verità amara, che nessuno ha mai avuto il coraggio di sostenere, è che la Ardo è franata anche perché, come avrebbe detto Marx, qui c’è una classe operaia in sé ma non una classe operaia per sé, un ceto sociale senza coscienza sociale. Con il culmine simbolico d’inappartenenza raggiunto alle elezioni comunali quando gli operai hanno votato di nuovo per l’Udc, a ulteriore conferma di un individualismo che è la vera campana a morto di questa città. Un fatto che, da questo punto di vista, mi ha colpito è che una operaia combattiva e solidale come Barbara Imperiale abbia raccolto poco più di trenta voti alle comunali. In una città come Terni, realtà di storica coscienza operaia, sarebbe stata votata a furor di popolo. Qui è stata ingoiata dall’oblio come se quella forma di consapevolezza professionale e sindacale dovesse essere immediatamente rimossa dalla scena. Oggi assistiamo a una rabbia che, a Fabriano, si mette in moto da quel che resta del ceto medio e che, per ora, si esprime solo in termini di sommovimento elettorale. Ma senza un patto tra i produttori e una saldatura con la componente operaia il cambiamento non sarà mai economico sociale ma soltanto aleatorio e sovrastrutturale. Chi di metalmezzadro ferisce di metalmezzadro perisce.
    

11 giugno 2012

Il potere dell'UDC e le pugnette formali dell'opposizione


Quando Sergio Solari, nei panni provvisori del Presidente Anziano, ha domandato al Consiglio Comunale se sussistevano eccezioni di merito sulla convalida degli eletti, ha chiesto la parola, a nome della minoranza, Marco Ottaviani. L’intervento è stato breve, essenziale e degno di nota. In pratica il leader del Fabriano 3.0 ha fatto presente che la minoranza avrebbe eccepito solo sull’attribuzione dei seggi – l’ormai mitica questione del 15/9 o 14/10 tra maggioranza e opposizione – e non sulla ineleggibilità di Sindaco e Vicesindaco. Le parole di Ottaviani significano molte cose. Alcune interessanti. Altre inquietanti. L’aspetto interessante è che l’opposizione ha deciso di combattere politicamente contro la Giunta Sagramola, senza utilizzare la carta del ricorso amministrativo, che è roba da corso monografico di diritto più che un’arma in mano a politici navigati e tonici. Fin qui tutto ok. Bene, bravo, bis. Ma è sul ricorso per l’attribuzione dei seggi che la fronte inizia a grondare sudori salatissimi. Si confrontano due scuole di pensiero, da sempre alternative: quella dell’integrità della rappresentanza e quella del focus sulla governabilità. I sostenitori della rappresentanza come diritto assoluto, sviluppano un ragionamento che teoricamente non fa una piega: le approssimazioni elaborate dalla Commissione Elettorale, nel momento in cui favoriscono la maggioranza stuprando anche dalla logica matematica, violano il diritto di rappresentanza integrale delle minoranze, riconosciuto e sancito pure dalla Carta Costituzionale. Si tratta di un argomento forte, impeccabilmente liberale e democratico su cui non si può non convenire. L’altra scuola di pensiero è quella della governabilità, concetto prosaico e un po’ dozzinale secondo cui la continuità dell’azione di governo della città prevale sulla rappresentanza, che deve piegarsi alle esigenze di indirizzo e di azione politica. In questo senso un consigliere in più alla maggioranza rafforzerebbe la governabilità senza intaccare troppo in profondità il diritto di tribuna e di azione politica complessiva della minoranza. E qui si aprirebbe anche una riflessione complessa sulla questione dei due terzi, ossia sulle maggioranze qualificate necessarie per procedere a cambiamenti delle regole, come nel caso dello Statuto Comunale. Ma usciremmo fuori dal seminato di questo breve post. In realtà la dialettica tra rappresentanza e governabilità non esaurisce la questione dell’attribuzione dei seggi, perché dentro tale meccanismo si inserisce un altro tema non regolatorio che è l’opportunità politica. Se l’opposizione vince il suo ricorso la maggioranza scende a 14 consiglieri contro 10. Un margine sicuramente ampio e rassicurante dal punto di vista della governabilità, se non fosse che l’Udc esprime 4 consiglieri e quindi sarebbe nella condizione craxiana di esercitare un controllo totale sull’operato della Giunta, attraverso la cosiddetta utilità marginale delle forze minori. In pratica, un partito che ha preso l’11% dei voti, che è coinvolto fino al collo nel tracollo Ardo, che ha rappresentato e rappresenta una delle maledizioni bibliche della vita cittadina, grazie alle pugnette formali e di principio della minoranza rimette totalmente le mani sulla città. Ma io dico: amici dell’opposizione, ci state con la testa o sono i primi effetti del caldo? Di Udc si muore e non esiste principio la cui tutela possa farci dimenticare che siamo di nuovo in mano ai carnefici
    

9 giugno 2012

Scene da un matrimonio

Eccoci, Ci siamo. Alle 16.10 salgo le scale di Palazzo Chiavelli accompagnato dai miei infanti, opportunamente ricattati a colpi di figurine e camaleonti in gomma. Mi si para innanzi una muraglia umana. Entrare nella sala del Consiglio è quasi impossibile. Mi faccio largo, sorridendo, in un pantano di maglie sudate, di aliti che evidenziano digestioni avanzate, di facce di cittadini scettici ma partecipi. Tiro fuori subito la videocamera immortalante ma da gran coglione mi sono dimenticato di portarmi la cassetta. Vabbè. Facciamo senza e ci affidiamo all'occhio miope, ma saggiamente supportato da vetreria graduata. Parte l'Inno di Mameli e per un leghista come me è subito sera. Una culona matricolata mi schiaccia alla porta d'ingresso. Sorriso d'ordinanza e sguardo rivolto al prode Ennio Mezzopera, che vorrebbe essere tra i banchi ma non può per motivi di preferenze e allora s'impettisce all'Italia s'è desta. A forza di sgomitate educate ma perentorie mi facco largo tra la calca. Sono venuto a godermi queste scene da un matrimonio. Ma sto giro me ne fotto della sposa e del suo maquillage. Mi attirano i parenti vicini e lontani. Primo colpo d'occhio: Sergio Solari, assiso nello scranno di Presidente Anziano. Vestito blu, sguardo blu, eloquio sciolto per essere un novizio. Insomma una gradita sorpresa, non fosse per un'improbabile cravatta a righe trasversali che fa molto Fini ma poco fine. Peccati veniali. Di gioventù. Stacco. Passiamo oltre.  Alla mia destra Francesco Leporoni, verde per caso, in giacca verde coloniale con toppe ai gomiti. Capelli incolti, barba incolta. Incolto come un giardino pubblico abbandonato e lo sguardo impacciato piacione. Unico conforto la brocca d'acqua davanti. Stacco. La cinepresa oculare punta sull'opposizione che mi sta davanti. Urbani in  camicia. Senza maniche rivoltate, allacciato fino al penultimo bottone e le spalle clamorosamente a trapezio. Parla, bisbiglia, dispensa e consiglia. Un vero consigliere anziano. Alla sua sinistra la novizia Giovanna Leli, con un sorriso ostentato da Gioconda di Collamato. Per due ore nette neanche un broncio, un sussulto, uno sbuffo insofferente. Al suo fianco Danilo Silvi in camice bianco da salumiere. Guarda fisso il microfono e più non dimandare. Ma il top è Silvanello D'Innocenzo. Sardonico. Di nero vestito con giacca chiara a stimolare contrasti. Sta preparando il colpo gobbo ma non lo dà a vedere. Appena sotto l'opposizione dura e pura. Sergio Romagnoli del Cinque Stelle, fresco di barba e capelli, sembra un camallo giovane, un Fronte del Porto, un Marlon Brando in giacca e t-shirt che si trattiene a stento dall'inveire contro la casta che non suda. Di lato il Navajo Josi, con gli occhioni persi e la strana sensazione di voler essere altrove. Stacco. Ecco Emanuele Rossi, il Putto Sel_lerino che se ne fotte del cerimoniale ed esibisce l'unica manica corta, addolcita da un gilet di colore e taglio opinabili. Appena sopra Marco Ottaviani, nel solito abito grigio speranza e il volto immobile da maschera incaica che percepisce il peso di un mandato senza giochi di luce. Stacco. Di nuovo a gomitate sorridenti cambio posto e prospettiva e mi godo la maggioranza. Pellegrini immobile e circondato da una colata di tessuto adiposo che si va liquefando su una camicia bianca segnata da canotterione fantozziano. Perchè quel che ripara dal freddo ripara pure dal caldo. Mio padre docet. Insomma un mix tra Mario Borghezio e Giulianone Ferrara. Urge dieta dissociata. E poi Renzino Stroppa, con camicione a scacchi da corleonese che medita vendette. E quindi Giancarlino Bonafoni - Giancarlone è solo la sposa che oggi lasciamo festeggiare in solitudine- sempre uguale a se stesso: occhi a piagne, giacca a righe fitte da nausea ottica e jeans da lupo grigio in cerca di giovinezza. E poi le donne subentranti: Lilia Malefora in nero Idv, Sandra Girolametti in nero forense e Claudia Mattioli in rosa antico, con punto interrogativo incorporato: che cazzo c'entro con tutta sta faccenda? Ma la star della giornata è una sola: Pinone Pariano. Altra persona: via i bermuda da consigliere per caso e la magliettona aderente da weekend in famiglia. Oggi in straordinario abito blu e cravatta granata si prepara alla nomina a Presidente del Consiglio Comunale. Attende, freme, sgambetta, morde il labbro, beve, suda, poi beve ancora ma suda di nuovo. Alla fine il voto che lo incorona. Sale sullo scranno più alto: tre parole in croce, si scusa per l'emozione. D'Innocenzo, perfido, lancia l'applauso. Ricomincia a parlare. Poi la voce si rompe di nuovo. Si appella ad Alianello che, da assessore ai lavori pubblici con inutile occhiale da sole appoggiato alla testa, produce la prima opera importante: riempie d'acqua il bicchiere di Pariano che riprende a parlare incespicando e alla fine, a microfono spento, confessa di aver avuto stimoli permanenti al budello cularo nel corso della giornata odierna. Nessuno sa che fine abbia fatto la scorta di peperoncini calabri di casa Pariano. Ma oggi forse una spiegazione c'è. Giorgio Saitta in blu elegante assiste indifferente, come un'icona di Bisanzio, un Cristo Pantocratore pronto a dispensare servizi sociali e caponata. Statuario, solenne, con un'imponenza insulare da brivido di soggezione. L'esatto contrario di Tini, che sordianamente ride, cazzeggia, approva perchè ha capito che l'opposizione non gli farà barba e capelli con la storia dell'incompatibilità. Assiste alla scena il Magnifico Castriconi: t-shirt bianca, testa morena e giubbettone pesante perchè non sia sa mai che arrivi qualche spiffero, qualche raffreddore e fastidiosa raucedine. A proposito di Tini: all'uscita zompetta sorridente verso l'Arco del Podestà. Lo vedo passare e grido: Sindacooooo! Lui immediatamente si volta, prova provata che si sente il primo e non il vice della sposa. L'unico colpo di scena di un matrimonio senza sussulti lo regala, agli astanti, Silvano D'Innocenzo. Si racconta che appena concluso l'intervento di Pariano si sia alzato per complimentarsi col Presidente e abbia consegnato, al Segretario Comunale, l'avvenuta costituzione del gruppo Pdl. Con lui capogruppo, ovviamente. A distanza di pochi minuti stessa operazione del trio Urbani, Silvi, Leli. Ma il passaggio a livello era chiuso e i tre entreranno nel gruppo del Pdl solo con il consenso di quella Mosca Cavallina del Silvanello, che si è incazzato come un cifero per non essere stato invitato alla cena della minoranza di ieri sera. Stando così le cose di un'opposizione già incartata di conflitti, bene ha fatto la sposa sagramolata a uscire da Palazzo Chiavelli col giubilo negli occhi e nella barba. Adesso può contare su un matrimonio felice e indissolubile con la sua maggioranza. Hanno magnato tutti ed è tempo di digestioni serene e ruminanti. Non era per niente detto. Non era per nulla scontato. E chi ben comincia è a metà dell'opera.
    

8 giugno 2012

Domani ore 16: il Ballo delle Debuttanti

Domani tutti al Ballo delle Debuttanti. Appuntamento a Palazzo Chiavelli alle ore 16. Per le signore è consigliato abito scuro elegante, cappello e tacco 12. Per i signori quanto meno giacca e cravatta stile cerimonia. La democrazia ha le sue regole formali, i suoi simboli e la sua solennità. Anche quella smunta dei campanili e dei municipi. Cominciano cinque anni di governo della città e la prima seduta del Consiglio è, forse, l’unica a cui valga la pena partecipare: convalida degli eletti e surroghe, insediamento della commissione elettorale, giuramento del Sindaco, elezioni del Presidente del Consiglio Comunale. Poi, a partire da quella successiva, un diluvio di cagate: alienazione di frustoli, cambi di destinazione d’uso, aggiustamenti di bilancio e poco altro. La seduta d’esordio ha pure un’altra particolarità: il clima. Risi e sorrisi. Famiglie degli eletti in chicchere e piattini. Consiglieri all’esordio con la bocca affranta dall’emozione e qualche prodromo di alitosi. Consiglieri di lungo corso con la faccia già scoglionata e l’animo appenato di fronte al composto entusiasmo dei novizi. E il sussurrare disciplinato: ognuno al suo posto, sui seggioloni scomodi o sugli spalti, col microfono lucidato davanti e il kit per capire qualcosa di votazioni elettroniche. Non mancheranno gli sguardi inebetiti, i sorrisi stampati e i rossetti spalmati sui denti. Ma sempre con grande aplomb istituzionale. Niente a che vedere col suk di fine mandato, col pollaio vociante delle sedute di routine, con i consiglieri che vanno, vengono e bivaccano nei corridoi, con lo slang cantilenante di interventi accalorati ma raramente colti. Domani fingeremo tutti di essere contenti e speranzosi, applaudiremo la grande festa della democrazia, annuiremo quando il primo coglionazzo rimarcherà che “bisogna avere fiducia perché oggi è un grande momento di unità e di concordia”. Ma è un’altra la domanda che ci colonizza l’animo. Saranno previste cortesie per gli ospiti? Magari un tramezzino, due salatini, un gingerino. Tanto, alla fine, che differenza passa tra l’inaugurazione di un negozio e l’insediamento di un’amministrazione comunale? E allora avanti con le cravatte, i tailleur e le pashmine. E mi raccomando: non dimenticate la videocamera digitale. Perché non c’è mai vera festa senza il video della festa.

p.s. ci sarò anche io ovviamente munito di tutti i mezzi per un avvincente racconto...
    

6 giugno 2012

Se Atene piange Sparta non ride

E’ cominciata la guerra dei ricorsi: sull’attribuzione dei seggi e sulle ineleggibilità. Quello di ricorrere alla magistratura amministrativa e a quella ordinaria è una possibilità fondamentale offerta dallo stato di diritto. Ma chi ha frequentato scuole politiche serie sa che la politica non può essere surrogata dalle toghe. Quando ero ragazzo e frequentavo il Partito Comunista – scuola serissima anche se grigia e mortificante – circolava una battuta che conteneva una visione strategica del problema: mai incamminarsi lungo la via giudiziaria al socialismo. Il significato era molto chiaro. Il primato è della politica e dove non arriva la politica ci deve essere ancora la politica, non entità esterne che agiscono da surrogati. Qualcuno percepirà un eccesso di togliattismo in queste parole ma se si smette di credere che la politica sia l’arte del possibile e non quella della delega scacciabrighe si arriva dritti filato alla società liquida di cui parla il sociologo polacco Bauman. Chi fa politica, insomma, non querela, non ricorre alle toghe, non si fa sbrogliare la matassa da sentenze e ordinanze predisposte in qualche ufficio legale. Quando Bush fregò Gore con l’incredibile vicenda del voto in Texas pure il gatto sapeva che c’era del marcio in Danimarca. Ma Gore rifiutò di giocare la carta del ricorso e prese atto del risultato riconoscendo vittorie e sconfitte. Così come risultò ridicolo Berlusconi quando, nel 2006, chiese il riconteggio globale delle schede perché non accettava di aver perso contro Prodi per 26.000 voti. Ci sono mille ragioni per fare opposizione a Sagramola e alla sua Giunta. E ci saranno diecimila motivi per contestare duramente atti, posizioni e scelte del centrosinistra. Sarà lì che misureremo la capacità dell’opposizione di contrastare e se serve di boicottare le scelte della maggioranza. Sarà lì che conosceremo gli spadaccini, i barricadieri e le anime pie. Perché non si può stringere la mano al Sindaco offrendo collaborazione, condivisione e costruzione e poi, il giorno dopo, attivare il partito della carta bollata. Sono stato uno dei primi a scrivere che a mio parere Tini è ineleggibile. Ma è il giudizio di un esterno, di un singolo cittadino ormai liberato dallo scontro politico che si può permettere il lusso, individualissimo, di mettere un po’ di sale sulla ferita. L’opposizione politica è altra cosa e dovrebbe seguire percorsi totalmente diversi. La verità, amarissima, è che sotto il vestito non c’è niente e i ricorsi sono soltanto una foglia di fico per nascondere la realtà; la realtà di un’opposizione impaurita, inesperta, piena di novizi che impiegheranno mesi per entrare nei meccanismi e con un’impronta politica talmente diversificata da rendere impossibile l’individuazione di un momento efficace e unitario. Cinque consiglieri d’opposizione su nove sono al primo mandato; Urbani e Ottaviani, per indole e cultura, sono più uomini di governo che figure d’opposizione; Rossi ha la cultura dell’oppositore ma ha fatto esperienza politica con un piede nella maggioranza Sorci e uno fuori; D'Innocenzo è un battitore sempre più libero e sempre più solo. Insomma se Atene piange Sparta non ride.
    

5 giugno 2012

Un post formato video per i diecimila accessi al blog


Per festeggiare i diecimila accessi al mio blog mi permetto di pubblicare un post in formato video, realizzato con Daniele Gattucci, dove parlo di me, del blog, di Sagramola, di Urbani, di Urbamola, del Cinque Stelle eccetera eccetera eccetera....e chiedo venia per la gran faccia da cazzo del fermo immagine che vedete! :)))
    

L'Azione Cattolica al potere e la sinistra a casa

Dante Alighieri ha scritto la Divina Commedia in terzine a rima incatenata. E anche Sagramola, perso anche lui in una sua selva oscura, non è stato da meno. C’è infatti una metrica precisa nel modo in cui ha definito le deleghe ai suoi assessori, un ritorno al divide et impera, un neodantismo fondato sulla rima sovrapposta. Gli assessori infatti rimano male tra di loro e si armonizzeranno peggio perché le deleghe dell’uno e dell’altro si sovrappongono e sembrano fatte apposta per scatenare gelosie tra i molti artisti del buongoverno. La situazione mi è stata ben sintetizzata da un’informatissima Gola Profonda che ha spiegato il rischio ricorrendo a un esempio: è come se per fare una strada, a un assessore spettasse il compito di mettere la breccia e a un altro quello di portare la bitumiera per spianare l’asfalto. Alla fine l’opera non sarebbe mai di un solo artefice, scatenando conflitti e gelosie incrociate perchè gli assessori sono innanzitutto primedonne, quindi politici e solo in ultima istanza figure di governo. Ma in questo quadro di conflittualità latente Sagramola può acquisire quel ruolo di mediatore istituzionale che andrebbe ad allargare il suo spazio di manovra e di autonomia. Quindi la contiguità delle competenze, e la facoltà di ciascun assessore di navigare al di fuori delle proprie acque territoriali costeggiando i lidi altrui, costituisce uno degli strumenti potenzialmente più efficaci di potere e di interdizione che Sagramola ha messo a disposizione di se stesso e della propria sopravvivenza politica. In questa configurazione paracula è stato commesso un crimine nei confronti della città e della sua crisi economica e cioè lo spacchettamento della delega alle attività produttive, con il commercio, l’artigianato, l’industria e agricoltura che invece di fare massa critica sotto un’unica direzione politica e di governo ricadono sotto la cappella di più assessori, con evidentissimi problemi di coordinamento e sinergia nelle scelte. Insomma, un caso tipico in cui la realtà dei problemi soccombe all’equilibrio cularo delle forze politiche. Ma c’è anche un dato politico su cui riflettere; un dato che bypassa le deleghe e ritorna dritto dritto al profilo degli assessori. Non si era mai vista, infatti, un’amministrazione a così elevato tasso di Azione Cattolica e non sembra vero che gli educatori parrocchiali di ieri siano i governanti di oggi, silenziosamente migrati dalla Domus Mariae a Palazzo Chiavelli. E sarebbe interessante, in proposito, sapere cosa ne pensano gli storici contendenti ciellini e certi loro autorevolissimi e localissimi ispiratori. C’è quindi un rischio di confessionalizzazione delle scelte che con Sorci non si era mai paventato, anche per la totale laicità del Barbuto I° e II° rispetto alla dimensione del sacro e del profano. In Giunta scarseggiano, quindi, gli anticorpi alla clericalizzazione, con una sinistra di provenienza Ds, o comunque ex comunista, ridotta a ectoplasma politico, come non era successo neanche dopo la caduta del Muro di Berlino. Sembra un paradosso ma in questa amministrazione, bianca come lenzuola lavate col Dash, le ragioni della Fabriano meno oscurantista e laica passano per Paglialunga, socialista e dipietrista che, al cospetto di una Patrizia Rossi o di un Giorgio Saitta, può tranquillamente recitare la parte del Voltaire o del bolscevico nel vagone piombato. E quando l’illuminismo finisce così male vuol dire che la stagione più oscurantista è alle porte. Peccatori, astensionisti e vagabondi politici è giunto il nostro tempo: convertiamoci!
    

4 giugno 2012

Le mille mille rughe blu della Giunta Sagramola

Penso che manco l’elezione di un Papa eretico e sgradito al Conclave sarebbe durata quanto il parto degli assessori della Giunta Sagramola. Due settimane piene per ufficializzare quel che si sapeva appena concluso il conteggio delle preferenze il 7 di maggio. La scelta annunciata era tra sette nomi più una donna esterna. Nell’ordine: Alianello, Pariano e Balducci per il Pd, Paglialunga per l’IDV, Saitta per Cresci Fabriano, Galli e Tini per l’Udc. Colpo di scena!! Sei dei sette annunciati vanno a fare gli assessori e Pariano rimbalza alla Presidenza del Consiglio Comunale. Fuori i Verdi che verranno compensati con altro (si parla di Farmacom) e dentro Patrizia Rossi, in quota Azione Cattolica e totalmente estranea al giro della politica. Una domanda sgorga leggera come un’acqua effervescente naturale dal Ponte dell’Aera: ma che cazzo ci voleva a tirare fuori una Giunta già scritta dal voto? Colpa d’un Sagramola esageratamente amletico o d’un lumachesimo figlio di indicibili lordure interne? Personalmente la vedo così: Sagramola poteva usare solo quelle sette carte, già alquanto brutte di loro. E con sette carte ha provato a fare sette e mezzo giocando sulle deleghe, immaginate come una sorta di acido ialuronico buono per riempire le rughe, non certo di espressione, di una squadra nata già con addosso i sintomi d’invecchiamento precoce. Quattordici giorni di chirurgia estetica – visto che hanno in maggioranza pure il Dott. Piero Guidarelli! - per tirare fuori una Signora Giunta che per cellulite e tronfioneria potrebbe essere tranquillamente assoldata da un Rinaldo Orfei, forse qui non per caso col suo circo, per qualche spettacolo coi cavalli piumati e la leonessa ruggente. L’unico a mantenere le deleghe è Giovanni Balducci, sempre più riccioluto e sempre più gemello di Riccardo Cocciante. Appena firmata la nomina è uscito dal Comune cantando: “E io rinascerò assessore a primavera! Oppure tornerò ingegnero della Curia!”. Subito dopo, a ruota, è stata la volta di Pino Pariano che dovrà attendere sabato per salire sul supremo scranno della Presidenza. per ora, pare si sia limitato al labiale, promettendo l’utilizzo sistematico del playback per la gestione dei lavori del Consiglio. Nel frattempo ha consegnato una dichiarazione fortemente istituzionale ai quotidiani locali: "Calabrisella Mia, Calabrisella mia, Calabrisella mia, hjuri d'amuri.” E quindi fu la volta di Claudio Alianello, assessore ai lavori pubblici, che ha subito annunciato che sia la Fontana Sturinalto che il Palazzo del Podestà saranno smontati e rimontati da una squadra di comunisti sconfitti nella piazzetta di Valleremita, il nuovo epicentro sociale, culturale e civile del comprensorio fabrianese e montano. Ma la più attesa di tutti era lei, la donna in rosa: Patrizia Rossi, il nuovo assessore alla cultura in quota Azione Cattolica. Ha subito salutato politici e giornalisti invitandoli a unirsi a lei in preghiera e dando appuntamento per una bellissima e innovativa sessione di palla prigioniera durante il mese del Ciao. In ritardo, come al solito, il riconfermato Paglialunga che finalmente potrà togliere la tuta da monnezzaro e indossare la divisa da Vigile Urbano, con un notevole miglioramento estetico e olfattivo. Commercio e Polizia Urbana le sue nuove deleghe. Da quel che si dice pare sia pronto a imporre ai Vigili anche i turni di notte. Non per intensificare i controlli ma solo per fare tardi tutti insieme. Mauro Bartolozzi si è impegnato a donare gratuitamente boccali in porcella per le camomille di fine serata. Pare che il Comandante Strippoli appena saputo della nomina abbia strippato senza proferire più parola e scatenando l'immediata solidarietà di Pariano. Ma il più felice di tutti era Angelo Tini che è uscito dal Comune con una vecchia bilancia in mano e tanti pesetti di legno con la capocchia di ferro. Assediato dai giornalisti si è seduto in terra con fare socratico spiegando, con dovizia di particolari, che uno più uno fa due e quindi se metti due pesetti da un grammo su un braccio della bilancia ne devi mettere o due da un grammo o uno da due grammi sull’altro braccio. In questo modo la bilancia si equilibra ed è bella e spiegata pure la sua delega. Non pervenuti Galli e Saitta. Visto che non li riconosceva nessuno hanno fatto perdere le tracce uscendo dal retro del vecchio palazzo dell’Allegretto. Da ultimo ha fatto capolino anche Sagramola, preceduto da un dipendente comunale che sgattaiolando di corsa gridava: "Collega, quando hai finito fa la cortesia: spegni la luce, almeno Tini inizia subito a tagliare”. E le stelle stanno a guardare.