Quella di oggi è una Pasqua senza resurrezione sociale per il nostro territorio. La vertenza Best si è chiusa senza prospettive di lavoro, monetizzando l'esodo volontario dei lavoratori e mercificando il futuro. La cassa integrazione in Indesit, e gli scontri all'interno proprietà, evocano scenari sempre più foschi e un destino in bilico per centinaia di famiglie fabrianesi. C'è poi l'istanza di fallimento per la Cotton Club, che marca il declino finale di una realtà produttiva che a fine anni novanta sembrava in grado di competere con i grandi marchi dell'abbigliamento intimo. E ancora i 350 lavoratori a rischio nello stabilimento fabrianese della Tecnowind, costretti a fare i conti con un management sfuggente e la proprietà liquida di un fondo di investimento straniero. E dulcis in fundo, tanto per non farci mancare niente, lo stop improvviso e inatteso ai cantieri della Quadrilatero, con il rischio concreto di non vedere realizzato il raddoppio della statale 76 e di rtrovarsi, a consuntivo, l'ennesima incompiuta e il relativo fardello di impatti ambientali che rischiano di non trovare compensazione nel completamento dell'opera. Quello che si profila, giorno dopo giorno, è quindi una vera e propria ecatombe economica e sociale del territorio fabrianese, di cui per ora abbiamo soltanto conosciuto le prime, sinistre avvisaglie. Uno scenario che meriterebbe un gabinetto e un programma di guerra promosso e gestito da una politica in grado di rinunciare ai suoi disegni e alla sua vanagloria, perchè la tattica è merce di consumo quando c'è polpa da redistribuire e non quando c'è solo da rodere l'osso. Abbiamo invece una politica che discute del taglio dei gettoni dei consiglieri comunali e considera una priorità assoluta la stalla dell'agraria e la casa di riposo, oltre a un sindaco emerito che riduce l'azione di governo al portare a casa appalti, con l'illusione di arginare la frana grazie a qualche lavoro pubblico come nelle realtà di più radicato e storico assistenzialismo pubblico. In una situazione di guerra ci vuole un gabinetto di guerra fondato su pochi punti di intervento e sostenuto da larghissime intese politiche e di alto profilo. Siccome la città non può permettersi nuove elezioni servirebbe un atto di coraggio da parte del centrosinistra, che deve prendere atto di un cambiamento profondo anche a livello politico e numerico e immaginare, di conseguenza, un "rimpasto repubblicano" capace di determinare davvero l'unità di intenti di tutti i fabrianesi. Un rimpasto fondato sulla messa a punto di un programma condiviso - magari applicando in chiave locale il metodo Napolitano di nomina dei saggi - e di una giunta espressione di larghissime intese, con il vicesindaco attribuito al Movimento 5 Stelle, l'assessorato al bilancio a un esponente del centrodestra e i lavori pubblici a un montiano. E' questa l'unica perazione politicamente creativa che è possibile compiere in una città allo stremo. Best, Indesit, Tecnowind, Cotton Club e Quadrilatero ci dicono, chiaramente, che il tempo al tempo dei giochi sta per subentrare quello della rivoluzione. E non inganni il pranzo sereno e ancora ipercalorico di questo giorno di Pasqua.
31 marzo 2013
30 marzo 2013
Il Ponte dell'Aera e il maiale in abito da sera
Sullo scoperchiamento del Giano ho scritto meno di quel che avrei voluto, perchè come tutte le questioni ad alto contenuto simbolico anche questa si è riempita di politica, di strumentalizzazioni e di convenienze. Corollari naturali, pulsioni comprensibili e legittime ma che diradano il consenso, e la sua necessaria massa critica, perchè se un cittadino ha la sensazione che una buona idea sia diventata pascolo di redditizi opportunismi sostenerla apertamente diventa un modo per rendere più verde il pascolo stesso e più gustoso il brucare delle interessatissime pecore. E quindi, pur essendo favorevole allo scoperchiamento anche senza il supporto logico e razionale di studi idraulici e pronunciamenti professorali, ho deciso di restare volontariamente ai margini della discussione, pur considerando la riapertura del Giano, nel tratto che attraversa il Centro Storico, una riforma che va nella direzione della politica della bellezza e del rilancio urbanistico di Fabriano. Se torno sull'argomento è soltanto perchè mi ha smosso un'intervista rilasciata da Sagramola ad Alessandro Moscè per Radio Gold. Il Sindaco, una volta tanto, non ci ha girato intorno e ha detto quel che pensa e cioè che a lui e alla sua Giunta interessa soltanto portare a casa l'appalto da 6 milioni di euro perchè sono soldi che danno lavoro al territorio. Si potrebbe obiettare che quell'appalto dà lavoro e profitto all'impresa che si è aggiudicata i lavori ma sarebbe tempo perso perchè la politica fa sempre più fatica a distinguere tra interesse pubblico e vantaggio privato. A questo Sagramola aggiunge che la sua prudenza sul tema dello scoperchiamento era legata alla scelta volontaria e strategica di non turbare la gara d'appalto e che il cuore dell'operazione è il collettamento degli scarichi fognari del centro storico, azione propedeutica per discutere concretamente di un Giano che possa finalmente scorrere a cielo aperto. Si tratta di riflessioni minimaliste, di un riformismo casareccio e nostrano che si trascina dietro una scia di luci e di ombre irrisolte e rimosse. A partire dal fatto che lo studio che ha elaborato il progetto - e che percepisce per legge una percentuale sul totale dei lavori che dovrebbe aggirarsi intorno ai centomila euro - è l'Ufficio Tecnico del Comune. Soldini che entrano, quindi, nelle tasce dei progettisti dell'Ufficio Tecnico e non certo tra le voci sempre più scarne del Bilancio del Comune. Sicuramente, per spostarsi sulle luci, da questi lavori traggono beneficio anche i cittadini, perchè il collettamento dei rifiuti costituisce un vero e proprio salto di qualità nell'igiene pubblica del centro storico e dell'intera città. Altrettanto certamente invece tira il culo a quei fabrianesi che preferiscono un comodo parcheggio sotto la porta di casa al fascino estetico ed emozionale di un fiume scoperto, ossia alcuni abitanti della zona di via Filzi e dintorni che sognano di passare direttamente dalla camera da letto all'abitacolo della propria automobile. Così come sfiaccola agli esercizi commerciali di Piazza Garibaldi che sopra la copertura del Giano hanno fabbricato di tutto: cessi, magazzini, celle frigorifere, varie ed eventuali con il benestare di amministrazioni comunali compiacenti e guerce. E magari non è che siano troppo felici pure le ditte rimaste a bocca asciutta perchè ci potrebbero essere ricorsi al Tar qualora esse ritengano che gli atti e i preventivi presentati dalla ditta vincente non siano conformi ai termini della gara e ai suoi parametri. Ed è molto triste ed alterato anche il nostro senso estetico per via del probabile utilizzo di materiali che, utilizzato in un centro storico, somigliano a un maiale in abito da sera. Già perchè pare che il nuovo ambiente fluviale avrà sponde in materiale metallico COR-TEN, una robaccia di nuova generazione di cui possiamo assaggiare l'orrore guardando le parti finto arrugginite dell'ecomostro in vetro che si erge di fronte alla nuova sede del Comune. E tanto per completare lo stupro - ma che cazzo ci frega basta che portiamo a casa l'appalto - per un monumento storico come il Ponte dell’Aèra è prevista anche un’intonacatura di calcestruzzo, al cui cospetto i virtuosismi dei Bernardo Rossellino somiglieranno a un pippone medievale e onirico. La verità è che a Sagramola e e alla sua Giunta stanno a cuore solo i soldi da riversare nelle opere senza interrogarsi sul loro senso e sulla loro bellezza. Ed ha perfettamente ragione la Gola Profonda del Pd quando afferma che forse, alla fine, riusciranno a spuntarla gli scoperchiatori del fiume ma solo per l'effetto di un di ricatto morale e non certo per una qualche inesistente, e quindi improbabile, sensibilità di Sagramolone & Company
29 marzo 2013
Il taglio dei costi e la gara a chi ce l'ha più lungo
Secondo un'antica tradizione pare siano stati molti i
ragazzini che, in lode e gloria di un cameratismo alquanto demenziale e latino,
hanno partecipato ai cosiddetti ludi genitali, concorsi a metà tra antropologia e folklore e
dedicati, a seconda dei gusti, alla lunghezza del pene, al calcolo del getto
delle minzioni urinarie e, per i più spavaldi, all'esibizione di contrazioni
spermatiche. Il problema, puramente interpretativo, sorge quando la logica dei ludi genitali si ritrae dagli spazi misterici della
pubertà e dell'adolescenza e precipita simbolicamente nello spazio politico
che, per un infondato pregiudizio cartesiano, si immagina sempre come
luogo di pulsioni adulte e mature quando invece abbonda e pullula di isterie
freudiane, di nodi irrisolti e di rimozioni permanenti. E la gara a chi ce l'ha
più lungo, dalle nostre parti, è di colpo diventata una variante strategica del
confronto politico, ormai ridotto a competizione sadomaso tra chi è disposto a
tagliarselo di più e più a fondo. E' di ieri la notizia che gli assessori si
sono tagliati l'emolumento, portandolo a 500 euro al mese. L'obiettivo - di cui cui il centrosinistra si fa complice inconsapevole - è quello
classico, grillino e clericale al tempo stesso: delegittimare la politica riducendola
ad attività che non merita compenso, per esaltarne invece una funzione purificatoria e
di servizio totalmente scollegata dall'esercizio del potere. Insomma, una roba
a cui credono soltanto gli ingenui e quelli che ci marciano ma che sta
diventando a tutti i livelli rincorsa infinita e insensata. In questo contesto
c'è da dire che il Movimento Cinque Stelle ha operato divinamente dal punto di
vista ideologico: infatti i grillini non puntano a tagliare le palle ai
politici con qualche atto violento che ne potrebbe generare la resistenza e
l'orgoglio, ma riescono a fare di più e meglio trasformando l'evirazione in una
libera scelta, in una sorta di sacrificio volontario accolto come un
martirio lieve che scatena ebbrezze nuoviste ed illusioni di
rigenerazione proprio in quelle vittime che dovrebbero detestare l'atto. In
questo il Sindaco Sagramola e gli assessori appaiono definitivamente
bersanizzati perché non hanno capito che il fondamento politico e
culturale del grillismo è il nonbastismo, ovvero un senso permanente di non
appagamento che li spinge e li spingerà a chiedere e pretendere altri
tagli, altre lame, altre forbici. E a quel punto il Sindaco e gli assessori
rilanceranno, interpretando e giocando la solita competizione dei ludi genitali
e sarà tutta una corsa a chi se lo taglia di più: i grillini chiederanno di
portare l'emolumento a 250 euro e Sagramola convocherà i giornalisti per
comunicare che gli assessori hanno deciso di sostituire la retribuzione con un
unico buono pasto del valore di dodici euro al mese. L'esatto contrario di quel
che farebbe un politico di razza, di spessore e di visione, ossia rifiutare
tassativamente di giocare in trasferta, di farsi dettare l'agenda da chi vuole
consumargli credibilità e futuro, di innamorarsi dei propri rapitori come nella
Sindrome di Stoccolma. In questo senso faccio una promessa solenne e
definitiva: non scriverò più un rigo sulla questione dei costi della politica, una faccenda che ha ormai raggiunto livelli insostenibili e demenziali di ossessione, nella speranza che i
nostri Tafazzi di opposizione e di governo rinsaviscano e la smettano di sferragliarsi i coglioni per
regalare ai grillini la gioia sacrificale che sempre pervade i giusti, il
sorriso sadico che li inorgoglisce e una vagonata di voti che li sollazza.
28 marzo 2013
Potere consolare in Indesit?
Qualche giorno fa, dopo la notizia sulla cassa integrazione
fino ad agosto per circa mille dipendenti Indesit, è è circolata la voce che i
manager della multinazionale fabrianese si sarebbero ridotti del 10% la
retribuzione, così giusto per dare un segnale di condivisione e compartecipazione ai
sacrifici delle maestranze e dei colletti bianchi. Un taglio sostanzialmente
irrisorio, un una tantum dal mieloso sapore di palliativo,
un'esibizione di politically correct svincolata da qualsiasi criterio di
progressività, con il paradosso che la cassa integrazione taglia ai lavoratori
il 20% della retribuzione mentre i manager, bontà loro, solidarizzano col 10%
calcolato su stipendi di tutt'altro livello e sostanza. Insomma una foglia di
fico che, c’era da immaginarselo, è stata immediatamente presa sul serio dal
sindacalista di turno, che si è precipitato a dichiarare apprezzamento e gioia
per questa condivisione compassionevole, e un tantino ridanciana, di sacrifici ed
economie aziendali. Ma al di là di queste piccole manovre di fumisteria
mediatica, quel che accade in Indesit costituisce un barometro mentale, l’unità
di misura di una pressione che si scaraventa direttamente sulla città, una
sorta di appiglio e di linea del Piave psicologica tra resistenza e declino. Ed
è anche per questo che la città si domanda con insistenza se il quartier
generale resterà qui o se invece migrerà a Milano, se le voci di vendita ad
altri player internazionali preludano a dismissioni o se invece i Merloni
intendano tenere in piedi – a dispetto della crisi e dei mercati - un
esperimento di capitalismo familiare di successo. Ed è su questo gioco di
domande senza risposte certe che si collocano anche altre voci che trapelano dal palazzone delle
Cortine. I lettori ricorderanno che, circa a metà di gennaio, Maria Paola Merloni smentì le voci relative alla
vendita del gruppo Indesit, insistendo nel contempo sull'intenzione unanime della famiglia di
mantenere il controllo del gruppo. Questo punto fermo di visione avrebbe trovato la sua
concretezza in un cambio al vertice, con la sostituzione di Andrea Merloni con Mario Consiglio alla presidenza, un professionista storicamente vicino
alla famiglia. Ma quella soluzione sembra essersi arenata, segno di una
pacificazione familiare nuovamente in bilico. Il che forse spiega perché il
nome di Consiglio sia sparito di scena a vantaggio di una possibile soluzione
Caio, che fu amministratore delegato dell'allora Merloni Elettrodomestici dal
1997 al 2000 e che ricopre, attualmente, la carica di consigliere indipendente
nel consiglio di amministrazione di Indesit Company. Una presidenza Caio, pare
caldeggiata da Maria Paola Merloni, darebbe vita a una difficile e complessa
convivenza con l'amministratore delegato Milani, che resterebbe al suo posto anche
a garanzia delle posizioni dell’attuale Presidente Andrea Merloni. Il che
prefigura una diarchia quasi consolare al vertice del gruppo, a riprova che la
conciliazione all'interno della famiglia non era il frutto di una pacificazione
sostanziale ma di un disarmo concordato che inquadra e racconta il persistere
di divergenze strategiche nell’ambito della proprietà. E di questo conflitto a
bassa intensità Fabriano – intesa come luogo e come quartier generale del
gruppo - è soggetto inerte ma, nonostante questo, stranamente al centro della
scena.
27 marzo 2013
L'insalubre sindrome di Pecoraro
Anni fa, quando imperava seppure a stento il rigoglioso Ulivo prodiano, uno dei mattatori di quella stagione un po' naif si chiamava Alfonso Pecoraro Scanio. Era il capo assoluto dei Verdi, un monarca ecologista che fu uno dei sicuri artefici del declino di quella forza politica che per prima aveva segnalato e incanalato il distacco dell'opinione pubblica dai partiti tradizionali. Come tanti ambientalisti granitici e spesso intolleranti, Pecoraro Scanio era solito mescolare impeto francescano e carriera , perché aveva ben chiaro l'appeal politico della questione ecologica e la possibilità concreta che, a partire da quell'approccio, si potessero schiudere percorsi di potere personale, luminosi e ridenti come il sole stampato nello storico simbolo dei Verdi. Ma il disegno di Pecoraro fallì e dei Verdi non è rimasto nulla, se non un utilizzo localizzato, opportunistico e anacronistico del nome e del simbolo, in salsa fabrianese, per aiutare la candidatura di Sagramola alle ultime comunali. Di certo, invece, è rimasta in circolazione una certa cultura dell'ambientalismo, una sindrome di Pecoraro che spinge a dire sempre di no, a vivere la produzione energetica come sistematico attentato alla salute e a concepire le dinamiche dell'industria come violenza perpetrata dagli agenti del profitto contro l'ecosistema e contro i meccanismi della decrescita felice. Oggi, nel nostro Paese, non esiste comune o contrada in cui non sia presente un qualche Comitato che si oppone a qualche impianto: tradizionalmente animato da qualche capopopolo ambiguo e contiguo al potere, dal demagogo appassionato che mette a disposizione la saletta per le riunioni e da qualche forza politica che si fa carico - sempre per generosissime ragioni di convinzione e condivisione - di rinomate e nobilissime "istanze" di difesa della purezza del creato. Ultimamente la Sindrome di Pecoraro ha colpito pure il nostro territorio. E' di qualche giorno fa la manifestazione delle donne di Matelica che hanno organizzato una manifestazione di protesta contro una delibera dell'amministrazione comunale che autorizza l'impianto di industrie insalubri a rischio di incidente rilevante. Il Comitato del No ha fatto quel che sa fare: dire di no, coinvolgendo in questo niet quasi sovietico sia il Sindaco di Cerreto d'Esi che quello di Fabriano, lesti nel cogliere l'occasione per fare la voce grossa e categorica su temi che, ovviamente, portano consensi e riconoscimenti di sana e verdissima costituzione. Alessandroni e Sagramola hanno dichiarato che sarà loro dovere evitare scelte che possano mettere a rischio la salute e la sicurezza dei cittadini. Dichiarazione che non fa una piega, tanto è politicamente corretta, ma che non entra nel merito dei problemi rifiutando un approccio riformista alla materia degli insediamenti industriali e produttivi. La grande questione del nostro tempo, anche a livello locale, è infatti quella di creare occupazione. A tutti i costi. Occupazione varia e variegata, sicuramente libera dai vincoli di sostenibilità e dai rischi di crisi generale connessi al monoprodotto. Un'occupazione in grado di riscoprire antiche vocazioni, vecchi mestieri e nuove dimensioni produttive legate al genius loci. Ma se non vogliamo strangolarci con nuove mitologie ruraliste dobbiamo sapere che la tradizione valorizzata non è sufficiente a ricostruire uno stock occupazionale coerente con i bisogni del territorio. Serve ancora industria e anche quella insalubre può e deve far parte di questo disegno di ricostruzione degli insediamenti industriali. Ma per riuscire in questa complessa quadratura del cerchio è necessario sanare il contrasto ideologico e la presunta incompatibilità tra industrialismo e diritto alla salute dei cittadini. Il punto di equilibrio è quello di un impegno implacabile e corale sul rigore dei requisiti di sicurezza, sui contenuti concreti dell'autorizzazione integrata ambientale, sui processi di controllo delle emissioni, sulla funzionalità degli impianti di abbattimento, su forme innovative di socializzazione e pubblicizzazione del controllo sui processi produttivi. La sfida, insomma, è quella di entrare nel merito, di sporcarsi le mani, di negoziare condizioni e protocolli ambientali rigorosi, di rendere compatibili le esigenze produttive e i diritti delle comunità coinvolte anche attraverso accordi di compensazione che impongano, a chi impianta aziende potenzialmente inquinanti, di concorrere alla tutela del territorio anche attraverso investimenti sul territorio stesso non finalizzati alla produzione ma alla tutela urbana e paesaggistica. Il vecchio gioco a somma zero dove se vincono le ragioni dell'industria debbono soccombere quelle dei cittadini e viceversa non può che condurre in un vicolo cieco; un budello intellettuale popolato di escalation conflittuali, di negoziazioni abortite e di pecorari scani assai più dannosi di un'emissione in atmosfera.
26 marzo 2013
Gli ausiliari del traffico e le multe low cost
Dopo l'americanismo compassionevole dei supermercati last minute per i poveri è giunta l'ora delle multe low cost per gli automobilisti indisciplinati. A dimostrazione che ogni volta che si vuole importunare il cittadino è meglio che gli si indori la pillola ricorrendo al tic anglofono, perché un po' di esterofilia linguistica non guasta mai e rende tutto più commestibile e tollerabile. La multa low cost è, in ordine di tempo, l'ultimo miracolo di Atena di una Giunta Comunale che confonde la creatività con il ridicolo e l'intelligenza con l'improvvisazione. E allora vediamo di cosa si tratta. Se, ad esempio, ti becchi una multa da 50 euro e, lo stesso giorno, ti affretti a pagare l'ammenda l'importo scende a 10 euro. Secondo l'assessore Paglialunga questi saldi di fine stagione sono la prova provata che l'amministrazione non vuole fare cassa con le multe agli automobilisti, ma soltanto perseguire un disegno di legalità e di rispetto delle regole che possa affermarsi e diffondersi tra i cittadini senza eccessivi oneri per le loro tasche mezzo svuotate finanche di spiccioli. In realtà l'impressione è che il buon Mario la racconti bene ma senza saperla raccontare, perché la monetizzazione immediata sembra rispondere al vecchio e cinico buonsenso del "pochi, maledetti e subito", che evita la produzione di residui attivi a bilancio, di accertamenti e di lunghe procedure di riscossione. Ma con ogni probabilità c'è pure dell'altro e cioè il tentativo di diluire e smorzare l'azione zelantissima delle due ausiliarie del traffico entrate in forza da qualche settimana. Pare infatti che le due giovani stiano brillando per inflessibilità e per un eccesso di zelo degno di miglior causa, con diversi e miti cittadini incazzati come bisce per contravvenzioni comminate in punta di cronometro e per una bassissima propensione alla soluzione amichevole e benevola. Di questo atteggiamento sarebbe ingiusto incolpare le due ausiliarie che, di certo, si attengono scrupolosamente alle disposizioni e ai caratteri previsti dal loro profilo giuridico e contrattuale. Da questo punto di vista, ad esempio, sarebbe interessante sapere se la loro retribuzione sia esclusivamente variabile - ossia correlata percentualmente soltanto all'ammontare delle sanzioni comminate - o se contempli una quota fissa, che sarebbe invece opportuna per addolcirne l'approccio, visto che non siamo alla dogana medievale dove Benigni e Troisi, al primo sospiro, erano costretti a versare un fiorino. Ma la vera questione che Paglialunga dovrebbe chiarire riguarda il perché si sia proceduto alla contrattualizzazione di due ausiliarie del traffico. Secondo l'assessore trattasi di una improrogabile necessità perché Polizia Municipale, opererebbe con un organico sottodimensionato e quindi controllare i divieti di sosta e apporre eventuali verbali sul parabrezza delle auto non può essere espletato dai quasi trenta vigili urbani che compongono la squadra. La cosa ovviamente non convince e si ha il fondatissimo sospetto che si sia fatta una manovra in perfetto stile democristiano: approfittare della situazione di crisi per inquadrare un paio di persone che hanno bisogno di lavorare - e di questi tempi tutto fa brodo per ramazzare consenso -, rifilandogli una mansione che impone zelo, fa assai comodo per portare a casa qualche soldino utile all'ormai striminzito bilancio comunale ed evita che la linea del rigore passi per le mani di chi fa il vigile in pianta stabile e, come fustigatore del traffico , possa andare serenamente sui maroni a una cittadinanza già abbastanza provata di suo. Perché è bene essere chiari: sostenere che non si dispone di due vigili urbani su quasi trenta a cui demandare il controllo delle multe risulta non solo inverosimile ma pure un tantino offensivo e irritante. Dico male assessore Paglialunga?
25 marzo 2013
Il mesto declino dei sauri bellucciani
Stamattina, in un bar del centro, ho casualmente incontrato Roberto Bellucci, il vecchio democristiano su cui non tramonta mai il sole. Era seduto al tavolo, con davanti un anacronistico bicchiere di caffelatte e stampata in viso una posa serpeggiante da vegliardo siculo, ancora attento a chi va e a chi viene. Mi ha invitato a sedere, esibendo un piglio da corazziere in apparenza intatto ma forzato e quel volontarismo eroico e commovente degli anziani che si ribellano agli anni, al potere che si allontana e al corpo che lentamente comincia a scapricciare. Appena seduto ha cominciato a sminuirmi con una frase irritante ma programmatica: "Simonè te leggo ogni tanto...ma non è che ce perdo tanto tempo!". Della serie "è inutile che scrivi e quel che scrivi, è inutile che ti sbracci perché di fondo, sei un pupazzo isolato, un cane che abbaia alla luna ma non morde. Il vero potere è il nostro, quello che passa da sempre e per sempre per gli stessi circuiti e gli stessi quartieri. E finché saremo in questo mondo ne governeremo il flusso e la direzione. Come abbiamo sempre fatto a dispetto degli illusi come te". E poi Bellucci ha cominciato a saettare giudizi sui grillini che dovrebbero godersi questo momento che gli durerà poco, sui tagli ai costi che servono ma solo per calmare il popolo e sull'Udc che quando deciderà di correre da sola ritroverà il suo 5% di consenso che permette di conquistare poltrone, di animare il sottogoverno e di essere al centro di una scena che, solo per periodi transitori e brevi, può essere occupata da una masnada di alieni, idealisti e parvenu. Sarei ipocrita se non ammettessi di essere stato colpito dalla prolusione bellucciana. Ci ho visto dentro gli ingredienti emblematici del potere quando fa i conti con la fine del suo ciclo di vita: la iattanza, la voglia intramontabile di smazzare le carte, l'ego smisurato, l'acume epigrafico, l'indifferenza ai cambiamenti, la resistenza a qualsiasi passaggio generazionale, un disprezzo esibito e rimarcato per le giovani generazioni, che è poi quello che ha reso questa città vecchia culturalmente prima che anagraficamente. Da questo punto di vista non sappiamo con certezza come si estinsero i dinosauri. Di certo furono bestioni capaci di egemonizzare la vita sulla Terra per migliaia e migliaia di anni, condizionando la catena alimentare e lo sviluppo delle forme viventi, tanto che gli scienziati affermano che l'uomo non sarebbe mai esistito se il pianeta non avesse conosciuto l'estinzione delle grandi lucertole preistoriche. Bellucci è, a suo modo, un lucertolone preistorico, un sauro politico che - assieme a una vasta platea di suoi simili - ha reso impossibile l'esistenza di un'altra politica che non fosse quella classica dello scambio e del do ut des. Ma come quegli antichissimi bestioni anche i sauri bellucciani sono condannati all'estinzione per via di un repentino e intollerabile cambio di clima. E' la metereologia della politica coi suoi sbalzi di temperatura e le sue bufere strutturali che sta mettendo i lucertoloni bianchi alle strette. Loro resistono, sbattono la coda, moltiplicano le aggressioni, scatenano voracità aggiuntive, allenano i denti a mille morsi perché sentono l'aria che cambia odore e i venti che modificano la loro direzione. Potrebbero apparire più forti e più cattivi perchè, come dice l'avvocato Carmenati, la coda è la più dura da scorticà. Ma è solo l'effetto ottico di quando il sole è al tramonto e l'ombra dei nani si allunga. Rassicurati da questi speriamo che il loro sia un viaggio politicamente senza ritorno. Non li cercheremo gli antichi sauri bianchi. E di certo non ne sentiremo la mancanza.
24 marzo 2013
Le lacrime senza autocritica dei commercianti
23 marzo 2013
La Fondazione e la retorica delle donazioni
C'è una lunga trafila di donazioni all'Ospedale garantite dal buon cuore e dalla generosa borsa della Fondazione Carifac. Donazioni di macchinari all'avanguardia che hanno alimentato una radicatissima tradizione dell'istituto, quasi una prova solenne di continuità, capace di trascendere i decenni, le presidenze e i profondi cambiamenti che hanno coinvolto la nostra città. Nonostante la provenienza dall'universo della sanità cittadina e regionale e il sostanziale allineamento con i principali centri di potere locali, avevamo sperato che il neopresidente della Fondazione Guido Papiri si facesse promotore attento e determinato di un cambio di direzione e di marcia, di un inatteso moto bergogliano in grado di mettere i sigllli a questa tradizione donatoria che avrà anche avuto i suoi meriti, ma che oramai risulta sempre più sfasata rispetto ai bisogni di un territorio costretto a riscoprire la centralità dei bisogni primari e della loro soddisfazione. La Fondazione è oggi l'unica istituzione locale in grado di redistribuire ricchezza sul territorio. E deve farlo non per gentile concessione di vertice ma in ragione della propria natura e del dispositivo statitario che ne sostiene il funzionamento. La partita strategica relativa al ruolo della Fondazione non è quindi incentrata sul "se" ma sul "come" produrre interventi incisivi vantaggio della collettività e non a supporto delle ambizioni della tecnostruttura. Darsi la mano da soli per aver donato all'Ospedale un tavolo radiologico telecomandato e un laser destinato all'unità operativa di Urologia per un ammontare di 240 mila euro, significa non avere chiari alcuni elementi fondamentali della crisi. Innanzitutto che la sanità assorbe circa l'80% del bilancio regionale e che è tempo di razionalizzare, tagliare e destinare la polpa non alla retribuzione di una pletora di primari e di unità operative inutili e farlocche ma al potenziamento del servizio e delle prestazioni sanitarie, ossia al vero core business della sanità. Ragion per cui sarebbe il caso che certi macchinari uscissero fuori direttamente dalla gestione pubblica della sanità e non dalle azioni compensative messe in campo da un istituto che dovrebbe diversificare l'allocazione delle sue risorse, destinandole a specifici progetti legati alla ripresa economico sociale del territorio. Non è più possibile e tollerabile che le consistenti risorse messe a disposizione dalla Fondazione vengano assorbite quasi interamente dalla donazione di macchinari e che la quota parte restante si disperda nei mille rivoli di microfinanziamenti che vanno a oliare attività ed eventi spot che non producono alcun valore aggiunto e non generano trasformazioni strutturali in loco. Quando Papiri dichiara che la sanità è un settore primario di intervento soprattutto in un momento drammatico come questo rischiamo di uscire dai binari del buonsenso perchè un servizio ad accesso universale che drena risorse impressionanti e che viene finanziato dalle tasse dei cittadini e delle imprese deve avere il dovere dell'autosufficienza e dell'efficienza anche strumentale. In questo senso 240 mila euro spesi per finanziare un paio di seri progetti occupazionali e di ripresa economica locale sarebbero stati assai più utili per la comunità. perchè è il lavoro il bene primario che cambia radicalmente la scena e la vita delle persone. Ragion per cui, come sempre, primum vivere deinde philosophari. E siamo certi che Guido Papiri saprà sorprenderci cambiando rotta già dal prossimo giro di finanziamenti. Altrimenti è meglio che se ne torni a vestire gli abiti tristi e felpati del Pierrot di Belvedere che sarà anche pieno di malinconia ma di certo non fa danni.
22 marzo 2013
Il Movimento tra Serenella Vodafone e Fra Galdino
21 marzo 2013
Tra supermercati dei poveri e orti urbani
Leggendo i giornali di questa mattina ho avuto la sensazione che si stiano gettando le basi per un vero e proprio esperimento sociale che coinvolge Fabriano: il socialismo in un solo paese. Non siamo allo stakanovismo, ai piani quinquennali e alla collettivizzazione forzata di staliniana memoria, ma a un assai più modesto e discutibile tentativo di individuare strumenti pubblici di sopravvivenza materiale in una città che comincia a fare i conti con livelli di povertà che non hanno nulla di volontario e di francescano. Qualche giorno fa si era ipotizzato di attivare una mensa sociale, che fosse in grado di rispondere collettivamente ai problemi di chi fatica a mettere assieme il pranzo con la cena. Ed è di oggi la notizia che l'amministrazione si sta mobilitando per dare vita a un supermercato con prodotti in scadenza a prezzi stracciati, una sorta di last minute dei generi alimentari a cui possano accedere le persone più povere e indigenti. Personalmente ho un rispetto assoluto di chi si trova in difficoltà perché, ricordando Hemingway, non bisogna mai chiedere per chi suona la campana dato che essa suona pure per noi. Ma lo scandalo della povertà, che è la vera pornografia del nostro tempo, va affrontato rispettando, innanzitutto, la dignità delle persone. Negli Stati Uniti aprivano i fast food per sfamare i poveri che, con un dollaro, potevano consumare un pasto caldo, cucinato e di sapore decente. Noi, molto più cristianamente, gli offriamo cibo mezzo scaduto e tutto da cucinare. Così tanto per dare giro a un po' di scorte che restano a magazzino nelle grandi catene di distribuzione. Un trattamento che non ci sogneremmo di riservare nemmeno ai cani. Ma già immagino l'obiezione, tutta nutrita di buon senso spicciolo e di finta solidarietà: piuttosto che niente è meglio piuttosto. La verità è che queste proposte non nascono da un'autonoma e sentita riflessione dei nostri amministratori pubblici, ma da pura e semplice trasposizione di pratiche border line provenienti dalla Grecia. Il cibo in scadenza, caro Sagramola, al massimo si regala e non è assolutamente etico che i supermercati monetizzino anche solo una parte dell'invenduto approfittando della povertà, perché questa non è solidarietà ma sterco del demonio. E poi, come spesso accade, si parte dal cibo e magari si arriva ai medicinali scaduti, con effetti che possiamo serenamente immaginare e che meritano una vera e propria resistenza civile. L'idea del supermercato last minute, tra l'altro, rappresenta un'istigazione alla depressione per i cittadini che, anche da questi segni, ricavano e rafforzano la sensazione che non ci sia più nulla da fare per invertire la tendenza e cambiare la situazione. In questo Comune, ad esempio, c'è spazio a sufficienza per costruire un vero e proprio sistema di orti urbani, dove si possano coltivare ortaggi e frutta per l'auto-produzione e per un consumo solidale. Orti che possono essere curati da squadre di volontari o direttamente da chi si trova in stato di indigenza, perché l'alternativa alla povertà è sempre la dignità del lavoro. E qualunque lavoro è preferibile a un'assistenza pietosa e compassionevole. Rifletta su questo il Sindaco Sagramola e la smetta di farci ingoiare bocconi amari. E magari pure scaduti.
20 marzo 2013
Saltellando di palo in frasca
Ieri sera - in notturna come si addice a un evento di primo piano - è andata in onda, via web tv, la prima puntata della fiction low cost intitolata Town Council, dove si raccontano intrighi, passioni, trame e magheggi di ventiquattro fabrianesi che trascorrono del tempo seduti in uno stanzone litigando su rotatorie, case di riposo, stalle, frustoli di terreno e pubbliche farmacie. Il debutto è stato accompagnato anche dall'immancabile intermezzo pubblicitario che, alle ore 18 in punto, è comparso sugli schermi in forma di spot dedicato al profilattico Durex, di fronte al quale gli spettatori si sono immediatamente posti un triplice interrogativo: pubblicità maliziosa legata agli aspetti più profani della Festa del Papà, esplicito invito alla prevenzione rispetto al possibile contagio trasmesso dalla politica o feroce contrappasso sbattuto in faccia al casto e puritano primo cittadino?
La stampa e il web, ormai quotidianamente, pullulano di castronerie grilline, di voci dal sen fuggite rigorosamente a 5 Stelle, di scivoloni mediatici impersonati da cittadini in tablet che stanno regalando all'opinione pubblica un'esatta rappresentazione di quanto sia complicato e impervio il passaggio dalla prosopopea rivoluzionaria alla costruzione meditata e noiosa di leggi e disegni di legge. In poche ore si è, quindi, spenta la fiaccola della rivoluzione, surrogata da un’orgia di dichiarazioni sull’universo mondo di cui si è resa protagonista anche una delle due parlamentari fabrianesi, ormai speaker di punta di telegiornali e programmi radiofonici semiseri. L’ultima perla è stata l’attacco al nuovo Presidente della Camera che non piace alla concittadina in quanto signora dall’incarico facile. Piccole scaramucce al femminile, lievi invidie muliebri: la rivoluzione che prima di arrivare sanguinosamente in piazza passa tutta tinteggiante per il parrucchiere.
Papa Francesco ci ha invitati ad amare gli umili e i fragili, a riscoprire la tenerezza verso i bambini, gli ammalati e gli anziani. Un solenne invito andato a vuoto, se solo si fa mente locale su quanto accade in città attorno alla nuova Casa di Riposo. I favorevoli alla costruzione sui terreni dell’Agraria così come i contrari si fronteggiano come piccole fazioni risentite e sorde. Gli anziani, i loro diritti e i loro bisogni sono soltanto il pretesto per uno scorno dove si fa a gara a chi è più intelligente e a chi conosce il pelo di culo giuridico più adatto a prevalere di acume e di competenza sulla controparte. C’è chi difende la scuola eccellente, chi maneggia di brutto con gli appalti, chi esalta la didattica in stalla, chi sgraffigna informazioni alla centrale dei rischi. E di certo aveva ragione, tanti anni fa, il grande Mimmo Modugno: “Il vecchietto dove lo metto, dove lo metto non si sa, va a finire che non c’è posto forse neppure nell’Aldilà.”
Sempre restando nei paraggi dell’Aldilà, non sono soltanto le anime a preoccupare ma anche i corpi, visto che la Giunta Comunale ha deciso di fare cassa coi cimiteri, come ha opportunamente scritto stamattina il Messaggero. Si è infatti proceduto a quadruplicare le tariffe a metro quadro relative alla concessione delle aree destinate alla costruzione di sepolture private. E’ vero che i valori non erano stati più adeguati dal 1985 e che bisogna monetizzare l'insana tendenza a edificare palazzi e palazzine svettanti come l'altare della patria, ma è altrettanto vero che sarebbe più decoroso ed umano procedere a un riallineamento progressivo invece che scagliare addosso alle famiglie un salasso che al danno aggiunge anche la beffa. Un tempo si diceva che era meglio un morto in casa che un marchigiano all’uscio. Oggi, quando avanti all’uscio ti ritrovi un sindaco o un assessore a battere cassa c’è solo da fare i debiti scongiuri e augurare a tutti lunga vita: se non per amore di certo per saccoccia.
19 marzo 2013
Carifac se n'è andata e non ritorna più
Fusione per incorporazione. E’ interamente racchiuso nel tecnicismo di questa procedura societaria il fine corsa della Carifac. La storica banca fabrianese cessa di essere un’entità autonoma, con una sua struttura e una sua catena di comando, e si acconcia a farsi marchio transitorio, effimero e destinato a rapida consunzione. Si chiude, quindi, senza gloria e senza memoria una vicenda ricca e importante, che ha segnato in profondità il benessere economico del territorio, cementando una linea di consenso politico che si è indissolubilmente intrecciata con le esigenze individuali, familiari e generazionali di un blocco sociale più controverso e complesso rispetto allo spiccio clientelismo delle assunzioni e delle aperture di credito. Sul versante simbolico il fine corsa della Carifac avrà implicazioni ancora più pesanti di quel che ha rappresentato, nell'autopercezione di una intera comunità, l’implosione della Ardo. La Cassa di Risparmio è stata, infatti, il sogno di generazioni, l’occasione di riscatto per i figli del metalmezzadro, l’unica opportunità locale di mobilità sociale e di promozione professionale. Lavorare in Cassa di Risparmio significava non solo stabilizzare il proprio ruolo nella società fabrianese, ma anche esercitare una funzione di gendarmeria del blocco sociale, di vigilanza in nome e per conto del potere: gettando un occhio sui conti dei fabrianesi, monitorandone croci e delizie economiche, applicando - attraverso un mormorio felpato ma pervasivo - un controllo sociale al limite dell'apartheid, verificando le discese ardite e poi le risalite, inquadrando i meritevoli di luce e i destinati all'ombra, i degni d'invito a cena e quelli da scansare riducendo al minimo vicinanze e confidenze. Con la fusione per incorporazione Carifac cambia segno, natura e destino: cessa di essere il braccio secolare del potere economico, l’occhio attento del potere politico e il barometro della rispettabilità sociale, per essere solo e soltanto banca, sportello, risparmi da raccogliere e impieghi da destinare. Di fronte a questo salto di paradigma una classe dirigente seria dovrebbe tacere e interrogarsi sulla mutazione genetica delle banche, che quando rispondono al comando della politica e del potere sono destinate ad assorbire traumi, diseconomie e servilismi. Per queste ragioni si fatica a comprendere alcune dichiarazioni del Sindaco Sagramola, che ha rintuzzato i vertici di Veneto Banca per aver annunciato la fusione per incorporazione ad Ancona invece che a Fabriano. Come se la differenza di location potesse ancora rappresentare una linea di demarcazione tra il prima e il dopo, tra la permanenza di un radicamento territoriale e l'inarrestabile vocazione al nomadismo delle attività e dei profitti. Veneto Banca non ha acquisito Carifac per tutelare gli interessi di Fabriano ma quelli di se stessa. E alla holding di Montebelluna interessano la dorsale adriatica e la direttrice dell’entroterra, grandi assi di sviluppo dimensionale rispetto ai quali Fabriano incarna un punto tra i tanti nella linea strategica e territoriale di crescita del gruppo. Ed è sintomo di testa voltata indietro che un primo cittadino – magari solo per rimarcare un'adesione retorica al culto delle radici, recise da quella stessa classe dirigente di cui è parte integrante – neghi la verità amara ma necessaria delle cose, immaginando connessioni territoriali che la Banca non ha più coltivato da tempo e richiamando impegni in loco che sono incompatibili col nuovo corso e le sue necessità. A chi governa non si chiede di ribaltare le decisioni dei soggetti economici perché non è politicamente ed economicamente possibile, ma di inquadrare il danno e di evitare la beffa. E beffa sarebbe stata organizzare una finzione politicamente corretta, organizzando una conferenza stampa a Fabriano per comunicare ai fabrianesi che da domani e per sempre conteranno meno del due di denari quando briscola è bastoni. Bisogna essere chiari. Anche la sconfitta e il declino hanno bisogno di uno stile e di un decoro. Che non prevedono si consideri umiliante, o peggio ancora disdicevole, ciò che ha evitato alla città l'inutile affronto di un mesto e insincero congedo.
18 marzo 2013
La normalizzazione del 5 Stelle
Il Movimento 5 Stelle, come era prevedibile, ha cominciato a fare i conti con la complessità dell'azione parlamentare e con i mille bizantinismi della democrazia rappresentativa. La defezione di almeno dieci senatori rispetto agli ordini di scuderia, rappresenta un duro colpo all'immagine di un movimento che ha fatto della diversità ed estraneità rispetto all'idea stessa della tattica politica un postulato essenziale della propria narrazione e di un'indubitabile retorica di successo. Quella che si profila è, quindi, una naturale articolazione del movimento tra pragmatici e radicali, perché la fase di "stato nascente" si chiude inevitabilmente quando si passa dai tavoli per la raccolta delle firme alle aule ovattate di Montecitorio e di Palazzo Madama, dove si prendono le grandi decisioni che incidono sul destino del Paese. Il voto su Grasso, giusto o sbagliato che sia, apre una stagione nuova del 5 Stelle; una fase in cui la battaglia politica non sarà soltanto lotta contro il mondo sporco e cattivo dei partiti ma anche continua e snervante ricerca di mediazione interna tra correnti animate da una visione diversa dei problemi e del modo di affrontarli. Come è naturale che sia i gruppi parlamentari rivendicheranno, progressivamente, autonomia, indipendenza di giudizio e potere di decisione. Non per brama di potere fine a se stesso ma per disporre dei margini di manovra che servono per un esercizio efficace delle funzioni parlamentari. Erano stati in molti a prevedere che il cozzo con la realtà del parlamentarismo avrebbe cambiato nel profondo la natura dei grillini e che gli apriscatola sarebbero tornati rapidamente nel cassetto. Quel che ha sorpreso è stata la tempistica del riflusso: un inatteso crollo verticale, sin dalla prima seduta, che è l'effetto naturale e deflagrante di una finta equidistanza dal sistema dei partiti. In realtà il codice genetico del grillismo ha origini e propensioni di sinistra: dipietriste, travagliste e giustizialiste. Col voto sul Presidente del Senato si è capito chiaramente che per i grillini sono sicuramente tutti uguali ma alcuni sono più uguali degli altri. E il PD ha colto, astutamente, questo strabismo del movimento mettendolo al servizio di una politica di sblocco sulle cariche istituzionali. Un'azione quella del Pd che, con la fiducia al Governo, potrebbe diventare ancora più efficace perché saranno molti i grillini consapevoli di poter lucrare un'utilità marginale, puntando magari a qualche prestigiosa poltrona di sottosegretari. Certo è che la lotta dei grillini al sistema è finita prima di incominciare. Ma resta intatto il bisogno di una sua profonda riforma. Che ha bisogno di intelligenza, scaltrezza e mani da orefice più che di semplificatori zelanti e muniti di apriscatola. Insomma, almeno per ora la montagna ha partorito il topolino. Pardon, il grillino.
17 marzo 2013
Il Gallo Peppino molla tutto e se ne va da Rapa Nui
Il Sindaco emerito Sagramola prosegue nel suo indefesso lavoro di livellamento. Prosegue perchè questa è la sua polizza di assicurazione politica e l'unico modo presentabile di giungere a fine mandato: far sì che la sua giunta ricalchi sempre di più il profilo dei Maoi, i guardiani di pietra dell'Isola di Pasqua, allineati, misterici e inespressivi. Una Giunta indifferenziata, dove per sbarcare il lunario si ribattezza collegialità il conformismo e si biasima, come inaccettabile deragliamento, il solo e naturale insorgere di una qualche dialettica minimamente asprigna. Ragion per cui è sufficiente una lite tra comari per innestare la paterna ma severa reprimenda sagramoliana. Succede, ad esempio, che nel corso di una concitata riunione del tavolo su traffico e viabilità, Paglialunga chieda la parola a Galli e che Galli, in un momento di confusione distratta, non gliela conceda o ritardi nel farlo. Paglialunga, innervosito dal risultato elettorale come un moscone imprigionato nell'abitacolo di un'utilitaria, se ne ha a male e lascia la riunione, incazzato come una biscia per la delegittimazione subita davanti alle associazioni di categoria. Galli prima non se ne avvede e poi non se ne capacita, ricorrendo infine al qui pro quo e alla tempesta in un bicchiere per sanare l'incombente conflitto politico. Ma siccome un problema rimandato è mezzo risolto, sarebbe stato sufficiente tacere, delegando la conciliazione alla libera maturità e al senno degli assessori coinvolti. Sagramola invece ha colto l'occasione per rinverdire l'operazione Maoi: accuse di protagonismo a Galli, descritto con l'ego espanso di una ballerina del Mouline Rouge, e pieno sostegno all'ira di Paglialunga, notoriamente amato da Sagramola dello stesso amore di cui è capace un cane di fronte a una coda di gatto. Il Sindaco emerito, ovviamente, se ne è guardato bene dal ricordare come sia stato lui stesso a generare il casus belli, sovrapponendo maliziosamente le deleghe tra i due assessori, in modo che qualunque loro decisione fosse sempre un frustrante e inutile gioco a somma zero. Di certo anche Galli ha commesso i suoi errori e paga le sue ingenuità, come il non essere partito col piede sbagliato con l'Expo di settembre, perchè farla subito fuori dal vaso non lo avrebbe esposto all'ira funesta e sorda di Sagramola, visto che il cavallo zoppo è assai difficile che possa vincere in volata anche se ribolle di talenti e di entusiasmo. La strategia del Sindaco emerito, in questo senso, si muove a tenaglia: prima allearsi con Paglialunga per far fuori Galli, tra l'altro espressione di un partito ormai ridotto a prefisso telefonico; quindi eliminare anche Paglialunga che ormai fa partito per se stesso e difficilmente potrà giungere a fine mandato. Da questo momento, quindi, si può dire, senza timore di smentita, che la clessidra ha cominciato a scandire il tempo che ci separa dalla crisi di Giunta. Crisi che si coagulerà inevitabilmente di fronte a un unico quesito: sarà Sagramola a ritirare le deleghe a Galli o Galli a restituirle a Sagramola? Questione di pochissimo tempo, di vocazione al rischio politico e di tendenza all'azzardo. Doti non propriamente sagramoliane che, in quanto tali, prefigurano una probabile prima mossa del Gallo Peppino, perchè con l'Emerito o ci si immola nel ruolo di Maoi enigmatico e inerte o si cerca un modo diverso e centrifugo di smazzare le carte e di fare politica. E la sensazione è che Galli sia davanti a un bivio, perchè si è arenato nella risacca sagramoliana il suo disegno di una governance municipale in grado di innovare, sperimentare e incidere. Il che fa pensare anche a un nuovo inizio politico per l'assessore alle attività produttive; un'azione inedita lontana dagli occhi e lontana dal cuore di questo asfittico e decadente Modello Marche in salsa comunale.
15 marzo 2013
Effetti post voto: cassa integrazione alla Indesit
14 marzo 2013
L'elezione perfetta
Negli ultimi anni la Chiesa Cattolica ha vissuto nella modernità come un corpo estraneo e declinante. E non erano pochi quelli che ne auspicavano, quasi con un senso di liberazione, la dissoluzione finale, senza pensare che il tramonto del cattolicesimo avrebbe consumato definitivamente anche il ruolo dell'Europa e dell'Occidente. Le stesse dimissioni di Benedetto XVI erano sembrate un capitolo inedito dell'Apocalisse di Giovanni e il segno di un precipizio imminente. Ma è una qualità delle istituzioni millenarie essere in grado di decifrare e interpretare i segni dei tempi proprio quando i tempi sembrano travolgerle, a riprova che anche strutture segnate dal peso storico del potere e delle mediazioni sono in grado di trovare il bandolo di una rigenerazione rapida e convincente. Quella di Francesco I è stata un'elezione perfetta. Scandita da una straordinaria capacità di gestione cerimoniale e mediatica che - nel tempo della virtualità più spinta e arrogante - ha relegato ai margini la cultura del click, recuperando in pieno il fascino del comignolo, la potenza profetica di una finestra che si apre sul mondo e la forza di parole semplici e penetranti che arrivano anche ai cuori e alle menti più lontane. Ovviamente commetterebbe un grande errore di valutazione chi dal nome Francesco tentasse di dedurre aspettative medievaleggianti popolate di pauperismi gridati, di integrale rinuncia ai beni terreni e di riconversione del soglio petrino a modesta e periferica Porziuncola. Resta, infatti, intatto il problema, modernissimo, della governance planetaria della Chiesa, della Curia e dello Ior, delle Congregazioni e della Santa Sede. Così come resta intatta la necessità di rendere la Chiesa di nuovo attrattiva a partire dalle parrocchie, dove il cristiano sperimenta la sua prossimità comunitaria e liturgica con la Chiesa e dove si producono anche allontanamenti irreversibili e disillusioni profonde. La scelta di un Papa sudamericano, probabilmente, va anche in questa direzione, perché nel Nuovo Continente è più forte e praticata l'idea della chiesa come comunità dei fedeli, come spazio concreto di solidarietà e come luogo in cui si affrontano coralmente i drammi della povertà e della solitudine dell'uomo moderno. Ma l'elezione perfetta e la svolta antropologica che si profila nel cattolicesimo pongono un'esigenza di confronto diverso anche ai laici, agli agnostici, agli atei e ai generalmente deisti, che si sono a lungo cullati nella certezza che il materialismo e l'illuminismo fossero lo spazio della luce contrapposta all'oscurità e all'oscurantismo della religione e della vita ultraterrena. Incontrare una Chiesa dei poveri vuol dire riprendere la lotta contro le "strutture di peccato" - già individuate dalla teologia ratzingeriana di Giovanni Paolo II - che generano povertà e perdizione; significa rileggere la globalizzazione e rigenerare un pensiero critico nei confronti del capitalismo e del libero mercato, produttori di tempeste finanziarie e di crisi irrisolte; vuol dire superare, francescanamente, l'idea del povero come soggetto ripugnante e invisibile contrapposto al ricco blasonato, riverito e invidiato. E' una sfida etica e politica di grande respiro ed è straordinario che a proporla sia quella Chiesa che abbiamo erroneamente considerato immobile e incapace di guardare a se stessa con lucidità, severità e rigore. Dan Brown è servito.
13 marzo 2013
Il bello e il brutto del centro storico
Nell'intervista rilasciata l'altro giorno a questo blog, Giampaolo Ballelli ha rilanciato con vigore prospettico e disciplina ideale il bisogno di una politica che sappia conservare la bellezza dove essa resiste al gretto sfregio delle amministrazioni, recuperandola laddove è preda di sufficienza e d'abbandono e progettandone di nuova, dove la realtà consuma fratture anche estetiche tra il presente e il futuro. Poi in un post di Facebook sempre Ballelli - come liberato dai vincoli della mediazione politica - ha immaginato di recuperare la vecchia tradizione delle lezioni all'aperto, rilanciando l'idea di passeggiate collettive in città, finalizzate al recupero di una socialità capace di andare oltre la percezione del singolo e di connettersi robustamente alla struttura urbana e ai suoi incanti. Si tratta di una logica che spinge nettamente in avanti il comune sentire, mettendo ai margini un'idea della costruzione urbana concepita come replica monumentale e spaziale del conflitto politico, della rissa bipolare e tripolare e di pianificazioni consegnate a tecnici ammaliati da una funzionalità alleata dell'utile e nemica del bello. In realtà il bello e il brutto si incrociano e convivono e questa foto della Piazza Amedeo di Savoia ne restituisce, con forza, l'irritante mescolanza. Si tratta di uno degli scorci cittadini più noti e meno notati, piazzetta a imbuto che converge verso la Piazza della Cattedrale e lo Spedale del Buon Gesù. Scelte scellerate di viabilità, riscritta a tavolino da cervelli indegni, ne hanno fatto un parcheggio debordante e ambito. Ma non si tratta di un'eccezione, perché passeggiando per il centro storico ci si accorge che praticamente ogni strada, ogni piazzetta, ogni spazio, specie se minuto, è stato analizzato e studiato a fondo per sovvertirne la natura, per scardinarne le ragioni, per essere riscritto e rivisto in un'alternanza di strisce bianche e strisce blu, parcheggi a pettine, a spina di pesce, a denti di sega e, prevalentemente, a cazzo di cane. Per questo è fondamentale diventare, per quanto possibile, testimoni oculari dello scempio estetico, nemici giurati della prevaricazione cementizia, rabbiosi censori di questo riflesso condizionato che spinge a occupare tutto, a divorare spazi in nome dell'insignificanza dei luoghi e di una perdita della misura che rappresenta la sconfitta materiale della comunità e delle molte ragioni che dovrebbero tenerla unita e solidale. Quando la politica avrà archiviato la tensione ombelicale suoi suoi costi e la radiografia della materia inerte e miserabile che la affolla, per dedicarsi alla conservazione del bello e delle sue dinamiche saremo di fronte a un salto di civiltà e di paradigma. O, per dirla con il Renzo Arbore di " Quelli della notte", "aspetta e spera che poi s'avvera, che la nottata non è così nera".
12 marzo 2013
Le istituzioni sospese tra puritani e suburra
In un commento lasciato ieri pomeriggio al post su Ambramola, Marco Ottaviani ha messo nero su bianco un'agghiacciante diagnosi personale sulla moralità politica dei consiglieri comunali fabrianesi. Suddividendoli in categorie e indicando anche una percentuale di incidenza relativa a ciascun raggruppamento: il 30% dei consiglieri, a suo dire, partecipa solo per incassare il gettone di presenza; il 50% si reca a Palazzo Chiavelli per curare e tutelare interessi personali e il restante 20% si presume, perché Ottaviani non lo specifica, faccia il proprio dovere con scrupolo e diligenza. Sappiamo bene come qualsiasi classe scolastica annoveri al suo interno un repertorio alquanto di somari, copioni, secchioni, e lucignoli, perché tra gli esseri umani vige un'articolazione profonda di caratteri, di capacità e di vocazioni. Ma è sconvolgente immaginare un'assemblea elettiva, frutto della scelta dell'intero corpo elettorale, che può contare - secondo il parere di un suo autorevole rappresentante e non in base a opinioni raccolte il sabato mattina tra le bancarelle del mercato - solo su cinque consiglieri comunali su ventiquattro, all'altezza del ruolo che ricoprono. I difensori del sistema spiegherebbero questa tendenza ricorrendo a un vecchio mantra e cioè che ogni popolo ha il governo che si merita. Il problema è che il popolo elegge in base a una specifica offerta politica che comprende simboli, programmi e candidati. E se il popolo sceglie così male è facile che abbia comunque scelto il meno peggio tra ciò che si è trovato davanti. Quindi sbaglia Ottaviani quando inquadra nel concetto di romanticismo la mia difesa del Consiglio Comunale, per la semplice ragione che questo blog difende l'istituzione e non certo gli eletti in carne ed ossa, che sono tutti transitori e anche fisiognomicamente emblematici della decadenza che viviamo. Difendere la dignità del Consiglio non è quindi un omaggio alla sacralità delle istituzioni o un salvagente lanciato agli eletti, ma un terreno di lotta politica perché ci sono forze che vogliono ribaltare l'idea della democrazia rappresentativa in nome di una democrazia diretta che presuppone la disarticolazione degli organi elettivi. In questo senso aver alimentato nei cittadini l'idea che il livello miserabile degli eletti sia una giusta causa di delegittimazione degli organi elettivi, costituisce un crimine politico per il quale i partiti dovrebbero essere messi sul banco degli imputati, seguendo le orme di quel profetico processo al Palazzo che aveva animato le ultime, apocalittiche riflessioni di Pierpaolo Pasolini nelle Lettere Luterane. L'origine del male, in sintesi non è il Consiglio Comunale in sé o i suoi costi - che sono sempre poca cosa rispetto ai veri sprechi municipali - ma il livello a cui è ridotta la classe dirigente dei partiti politici che si riflette anche nelle istituzioni. In questo senso Grillo ha creato un Movimento di persone che ci credono, che sono pronte alla mobilitazione, che stanno sempre sul pezzo. Persone che somigliano molto agli omini obbedienti che finivano nel tritacarne di Another Brick in the Wall, dopo aver marciato seguendo il comando tambureggiante e potente di una sola voce e di un uomo solo. Ma nonostante il vizio d'origine che li pregiudica e li rende indigesti i grillini sono di certo un coacervo granitico, che sfonda e carica come le testuggini dei legionari romani. Ai movimenti e agli urti di questa massa aizzata i partiti come rispondono? Tesserando sfigati di paese dotati di cospicue riserve elettorali, inquadrando teste di legno capaci solo di condurre le vecchiette al seggio, eleggendo strani soggetti che provano una fatica quasi mineraria a generare una frase di senso compiuto, attribuendo incarichi di gestione politica a ritardati incapaci di qualsiasi gesto che non sia direttamente connesso a un qualche magheggio o a qualche sozzeria. Il problema quindi non è il romanticismo di chi difende l'istituzione Consiglio Comunale ma di chi genera la suburra che porta in Consiglio Comunale persone indegne di esercitare la rappresentanza. La spazio è strettissimo e una una verità va rimarcata: le istituzioni elettive sono, nel contempo, colpite dal maglio grillino e consumate dalle miserie del partitismo. E dentro questo bipolarismo sempre più nichilista ci sono solo la decadenza e il declino. Amen
11 marzo 2013
Ambramola e i Boncompagni suggeritori
Nei primi anni novanta, sui canali Fininvest, andò in onda un programma di intrattenimento quotidiano di grandissimo successo - "Non è la Rai" -, frutto della indiscussa genialità televisiva di Gianni Boncompagni. Personaggio chiave della trasmissione era una ragazzina, Ambra Angiolini, che accompagnata da un nutrito parterre di coetanee urlanti e festanti, rispondeva alle telefonate, proponeva quiz, cazzeggiava e lanciava canzoni eseguite in coro da tutte le fanciulle. Siccome Ambra aveva una discreta stoffa ritenuta però poco compatibile con la giovanissima età, cominciò a circolare la voce che la ragazzina fosse manipolata, attraverso suggerimenti in cuffia, direttamente da Boncompagni che le avrebbe dettato ogni parola e ogni frase, virgole comprese, con l'obiettivo di trasformare una fanciulla un po' naif in una star dell'intrattenimento. Ho avuto questo sussulto di memoria televisiva ieri mattina, leggendo della conferenza stampa, convocata da Sagramola, per illustrare ai giornalisti le sue ultime proposte di taglio dei costi della politica. Sagramola, ormai ufficialmente Sindaco emerito, era accompagnato dai capigruppo di maggioranza, non certo presenti nel ruolo di protettive guardie svizzere ma piuttosto di reggenti comandati alla censura e all'interdizione di quel che resta del primo cittadino. Una conferenza stampa convocata, con l'ottica dell'antipasto da far gustare ad altri, giusto poche ore prima che i grillini si ritrovassero a festeggiare il successo elettorale, in un noto ristorante di Fabriano, con l'allegria dei bucanieri che arrivano nell'isola sconosciuta e devastano riti, abitudini e certezze dei nativi. ma cosa aveva di così urgente da comunicare, urbi et orbi, il nostro Emerito? Niente che non gli fosse tassativamente imposto dalla pressione politica e psicologica dei Boncompagni grilleschi, che hanno formulato e suggerito al Sindaco - passo passo e parola per parola - i provvedimenti di taglio da adottare per ridurre il Consiglio Comunale a guscio vuoto da spazzare via in nome della democrazia diretta. Ambramola ha seguito senza sbavature il copione, interpretando con serietà e rigore lo spirito e i bisogni del Movimento 5 Stelle, rispetto al quale si è candidato al ruolo di un Vidkun Quisling al servizio dell'occupante. In soldoni i Boncompagni grilleschi hanno imposto ad Ambramola riduzioni draconiane dei costi del Consiglio, col ghigno sadico di chi si diverte a fare di un uomo di partito la punta di lancia dell'antipartito e della contestazione. Ambramola ha accettato di soccombere culturalmente per sopravvivere politicamente fino a fine mandato. Confidando su una buona parola dei grillini e illudendosi che i medesimi, mossi a compassione dai segni di obbedienza dispensati dall'Emerito, lo considerino un compagno di strada a cui fornire, in futuro, l'asilo politico e un porto franco. Una pia illusione immediatamente stroncata dai grillini che sul profilo Facebook del Movimento 5 Stelle hanno pubblicato un post, venato di sarcasmo, in cui si ringrazia il Sindaco per il lavoro svolto sui costi della politica e si rilancia la palla dettando ad Ambramola un altro sketch da interpretare e cioè il necessario taglio dei dirigenti comunali. A riprova che quando hai aperto un varco, quel varco è destinato ad allargarsi fino a farsi voragine e precipizio. In questo contesto di svendita dell'orgoglio politico non poteva mancare l'elemento prosaico e beffardo - che i Boncompagni hanno finto di non vedere per avere un nuovo fronte polemico nel prossimo futuro - e cioè che Sagramola ha tagliato tutto tranne il proprio emolumento, che era invece la prima voce da decurtare per rendere politicamente sincera e drammatica l'intera operazione. In compenso l'Emerito ha accettato di collocare i consigli comunali dalle 18 alle 22, per risparmiare sulla cifra riconosciuta alle aziende per l'assenza giustificata del dipendente consigliere. E ha proposto di utilizzare il sabato e la domenica per i provvedimenti e le discussioni più lunghe e impegnative, dimenticando, lui cattolico osservante e praticante, che la domenica è giorno di festa e di riposo per comandamento divino e non per abuso umano. La collocazione oraria del civico consesso può sembrare un dettaglio ma non lo è e per come è stata posta rappresenta il cedimento più grave, in quanto avalla un'idea dopolavorista del Consiglio Comunale, e alimenta il pregiudizio devastante secondo il quale le decisioni che riguardano la collettività possano essere collocate a fine giornata, all'ora del prosecchino e dell'olivetta, come uno svago o uno scazzo da consumare a pile rigorosamente scariche e con la testa svuotata dal carico degli impegni quotidiani. Il dato politico è chiaro come un assunto cartesiano: Ambramola ha obbedito al diktat dei Boncompagni del Movimento 5 Stelle dimenticando che questa forza politica - come ha scritto ieri nel suo articolo domenicale l'ideologo del Pd Eugenio Scalfari - persegue il "rovesciamento della Repubblica parlamentare nella sua architettura modellata dalla Costituzione", ossia ciò che il partito di Sagramola e non solo considera sacro, inviolabile e non riformabile. Un motivo in più per dimissionare Ambramola, togliergli la cuffia e interrompere l'incubo a cui ci sta condannando.
10 marzo 2013
Il finanziamento ai partiti e l'inganno dei virtuosi
Ieri ci si è messo pure Renzi, il brufoloso rottamatore democratico, a perorare la causa dell'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Lo ha fatto chiedendo di aggiungere questo petalo di demagogia agli otto punti della piattaforma pentastellata stilata da Bersani. Si tratta dell'ennesima vittoria di Grillo, che non solo continua a imporre ai partiti la propria agenda ma li spinge anche a stilare, con allegria e fiducia, il proprio certificato di morte e la propria disponibilità rispetto alle mire espansive e colonizzatrici del comico genovese. Quel che Bersani e Renzi sanno bene ma evitano di dire è che, in Italia, il rapporto tra etica e politica non è pregiudicato dalle erogazioni pubbliche ma dal finanziamento privato dei partiti. Una politica esclusivamente finanziata da sottoscrizioni e donazioni private trasformerebbe, infatti, i partiti in organizzazioni totalmente scalabili, in lobbies assoggettate al potere dei soldi e a quel sistema di transazioni che inevitabimente si produce quando circolano, in dosi massicce, risorse finanziare private e correlate a specifici interessi economici e imprenditoriali. La sfida del cambiamento è quindi quella di legiferare sul finanziamento privato dei partiti e non certo di abolire il finanziamento pubblico, che va regolamentato meglio affinchè il denaro dei cittadini sia messo al servizio del ruolo costituzionale dei partiti e non per ristrutturare il bagno di casa degli eletti o comperare la Smart all'amante. Il problema della "dazione ambientale" e privata, emerso brutalmente con Tangentopoli, è rimasto assolutamente intatto nei suoi caratteri. Certo, quelli che viviamo non sono i tempi migliori per una riflessione meditata sul rapporto tra la politica e denaro, perchè oggi va di moda impalcarsi a censori senza macchia e senza paura, a pubblici ministeri d'una morale da bar efficacissima per convincere i cittadini che i problemi della corruzione si risolveranno d'incanto azzerando il finanziamento pubblico e dando un potere senza contrappesi e intralci al Movimento 5 Stelle. L'impressione è invece che questa onda di conformismo gridato e rivendicato allargherà ulteriormente le piaghe morali e la ricerca di fondi illeciti, con la differenza che diventeranno sempre più raffinate le tecniche di corruzione e le modalità di elargizione delle tangenti. Diversamente da quel che immaginano i nuovi illusi non si profila nessuna onestà di massa ma soltanto un livello più sofisticato di pratica corruttiva, come spiegò mirabilmente Sergio Cusani nelle molte udienze del processo per la maxitangente Enimont. E' quindi necessario riformare le norme sul finanziamento pubblico dei partiti in una logica di riduzione del danno, affermando un'idea liberale di moralità, fondata sui limiti e sui perimetri delle leggi e non su un'idea di onestà imposta e affermata per decreto statale. Per riflettere seriamente sul tema occorre innanzitutto evitare di mettere tutto nello stesso calderone indistinto dei "costi della politica", perchè è proprio il calderone lo strumento che consente ai nuovi demiurghi di accendere le fantasie vendicative del popolo prima complice del sistema e pieno di servo encomio e oggi indignato e offeso e dedito al codardo oltraggio. E' vitale e decisivo distinguere. Ad esempio tra rimborsi elettoriali ai partiti e trattamento economico dei parlamentari, che oggi vengono mescolati e confusi ad arte come tratti di una medesima vocazione truffaldina. Dimenticando, ad esempio, che in tutti gli stati democratici il trattamento economico dei parlamentari è intimamente legato all'esigenza di assicurarne l'indipendenza, la libertà di espressione e di voto, ossia l'esercizio di una funzione costituzionale da svolgere senza dipendere da altri soggetti, incluso il partito politico a cui il parlamentare appartiene. Ma, come dicevamo, questo sono tempi di iconoclastia e di sfascismo, rivenduti come necessità morali e igiene sociale. E siccome Ifigonia in Culide saggiamente ci ricorda che "tutte le vergini dai candidi manti son rotte di dietro e sane davanti" c'è sempre chi, di bianco vestito, arriva e lancia la sfida dello stipendio dimezzato, come se la funzione di palamentare, ossia di legislatore, non sia il servizio supremo dispensato in una democrazia parlamentare, ma un fare abusivo da cui prendere in ogni modo le distanze. Magari bleffando sulla realtà perchè quando taluni sostengono di essersi dimezzati lo stipendio portandolo a 2500 euro, si acconciano a raccontare un frottolone pinocchiesco. Se, ad esempio, prendiamo il Senato la retribuzione di un senatore si compone di diverse voci: 5.300 euro netti mensili di indennità parlamentare, corrispondente alla remunerazione funzionale a cui fa riferimento la Costituzione; 3.500 euro di diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno; 2.090 euro a titolo di rimborso delle spese effettivamente sostenute nell'attività parlamentare e politica, per cui è previsto l'obbligo di rendicontazione con cadenza quadrimestrale; 1.650 euro di rimborso forfettario delle spese generali, che sostituisce e assorbe i preesistenti rimborsi per le spese accessorie di viaggio e per le spese telefoniche. Aquesto andrebbero aggiunte le cosiddette "facilitazioni di trasporto" visto che durante l'esercizio del mandato, i Senatori usufruiscono di tessere personali gratuite per i trasferimenti sul territorio nazionale con aerei, treni, mezzi marittimi e sulla rete autostradale. Complessivamente quindi un senatore percepisce circa 12.500 euro al mese che, vista la funzione di un legislatore in una democrazia parlamentare, non costituiscono, a mio avviso, motivo di scandalo nazionale. Quel che scandalizza è invece l'inganno moralistico di chi si taglia 2.500 euro di indennità parlamentare e grida virtuoso al dimezzamento dello stipendio, omettendo tutte le altre voci di remunerazione. Considerando che un parlamentare del Pd o della Lega - tanto per fare un esempio - versa circa 2.000 euro mensili al partito, il virtuoso parlamentare grillino porta a casa quanto i colleghi degli altri partiti, da lui vituperati e condannati di fronte a un'opinione pubblica disposta a credere agli asini che volano e ai diavoli che muoiono dal freddo. Come sempre, ma sempre a tempo determinato. Insomma, niente di nuovo sul fronte occidentale.
Per evitare che qualcuno venga a contestare le mie cifre allego il link alla pagina del Senato da cui sono tratte. Con una calcolatrice in mano fate due conti, considerate i 2000 euro che i parlamentari versano ai propri partiti e conteggiate il tutto. Vi accorgerete che i parlamentari grillini prenderanno circa 500 euro in meno degli altri e circa 11.000 euro complessivi. A me va benissimo così. Ma non la si chiami rivoluzione per favore!! http://www.senato.it/1075?voce_sommario=61
Per evitare che qualcuno venga a contestare le mie cifre allego il link alla pagina del Senato da cui sono tratte. Con una calcolatrice in mano fate due conti, considerate i 2000 euro che i parlamentari versano ai propri partiti e conteggiate il tutto. Vi accorgerete che i parlamentari grillini prenderanno circa 500 euro in meno degli altri e circa 11.000 euro complessivi. A me va benissimo così. Ma non la si chiami rivoluzione per favore!! http://www.senato.it/1075?voce_sommario=61
9 marzo 2013
Ballelli si dimette: un passo indietro per conservare
All’inizio erano soltanto voci non confermate. E allora ho chiesto lumi direttamente all'interessato, Giampaolo Ballelli, segretario del Pdl, che in questa intervista annuncia le sue dimissioni e la richiesta di un azzeramento generale del gruppo dirigente regionale e provinciale del Popolo delle Libertà. Giampaolo è un riformista che conosce bene le regole e le consuetudini della politica, i calici amari e e le pause sabbatiche, la pazienza democratica e il desiderio ricorrente di gettare la spugna. L’esatto contrario di quel che propongono le nuove genti, intrise di militanza e di scalate al cielo, che non hanno ancora compreso come la politica sia più un vizio dell’anima che una virtù civica. C'è un passaggio dell'intervista dove il riformatore moderato lascia il campo alla passione ardente, quando si parla di politica della bellezza e della genialità del conservare. Se le dimissioni di Ballelli libereranno questo sacro fuoco non saranno state rassegnate invano. (GPS)
Giampaolo circolano voci in merito a una direzione provinciale del Pdl piuttosto drammatica. E’ vero che è stato chiesto l’azzeramento dell’intero gruppo dirigente provinciale e regionale del partito? Il 4 marzo direttivo provinciale si è cimentato con l’analisi del voto. Era presente anche il coordinatore regionale e neo senatore Ceroni di cui ho chiesto le dimissioni da coordinatore regionale perché il suo comportamento nella formazione delle liste ha inciso molto nella pesante sconfitta elettorale subita dal PDL nelle Marche. La legge elettorale è quella che è ma non è corretto dire che il Porcellum va bene se in testa di lista ci sono persone gradite e invocare il rispetto della "democrazia" quando ciò non accade. Ho chiesto le dimissioni di Ceroni perché ha utilizzato la posizione di Coordinatore Regionale per trattare la propria "poltrona": ha usato l’elenco degli iscritti sollevando un "caso" e con sms inviati a tutti ha minacciato "polveroni", contestando la penuria di candidati locali nelle liste del Pdl solo quando è stato collocato nella lista della Camera in una posizione di non sicura elezione e dichiarandosi soddisfatto solo togliendo a Casoli la seconda posizione nella lista del Senato. Francesco Casoli ha dimostrato le sue qualità di persona seria non solo accettando il passo indietro ma anche facendo una campagna elettorale onesta e leale nei confronti del partito. Passate le elezioni tuttavia non si può tacere sul comportamento di Ceroni e per questo ho chiesto le sue immediate dimissioni da Coordinatore Regionale. Nella riunione ho anche chiesto l’azzeramento dei Coordinamenti Provinciali e Comunali e di sapere se sono stati utilizzati soldi dei rimborsi elettorali, chi li ha gestiti e se sono rendicontati nel prospetto delle spese.
Ti faccio una domanda che mi sembra naturale alla luce di quello che dici. Giampaolo Ballelli resta in sella come segretario del Pdl di Fabriano o rassegnerai le dimissioni anche tu? Nella riunione del 4 marzo ho chiesto un azzeramento di tutti i vertici per ricominciare, quindi mi ritengo dimissionario dal 4 marzo.
Proiettando i risultati delle elezioni politiche sulle comunali – e come sai bene è una forzatura – il Pdl resterebbe fuori da un eventuale ballottaggio. Il centrodestra fabrianese è destinato a svolgere una funzione politica marginale o ci sono margini per ricostruire uno spazio di manovra? Ogni elezione è una storia a sè. La "marginalità" di un movimento politico è figlia di due fattori. Il primo è sicuramente legato al risultato elettorale. Il secondo dipende dall’incapacità di selezionare una classe politica capace e coscienziosa. Altro fattore di marginalità è la patologia, propria del centro destra, dello psicodramma. Nell’ultima tornata elettorale per il comune, tenutasi nel momento di massima flessione del Pdl, quando sembrava che il partito dovesse finire in pezzi, abbiamo aperto alla società civile. Uscivamo da un consiglio comunale formato da trenta membri ed avevamo tre consiglieri. Grazie alla legge Tremonti, che ha attuato tagli veri alla politica, ora abbiamo un consiglio con 24 eletti. La nostra coalizione, dopo essersela giocata al ballottaggio, ottiene quattro consiglieri, tutti iscritti al partito. Un vero successo se penso che a Jesi, dove il Pdl ha scelto di correre solo con il simbolo di partito siamo praticamente scomparsi. Invece qui ci siamo incagliati su chi era, o meno, titolato a utilizzare il simbolo del Pdl, sui capricci di qualcuno tanto assente quanto desideroso di rivestire i panni di "capogruppo". Un argomento di lana caprina che, in una città con enormi problemi economici e occupazionali, mi ha fatto veramente vergognare. Se i nostri problemi prioritari sono questi, voti o no, non conteremo mai nulla.
Non pensi che possa essere interessante mettere il Pdl al servizio di un’area civica capace di interpretare un ruolo di terza forza attrattiva per chi non vuole morire né democristiano né grillino? Ne sono profondamente convinto ma servono due condizioni. Il Pdl deve essere riformato e credo sia ora di lasciare spazio ad altri, ai giovani, alla società civile, al volontariato. Poi dobbiamo darci regole interne, chiare e senza eccezioni. Penso serva stabilire immediatamente che chi ha incarichi di partito non ricopra cariche elettive e chi ha più di due, massimo tre legislature di fila, semplicemente non va in lista. E poi proibire i doppi incarichi e attuare una politica intesa come servizio alla collettività, escludendo ogni forma di finanziamento pubblico dei partiti. Serve, in buona sostanza, un progetto che nasca dalla condivisione dei programmi, dalle relazioni con il territorio, città, frazioni e dalle scelte dei cittadini e delle associazioni.
Il risultato dei grillini è difficile da decifrare pure nel contesto fabrianese. Consideri il 5 Stelle un’opportunità o una minaccia per il futuro politico della città? Non considero il partito di Grillo una minaccia, anche se vedo in alcuni una militanza esasperata. Mi auguro che sia un’opportunità ma sono scettico e deluso. La loro forza è anche la loro debolezza. Possono incidere sulla città e nel Paese solo se raggiungono il 50 per cento più uno dei voti. Non si rapportano con nessuno, non hanno possibilità di alleanze e in attesa della "maggioranza assoluta" - risultato non impossibile ma difficile assai - lasciano precipitare la situazione. Prendiamo Fabriano: se al ballottaggio fosse andato il 5 Stelle - che proponeva come la nostra coalizione il recupero ambientale completo del fiume Giano, bocciava l’utilizzo dei terreni della scuola agraria per la nuova casa di riposo, promuoveva un nuovo e moderno piano del traffico (vale a dire tre punti fondamentali per la città sui quali da anni ci battiamo) - io avrei votato e fatto votare per Arcioni. Non tutti gli elettori di centro destra lo avrebbero fatto, ma buona parte si. Si provava il cambiamento, anche rimanendo all’opposizione, perché il bene della città viene prima del partito. Il 5 Stelle, al contrario, ha dato un’indicazione chiara per l’astensione che al ballottaggio è un voto a favore di chi partiva in vantaggio, ossia di Sagramola. Sia detto per inciso: la loro scelta è perfettamente legittima ma ora, passato un anno dall’ingresso in Consiglio Comunale, che hanno ottenuto? Cosa hanno cambiato a Fabriano? Nulla. La casa di riposo verrà costruita sui terreni dell’agraria; il Giano sarà di nuovo "tombato" e i ponti medioevali saranno intonacati col calcestruzzo e la nostra è l’unica città d’Italia che ha dimezzato l’area pedonale invece di ampliarla. Quando - e se verrà - il momento di un Sindaco del 5 Stelle al governo della città le potenzialità innovative saranno invece irrimediabilmente perdute o compromesse.
Come giudichi il comportamento del Pd? Non ha candidato nessuno alle politiche e nonostante lo scoppolone anche locale non ha avviato la minima discussione interna. I partiti sono ossi di seppia o organismi che possono dare ancora qualcosa al Paese. Credo sia opportuno per tutti noi leggere il nuovo libro di Piero Sansonetti sulla politica italiana e riflettere sui nostri errori. Per il Pd fabrianese penso non sia semplice perdere Maria Paola Merloni e far finta di niente. Sono convinto che il dibattito interno sia in corso a Fabriano come a ogni livello. Il PD, ancora una volta, paga pegno alla propria supponenza, alla superiorità "antropologica" teorizzata da Eugenio Scalari che ha portato a demonizzare gli avversari inceppando ancora la "gioiosa macchina da guerra". Bersani ha voluto spostare il suo asse politico a sinistra, stringendo un accordo con Vendola, anche in funzione anti Renzi. Molti elettori e dirigenti del PD, convinti che basti infilarsi "Repubblica" sotto al braccio per essere degli intellettuali, si trovano ora "incartati" nei loro stessi pregiudizi. Matteo Renzi ha dichiarato che in un paese normale ci sarebbe già un governo di scopo, fatto dal Pd e dal Pdl. Se i Governi li fanno i partiti certo, ma qua si guarda agli uomini, e si teorizza l’attacco alla persona. Allora meglio tornare alle urne.
Torniamo al paesello. La sensazione è che quella del Sindaco sia ormai una sede vacante, in una città sempre più colpita dalla crisi. Quale evoluzione del quadro politico immagini: immobilismo, rimpasto o elezioni anticipate? Prima avevamo Roberto Sorci che interveniva su tutto ed era sempre in piazza. E forse per questo sembra che si sia creato un vuoto. Considero Roberto una persona intelligente, politicamente scaltro, oltre che grande conoscitore della macchina amministrativa. Tenuto conto che sul Giano, sulla Casa di Riposo e sul Piano del Traffico eravamo – e siamo – su fronti opposti questo non è un complimento ma la constatazione di un ostacolo insormontabile. Almeno per ora Sagramola non ci ha raccontato la favola dei Cinesi e se cadrà sarà a causa di problemi interni. L’opposizione è troppo variegata e politicamente divisa. Solo il Pdl con le liste civiche di coalizione ed il Movimento 5 Stelle sono realmente all’opposizione. Gli altri fanno melina, condizionati da troppi legami politici con la maggioranza. Serve un’opera di chiarimento a Fabriano, una nuova casa dei riformatori moderati, un moderno movimento dei conservatori.
Ragioniamo per un istante di politica nobile. Ci è capitato spesso di parlare degli effetti negativi che la perdita del concetto di bellezza genera sullo spirito pubblico. Da professionista della bellezza quali interventi immagini per la nostra città? La bellezza è un elemento concreto, economico, di qualità della vita. Purtroppo Afrodite è una Dea capricciosa, si nasconde alla maggior parte degli uomini, specie se sono nati nella città dei Fabbri e dei Cartai. I progetti sono molti ma uno è prioritario su tutti: la conservazione delle nostre bellezze e delle nostre testimonianze di civiltà. Essere dei conservatori, nella vita come nella politica, non vuol dire essere immobili, tutt'altro. Conservare il bello non è solo un mestiere – come lo è per me - ma un modo di pensare e di vivere. Se conservi la città salvi le relazioni tra le persone. Questi rapporti positivi si manifestano, prima di tutto, nello spazio urbano e sono favoriti quando, come nei centri storici, qualità e bellezza sono tangibili e danno una gerarchia all’architettura. Sono gli spazi di relazione nel tessuto urbano che danno la forma alla città antica. È nella forma della città e del suo territorio che i comportamenti umani nascono, si riproducono e migliorano. Annullare la ricchezza del passato, come sta per succedere ai nostri ponti medioevali a causa di un progetto scellerato, in favore della monotonia di un presente ottuso, che applica senza cultura e spirito critico formule di consolidamento strutturale a dei monumenti (sic!) ci porta dritti a consumare, buttare, rifare. In una parola all'odierna società dei consumi, alla continua insoddisfazione dell’individuo, all'illusoria ansia di possedere e distruggere. Ripeto: il primo intervento per la bellezza della città è conservare.
Tu, come me, sei culturalmente un uomo di partito. Abbiamo ancora qualcosa da dire o siamo totalmente anacronistici e quindi destinati a sparire? Attualmente ritengo che il partito più organizzato e militante sia il movimento 5 stelle, altro che chiacchiere. Non siamo anacronistici perchè lealtà, onestà, sobrietà e serietà non passano mai di moda. Non serve rottamare le persone, magari in ragione della loro età. Quello che è urgente, quello che si deve subito rottamare, senza se e senza ma, sono i comportamenti sbagliati. Ho visto comportamenti sbagliati - per non dire peggio - messi in atto da giovani, da persone senza alcuna esperienza politica o di partito. Le hanno fatte talmente grosse da far rimpiangere molti uomini della "prima repubblica".
Dopo le dimissioni cosa prevedi: un periodo sabbatico, ancora militanza o altro che possa essere utile per la nostra comunità? Sono convinto che alcuni eminenti iscritti al Pdl siano convinti che se mi tolgo di torno sia molto meglio, soprattutto per loro. Ma francamente me ne infischio. Certo, guardare le cose da lontano, fuori dalla mischia, aiuta a capire meglio i problemi. Di sicuro continuerò a lavorare per la comunità, per le battaglie e i principi in cui credo, appoggiando tutto quello che di buono andrà maturando, indipendentemente da chi lo propone. Continuerò soprattutto per le donne e gli uomini che mi onorano della loro amicizia nel partito e nei movimenti. Sai, Gian Pietro, penso che la politica sia come il fumo, qualcuno riesce a smettere, altri no.
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