Qualche giorno fa, dopo la notizia sulla cassa integrazione
fino ad agosto per circa mille dipendenti Indesit, è è circolata la voce che i
manager della multinazionale fabrianese si sarebbero ridotti del 10% la
retribuzione, così giusto per dare un segnale di condivisione e compartecipazione ai
sacrifici delle maestranze e dei colletti bianchi. Un taglio sostanzialmente
irrisorio, un una tantum dal mieloso sapore di palliativo,
un'esibizione di politically correct svincolata da qualsiasi criterio di
progressività, con il paradosso che la cassa integrazione taglia ai lavoratori
il 20% della retribuzione mentre i manager, bontà loro, solidarizzano col 10%
calcolato su stipendi di tutt'altro livello e sostanza. Insomma una foglia di
fico che, c’era da immaginarselo, è stata immediatamente presa sul serio dal
sindacalista di turno, che si è precipitato a dichiarare apprezzamento e gioia
per questa condivisione compassionevole, e un tantino ridanciana, di sacrifici ed
economie aziendali. Ma al di là di queste piccole manovre di fumisteria
mediatica, quel che accade in Indesit costituisce un barometro mentale, l’unità
di misura di una pressione che si scaraventa direttamente sulla città, una
sorta di appiglio e di linea del Piave psicologica tra resistenza e declino. Ed
è anche per questo che la città si domanda con insistenza se il quartier
generale resterà qui o se invece migrerà a Milano, se le voci di vendita ad
altri player internazionali preludano a dismissioni o se invece i Merloni
intendano tenere in piedi – a dispetto della crisi e dei mercati - un
esperimento di capitalismo familiare di successo. Ed è su questo gioco di
domande senza risposte certe che si collocano anche altre voci che trapelano dal palazzone delle
Cortine. I lettori ricorderanno che, circa a metà di gennaio, Maria Paola Merloni smentì le voci relative alla
vendita del gruppo Indesit, insistendo nel contempo sull'intenzione unanime della famiglia di
mantenere il controllo del gruppo. Questo punto fermo di visione avrebbe trovato la sua
concretezza in un cambio al vertice, con la sostituzione di Andrea Merloni con Mario Consiglio alla presidenza, un professionista storicamente vicino
alla famiglia. Ma quella soluzione sembra essersi arenata, segno di una
pacificazione familiare nuovamente in bilico. Il che forse spiega perché il
nome di Consiglio sia sparito di scena a vantaggio di una possibile soluzione
Caio, che fu amministratore delegato dell'allora Merloni Elettrodomestici dal
1997 al 2000 e che ricopre, attualmente, la carica di consigliere indipendente
nel consiglio di amministrazione di Indesit Company. Una presidenza Caio, pare
caldeggiata da Maria Paola Merloni, darebbe vita a una difficile e complessa
convivenza con l'amministratore delegato Milani, che resterebbe al suo posto anche
a garanzia delle posizioni dell’attuale Presidente Andrea Merloni. Il che
prefigura una diarchia quasi consolare al vertice del gruppo, a riprova che la
conciliazione all'interno della famiglia non era il frutto di una pacificazione
sostanziale ma di un disarmo concordato che inquadra e racconta il persistere
di divergenze strategiche nell’ambito della proprietà. E di questo conflitto a
bassa intensità Fabriano – intesa come luogo e come quartier generale del
gruppo - è soggetto inerte ma, nonostante questo, stranamente al centro della
scena.
28 marzo 2013
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E' un peccato. Un peccato che le nuove generazioni non vogliono osare, non vogliono provare a percorrere strade non scontate. Hanno mezzi e conoscenze per poter esprimere qualcosa di diverso ed è triste vedere soluzioni non illuminanti che tendono solo a conservare ciò che la vita gli ha riservato. Una conservazione senza sviluppo, senza valore aggiunto. Non ne faccio una riflessione ad personam ma piuttosto generica riferita a chi in questo momento possiede mezzi e opportunità per creare uno strappo al lento declino che stiamo vivendo. Credo che in fondo al di là della legge inesorabile dei numeri che devono quadrare esiste in ognuno di noi un desiderio recondito di voler contare di più di voler esprimere e voler lasciare a futura memoria qualcosa che possa servire al territorio, alle persone che ci circondano, che si rifà ad un pizzico di senso comune che non dovrebbe mai venire meno. In fondo cosa ce ne facciamo della ricchezza se ad usufruirne siamo soli se non lo condividiamo. Sono stanco del tutti contro tutti e del cinismo, sono stanco del pragmatismo che sfocia al breve termine e dei pseudo confronti destinati solo a allargare divari. Non si tratta di sognare si tratta di non porci limiti e di tentare di cambiare un decorso che sappiamo benissimo dove ci porterà. Basta menzogne e mezze verità e basta sopratutto con il giocare con le persone.
RispondiEliminaPurtroppo la responsabilità sociale d'impresa è già di suo una chimera..figuriamoci in una fase in cui la politica è tecnicamente morta
RispondiEliminaCondivido sulla responsabilità sociale dell'impresa che purtroppo manca nel nostro Paese. Era l'11 febbraio del 2011 quando ho scritto un articolo sull'argomento: "Si parla molto del costo del lavoro ma pochissimo, se non affatto, del profitto. Si discute spesso di economia del sociale, di reddito da lavoro, di gabbie salariali, ma non si parla mai, perché tabù, dell’economia del profitto. In culo all'art. 35 della Costituzione dove “La Repubblica tutela il lavoro ……. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori…… Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni …… intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro, o all’art. 36 dove: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Gloria agli utili che si trasformano in dividendi ai soci – rendite finanziarie – finanza creativa ovvero: + guadagni – paghi.
RispondiEliminaIn Germania si dà molta importanza alle due economie: del sociale e del profitto. In Italia manca la responsabilità sociale dell’impresa.
Il problema è tutto qui. Ci sono nazioni che applicano una economia del sociale: i soci rinunciano ad una parte dei profitti per premiare il dipendente che è quindi remunerato adeguatamente: è motivato, non sciopera, non fa l’assenteista, insomma non rompe i coglioni all’imprenditore che può concentrarsi sul prodotto, sulla ricerca, e sul marketing. Nei Paesi dove si applica l’economia del profitto, si socializzano le perdite, si delocalizza, dando la colpa all’alto costo del lavoro, e si privatizzano gli utili".
Maurizio Corte
Condivido entrambi ma il problema non è solo di responsabilità sociale che possono anche rispedire al mittente ma è anche l'assoluta mancanza di inventiva. IL non sapere e non riuscire a creare nuova impresa, non avere la più pallida idea dove e come investire (se non in maniera speculativa a livello solo finanziario). E' questo l'assurdo. Non si coglie il cambiamento e non si analizzano i nuovi fabbisogni e dove non esiste questo dovrebbe esistere una potenza di fuoco distributiva e di rafforzamento del marchio che dovrebbe sopperire alla mancanza di innovazione di prodotto. Percorsi difficili sicuramente ma non perseguirli coincide con il suicidio.
RispondiEliminaCondivido con l'anonimo delle 14:39 la frase "E' assurdo il non sapere e non riuscire a creare nuova impresa, non avere la più pallida idea dove e come investire".
EliminaEd è proprio per questo motivo che ho postato, sul profilo del Governatore, la mia previsione che quei 35 milioni di euro dell'accordo di programma (per creare nuova impresa, nuove idee occupazionali ecc.), non saranno mai spesi. Ed ho anche suggerito come utilizzarli. Ma .....
Maurizio Corte
Credo che il ruolo dei figli sia più temuto che desiderato . Hanno totalmente sconvolto la vocazione familiare e naturale al comando e ormai i fabrianesi non riconoscono più in loro un punto di riferimento certo , un principio di autorita' ne un modello da imitare. Finisce un "regno" proprio quando inizia un'età' di incertezze!! A.T
RispondiEliminaVocazione familiare in cui magari veniva scelto l'amico ? Preferisco allora una vocazione dove si guardano i numeri e si guarda al merito.
RispondiEliminaquoto tutto !!!
Elimina= Papi mi compri le figurine?
RispondiElimina- eccoti la Panini figliolo
= Papi mi compri il motorino?
- ti do la Benelli, ma non la rompere com l'altra, va bene?
= papiii, ci sono le zanzare, mi pungono :(
- eccoti la wr@p, usa il suo potere fluorescente e le stronzatelle elettriche che ci sono in quel cubo viola per friggerle
= papi, sono cresciuto, voglio la lavatrice
- va beh, prenditi la fabbrichetta mia così hai pure il frigo e il forno
= papi, mo che devo fa? papiii, papiiii perché non rispondi? Che palle qua, che noia, Ambrogio portami a Milano per l'ape con la Francy e la Vane
..to be continued...
Papi mi piacciono gli aperitivi eccoti il bar
Eliminahahahahaha
Se il padre non risponde è perchè probabilmente è malato ? Bella figura che fai anonimo senza balle. Sai cosa fa la wr@p ? lo sai che è un centro progetti ? e che gli ingegneri che ci lavorano sono pagati ? oppure pensi che chi lavori li sia demente ? Sai che la Indesit Company è una multinazionale e che le decisioni non vengono prese da un solo uomo ?
EliminaGrande intelligentone nessuno ha ironizzato sul padre sai leggere ? O sei solo concentrato sulle balle
Eliminami dispiace dirlo (da dipendente indesit)ma ho paura che questa storiella del "papi"sia la triste realtà.
Eliminaè facile criticare e scrivere un sacco di cazzate ....molto facile ...è molto piu difficile capire ...ma certo ..per capire occorrono la conoscenza e l'intelligenza e qui scarseggiano !! e poi penso che l'invidia sia peggio del tumore ....una malattia della quale soffrono in molti e che è difficile , purtroppo , da curare ! ciao A.
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