Il post sulla Fabriano che
risorge di sabato sera ha stimolato commenti contrastanti e di diversissima natura. Alcuni più
profondi e meditati; altri più istintivi e viscerali. E, come spesso accade, è
proprio l’asprezza dei commenti negativi a risultare più istruttiva e
rivelatoria, perché attraverso di essa si intravedono nuclei di pensiero in cui
la conservazione dell’esistente si connota come richiamo urgente e primario. Il
ragionamento sviluppato nel post era, sostanzialmente, legato a una sensazione:
i fabrianesi più giovani e quelli delle generazioni di mezzo stanno producendo
un’istintiva e inconsapevole strategia di sopravvivenza alla crisi della città;
una risposta inconscia, incentrata su una socialità di tipo ludico e non
partecipativo che, consolidandosi, potrebbe determinare una vera e propria
riscrittura culturale e urbanistica della città e un cambio di percezione degli
spazi e del loro utilizzo. La socialità ludica – ossia fine a se stessa - è
davvero la quintessenza dell’antifabriano, perché la nostra è una realtà in cui
il sistema delle relazioni si è strutturato sul primato delle transazioni,
ossia sul valore di scambio delle frequentazioni, sui vantaggi possibili dei
rapporti e su un materialissimo do ut des.
Ed è straordinario ed emblematico che sia proprio la socialità ludica e non il
commercio a configurarsi come l’elemento di traino rispetto a questo barlume di
cambiamento. E’ naturale, quindi, che in molti abbiano cercato di sminuire, di
ridurre questo visibilissimo fenomeno a sbronza collettiva e a improvvisato
baccanale, ovviamente rimarcando che mai e poi mai la socialità ludica sarà
sostitutiva dell’ordine militare della fabbrica e delle sue massicce e strutturate
economie. Tema, quello delle alternative economiche, che l’autore del post non
ha trattato neanche di sfuggita, ma che sta diventando una sorta di mazza
ferrata con cui costringere la città a riversare lacrime ininterrotte addosso alla
sua crisi. Ogni spunto, ogni attività e ogni proposta che non prevedano
lamiere, stampi e cablaggi vengono seppellite da una vera e propria litania
ferrigna secondo la quale la disoccupazione di massa non può essere riassorbita per il tramite
di enoteche, locali e musica dal vivo. Un’ipotesi che nessuno suppone e propone,
ma che fa presa, istintiva e corale, sui cervelli più sensibili alle quantità e su quelli ossessionati dal
timore di una città che approfitta della crisi per vivere diversamente anche le
proprie difficoltà e per chiudere col vecchio postulato conservativo “o Merloni o
morte”. Se apre un locale dobbiamo cominciare a pensarlo come occasione
aggiuntiva di socialità e non come una risposta ovviamente minimalista alla disoccupazione
di massa e alla crisi del fordismo merloniano. Fabriano è vissuta in un lungo e
stagnante bipolarismo urbanistico: da un lato il magnetismo esercitato dagli stabilimenti
produttivi, che ha favorito la nascita di quartieri senza disegno e senza
anima come Santa Maria; dall’altro un centro storico ridotto alla sola Piazza
del Comune. La crisi ha tramutato gli antichi e gloriosi stabilimenti in pezzi di
archeologia industriale e ha consumato l'attrattività sociale e commerciale della Piazza
principale. Il nuovo bipolarismo della crisi si focalizza sull’area del centro
commerciale e su un centro storico che tenderà, invitabilmente, a recuperare e rivitalizzare la
straordinaria medina dei Vicoli del Piano e tutta l’area che si trova a ridosso
del Giano scoperchiato, con un probabile focus sui Vicoli del Borgo e su entrambi i lati di via
Ramelli. Sono cambiamenti di impronta culturale e urbanistica che vanno colti
e interpretati, per i mille riflessi concreti che possono generare. Ridurre un
cambiamento forse profondo agli effetti collaterali della ragazzina ubriaca che vomita
è riduttivo e fuorviante. Così come è insensato rinunciare al poco che può
nascere perché quel poco non è sufficiente a compensare il tanto e il tutto che si è perduto.
24 marzo 2014
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il bipolarismo urbanistico secondo me merita un approfondimento
RispondiEliminaBravo Sinometti lo capisci da solo è così il baccanale di primavera ha risvegliato i tuoi bollori di gioventù e no caro mio non te la cavi con l'aperitivo in vie traverse, la cultura è bel altro è rosso "mal pela", il turismo dei 25000 "ringalluzziti" e le strutture per la 6°età-tech, ovvia la foto ricordo in fogna aperta, mi duole scriverlo ma quello che c'è da fare non si fa, mancano le infrastrutture, avrei visto meglio un investimento in un bel parco divertimenti per adulti. E inutile che ti batti tanto il petto e sbatti il boccale "oste dacce da beve" il dna è metallurgico e non si cambia in un week-end, caro il mio Peter Pan del sabato notte qui tutti a sbandierare idee creative ma poi alla fine manca una sola cosa il LAVORO.
RispondiEliminaConsiderato che di solito passo il sabato sera con i miei figli di 8 e 11 anni è assai difficile che possa essere protagonista dei "baccanali di primavera". Ma a differenza tua non guardo con disprezzo quanto avviene nella città in cui vivo. La differenza tra chi è metalmezzadro e chi no si vede anche da questo
RispondiEliminaPossono aprire anche 100 locali, la gente che ci bazzica è sempre quella. Faranno una volta a settimana a locale, perchè scordamoce che la gente de fori vene a Favrià a fa la serata.
RispondiEliminaAdesso lo capisci Simonè perchè stamo messi così. Ci vorrà almeno una generazione perchè la mentalità del metalmezzadro, col lavoro che il padrò gli fa piovere dal cielo, possa essere superata. Un plauso invece ai titolari dei nuovi e dei vecchi locali del centro storico.
RispondiEliminaE' finita.... mettetevelo in testa osannatori del dna metallurgico, della manifattura facile, della vita trascorsa a mettere le stesse viti accompagnati dallo stesso rumore continuo della linea di montaggio. E' finita, si è chiuso un ciclo storico che sicuramente non avrà un riciclo per almeno i prossimi 50 anni. non facciamoci illusioni, come diceva una famosa canzone "prima o poi gli altri siamo noi" e adesso è toccato a noi di perdere il lavoro, diventare poveri, non avere soldi per il superfluo e peggio verrà. Ma per favore non denigriamo chi queste cose ha il coraggio di spiattellarle in faccia e nemmeno chi sulla propria pelle di questi tempi azzarda l'apertura di un nuovo locale. Tanto di cappello.
RispondiEliminaPAROLE SANTE!!!!
EliminaSinceramente non capisco i commenti negati. Nessuno dice che questi piccoli semi risolveranno tutti i problemi della città o siano il meglio del meglio, ma non può che far piacere vedere una certa vitalità "spontanea" nel centro storico. Per il resto sarà la storia a dimostrare le cose....
RispondiEliminacerto è meglio una città che vive con la cassa integrazione. Quella sì che è una città vivace e proiettata nel futuro
RispondiEliminaCari metalmezzadri, lo sapete che esistono città che hanno intere vie lunghe il doppio e il triplo del Corso fabrianese che sono piene di locali? In queste vie si alternano pizzerie, birrerie, ristoranti, vinerie e pub, senza l'ombra di un negozio di abbigliamento. No, non lo sapete perchè, nonostante i soldi che non vi sono mai mancati, al massimo siete andati alla notte bianca di Senigallia! Continuate a piangere sulla cassa integrazione che prendete spaparanzati sul divano, facendovi mantenere da quei 4 gatti che ancora lavorano e che già devono mantenere la propria famiglia oltre alla vostra, invece di sostenere almeno moralmente questi coraggiosi che provano a proporre qualcosa nel deserto (soprattutto mentale).
RispondiEliminaE' inutile pensare a Fabriano come una Gubbio in miniatura (giusto per dare un idea a noi vicina). Sino a quando i principi regnano incontrastati sulla "valle degli orti" non cambierà mai niente, prima vi erano le catene ora le CIG. Il risultato è lo stesso, la testa non deve compiere quello sforzo per cui è progettata ovvero pensare !!! Prima c'era babbo Antonio ora mamma INPS, un giorno finiranno anche i denari delle casse integrazioni; solo allora ci sveglieremo dal tepore metalmezzadro. Ma sarà troppo tardi, avremmo nuovi padroni venuti da est con gli occhi a mandorla ed il viso color limone. E rimpiangeremo i bei tempi andati quando babbo Antonio non ci faceva mancare niente.
RispondiEliminaLa notizia di oggi sembra allontanare i cinesi dell'Haier. Mica faranno la fine degli iraniani? Intanto Spacca va in Corea. Coi soldi nostri
EliminaVanno bene anche i coreani, tanto vengono da oriente pure loro, hanno gli occhi a mandorla ...forse sono un pò meno gialli, ma non stiamo a guardare per il sottile. L'importante è che ci credano le masse operaie.
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