Ieri è stato il giorno dello stupore, della rabbia e dell'orgoglio. I sindacati di fronte al pronunciamento del Tribunale del Riesame, che ha confermato l'annullamento della vendita di Ardo a JP, hanno replicato il poco che sono riusciti a combinare in questi mesi e in questi anni: chiamare a raccolta i lavoratori davanti agli stabilimenti che furono della Antonio Merloni. E' una volontà di ritrovarsi nel contempo prevedibole e difensiva, ma il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. Quindi il primo appello alla mobilitazione ci sta tutto. Come ci sta la semplificazione brutale delle responsabilità e l'attacco fasciocomunista ai poteri forti e alle plutocrazie bancarie. Ma quello delle emozioni è un tempo oggettivamente breve per il sindacato, perchè la contrattazione è un gioco di forze razionale e realista, dove le emozioni servono a dare anima alla trattativa ma non possono mai condizionarne le ragioni e il profilo. Invece le federazioni dei metalmeccanici hanno preferito replicare una simbolica "chiamata alle armi" per le sette di stamattina. Così come sembra inutile e disperato il fuoco amico del Governatore Spacca - che sulla vicenda ci si è giocato il terzo mandato - quando fa appello al liberale Renzi per consigliargli un improbabile intervento statalista e assistenzialista. Ma oggi mobilitare è un po' morire, perchè c'è una lezione duplice e durissima da apprendere in fretta e cioè che non si può fare sindacato, rappresentanza e difesa del lavoro restando appollaiati attorno al pronunciamento di un Tribunale e che non si può gridare per mesi, con toni caraibici e un po' castristi, "o Porcarelli o muerte". Fossi al posto di Bassotti, Gentilucci e Cocco - che sinceramente non invidio - smetterei di inseguire sentenze e lascerei Porcarelli ai suoi affari e al suo destino di imprenditore smaliziato e furbo. Il pronunciamento del Tribunale del Riesame ha tracciato una linea netta di demarcazione e tutti dovrebbero ragionare dando per certo l'azzeramento della situazione e il ritorno al punto di partenza, come in un beffardo e drammatico Gioco dell'Oca. Ed è esattamente adesso che serve un minimo di fantasia contrattuale e di pensiero laterale. Se la Cassazione conferma in terzo grado l'annullamento, la palla torna ai commissari che teoricamente dovrebbero riaprire le procedure di vendita. E siccome un bando internazionale andrebbe sicuramente deserto ci potrebbe essere spazio per un'operazione imprenditoriale originale che veda protagonisti - in forma responsabile e volontaria - parte dei lavoratori JP e di quelli che non riassunti da Porcarelli. Ci sono a disposizione 32 milioni di euro dell'Accordo di Programma che non si riescono a smobilizzare perchè le procedure di accesso, di fatto, hanno un timbro orwelliano che vincola, impedisce e scoraggia. Occorre invece il coraggio di usare queste risorse non per creare qualche decina di posti di lavoro a pioggia ma per finanziare un vero e proprio progetto di autogestione dei lavoratori. Con 32 milioni di euro i lavoratori - a seguito di un eventuale e definitivo annullamento della vendita - potrebbero rilevare alcun asset della ex Antonio Merloni e finanziare le operazioni di avviamento di una "impresa etica" - impegnata in settori della meccanica diversi dal "bianco" - che dovrebbe funzionare col sostegno del sistema produttivo locale, regionale e nazionale e con un ruolo di garanzia e di vigilanza etica assolto dalle parti sociali e dalle istituzioni. Su questo versante è in corso una riflessione da parte della Confindustria Ancona e dell'imprenditore fabrianese Urbano Urbani che è stato il primo, qualche mese fa, a illustrarmi le potenzialità e la fattibilità industriale di questa soluzione originale e creativa. Per questo con il pronunciamento di ieri si dovrebbe chiudere anche una fase segnata dal piagnisteo collettivo, dalla rassegnazione agli ammortizzatori sociali e da una cassa integrazione nata per svolgere funzioni di sostegno temporaneo al reddito e via via trasformata in salario minimo garantito ma non dichiarato. Servono nuovi approcci e nuove soluzioni. Ma più di tutto sono necessarie altre teste e assai diverse da quelle che gestito questa infinita e penosa transizione.
30 aprile 2014
29 aprile 2014
Ardo: la bocciatura del Riesame e la storia sbagliata
L’unico dato certo, per ora, è
che il Tribunale del Riesame ha confermato l’annullamento della vendita di Ardo
a JP come già sancito - nel mese di settembre del 2013 – dal pronunciamento
della sezione fallimentare del Tribunale di Ancona. Si tratta di una decisione
per certi versi clamorosa perché grazie all’emendamento del deputato democratico
Lodolini – opportunamente ribattezzato da questo blog Porcarellum – era stato
introdotto un cambiamento della norma direttamente funzionale al ribaltamento
della sentenza che aveva stabilito l’annullamento della vendita. Ed erano tutti
mediamente convinti che stavolta si metteva davvero una bella pietra sopra
tutta la vicenda. La realtà delle cose, come spesso accade, ha sovvertito le
aspettative e adesso sarà sicuramente utile capire e approfondire le
motivazioni che hanno spinto il Tribunale del Riesame a confermare il pronunciamento
di primo grado, sia perché le ragioni allora addotte dal giudice fallimentare
Edi Ragaglia restituivano la sensazione di un dispositivo roccioso e convincente
- probabilmente confermato in secondo grado -, sia per l’”effetto zero”
prodotto dall’emendamento Lodolini, ardentemente richiesto e desiderato dai
governatori di Marche e Umbria. A questo punto è probabile che i commissari e
Porcarelli – spalleggiati da sindacati incapaci di elaborare una posizione
autonoma – ricorreranno in Cassazione, ma va ricordato che non spetta alla
Suprema Corte entrare nel merito della vendita ma soltanto esprimere un
giudizio di legittimità, ossia verificare che il giudice abbia correttamente
applicato quanto previsto dalla legge. Ciò significa che è assai improbabile
che la Cassazione arrivi a smentire l’impianto giuridico di un annullamento
sancito in primo grado e confermato dal Riesame. Certo è che il pronunciamento
del Tribunale del Riesame non sarà immediatamente esecutivo perché nel Decreto
Legge "Terra dei fuochi" n°136 del 10 dicembre 2013, è stato inserito
un paragrafo (art.9, comma 1) – a conferma di una brutale tendenza a cambiare
le regole mentre la partita è in corso - a “salvaguardia della continuità aziendale e
dei livelli occupazionali nelle more del passaggio in giudicato del decreto che
definisce il giudizio”. Ciò significa che fino al definitivo pronunciamento
della Corte di Cassazione i 700 lavoratori riassunti dalla JP continueranno a
usufruire del programma di ammortizzatori sociali previsti dalla cessione di
Ardo a JP. Ma se la Cassazione dovesse confermare, a sua volta, l’annullamento
della vendita, la ex Ardo dovrebbe tornare alla condizione iniziale di soggetto
sottoposto al controllo dei commissari straordinari. Il che aprirebbe la strada
all’apertura del procedimento fallimentare perché è inverosimile anche il solo pensare
a un nuovo e credibile bando internazionale per l’acquisto di Ardo. A quel
punto i lavoratori perderebbero i benefici della cassa integrazione lunga ed
entrerebbero in stato di mobilità, con ricadute sociali di cui ogni fabrianese ha ben
chiara la dimensione e l’impatto. Purtroppo i sindacati invece che riflettere su una
risposta lungimirante hanno subito riaperto il tiro contro le banche, quasi che
la decisione del giudice di secondo grado fosse, a sua volta, il frutto di un condizionamento esercitato dagli
istituti di credito e non invece il risultato dell’applicazione di normative
vigenti a tutela dei creditori. In realtà tutto sanno bene quale sia l’origine
del male: la vendita di Ardo a JP è di suo una storia sbagliata, un’operazione concepita male che ha ceduto, cammin facendo, per debolezza interna e non per un complotto delle banche e della
magistratura. Ma di questo progressivo sbriciolamento, che si è consumato nel
corso di almeno cinque anni, proveremo nei prossimi giorni a ricostruire le
tappe e gli eventi salienti, perché è giusto avere un quadro d’insieme della
vicenda senza limitarsi – come amano fare gli eterni smemorati - a giudicare
soltanto l’ultimo evento in ordine di tempo. Il problema di oggi è dare una
risposta convincente ai lavoratori e alla comunità fabrianese. Se i sindacati e
le istituzioni, una volta tanto, aprissero gli occhi - senza farsi risucchiare dalle
sterili dichiarazioni di sdegno, dalle carovane ad Ancona e dai tamburi di protesta
– si accorgerebbero che, come ha detto stamattina un amico che se ne intende, si
chiude una porta e si apre un portone: un’azione di responsabilità collettiva,
una class action dei lavoratori, e magari anche degli stakeholders a diverso
titolo coinvolti, contro i commissari ministeriali, ossia contro il dicastero
delle Attività Produttive che, a sua volta, potrebbe intentare una causa di rivalsa
contro i vecchi amministratori che si sono succeduti al vertice del gruppo
Merloni. Ma sindacati e istituzioni non arriveranno a tanto perché scegliere questa strada significherebbe far emergere anni e anni di errori e di complicità che hanno segnato la vita del sistema
economico e politico fabrianese. E quando le bombe esplodono le schegge arrivano
dovunque e colpiscono chiunque. Più facile e più comodo gridare contro le
banche cattive: si passa per amici del popolo e non si corrono rischi.
28 aprile 2014
Carifac, Veneto Banca e la DC che non muore mai
I giornali di domenica, primo fra tutti il Corriere della Sera, hanno dato ampio risalto all'assemblea degli azionisti di Veneto Banca che, a seguito della pesantissima perdita di bilancio registrata nel 2013 e delle ispezioni ordinate dalla Banca d'Italia, ha proceduto all'elezione degli 11 membri del nuovo Consiglio di Amministrazione. Nel CdA di Veneto Banca, tra gli altri, è stato eletto, in rappresentanza della Fondazione che aveva diritto a un posto, l'avvocato Maurizio Benvenuto e sul merito di questa nomina ci occuperemo in un post di prossima pubblicazione. Ma l'uscita di scena di Trinca e Consoli ha sollecitato anche un tempestivo intervento dell'ex sindaco Roberto Sorci, storico avversario del vecchio board di Veneto Banca e pugnace oppositore dell'operazione. Con un'anticipazione consegnata al Resto del Carlino, il Sindaco Emerito di Fabriano ha, infatti, annunciato l'imminente pubblicazione di un volume dedicato alla vendita della Carifac a Veneto Banca. Il libro, di cui al momento si ignorano formula editoriale e modalità di distribuzione, è destinato a diventare, sin dalle prossime settimane, oggetto di una polemica politica di cui è facile supporre le dinamiche, prevedere la temperatura e immaginare gli sconfinamenti. Il titolo del libro - che è una novità in una città che tollera soltanto ricostruzioni basate su un minimo sindacale di almeno vent'anni di distanza dai fatti - già restituisce il filo conduttore e una sintesi essenziale dei contenuti: "Una banca acquistata coi soldi di chi vende". Così come non pare esattamente neutrale il probabile sottotitolo dell'opera sorciana, da cui si prefigura una vera e propria chiamata di correità collettiva: "Lo strano silenzio di una città". Conoscendo Roberto Sorci e la sua forma mentis brutalmente retroscenista ci sono almeno un paio di linee metodologiche e di stesura che si possono presumere, anche senza disporre in anticipo del manoscritto: da un lato il probabile ricorso a una concatenazione mirata di dettagli, circostanze, allusioni politiche e "corridoi" informali impastati con l'abilità di un Mino Pecorelli pedemontano e destinati a rivelare un complotto di cui tutti sapevano e tutti tacevano. Tranne uno, ovviamente: Roberto Sorci; dall'altro una ricostruzione incentrata su una contestualizzazione breve, ossia su quanto accadde in quell'arco temporale delimitato dai primi abboccamenti tra i vertici di Carifac e di Veneto Banca e l'ingresso ufficiale dell'istituto del Nord Est nel capitale Carifac. Sviluppare una contestualizzazione di lungo periodo significherebbe, infatti, risalire alla natura e alla storia non certo ortodossamente bancaria e creditizia di Carifac, istituto che - assieme all'Ospedale, al Comune e alle industrie Merloni - fu uno dei quattro pilastri del consenso e del potere della Democrazia Cristiana a Fabriano. Ossia di quel partito di cui Roberto Sorci fu segretario cittadino dal 1985 al 1990, quindi assessore nella giunta Merloni (quella trionfante del 1990) e poi erede politico nei suoi due mandati da sindaco. Una escalation politica frutto non solo di capacità personali e politiche, ma anche di quel sodalizio eterno tra democristiani che, a Fabriano e non solo, è rimasto intatto a prescindere dalle scelte politiche dei singoli e dallo spacchettamento del voto alla Balena Bianca tra Pd e Udc. Parlare di Carifac e della vendita di Carifac significa, quindi, avere la piena consapevolezza che si tratta del declino di un centro di consenso bianco, di un regolamento di conti tra democristiani e di una modifica degli equilibri politici che intercorrono tra di loro. Un po' come, assai più in piccolo, fu la Coop per i comunisti. E da questo punto di vista sarà davvero interessante scoprire la "parentopoli" bancaria su cui l'ex sindaco sembra intenzionato a mettere il dito. Perchè sono proprio le assunzioni, i vecchi concorsi farsa e le ragazze di buona e fedele famiglia spedite agli sportelli della banca la cartina di tornasole di quella governance tutta Biancofiore che fu ragione di clientelismo e di sfascio strutturale e gestionale dell'istituto bancario fabrianese. Quindi il testo di Sorci - al di là del valore documentale e di testimonianza che indubitabilmente sarà in grado di esprimere - non sarà soltanto un utile seppur parziale libro inchiesta, quanto un episodio di guerra sotterranea rispetto alle nuove configurazioni del potere democristiano che la crisi ha purtroppo mantenuto e consolidato. E' assai probabile che l'ex Sindaco non sbagli quando sostiene che Carifac è stata svenduta, ma resta da capire se la cosiddetta svendita sia stata frutto di intenzionalità o di un'ultima spiaggia incentrata su un salvataggio senza alternative. Così come sarebbe utile ricostruire la storia economica di Carifac per comprendere quali politiche di lungo periodo abbiano determinato il contesto di "svendita"", chi sia stato a svuotarla, quali specifiche operazioni di svuotamento siano state compiute e avallate e quale ruolo abbiano giocato, nel destino della Carifac, alcuni grandi gruppi industriali locali e il loro ritenere l'istituto una sorta di sputacchiera buona per tutti gli usi e per tutte le stagioni. Nel libro di Sorci, che questo blog avrà il piacere di recensire e discutere direttamente con l'autore, pare ci sia anche un capitolo dedicato agli appoggi politici a Veneto Banca. Su questo versante offro ai lettori un mio contributo personale perchè credo di essere stato l'unico a dichiarare apertamente il proprio sostegno a Veneto Banca mentre tutti attendevano di capire chi fosse il vincitore e quale probabilità di successo potesse avere la cordata promossa e capitanata da Francesco Merloni. Il 15 ottobre del 2009, in veste di segretario cittadino della Lega Nord, inviai ai quotidiani locali un comunicato stampa di sostegno all'operazione di acquisizione, che riporto integralmente e che a distanza di quasi cinque anni sottoscrivo ancora nelle sue linee generali: "La Carifac ha perso molti treni. Mentre altre casse di risparmio marchigiane si aggregavano l’istituto fabrianese rimaneva da solo convinto di potercela fare. La crisi della Antonio Merloni e dell’indotto hanno rotto l’incantesimo dell’autosufficienza. Oggi la Carifac, per restare sul territorio, ha bisogno di un’altra banca che metta i soldi e tuteli il credito della nostra terra. Per rimanere ancorato al territorio l’istituto perderà un po’ della sua autonomia. Ci dispiace come fabrianesi ma è sempre meglio un po’ di autonomia in meno che un declino sicuro. Meglio una Carifac viva, in un gruppo bancario che garantisce, che consegnata al libro dei ricordi. Le banche devono fare accordi con altre banche, che conoscono il mestiere e possono portare vantaggi ed opportunità. Le altre soluzioni sul tappeto parlano di salvaguardia del territorio ma rientrano nei disegni della grande impresa globalizzata e senza radici e non in quelli dell’artigianato, del commercio e della piccola impresa territoriale. Per queste ragioni valutiamo positivamente l’accordo tra Carifac e Veneto Banca. Non è sicuramente un accordo da applausi ma l’unica soluzione possibile tra quelle che passa il convento. Adesso tocca a Veneto Banca scoprire le carte pubblicamente. I massimi dirigenti vengano a Fabriano, incontrino i lavoratori Carifac, la popolazione locale, la società e le imprese. Perché per fare accordi sul territorio non basta mettere i soldi ma serve innanzitutto il consenso. Dimostrino con le scelte concrete di non agire da colonizzatori e di non essere interessati soltanto a comperare sportelli." Di fatto fui l'unico politico fabrianese a prendere esplicitamente posizione a favore di Veneto Banca e lo feci per una duplice ragione, politica e gestionale: perchè sostenere l'ingresso di un soggetto esterno era l'unico modo di staccare la Carifac dal sistema di potere democristano che aveva affondato Fabriano e l'unica possibilità di farla agire da banca invece che da ufficio di collocamento della Dc. Veneto Banca ha sicuramente tradito le attese e ha agito da colonizzatore focalizzato a crescere per acquisizioni selvagge, ma lo sfascio che aprì la strada alla necessità del salvataggio e a quella vendita non proprio conveniente ha una sola mano e un'unica regia: la Democrazia Cristiana e ciò che negli ultimi anni ne ha preso il posto - in termini di sigle politiche - senza alterarne la continuità e le solidarietà incrociate. E sono davvero curioso di apprendere la versione di Roberto Sorci e di registrare, nel caso con grande piacere, anche la presenza qualche elemento di verità politica e sistemica (1. continua)
23 aprile 2014
Tra Crocetti e BP io sto con Bonafò, futurista de noantri
Sarebbe utile procedere a una
disamina del livello di cultura politica di alcuni esponenti della maggioranza,
perché correlare la drammaticità della situazione cittadina all’inadeguatezza
dei decisori prefigura la certezza di un divario incolmabile tra ciò che
servirebbe fare e quanto viene realizzato
o dichiarato. Prendiamo il segretario del Pd, principale partito di
governo locale. Tanto per dirne una: mentre fioccano le polemiche sul bilancio
partecipativo e sulla formuletta da sagra della trippa, orgogliosamente escogitata
da qualche Bertoldo di paese e spacciata
come modello d’innovazione civica, si viene a sapere che sul BP ha deciso di
dire la sua il giovane segretario del Pd. Speranzosi fino all’ingenuità abbiamo
immaginato le fresche parole del segretario, i suoi inattesi correttivi di
buonsenso, il fiorire di soluzioni creative e di procedure capaci di cancellare
l’impronta geriatrica che governa e orienta il pensiero del centrosinistra
fabrianese. Invece no. Il segretario Crocetti è arrivato per ultimo. Come “amen”.
E si è accodato lesto lesto ma fuori tempo massimo: gli altri decidono,
rilanciano e ritrattano e dopo una settimanella – lemme lemme – giunge Crocetti e ratifica il
deja vu, come se quel suo continuo
annuire innanzi a ciò che gli passa sopra conti qualcosina o come fosse sintomo
di direzione politica il timbro di ratifica che una Giunta disobbediente gli
lascia imprimere su decisioni adottate senza mai troppo discutere. Finora il volenteroso Crocetti ha
perso tutti i treni possibili – convogli di sola andata sia chiaro - per mostrare e
dimostrare la sua stoffa di politico e di rottamatore locale. Lo ha fatto
scegliendo un profilo notarile e assenteista rispetto ai grandi temi che fa a
pugni con il disegno politico che lo aveva condotto alla segreteria del PD e con
il tratto generazionale che dovrebbe caratterizzarne il pensiero e l’azione.
Insomma Crocetti non è rock ma lentissimo. E la posizione assunta sul caso del
Bilancio Partecipativo è esattamente un sintomo emblematico di inadeguatezza
politica, perché come ha ruvidamente sintetizzato un amico, non giri senza mutande
nel pieno di una tempesta di cazzi. Ed è esattamente quel che ha fatto Crocetti,
sostenendo la pacchianata sagramoliana e tiniana sul finto bilancio partecipativo.
Ma se Crocetti incarna la quintessenza di una delusione politica – dato che il mio
iniziale giudizio sospensivo è rapidamente diventato pollice verso – il compagno
Bonafoni, dall’alto delle sue molte primavere, rappresenta il culmine della
goduria. Non a caso qualche giorno fa rivolsi al Pd, via Facebook, un’angosciosa e appassionata
domanda: ma perchè candidate alle Europee la Bonafè quando c’avete Bonafò? E’
un interrogativo irrisolto ma centrale, che trova nuove ragioni nella richiesta
inoltrata dall’Uomo del Dopolavoro F.S. di riaprire al traffico un po’ di
centro storico e di tagliare qualche ora ZTL. Sostiene Bonafò: far circolare un po’ di auto potrebbe
contribuire a rendere meno triste e abbandonato il nostro centro storico.
Posso dire una cosa? Ha ragione il prode Bonafò e, mortorio per mortorio, è
sempre meglio qualche sgassata sotto l’arco del Podestà che una piazza vuota
come in un De Chirico ma senza il fascino di quell’opera pittorica. In fondo il
centro storico di Fabriano è, nell'insieme, un esteso e lussureggiante parcheggio
a cielo aperto. E per completare l’opera manca soltanto il transito permanente in
Corso della Repubblica, un tempo salotto buono e oggi spazio svuotato. A quel punto la bruttura sarà completa in ogni sua piega
e ce la finiremo co sta pugnetta del turismo e delle cose belle. Sia di nuovo
il tempo delle auto e dei motori. Bonafoni futurista, Marinetti de noantri!
22 aprile 2014
Il vestito nuovo del Re Nudo e le 4 Porte scardinate da Giancarlone
18 aprile 2014
Se sugli scrutatori decide Salomone
Si avvicinano le elezioni europee
e puntualmente ritornano le plance elettorali lungo le strade cittadine. Ma più di ogni
altra cosa riemerge, ingombrante e rumorosa come non mai, la questione della nomina degli scrutatori. La normativa ne
delega la scelta alla commissione elettorale del Comune e la discrezionalità del pallottoliere – che è naturalmente frutto non d’arbitrio ma di
selezioni e di suggerimenti a monte – scatena polemiche, per la
verità noiose e ripetitive, sulle migliori modalità di individuazione degli
scrutatori. Le scuole di pensiero che si scontrano - in una gara infinita a chi
fa la proposta più bella e più innocente - sono tre, di cui due ufficiali
e vocianti e una sussurrata e confermata dandosi di gomito e annuendo in camera caritatis: la scuola Medicea, quella dei Recinti
e quella dei Solidali. I Medicei senza se e senza sono quelli che, come per
la scelta delle cariche pubbliche nella Firenze rinascimentale, puntano tutto
sullo “scrutinio a tratta”, ovvero su una nomina degli scrutatori come frutto di
un sorteggio direttamente governato e deciso dal Fato. Con questa procedura, che sembra
la quintessenza dell’imparzialità, si mettono formalmente i cittadini sullo
stesso piano, ma col possibile paradosso finale di quando piove sul bagnato,
ossia che il centinaio di euro previsti per la prestazione al seggio possa
essere incassato dal già benestante piuttosto che dall’indigente o dall’impoverito.
La scuola maledetta – e quindi meritevole di posizioni soltanto sussurrate - è
quella che reclama Recinti: si prende il totale degli scrutatori da nominare e si procede a
spartizione politica tra maggioranza e minoranza. Si tratta di procedura assai efficace e sbrigativa ma che presenta alcuni punti deboli: penalizza gli
estranei alla politica, i qualunquisti per istinto e per scelta e i cani senza
collare, premiando invece la fedeltà e la tendenza alle recinzioni dell’appartenenza.
Da qui a dire, come fanno taluni comandati per default a spararle grosse, che tale prassi configura
il voto di scambio ce ne corre, perché vendere il proprio voto per un lavoro ci
sta pure, ma ipotizzare che si possa farlo per cento euro significa giudicare i
propri concittadini degni d’un Achille Lauro che, nella Napoli del dopoguerra,
consegnava ai suoi elettori una sola scarpa durante la campagna elettorale,
completando il paio in base al risultato finale. La terza scuola è quella
dei Solidali e, in apparenza, pare essere quella più convincente, perché inquadra e benedice la
remunerazione degli scrutatori nel segno dell' una
tantum assistenziale. Il target dei Solidali sono quindi quei cittadini a vario titolo
disagiati. Siano essi disoccupati, cassintegrati, inoccupati o in mobilità. Il problema è
che la ratifica del disagio si va complicando per via d'una casistica infinita e, al dunque, pure inquinata
dalla categoria dei “poveri ma furbi”, ossia da quanti si avvalgono di Isee finalizzati al raggiro, di remunerazioni black, di nuclei familiari gonfiati ad arte e via
buggerando. Da questo punto di vista il market sociale, credo abbia consegnato alla
politica e alla cittadinanza la prova provata di quanto sia sottile la linea di demarcazione
che separa i bisogni reali dal micro tornaconto di chi ci marcia. Di fatto
ciascuna delle tre ipotesi di scuola seduce solo in parte ma non convince mai del tutto e fino in
fondo. E in questi casi il prevalere dell’una o dell’altra scuola diventa vittoria
dell’una scuola sull’altra, ossia ennesimo elemento del conflitto e della polemica politica. Meglio, per una
volta, affidarsi a una saggezza orizzontale e paritaria: far contenti tutti, combinando
sorteggio, nomina politica e criterio sociale in una stecca para - 33% – 33% – 33% - che di certo
non archivia il dubbio ma di sicuro non drammatizza la solita e minuta tempesta nel bicchiere.
17 aprile 2014
Le parole manomesse e il gioco del cerino
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