Sul Bilancio la sceriffata paesana di Giancarlone e Angelino

 

“Si apre l’era del bilancio partecipativo”. Un titolo rodomontesco quello del Corriere Adriatico di ieri, un’apertura degna d’una celebrazione nella Bulgaria sovietizzata del compagno Todor Živkov. E quando si comincia a discettare di “ere” che si aprono vuol dire che i cervelli cominciano a rinchiudersi a tenuta stagna. E con scarse possibilità di fuoriuscita da certi contenitori ermetici di conservazione della finzione più spinta. La verità, ribaltata di giornali, è invece scabra ed essenziale: siccome la Giunta non sa come uscire dai sotterranei di un anonimato ormai biennale e dal suo essere un’entità ectoplasmatica - più adatta all’intervento di una squadra specializzata di ghostbusters che a un sopravvivere meramente politico – è costretta a inventarsi qualche azione che, a suo parere, somiglia a un asso nella manica. Il problema è che un asso mal gestito equivale a una carta inutile, ed è esattamente quel che sta accadendo ai Gianca Boys con la questione del bilancio partecipativo. Il BP sottintende una concezione del governo cittadino, una filosofia della partecipazione popolare e un metodo di declinazione della vision politica di chi se ne fa interprete. Insomma, trattasi di cosa mediamente seria di cui Giancarlone e Angelino ignorano sia i presupposti che i fondamenti, come già ampiamente spiegato in un post del 6 marzo 2014 (http://gsimonetti.blogspot.it/2014/03/barbatrucchi-bilanci-e-bp.html). Per supplire all'oggettivo deficit di conoscenza Ginger e Fred si sono messi di tigna a individuare la scorciatoia più efficace: manomettere le parole e stravolgerne il significato. Diceva il magnifico imperatore Giustiniano: nomina sunt consequentia rerum, i nomi corrispondono alle cose. Ma non per Sagramola e Tini che, notoriamente, non hanno nulla di magnifico e di giustinianeo. Infatti l’era del bilancio partecipativo – nella sua accezione fabrianese – fa più pensare all’era del cinghiale bianco, cantata da Battiato, che a qualche fasto ellenistico e bizantino. Niente a che vedere, insomma, con metodi, concezioni e filosofie, che son roba da visi pallidi e da testacchioni. Meglio dare alla partecipazione un dirompente sapore di sagra, di gioco della ruota con prosciutto “nostrale” in palio; giusto per non tradire le radici e non allontanarsi troppo dallo stile di governo appreso nei giorni gloriosi della Dc marchiata Mercia & Medici. E allora aprite bene occhi ed orecchie: nel prossimo bilancio verrà inserita una somma compresa tra i 100 mila e i 150 mila euro, un tesoretto destinato a un investimento in conto capitale inizialmente senza specifiche. La trasformazione della somma in opera pubblica sarà il risultato di un concorso di cui saranno protagoniste le quattro porte del Palio. Ciascuna di esse - avvisata per tempo e addirittura prima del Consiglio Comunale - ha già selezionato venti persone (sarebbe interessante conoscerne le modalità) che invieranno proposte progettuali al Comune. L’ufficio tecnico provvederà a definire l’ammissibilità delle proposte ed entro l’ultimo giorno di luglio saranno le Porte stesse a decidere quale opera realizzare. E’ sufficiente aprire Google e digitare Bilancio Partecipativo, e quindi leggere qualche documento tra i tanti per rendersi conto di come siano stati completamente manomessi parole e significati. NBon siamo infatti di fronte ai prodromi di un bilancio partecipativo ma a un gioco a premi che va a sommarsi e a sovrapporsi alle infiorate e alla disfida del Maglio come ampliamentodella rievocazione storica del Palio di San Giovanni Battista. In passato ho scritto più volte – su L’Azione e su Type – in merito all’opportunità di sviluppare un modello di partecipazione “senese”, con le quattro porte messe in condizione di sviluppare decisioni assembleari, di rappresentare un terminale di consultazione permanente per il soggetto di governo municipale e di caratterizzarsi come strumenti originali di coinvolgimento dei cittadini. Analizzando questa sceriffata paesana di Giancarlone e Angelino si ha invece la netta sensazione che al modello senese si sia preferito il modello San Donato, con una gara a chi capisce di più e a chi piscia più lontano tra le quattro porte rivali, narrata come embrione di cultura partecipativa e di bilancio condiviso. Quel che colpisce per eterno ritorno di fabrianesità irredenta è che – almeno ufficialmente – nessuno dei rappresentanti delle quattro porte si è sottratto a questo giochino che mette il Palio al servizio dei disegni politici e mediatici della maggioranza di centrosinistra. Diverso sarebbe stato un coinvolgimento esteso all’intera città nel quale fosse formalmente e statutariamente riconosciuto alle Porte un ruolo di “governo della socialità" da inserire nel quadro d’insieme di un sistema partecipativo. “Profumi indescrivibili nell'aria della sera studenti di Damasco vestiti tutti uguali l'ombra della mia identità mentre sedevo al cinema oppure in un bar Ma spero che ritorni presto l'Era del Cinghiale Bianco.”