Si avvicinano le elezioni europee
e puntualmente ritornano le plance elettorali lungo le strade cittadine. Ma più di ogni
altra cosa riemerge, ingombrante e rumorosa come non mai, la questione della nomina degli scrutatori. La normativa ne
delega la scelta alla commissione elettorale del Comune e la discrezionalità del pallottoliere – che è naturalmente frutto non d’arbitrio ma di
selezioni e di suggerimenti a monte – scatena polemiche, per la
verità noiose e ripetitive, sulle migliori modalità di individuazione degli
scrutatori. Le scuole di pensiero che si scontrano - in una gara infinita a chi
fa la proposta più bella e più innocente - sono tre, di cui due ufficiali
e vocianti e una sussurrata e confermata dandosi di gomito e annuendo in camera caritatis: la scuola Medicea, quella dei Recinti
e quella dei Solidali. I Medicei senza se e senza sono quelli che, come per
la scelta delle cariche pubbliche nella Firenze rinascimentale, puntano tutto
sullo “scrutinio a tratta”, ovvero su una nomina degli scrutatori come frutto di
un sorteggio direttamente governato e deciso dal Fato. Con questa procedura, che sembra
la quintessenza dell’imparzialità, si mettono formalmente i cittadini sullo
stesso piano, ma col possibile paradosso finale di quando piove sul bagnato,
ossia che il centinaio di euro previsti per la prestazione al seggio possa
essere incassato dal già benestante piuttosto che dall’indigente o dall’impoverito.
La scuola maledetta – e quindi meritevole di posizioni soltanto sussurrate - è
quella che reclama Recinti: si prende il totale degli scrutatori da nominare e si procede a
spartizione politica tra maggioranza e minoranza. Si tratta di procedura assai efficace e sbrigativa ma che presenta alcuni punti deboli: penalizza gli
estranei alla politica, i qualunquisti per istinto e per scelta e i cani senza
collare, premiando invece la fedeltà e la tendenza alle recinzioni dell’appartenenza.
Da qui a dire, come fanno taluni comandati per default a spararle grosse, che tale prassi configura
il voto di scambio ce ne corre, perché vendere il proprio voto per un lavoro ci
sta pure, ma ipotizzare che si possa farlo per cento euro significa giudicare i
propri concittadini degni d’un Achille Lauro che, nella Napoli del dopoguerra,
consegnava ai suoi elettori una sola scarpa durante la campagna elettorale,
completando il paio in base al risultato finale. La terza scuola è quella
dei Solidali e, in apparenza, pare essere quella più convincente, perché inquadra e benedice la
remunerazione degli scrutatori nel segno dell' una
tantum assistenziale. Il target dei Solidali sono quindi quei cittadini a vario titolo
disagiati. Siano essi disoccupati, cassintegrati, inoccupati o in mobilità. Il problema è
che la ratifica del disagio si va complicando per via d'una casistica infinita e, al dunque, pure inquinata
dalla categoria dei “poveri ma furbi”, ossia da quanti si avvalgono di Isee finalizzati al raggiro, di remunerazioni black, di nuclei familiari gonfiati ad arte e via
buggerando. Da questo punto di vista il market sociale, credo abbia consegnato alla
politica e alla cittadinanza la prova provata di quanto sia sottile la linea di demarcazione
che separa i bisogni reali dal micro tornaconto di chi ci marcia. Di fatto
ciascuna delle tre ipotesi di scuola seduce solo in parte ma non convince mai del tutto e fino in
fondo. E in questi casi il prevalere dell’una o dell’altra scuola diventa vittoria
dell’una scuola sull’altra, ossia ennesimo elemento del conflitto e della polemica politica. Meglio, per una
volta, affidarsi a una saggezza orizzontale e paritaria: far contenti tutti, combinando
sorteggio, nomina politica e criterio sociale in una stecca para - 33% – 33% – 33% - che di certo
non archivia il dubbio ma di sicuro non drammatizza la solita e minuta tempesta nel bicchiere.
18 aprile 2014
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Stavolta sono d'accordo con il Giampietro...
RispondiEliminaSimonetti quando appare ragionevole me preoccupa più che quando è incazzato
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