L'albo pretorio non è esattamente il portone della cattedrale di Wittenberg, in cui l'indignato Lutero affisse le sue tesi contro la papale mercanzia delle indulgenze, nè Giarcalone Nostro possiede l'indole, il piglio e il ferrigno afflato del riformatore tedesco deciso all'epocale scisma. Ma ivi pubblicando l'ordinanza di sgombero dell'ex asilo del Borgo occupato, Don S. si è riscoperto opinabile fustigatore di costumi e di legalità, scoprendo un se stesso di nuovo tridentino e controriformista. La cacciata dei giovani, che occupano spazi pubblici abbandonati per generare e disseminare nuova socialità, assume infatti la forma gesuita e moralistica del procedimento amministrativo, ove si ridonda di imperativi, di comandi e disposizioni esecutive che rimandano ai dispacci caporettiani dell'infausto Cadorna. Da quel che filtra dal divertito narrare dei protagonisti il tempestoso incedere della decisione si è rapidamente infranto per via di un congenito e immancabile siparietto, come sempre alimentato da dosi incontrollate di involontario umorismo. A partire dal rifiuto degli occupanti di ricevere la notifica dalle mani di un mesto pubblico ufficiale, quando un tempo sarebbe stato lo stesso Don S. - in qualità di messo comunale - a incaricarsi della scomoda consegna; e quindi il contrappasso spassoso di un'altra occupazione provocatoria e irridente: quella dell'ufficio del Sindaco nella sede municipale, con il Borgomastro nuovamente costretto a snervante e infruttuoso diktat innanzi al gioioso rilancio dei perturbatori. Siamo a una politica che si fa fantasia letteraria e non a caso c'è un sapore sempre più pirandelliano in Don S., un senso di maldestra rivalsa, un isolamento politico che si traduce, e si tradurrà sempre di più, in gesti distanti dal suo intimo sentire, nella ricerca quasi ostinata di un altro da sè finalmente vincitore e vincente, nell'anelare un alter ego 2.0 garante di un "voler essere" non più così sudato e claudicante. L'ordinanza di sgombero (Ordinanza di sgombero) dantescamente "giudica e manda" ma, nel contempo, chiarisce e rivela. Ad esempio che l'immobile non appartiene a fantomatica società partenopea ma riconduce direttamente al novero delle molte, troppe proprietà comunali; che lo stabile è occupato da persone non meglio identificate quando anche il gatto conosce vita, morte, miracoli e anagrafe di chi va e di chi viene; che lo sgombero dipende, udite udite, dall'assenza di servizi essenziali alla permanenza delle persone, guarda caso come quell'acqua distaccata giusto da qualche giorno chissà se per agevolare o meno la validazione logica dell'ordinanza e sostenerne la necessità davanti alla pubblica opinione; che il pericolo a cui si fa solennemente cenno non sussiste, in quanto legato non all'incolumità dei cittadini ma al quieto vivere necessario a regalare ore indimenticabili, e senza sediziosi striscioni in centro storico, a Prodi, Letta e ulivi vari che atterreranno in città a metà del mese. A leggere il testo, brumoso e kafkiano nella sua farcitura di burocratese poverissimo e lezioso, viene da chiedersi se un qualche dio non abbia deciso di accecare congiuntamente l'ispiratore e l'estensore del documento e del procedimento. Di certo e sempre di più l'immagine di Don S. tende a sovrapporsi a quella di Bernardino Lamis, esimio prof. di celebre novella pirandelliana che tenne una formidabile lezione sull'eresia catara davanti ad uditorio di soprabiti da lui, provvidenzialmente e umanissimamente, scambiati per persone in carne ed ossa.
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Mi scuso con i lettori ma a causa di una cattiva sincronizzazione tra Pc e Smartphone sono andati perduti il post e i commenti. Il primo è stato possibile recuperarlo ma purtroppo i commenti no
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