E' stata una settimana particolare per Fabriano; sette giorni di smarrimento nel ventre di una comunità improvvisamente oscurata, e purtroppo anche infestata, dal peso specifico di un cronaca i cui moltiplicatori mediatici processano prosciugamenti della ragione e allineano verso il basso umori e stati d'animo. Domenica scorsa l'omicidio di un giovane indiano, sprangato a due passi dal centro in un plausibile regolamento di conti, e l'altra sera il suicidio terribile e inspiegabile di un ragazzino appena giunto alle soglie dell'adolescenza. E a corollario, fortunamente non luttuoso ma comunque ossessivo e patologico, il darsi di gomito di fronte alle vacanze all inclusive di una giovane concittadina. Fatti diversi tra loro e profondamente divergenti per natura, origine e conseguenze, che rischiano di essere linkati come sintesi della crisi e della mutazione genetica che sta cambiando la morfologia sociale di queste terre. La tentazione incombente è quella di ricorrere a spiegazioni di matrice sociologica, di dare forma nobilitata al desiderio sempre più diffuso di piangersi addosso, di ritrovare in tutto quel che accade la prova di un decadimento certo, i segni del tracollo materiale ed etico di una comunità che fu centro irradiante di valori personali, sociali ed economici. Questa chiave di lettura conduce a credere che risieda nella crisi cittadina la spiegazione di pulsioni omicide, perversioni sessuali e autolesionismi suicidi. Ma sappiamo bene che questa casistica di devianze si è manifestata anche quando il modello Fabriano riluceva e brillava di opportunità e benessere. Per questo l'apologia di un passato riproposto in forma levigata e comparato alle rugose asprezze del presente, è falsa e reazionaria. L'anomalia di Fabriano non risiede, infatti, nelle naturali contraddizioni di una città che si apre alle incertezze del nostro tempo - incrociandone occasioni, rischi, criticità e purtroppo anche lutti - ma nella costante nostalgia di un passato che fu quasi disneyano nella sua messinscena adiposa, nella finzione di una città proibita, a tenuta stagna, in cui era precetto insindacabile il "vivere addomentati entro il dolce rumore della vita". Fatti come quelli che, purtroppo, sono accaduti in questi ultimi giorni possono stimolare diverse riflessioni sull'esigenza di assimilazione di comunità che tendono a vivere separate o sul bisogno di una genitorialità sempre più attenta e dialogante, ma gettare una croce sociologica su una comunità divenuta colpevole solo solo perchè, che volente o nolente, sta uscendo dal suo stato di minorità psicologica e dalle sue antiche e noiose geometrie del benessere, appare come qualcosa di pericoloso e demenziale. Omicidi, suicidi, leggererezze pornografiche e, in generale, quel che ricade nel campo delle possibili azioni umane va ricondotto a una fisiologia comportamentale che non denota decadenze tipicamente fabrianesi, ma orizzonti assai più ampi e trasversali. Sarebbe, quindi, il caso di recedere da questo estremismo che ci spinge alla ricerca ostinata del negativo, all'ebbrezza del gufare pallido e assorto, al gusto sanguinoso di thanatos, come se l'ombra della morte fosse l'unica in grado di tratteggiare il destino della nostra comunità. Abbiamo irresponsabilimente vissuto, per decenni, in una realtà adulterata e sopra le righe. Quello che oggi ci lascia attoniti è un bagno di realtà, di miele amaro che avrebbe bisogno di ragione e intelletto invece di questo continuo rimestare nell'affranto e nel cimiteriale.
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Gian apprezzo l'analisi pumtuale , ma soprattutto precisa e dettagliata di una societa' malata .Ho ieri commentato questo stato d'animo ricorrendo a una frase detta da un allenatore di calcio Garcia della Roma : non ho fatto niente se non rimettere la chiesa al centro del villaggio . Se noi rimettiamo la societa' l'UOMO al centro del villaggio abbiamo speranze altrimenti .....non aggiungo altro e grazie di questo tuo scritto quinto b
RispondiEliminaGrazie Quinto....
RispondiElimina"l'ombra della morte fosse l'unica in grado di tratteggiare il destino della nostra comunità" anche tu sai che che abbiamo una lotta immensa da fare, contro l'ottusità diffusa contro un perbenismo che non esiste, contro l'irrazionale disperazione che si respira, è tempo di agire in gruppi per indicare la giusta via da seguire, modelli positivi Fabriano ha bisogno di modelli positivi da seguire.
RispondiEliminaA Fabriano serve solo TANTO realismo
EliminaAbbiamo bisogno di scrollarci di dosso questa Sindrome di san Sebastiano: frecce in corpo e sguardo contrito rivolto verso l'alto. Basta!
RispondiEliminaCi hanno educato così, mi dissero è tempo di alzare la testa, ma chi la testa non l'ha alzata mai? Gli abitanti di Fabriano sono timorosi, nell'agire, le masse quando educate al silenzio ed al lavoro non cambiano in pochi anni e la cassintegrazione le rabbonisce definitivamente. Non vedo un bel futuro anzi vedo altre crisi. E inutile essere ottimisti a priori,ciechi dell'orizzonte, le illusioni lasciamole ai venditori di fumo, agli speculatori di promesse, dobbiamo riprendere le redini e costruire certezze o l'abbandono nella disperazione ci darà altre vittime. Unire in un abbraccio corale la cittadinanza senza discriminazioni di famiglia e invidie, concepire una città nuova e rigenerata. Cambiare il detto in Tutti siamo indispensabili! Il pensiero positivo è l'unico antivirus capace di cambiare questa realtà.
EliminaFABRIANO CITTA' DELLO SCONFORTO PIOVE TIRA VENTO E SUONA A MORTO
RispondiEliminaLa situazione po solo peggiorà
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