Perchè non sorprende il voto dei fabrianesi al PD

 

Su alcune pagine dei social media dedicate a Fabriano è in corso, da un paio di giorni, una discussione postelettorale sul voto ottenuto in città dal Partito Democratico che domenica scorsa ha raggiunto una vetta storica, pari al 48% dei voti validi. Sono stati 6.738 i fabrianesi che hanno scelto il partito renziano, quasi 2.000 in più rispetto allo scorso anno quando il Pd si fermò al 26,7% e 1.300 in meno rispetto al record assoluto delle politiche del 2008, quando il Pd prese 8.056 voti con una percentuale del 42%. Resta il fatto che il voto di domenica, quanto meno dal punto di vista percentuale, costituisce un dato nettissimo e inequivocabile. nella discussione sui social media si sono immediatamente formate due fazioni contrapposte e reciprocamente sorde: da un lato i fautori del voto al PD come risposta lungimirante e razionale alla crisi cittadina e alla demagogia delle opposizioni; dall'altro quanti accreditano una sorta di "follia" elettorale, il suicidio politico di una comunità che soffre - anche a causa delle scelte amministrative del Pd locale - ma non se ne accorge e addirittura lo premia con un mezzo plebiscito. Dal mio punto di vista non considero questo voto nè una manifestazione corale di raziocinio nè il riflesso masochistico di una comunità impazzita. Mi pare invece di scorgere le tracce di un pronunciamento profondamente fabrianese. La città vive la peggiore crisi della propria storia, è diventata improvvisamente povera e fa i conti con il fallimento brutrale di un modello produttivo che i suoi cittadini avevano riverito, servito e idealizzato. Ciò significa che il fabrianese si ritrova come un bimbo che il giorno di Ferragosto non ritrova più i genitori tra gli ombrelloni della spiaggia di Riccione. L'elemento dominante è lo smarrimento. E una comunità smarrita fa la cosa più naturale di questo mondo: cerca protezione e riparo, ossia spazi conservativi da cui partire per ritrovare se stessa. E il Pd - ormai totalmente istituzionalizzato e governativo - ha incarnato al meglio l'idea di un grembo caldo in cui rifugiarsi, una mamma rassicurante come lo fu per decenni la Democrazia Cristiana che a Fabriano, alle elezioni comunali del 1990, ottenne il 52% dei consensi e 17 consiglieri comunali su 30. Giusto per capire di che tipo di fenomeno stiamo parlando. Inoltre dobbiamo pure considerare un altro aspetto e cioè che in una comunità sostanzialmente aliena e allergica rispetto all'idea stessa del conflitto politico, la crisi economica e occupazionale non fa lievitare il dissenso ma anzi lo riduce ai minimi termini, alimentando la convizione che non farsi vedere, cavalcare l'onda e seguire lo sciame sia il modo più efficace per costruire posizioni di risoluzione e fuoriuscita individuale dalla crisi. Il voto al Pd, quindi, oltre a essere espressione di un "bisogno di calore" conseguente allo smarrimento collettivo prodotto dal crollo di un modello locale di benessere e di piena occupazione, è anche il risultato di una radicalizzazione del conformismo e dell'individualismo, binomio culturale del merlonismo e dell'"industralizzazione senza fratture", tuttora vivo e forse anche egemone. Il voto al Pd non è quindi il frutto di un delirio o di un cedimento morale della città all’intrallazzo della politica ma qualcosa di più profondo e, almeno dal mio punto di vista, di più preoccupante perché rimarca ancora una volta quanto incidano sugli orientamenti politici ed elettorali i tempi lunghi della mentalità, della tradizione e anche di un certo infantilismo collettivo.