E' mia intenzione chiudere il 2013 dei Bicarbonati affrontando un tema affascinante sotto ogni punto di vista: la luce. La luce affolla le disquisizioni filosofiche e quelle teologiche, incide sull'arte e sull'estetica, è elemento della fisica e dell'urbanistica. Per tale complesso di ragioni la politica non può e non deve prescindere dalla luce, anche nella sua volgarizzazione quotidiana di ambito prosaico legato alla pubblica illuminazione. Quest'ultima si connota come servizio indivisibile, collettivo; come spazio di intervento municipale non ricondicibile ai servizi a domanda individuale ma ugualmente centrale e cruciale. Non a caso la Tares contiene una quota destinata ai servizi indivisibili e quindi anche alla pubblica illuminazione. Ma, nella quotidiana concretezza amministrativa, alla gestione della luce, nei suoi risvolti urbanistici e identitari, non si dedica l'attenzione che si dovrebbe e il focus residuo tende prevalentemente a concentrarsi sui fattori di economicità e di risparmio energetico; nodi sicuramente qualificanti ma non esaustivi perchè, come si accennava in precedenza, la pubblica illuminazione è un complemento rilevante del disegno urbanistico cittadino, un po' come la combinazione delle luci - in una esposizione pittorica - tende a valorizzare ed evidenziare particolari, dettagli e colpi d'occhio. L'illuminazione pubblica, oltre ai suoi aspetti più quotidiani e funzionali, esprime un forte contenuto narrativo, proprio perchè restituisce l'autopercezione della città e il suo modo di rappresentarsi. Essa è quindi è uno strumento in grado di cambiare totalmente lo scenario di edifici e piazze, senza alterarne le forme e dando vita a veri e propri scenari di progettazione luminosa. In questo senso gestire l'illuminazione pubblica in termini pianificatori è condizione fondamentale per la ristrutturazione della scenografia urbana e, come tale, essa non può essere lasciata all'improvvisazione, al caso e ale pure e semplici dinamiche del risparmio. Ieri sera, passeggiando per le strade del centro, ho provato a concentrarmi sulle luci cittadine e mi sono reso conto che Fabriano è una città terribilmente fioca e ombrosa, illuminata male e senza altre esigenze che non siano quelle più classicamente funzionali di sicurezza e visibilità, con un centro storico che - fatta eccezione per pochi e delimitati tratti - appare quasi soffocato da una cappa lattiginosa e oppressiva di oscurità, rotta qua e là da un'illuminazione pubblica senz'anima e senza passione, che non riesce quasi mai a trasmettere una sensazione decisa di piacevolezza e benessere. Solo di tanto in tanto è possibile scorgere qualche gioco razionale di luci ed ombre che sembrano restituire un significato, ma si tratta di eccezioni che non modificano la sensazione d'insieme di una città ripiegata e gotica. In questo senso è importante che la politica - quando evoca rilanci turistici ed ottimismo futuribile - si metta nella condizione di recuperare anche una cognizione della pubblica illuminazione intesa come elemento di riqualificazione e valorizzazione urbana. Ma pensare la luce in termini di strumento urbanistico rende necessari un cambio di passo amministrativo, una rivoluzione culturale e investimenti rilevanti, ossia disposizioni che non sembrano occupare realisticamente l'orizzonte. Anche perchè, considerato lo stato dei conti pubblici e le casse vuote del Comune, proporre un ripensamento filosofico della politica dell'illuminazione pubblica costituisce un invito sostanzialmente sterile e idealistico. Per queste ragioni ritengo giusto indirizzare questa riflessione al Dott.Guido Papiri perchè credo che, ad oggi, la Fondazione sia l'unico soggetto in grado di finanziare un progetto di nuova illuminazione cittadina, ovvero un'azione in grado di produrre un beneficio all'intera collettività fabrianese e di superare le politiche dei mille rivoli e dei finanziamenti a pioggia che tanto condizionano il fare e l'agire dei fabrianesi. Sperando che la notte di San Silvestro porti non solo fortuna ma anche consiglio!
31 dicembre 2013
30 dicembre 2013
Il 2013 fabrianese in due puntate: luglio-dicembre
29 dicembre 2013
Perchè Sagramola comunica male ma non sa il perchè
Ho letto sul Corriere Adriatico il resoconto della conferenza stampa di fine anno del Sindaco. Si è trattato di un incontro tipicamente didascalico, improntato sulla rivendicazione di un fare esposto come lista della spesa a una stampa locale che, purtroppo, tende a prendere atto di quel che viene propinato senza incalzare troppo, e troppo a fondo, gli interlocutori istituzionali. Ma di certo è difficile comprendere il taglio autoelogiativo impresso dal Sindaco Sagramola, perchè la prevedibile assoluzione e promozione dell'operato dell'amministrazione comunale coincide, in termini di consenso, esattamente con il suo punto di massima caduta verticale. E forse non è un caso che il Sindaco sia riuscito a dispensare uno scampolo di verità proprio "inciampando" in un'ammissione amarissima: quando ha ammesso che il suo rammarico più grande è il non riuscire a far passare l'idea di una Giunta che, pur tra mille difficoltà legislative e di contesto, opera bene e concretamente, generando, al contrario, un effetto ribaltamento tale per cui i cittadini si convincono del contrario, ossia che questa amministrazione, col suo agire, fa del male alla città. Di fatto il Sindaco, con queste affermazioni, si è limitato a riconoscere soltanto un limite - seppur profondissimo - di comunicazione, come se la dispersione di significato fosse effetto di un veicolo imballato e avvenisse precisamente nel passaggio di informazioni e di emozioni dalla Giunta ai cittadini, a causa di problemi di trasmissione e di rumori di fondo alimentati ad arte dalle forze avverse al centrosinistra. Se la verità fosse così lineare e banale sarebbe sufficiente assoldare un esperto di comunicazione capace di lavorare efficacemente sulla reputazione mediatica della Giunta e sulla ripulitura dei messaggi rivolti all'esterno e alla cittadinanza. La realtà è, ovviamente, un'altra e cioè che Sagramola e la sua Giunta non riescono a uscire dal vicolo cieco in cui si trovano perchè non sono in grado di sviluppare un'azione davvero efficace di ascolto. Ascoltare non vuol dire porgere attenzione e orecchie ma sintonizzarsi sulle emozioni della cittadinanza, legittimando e comprendendo ciò che la sinistra elitaria ha imparato a disdegnare più di ogni altra cosa: la pancia. Ascoltare la pancia della gente non vuol dire scatenarne gli istinti più atavici e barbari ma riconoscere che il cittadino, rispetto alla politica, è titolare e portatore di speranze, emozioni, paure e desideri, ovvero di un complesso di istinti, di forze emotive e di motivazioni profonde che vanno riconosciute e legittimate politicamente. Per riuscire in questa operazione di presa diretta è necessario spogliarsi delle proprie convinzioni in modo tale che possano fluire liberamente quelle di chi ci sta di fronte. Solo dopo aver attivato questa formula magica di ascolto attivo è possibile comunicare, ovvero trasferire messaggi e immagini più forti delle distorsioni e delle dissonanze. E questo è esattamente il contrario di quel che fa, normalmente, la politica che tende a oscillare tra la prima persona singolare e la prima plurale, ignorando sistematicamente le seconde e le terze persone singolari e plurali. Riporto, a titolo di esempio, alcune declinazioni verbali utilizzate da Sagramola nel corso della Conferenza stampa così come riportate dai giornali nel loro resoconto odierno: "siamo pronti ad affrontare il 2014"; "cerchiamo di guardare la luna"; "abbiamo ridotto la spesa corrente"; "abbiamo gestito bene i servizi pubblici"; "abbiamo confermato l'esenzione del pagameto della mensa"; "abbiamo mantenuto l'IMU ai livelli dell'anno scorso"; "abbiamo avviato la raccolta differenziata nelle frazioni". Nelle parole del Sindaco la città non esiste, la crisi economica è appena accennata, la tragedia di famiglie e imprese è narcotizzata in un continuo darsi la mano da soli e in un sistematico rimarcare una visione unilaterale del fare. Quale messaggio arriva ai cittadini da parole di questo tenore e di tale significato? Niente altro che l'impronta repulsiva di un'amministrazione abbarbicata, che parla di se stessa e agisce in una torre d'avorio mai intaccata dalla vita reale dei cittadini e dall'odore cadaverico di una comunità morente. E chi si propone dispensando lontananza risulta anche distante, ovvero indifferente e disinteressato. Ed è esattamente il messaggio non verbale che giunge ai cittadini da questa amministrazione che non è capace di praticare l'ascolto in quanto individualmente e collettivamente anaffettiva. Per comunicare con una moltitudine - grande o piccola che essa sia - è necessario l'I Care di Lorenzo Milani, l'interesse, la curiosità, la passione, oltre a un'ambizione personale conciliata e compatibile con un disegno collettivo. Per queste ragioni una cattiva comunicazione non è mai un problema di comunicazione ma un limite di mentalità e di empatia.
Il 2013 fabrianese in due puntate: gennaio-giugno
Il 2013 comincia con la notizia choc delll'uscita dal Pd di Maria Paola Merloni, pronta a un approdo montiano che in quei giorni appare come la scommessa vincente della politica italiana. Passa qualche giorno, ed esattamente l'11 di gennaio Ottaviani annuncia la candidatura alla Camera con l'UDC, quasi come una ripicca rispetto all'avvocato Benvenuto - allora esponente di spicco di Scelta Civica - che gli aveva attribuito, senza troppa diplomazia, una vocazione elitaria poco compatibile col nuovo disegno centrista. Ma sono anche i giorni della grande crisi alla Best che annuncia 125 esuberi e raccoglie, per qualche settimana, l'attenzione dei mezzi di informazione e dell'opinione pubblica. Il 20 gennaio Sagramola e Alessandroni dichiarano di essere pronti a far sbarcare in America la protesta dei lavoratori Best che istintivamente si toccano e fanno scongiuri. Ma si parla anche di crisi alla Indesit, di liti in famiglia e di ipotesi di vendita. Il 16 gennaio la Lista Civica per Monti si presenta ai marchigiani e in quell'occasione Maria Paola Merloni, capolista al Senato, parla anche dell'azienda e di una scelta fondamentale per il destino e il futuro del territorio: Indesit non sarà venduta a qualche player internazionale del bianco ma resterà saldamente in mano alla famiglia Merloni, unita attorno a prospettive di crescita e sviluppo. Il momento di gloria della Merloni smuove le acque nel Pd e si parla sempre più insistentemente di dirigenti locali del partito pronti a passare armi e bagagli con la Lista Monti. A rafforzare i sospetti di fuoriuscita il 16 febbraio accade qualcosa di inatteso e inedito. A Genga viene organizzato un aperitivo a sostegno della candidatura di Maria Paola Merloni. Partecipano Giancarlo Sagramola, Sindaco del Pd; Maurizio Fini, candidato alle regionali per il Pd nel 2010; Roberto Sorci, ex Sindaco di Fabriano; Claudio Alianello, ex segretario cittadino del PD e assessore ai Lavori Pubblici; Renzo Stroppa, Vicepresidente della Comunità Montana; Guido Papiri, Presidente della Fondazione Carifac; Domenico Giraldi, Presidente dell'allora Carifac; Gian Mario Spacca, Governatore della Regione Marche. Di fatto il Pd sembra in procinto di massicci traghettamenti. Ma alle elezioni la Merloni viene eletta per il rotto della cuffia, il travaso di voti dal Pd a Scelta Civica non c'è e Casoli, fregato da una manovra spericolata del deputato Ceroni, non è rieletto. Passano Serenella Fucksia e Patrizia Terzoni del Movimento 5 Stelle, primo partito in città: sono saltati tutti gli schemi e tutte le previsioni. Il 4 marzo Giampaolo Balelli annuncia le dimissioni da segretario del Pdl e la sensazione di sbandamento a destra diventa sempre più forte e allarmante. Intanto nel pomeriggio del 14 marzo giunge la notizia che Indesit Company si appresta a ricorrere a ventiquattro giorni di cassa integrazione per mille dipendenti fino al mese di agosto. La scena cambia radicalmente: "passata la festa, gabbato lo santo". E' difficile, infatti, liberarsi dalla sensazione di una decisione postdatata, dal sospetto che la Cig sia stata progettata già prima delle elezioni e messa provvisoriamente tra parentesi. Passano pochi giorni e giunge anche la notizia del fine corsa della Carifac: fusione per incorporazione. La storica banca fabrianese cessa di essere un’entità autonoma, con una sua struttura e una sua catena di comando, e si acconcia a farsi marchio transitorio, effimero e destinato a rapida consunzione. In risposta a una crisi sempre più drammatica il 21 marzo l'amministrazione comunale annuncia che si sta attivando per dare vita a un supermercato con prodotti in scadenza a prezzi stracciati, un last minute dei generi alimentari a cui possono accedere le persone più povere e indigenti. Tanto per non farci mancare niente i primi di aprile Francesca Merloni annuncia pure che Poiesis, così come l'avevamo conosciuta, non si terrà più e cambierà nome e format per sopravvivere in un momento di stasi e di crisi. Nasce Po-Etico, un modo per regalare alla città un sottoprodotto più modesto e limitato, conservando intatto il format e il nome originario, magari per operazioni di trasposizione in altri lidi. Ma Poiesis che decade non può far velo all'allarme lanciato sui giornali l'11 aprile dal Direttore della Caritas Diocesana Ercolani, che mette nero su bianco le cifre di un vero e proprio dramma territoriale. La Caritas offre sostegno e assistenza a circa 5.000 cittadini che in termini di nucleo familiare teorico fanno 15.000 persone, ossia la metà della popolazione residente nel territorio di Fabriano. In compenso, se il pane scarseggia non manca il companatico. I primi di maggio la Polizia chiude una casa d'appuntamenti, attiva 24 ore su 24 in pieno centro storico, e capace di coinvolgere un numero imprecisato ma consistente di clienti fabrianesi e di forestieri fatalmente attratti dal "vincere facile". E a proposito di mutande l'ultima settimana di maggio viene aperta la procedura per la mobilità per tutti i dipendenti della Cotton Club. Per anni Cotton Club era stata un vanto dell’industria locale, un’alternativa “leggera” al distretto metalmeccanico, il frutto più avanzato e compiuto di un’abilità produttiva di lungo corso che affondava le radici agli inizi degli anni sessanta quando la famiglia Frigola fondò la Eurobust che ebbe almeno tre lustri di successo prima di chiudere i battenti nel 1985. La radicalità della crisi attira Casa Pound che per i primi di giugno annuncia una manifestazione nazionale a Fabriano contro la crisi economica e sociale della nostra città. Il mese di maggio si chiude con le dimissioni da consigliere comunale di Marco Ottaviani che viene nominato consigliere d'amministrazione della Fondazione Carifac. Ma nessuno immagina quale bomba sta per esplodere in città. E' il pomeriggio del 4 giugno quando le agenzie battono la notizia che mette in ginocchio Fabriano: la Indesit annuncia un Piano di Salvaguardia e di Ristrutturazione che prevede 1425 sacrifici umani di cui 480 a Fabriano. Il Sindaco Sagramola parla di fulmine a ciel sereno anche se il ciel sereno non c'era stato mentre il Vescovo Vecerrica ricorda il debito di riconoscenza che Indesit deve a questo territorio da cui ha avuto la vita e di cui ha macinato vite. Un'epoca si chiude, quella dei Metalmeztechi, civiltà nativa consumata ed estinta, che ha invocato a lungo la sua Divinità Solare, il Dio degli Oblò e l'ostensione del corpo mistico merloniano. "Speriamo non tocchi a me" diventa, in poche ore, il leit motiv che accompagna l'annuncio del Piano. Ossia il futuro appaltato alla dea bendata, al caso, alla benevolenza dei capi, al giro di caricatore vuoto cinicamente dispensato dai vietcong del management aziendale. E’ una cultura individualista che ritorna, capace di scavare fossati e solchi franosi, linee di faglia letali per la tenuta sociale della comunità fabrianese. Ma sono anche i giorni della rabbia e dell'orgoglio: il 5 giugno scattano immediatamente assemblee in fabbrica e una marcia verso la sede centrale corredata dal tentativo, non riuscito, di occupare il piano di palazzina in cui lavorano gli impiegati della Indesit. La politica tace e a nessuno viene in mente di convocare un consiglio comunale straordinario. Si espone appena appena il Pd con un comunicato stampa da cui si evince soltanto l'imbarazzo nei confronti di Maria Paola Merloni, leader del partito fabrianese per diversi anni e da poco rieletta in quota Monti. L'8 giugno arriva il colpo di scena: Francesca Merloni prende pubblicamente le distanze dal Piano di Salvaguardia Indesit con parole pesantissime: "Questa ferita è troppo grande: Fabriano, il nostro territorio, non la meritano. Qui le persone hanno costruito insieme a mio nonno Aristide una grande storia: lavorando insieme, uno per l'altro, con l'uomo sempre al centro. Non è questa di oggi la storia della nostra famiglia". La drammatizzazione della scena si arricchisce di nuovi elementi, a partire dal fallimento della manifestazione di Casa Pound e della contromanifestazione del Centro Sociale coi lavoratori Indesit che tra neri e rossi preferiscono camminare tutta la notte tra Macerata e Loreto intonando canti alla Madonna nera. Ma è anche il momento della crisi in Tecnowind, azienda produttrice di cappe che paga il prezzo di politiche proprietare e gestionali scellerate e si ritrova a fare i conti con un indebitamento che costringe le banche a chiudere i rubinetti. Sagramola, con un colpo di teatro, convoca le banche e le convince a riattivare le linee di credito a breve necessarie per smobilizzare il fatturato. Il 18 giugno a Fabriano arriva Susanna Camusso ed è il giorno in cui uno striscione sindacale viene collocato sul balconcino di Palazzo Chiavelli, dove resterà simbolicamente come monito ed espressione di una città che dice di no. C'è molta carne al fuoco: Ardo, Indesit, Tecnowind,otton Club. Ma in Piazza del Comune non ci sono più di 500 manifestanti. Segno che neanche la presenza del Segretario Generale della Cgil riesce a dare un senso e un indirizzo unitario alla protesta dei lavoratori. Il fallimento della manifestazione spinge alla rottura tra Indesit e sindacati con quest'ultimi che abbandonano la trattativa perché l’azienda non intende recedere dai 1.425 esuberi previsti dal Piano di salvaguardia e riorganizzazione. Il numero degli esuberi diventa la linea del Piave sia per l’azienda che per i sindacati. Il 24 giugno Mons.Giancarlo Vecerrica, durante la celebrazione per la nascita di San Giovanni Battista, patrono della Diocesi e della città di Fabriano pronuncia un'omelia durissima con chiari riferimenti ala questione Indesit: "Educhiamo coloro che sono stati chiamati a dare lavoro, soprattutto si se dicono cristiani, perché non si sentano padroni, non pensino solo ai soldi, che siano consapevoli della dignità dei lavoratori". E proprio in questi giorni appare sulla scena una forma di lotta che diventerà motivo dominante della calda estate 2013: gli scioperi articolati, a gatto selvaggio, proclamati con l'obiettivo di bloccare la produzione e di sollecitare l'attenzione di un management aziendale attento soltanto alla dura legge dei numeri e delle cifre. La risposta della Indesit è durissima: il 28 giugno l'azienda decide di chiudere gli stabilimenti di Melano e Albacina. Ufficialmente si tratta di una scelta dovuta a problemi di approvvigionamenti generati dagli scioperi a gatto selvaggio. In realtà si gioca sulle mille pieghe della lingua italiana che consente di denominare difficoltà di approvvigionamento delle linee produttive ciò che si configura come un vero e proprio lock-out, una serrata non apertamente dichiarata e riconosciuta. Nonostante lo scontro al calor bianco compare sulla scena uno dei simboli più incomprensibili e subalerni della vertenza: la celebre t-shirt con il volto di Vittorio Merloni e la scritta "ci manchi". Giugno termina nel vivo di una vertenza che colpisce per l'energia e la durezza. E la famiglia Merloni non ha ancora pronunciato una sola parola. E c'è chi comincia a reclamarne parole capaci di farla uscire dal cono d'ombra (1.segue).
28 dicembre 2013
Domande di pubblica utilità sul Supermarket dei Poveri
Il concetto e la struttura. Il Supermarket dei poveri,
da poco aperto a Fabriano, va osservato e giudicato separando queste due
"viste" parziali ma complementari. Sul "concetto" questo
blog si è già espresso in diverse occasioni, rimarcandone l'ispirazione
pietistica e il taglio compassionevole dispensati da una Giunta di
centrosinistra che, invece di parlare ai poveri parla dei poveri, a cui non ha
il sentimento socialista di proporre una transazione di generi alimentari
basata sullo scambio tra generi alimentari e lavoro. Ma il dissenso culturale
sul concetto non è sufficiente a fornire una lettura completa di questa
esperienza. Sono necesarie anche considerazioni gestionali e di struttura per
dare sostanza a un giudizio ponderato e olistico.
Il fatto che il trasferimento di proprietà dei generi
alimentari avvenga senza un corrispettivo monetario - ma tramite l'utilizzo di
una tessera a punti rilasciata in base a criteri che certificano lo stato
d'indigenza - non modifica la natura del market sociale come spazio in cui si
attiva un meccanismo di scambio caratterizzato dalla combinazione di input,
strutture e output. Il primo elemento da considerare è che in output non si
producono ricavi caratteristici - neanche quelli necessari a garantire il punto
di pareggio - perchè la spesa scarica e consuma i bollini messi resi
disponibili nell'apposita card, ovvero moneta simbolica e senza valore
corrente. Ovviamente a "zero ricavi" corrispondono "zero
costi" solo in caso di cessazione dell'attività. Ragion per cui il
supermercato dei poveri è una struttura che, proprio proprio per la sua mission,
tenderà a operare prevalentemente in perdita, a meno che non siano presenti in
input flussi di entrate non riconducibili alla gestione caratteristica del
market sociale. Le eventuali perdite possono essere dimensionalmente
consistenti o limitate, a seconda del peso esercitato sulla struttura dalla
configurazione e dall'entità dei costi sostenuti.
Esercitare un rigoroso controllo degi input e degli
output significa garantire la sostenibilità, e di conseguenza la continuità
operativa, del supermercato dei poveri. La massima riduzione dei costi di
struttura e di funzionamento può essere conseguita se si verificano alcune
condizioni preliminari:
- lo spazio adibito a supermercato è stato concesso in comodato d'uso gratuito
- il personale dedicato al funzionamento dela struttura presta la sua opera in forma totalmente volontaria e non remunerata
- il software gestionale che permette di abbinare beni alimentari e punti, consentendo lo scarico delle card e il controllo delle merci, è basato su software libero o concesso da società specializzata in forma di licenza gratuita.
- la donazione di generi alimentari è a totale e unilaterale carico dei supermarket commerciali coinvolti
- al pagamento delle utenze principali (acqua, luce e riscaldamento) si provvede attraverso donazioni e liberalità di privati cittadini, di enti e di organizzazioni
Ad oggi l'unica informativa certa è
quella relativa alla gratuità dei beni alimentari donati da alcuni supermercati
commerciali all'emporio sociale. Non sussistono invece informazioni documentate
e accessibili circa il ruolo assolto dal Comune. Delle notizie pubblicate dagli
organi di informazione locale pare esso si sia limitato a patrocinare
l'iniziativa, ma non si è capito se si tratti di un patrocinio economico o di
un'adesione al netto di risvolti materiali. L'unica valutazione possibile è di
natura deduttiva e riguarda il certosino e pubblico impegno dell'assessore ai
servizi sociali, oltre che l'irrituale presenza di un dirigente comunale
chiamato a tagliare il nastro il giorno dell'inaugurazione. Segnali distinti e
diversi ma che concorrono a delineare un ruolo del Comune non esattamente
casuale ed episodico.
Non a caso, proprio con l'obiettivo
di finanziare il market sociale, il Comune di Fabriano ha partecipato al bando
di gara per la gestione della Riserva
Fondo Lire U.N.R.R.A. presso il Ministero degli Interni (Bando Unrra). Il progetto presentato dal Comune
di Fabriano si è piazzato al primo posto in graduatoria, tra quelli presentati
dagli enti pubblici, per un finanziamento complessivo di 82 mila euro (Graduatoria enti pubblici). Di questi il contributo
reale concesso dal Ministero ammonta a 36 mila euro perchè i restanti 46 mila
rientrano nell'ambito del cofinanziamento, ovvero la regola per cui un donatore non copre l'intero costo del
progetto, ma richiede al richiedente o ad altri partner di garantire una quota
attraverso proprie fonti. Trattasi quindi di un'entrata non caratteristica che va a comporre il
quadro degli input e degli output della struttura.
Trattandosi
di un progetto finanziato era prevista la presentazione ex ante di un
budget di progetto e la rendicontazione ex post delle spese sostenute in
termini di budget. Di fatto il Comune dovrebbe, quindi, informare nel dettaglio
la cittadinanza e il Consiglio Comunale, mettendo a disposizione il progetto
presentato al Ministero dell'Interno, il budget con tutte le previsioni di
spesa relative al market sociale e, a cronogramma di progetto concluso, la
documentazione acquisita in itinere e necessaria alla rendicontazione
delle spese sostenute. Oltre, ovviamente, a fornire indicazioni tecniche e di
merito su come è stata gestita la questione del cofinanziamento. Esiste quindi
una disponibilità di 36 mila euro di fondi pubblici destinati al market
sociale, del cui concreto utilizzo sarebbe politicamente necessario rendere
conto, a partire dalla destinazione d'uso, non solo al Ministero ma anche alla
cittadinanza e ai suoi amministratori eletti.
Dalle
considerazioni iniziali sui costi e dal ruolo svolto dalla dotazione
finanziaria di origine Unraa destinata al market sociale, frutto di una progettazione
efficace e di successo, emergono alcune domande alle quali l'amministrazione
comunale dovrebbe fornire meditata e approfondita risposta:
- Quali sono i criteri di certificazione dello stato di indigenza e quale atto amministrativo è stato predisposto per attivare la relativa procedura di valutazione?
- Chi è il locatore dello spazio adibito a market sociale e chi l'affittuario del medesimo?
- Che tipo di contratto di locazione è stato sottoscritto e per quale importo annuo?
- I soci lavoratori della cooperativa coinvolta e le figure messe a disposizione dalle associazioni di volontariato sono tutti prestatori d'opera volontari? Hanno diritto a qualche rimborso spese ed eventualmente di che natura?
- La cooperativa coinvolta eroga i suoi servizi a titolo gratuito o in forma remunerata?
- Quale società ha messo a disposizione il software gestionale?
- La licenza d'uso del software è stata venduta, affittata dietro compenso o ceduta in comodato d'uso gratuito?
- Tra quali soggetti è stato stipulato il contratto per il software? E nel caso quale costo è stato sostenuto per l'acquisizione del medesimo?
- Chi si fa carico dei costi relativi al trasporto dei generi alimentari in scadenza donati gratuitamente da alcuni supermercati commerciali?
- A nome di sono stati stipulati i contratti di allaccio delle principali utenze (acqua, luce, gas)?
- Chi provvede al loro pagamento?
- Quali voci di costo della struttura e dell'operatività del market sociale sono stati messi a budget nel progetto presentato al Ministero degli Interni e da quest'ultimo finanziato?
- Come è stata gestita la questione del cofinanziamento di 46 mila euro previsto dal progetto e fondamentale per ottenere un elevato punteggio finale?
Da queste domande risulta
evidente come siano tanti e interessanti gli spunti che si possono scorgere non
appena si abbandonano il pauperismo e il politicamente corretto, per indossare
gli occhiali della razionalità economica e liberale. Su questi temi è
auspicabile la massima disponibilità informativa da parte dell'amministrazione
comunale e la massima volontà ad approfondire da parte delle forze politiche di
maggioranza di opposizione perchè la povertà e il disagio non sono un fiore
all'occhiello da esibire in un articolo del Soe 24 Ore ma contesti meritevoli
di assoluta trasparenza e assoluto rispetto.
27 dicembre 2013
L'ordinanza sui botti e il sospetto algebrico
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