19 ottobre 2012

Di un'impresa de FaVrià e del suo salvataggio

Scrivo queste righe mentre mi galleggia dentro un'insorgente acidità, dovuta allo sgarbo delle multinazionali fabrianesi che hanno rifiutato l'invito a discutere di futuro nel Consiglio Comunale di domani di cui diserteranno forse unanimemente i lavori. Insomma, carta, penna e calamaio stavolta mi servono per evidenziare un contrappasso buono e raccontare la storia amara di un'impresa fabrianese. Di quelle che impiegano una decina di persone, vivono quotidianamente appese a un filo, vengono trattate con spocchia e supponenza dalle banche e al minimo errore di gestione precipitano in un baratro da cui è sempre più difficile riemergere. L'imprenditore fabrianese di cui racconterò la storia  non cerca pubblicità, non vuole elemosinare denari e compatimento e se per il momento ha scelto l'anonimato lo ha fatto solo per non subire pressioni o colpi bassi che potrebbero risultare letali. Per questo lo chiamerò Signor Bonaventura e Speranza Srl la sua azienda. Speranza Srl, grazie a un affitto di ramo d'azienda, ha ereditato da un'altra società un fatturato di 1,7 milioni di euro e un margine operativo lordo (MOL) di circa il 10%. Segno di una realtà produttiva e industriale sufficientemente redditizia. A causa di errori e problemi nella gestione finanziaria e nella catena delle consegne, l'azienda ha ridotto il fatturato a 1,2 milioni di euro, con conseguente contrazione del margine operativo. Ecco allora che il Sig. Bonaventura, per tenere in vita la Speranza Srl, fa lo cosa più naturale di questo mondo: s'arma di coraggio e fiducia e bussa all'uscio delle banche, senza ricordare che il sistema finanziario apre l'ombrello quando splende il sole e lo chiude quando comincia a piovere. Infatti, nonostante un complicato gioco di mutui e garanzie, tutti i tentativi di ampliare le fonti di finanziamento dell'impresa naufragano miseramente. La Speranza Srl, anche a seguito di questa sprangata sul muso, ha i giorni contati. Il Sig. Bonaventura e i suoi dieci collaboratori, a questo punto, possono prepararsi in molti modi alla "domenica delle salme": chiudendo baracca e burattini, mettendosi a fare altro, oppure facendola finita come è accaduto recentemente a tanti piccoli e disperati imprenditori del Nord. Già, perché per il salvataggio servono 200.000 euro, ossia una cifra che di questi tempi farebbe sciogliere i cani anche al più equilibrato dei monaci buddisti. L' imprenditore fabrianese però ha qualche asso nella manica: la volontà assoluta di tenere in vita l'azienda, di continuare a pagare stipendi e contributi ai collaboratori e di aiutare questa città, con il suo impegno quotidiano, a resistere e a tenere botta. Grazie alla dignità del lavoro e al senso di appartenenza alla comunità al Sig. Bonaventura è venuta un'idea estrema come la situazione che vive, gli si è accesa quella strana lampadina che di solito arde nella mente di chi, come rimarcava il trailer di un vecchio film, ha subìto un danno e per questo sa di poter sopravvivere: sbattersene i coglioni delle banche e delle marchette istituzionali rivolgendosi direttamente alla società civile, ossia ai faVrianesi. Non per chiedere una impossibile e intollerabile elemosina ma per rilanciare un'altra opzione di business, personalizzata e solidale. Il Sig. Bonaventura è disposto a mettere a disposizione dei fabrianesi - singoli o associati - il 60% delle quote della società che, è bene ricordarlo, ha problemi di natura finanziaria ma può ancora dire la sua a livello industriale. Chi contribuisce, con una base minima di 100 euro e multipli di cento, diventa proprietario pro quota di una società strutturata, che dal terzo al quinto anno restituirebbe - a chi ne facesse richiesta - gli interessi maturati e il capitale investito. Si tratterebbe, inutile dirlo, di un'operazione alla luce del sole, a cui il Sig.Bonaventura intende dare le più ampie garanzie di trasparenza e formalizzazione. Personalmente credo si possa trattare di un'operazione a sfondo sociale e comunitario, in grado di incarnare una buona prassi diventando una formula di salvataggio capace di parlare oltre i confini della nostra realtà locale. E di fronte alla vecchia furberia del "prendi i soldi e scappa", di cui danno quotidianamente prova certe grandi realtà industriali, la sforzo creativo del Sig.Bonaventura e della sua Speranza di trovare una soluzione che possa divenire modello di "salvataggio locale", è davvero qualcosa che sale nello stomaco come un bicarbonato chiamato a spegnere insorgenti acidità. Insomma, cari lettori, è solo un impraticabile idealismo o una soluzione mediamente plausibile? Proviamo a discuterne.
    

16 commenti:

  1. Per completare il quadro dovevi anche dire che questo signor Bonaventura quando arriva la trimestrale di borsa ad un suo cliente, si vede spostati i pagamenti avanti di un mese, se no il titolo non si risolleva.

    E' un sistema generale che è andato in loop e sta precipitando, senza paracadute.

    Le banche non fanno le banche, i clienti più grandi strozzano i fornitori spesso anche in barba alla legge italiana che li obbligherebbe a pagare a 60gg le subforniture. Ne vedo quotidianamente di queste situazioni, aziende che con un minimo di riorganizzata potrebbero competere su altri mercati ma che non ce la fanno per mancanza di liquidità.
    E le istituzioni che fanno: danno soldi a chi stabilizza i precari o assume i cassaintegrati, la solita logica vetero comunista che salvaguardia il posto di lavoro e non il lavoro.
    Date soldi alle aziende per realizzare piani di sviluppo e vedrete che i posti di lavoro ritornano a fioccare.

    RispondiElimina
  2. Di fronte a queste situazioni l'ipotesi di un fondo rotativo della Fondazione acquista senso e pregnanza...

    RispondiElimina
  3. Massimo Frascarello19 ottobre, 2012

    Altre buone idee potrebbero venire solo con la fine della cassa integrazione ad oltranza, che è l'altra faccia di quell'assistenzialismo che deprime lo slancio e la proattività per la ripresa di un payroll virtuoso..non è popolarissimo ciò che scrivo, ma è quello che penso.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. è quello che pensano molti....

      Elimina
  4. Se c'è volontà ci sono molti modi per salvare le medie e piccole aziende di questa città, ma tormando al discorso delle grande aziende che non andranno in Consiglio Comunale a dichiarare le loro intenzioni mi sono posto una domanda, in pubblico questi signori la faccia non ce la mettono ma per chiedere i soldi in arrivo cosa faranno? forse una semplice telefonata al loro servetto regionale??

    RispondiElimina
  5. Caro GianPi,
    questo tuo post rispecchia fedelmente la sitazione che vive la società(S.c.p.A.) per la quale lavoro e sono socio, che tristezza.........
    Ho gettato

    RispondiElimina
  6. "Il Sig. Bonaventura è disposto a mettere a disposizione dei fabrianesi - singoli o associati - il 60% delle quote della società che, è bene ricordarlo, ha problemi di natura finanziaria ma può ancora dire la sua a livello industriale. Chi contribuisce, con una base minima di 100 euro e multipli di cento, diventa proprietario pro quota di una società strutturata, che dal terzo al quinto anno restituirebbe - a chi ne facesse richiesta - gli interessi maturati e il capitale investito."

    Se ci arriva al III° anno. Finanziare una società schiava? Meglio buttare i soldi sui cavalli, almeno rientrano subito ed i rischi sono gli stessi. O no?

    RispondiElimina
  7. Può essere un soluzione valida! Ci si può ragionare sopra

    RispondiElimina
  8. Sicuramente è un'idea originale e valida! Resta il problema di un bacino di raccolta sottoscrizioni particolarmente sofferente in questo momento. Mi domando come il sistema bancario del comprensorio sia così miope enon faccia il proprio mestiere

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il sietma bancario del comprensorio è fatto dalla Carifac. Fino a ieri la Carifac ha pensato bene di aiutare solo i soliti noti. Ora con i veneti si è chiuso il rubinetto (GIUSTAMENTE).

      Elimina
  9. Se gli imprenditori, quei pochi veri, avessero sempre e solo ragionato con i criteri di Basilea come fanno oggi le banche ad oggi avremmo l'industrializzazione della Somalia!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Se in Italia i pochi veri imprenditori avessero messo utilizzato lo stesso clientelismo e lo stesso familismo usato da Merloni saremmo allo stesso livello del Burkina Faso.

      Elimina
  10. L'ipotesi fare una sorta di public company locale secondo me rappresenta una sperimentazione di economia sociale di mercato e spero che non resti sospesa in aria.

    RispondiElimina
  11. Anche secondo me sarebbe un'ottima sperimentazione! noi ci siamo

    RispondiElimina
  12. Mi sembra una buona idea ed un modo per bypassare le banche che, come giustamente detto nell'articolo, nei momenti di maltempo hanno pensato bene di chiudere i rubinetti.

    RispondiElimina

Sarà pubblicato tutto ciò che non contiene parolacce, insulti e affermazioni discriminatore nei confronti di persone