Se qualcuno pensava che mi fossi tacitato o tolto dalle balle per improvviso inaridimento della vena critica può mettersi l'anima in pace. Eccomi qua dopo due giorni di buona vita. Vivo e vegeto per una nuova puntata del Muppet Show fabrianese.
Oggi parliamo di manifesti. Per la precisione del manifesto sulle "solite facce" prodotto da per nulla anonimi committenti. Lo dico subito a scanso di equivoci: quel manifesto è un concentrato glaciale di coglioneria, un bidone mediatico che dovrebbe essere proposto, come case history al contrario, in tutte le facoltà di Scienze Politiche. L'Antica Coglioneria del Corso ha, infatti, sfornato tre coglionate in sei per due. La prima coglioneria è di natura mediatica, perchè la grafica del manifesto propone le "solite facce" democristiane in un modo che ricorda i volti di alcuni grandi presidenti americani scolpiti nella roccia del monte Rushmore. In questo modo il favoloso mondo della DC non viene azzannato senza pietà ma monumentalizzato e restituito quasi in forma di mito. Che è l'esatto contrario di quel che avevano in mente gli ideatori, che soltanto per questo si dovrebbero vergognare un po' e nascondersi a gambe levate. La seconda coglioneria riguarda l'incompletezza del messaggio, ossia la sua limitata credibilità. Già, perchè nella galleria del democristianesimo - passato, presente e futuro - è stato sbianchettata la faccia di un pezzo da novanta: quella di Claudio Biondi. Un dinosauro di antico pelo che avrebbe meritato un posto d'onore nella galleria del regime; depennato, in perfetto stile sovietico, perchè poco funzionale al discorso e alla polemica degli ideatori del manifesto. E sapete perchè? Semplice, facile e banale perchè Tutanklaudion Biondi appoggia Urbani che, essendo Papa della Religione Pagana di Sè Stesso, oltre a sognarsi in fascia tricolore da cinque anni, dispensa pure indulgenze plenarie agli adepti peccatori. E quindi: resta di di stucco è un Barbatrucco! Di colpo Biondi è tornato lindo, pinto e capellone! Ma la vera coglioneria in forma di boomerang è la terza. Ed è di natura politico-sentimentale. Infatti nel manifesto lenzuolo è ritratto anche Angelo Tini. Chi conosce le relazioni tra i politici fabrianesi penso possa comprendere il mio stupore, dato che quello tra Urbani e Tini è stato amore politico a prima vista. Una passione durata cinque anni. Cinque anni in cui Tini è stato il vero e unico Mentore di Urbani. Cinque anni in cui Angelino da San Donato ha allevato, nutrito e imboccato Urbanetto da Nebbiano su ogni dettaglio e piega del bilancio comunale. Urbani&Tini: una premiata ditta, con Angelino a dettare la linea e Urbanetto a eseguire con dedizione, ostinazione e capa tosta. Insomma un sodalizio quasi parentale. Fraterno e per certi versi gemellare. Come Graziani e Pulici, come Castore e Polluce, come Totò e Peppino. Uniti dal vincolo indissolubile del far pulci ai bilanci del Barbuto Calante e dell'Elfo Boldrini. Ma poi l'amore è finito. Senza preavviso. Senza neanche una lettera d'addio. Tini con il cuore a destra e la poltrona a sinistra. Urbani con il cuore non si sa dove e la poltrona saldamente disposta sotto il proprio culo. Fino alla vendetta postuma del manifesto, dove l'amato e implorato Tini viene inserito nella grande galleria del regime biancofiore, come un reprobo messo all'indice da una improvvisa e amara furia dantesca. Per questo il manifesto sulle "solite facce" è un grido di dolore, un atto estremo di gelosia, una espressione morbosa di un tradimento che addolora la mente e il cuore del Prescelto Berlusconiano: "Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona". Sarebbe stato più carino scriverci "ci eravamo tanto amati" perchè di fronte ai cuori sanguinanti e agli amori traditi ci saremmo tolti il cappello con rispetto ed empatia. Invece questo manifesto, in forma di lenzuolo, appare agli occhi di tutti per quello che è: un'esca buona per gli smemorati e convincente per i coglioni. E chi lo ha ideato dovrebbe fare solo due cose: dedicarsi all'agricoltura e prendere le distanze dalla sua solita faccia.
