22 aprile 2012

Il mesto congedo dei Due Vegliardi

Queste elezioni comunali saranno ricordate, oltre che per l’esercito di candidati al consiglio comunale, pure per lo sparuto gruppo dei desaparecidos, dei non ricandidati e di quelli che hanno fatto perdere le proprie tracce. Ce ne sono destra e a sinistra, ma solo alcuni meritano un’attenzione, per via dei precedenti e dell’abilità con cui sono sopravvissuti al ciclo delle stagioni politiche. Tra questi mi piace ricordare i Due Vegliardi, vere e proprie Salamandre uscite indenni da ogni fuoco. Ne parlo con affetto perché sono sempre stati in mezzo come il pomodoro, eternamente in lizza e in pole position fin dalla notte dei tempi.

Prendete Roberto Bellucci da Ciaramella. Gambe lunghissime, spalle strette e un po’ incurvate, cranio piccolo, voce tonante e manone a badile. Insomma un democristiano senza la fisiognomica democristiana, un trattore a cingoli più disposto al conflitto che alla conciliazione. Se non ricordo male diventa consigliere comunale nel 1976, quando ogni mattina andavo all’Allegretto con il grembiulino blu e il fiocco bianco. Una carriera senza tregua: assessore, consigliere comunale, assessore alla Comunità Montana, consigliere provinciale. Ha sempre usato il corpo per fare politica, giocando la parte dell’intimidatore, abbinata a un cervello indubbiamente fino e a un altrettanto lampante crudeltà d’approccio. Con Sorci giocavano al Gatto e la Volpe: Bellucci a sbregare e Sorci a ricucire. Nel 1995 fu uno dei protagonisti del salasso viventiano ma, nonostante le medaglia al valore, non è riuscito a coronare il sogno di questi ultimi anni: tornare a fare l’assessore. Un po’ per divieto sorciano, un po’ per la piega presa dall’Obitorio Marche. La sua sconfitta non è politica ma anagrafica. Per questo nutriamo seri dubbi sul suo passo indietro, che difficilmente si consumerà nel buen ritiro della Ciaramella. Ma per quanto si possa sbattere, Babbo Tempo scorre e avanza indifferente: tic tac tic tac tic tac.


Seconda Salamandra. Giuseppe Mingarelli detto Peppe, classe 1936. Vecchio ferroviere bolscevico, capocuoco eccelso di indimenticabili Feste de l’Unità, epuratore di ogni fronda interna, artefice di un processo nei miei confronti ai probiviri dell’allora Pds, quando mi incolpò di troppa libertà di parola e di lesa maestà nei confronti del Partito. Nel 1998 incrocia Francesco Santini sulla via di Damasco e si converte alla moderazione, aprendo, da assessore ai lavori pubblici, la sua fase ascendente, ribattezzata “calce e martello”, in onore all’inedito mix di ideologia e cementificazione di cui fu interprete e protagonista. Minuto di statura, un po’ tarchiato, di pelle scura e capello nero imbrillantinato, somiglia a un ballerino di Buenos Aires - al netto di rosa rossa in bocca - e col new look diventa Presidente del Consiglio Comunale, inanellando una gaffe dietro l’altra e scambiando un incarico di garanzia per una postazione da pubblico ministero. Lascia la politica per dedicarsi a una nuova causa: la banca di credito cooperativo. O meglio la vanga come direbbero i fabrianesi più fedeli al nostro cantilenante idioma. Per lui si apre una nuova stagione: Falce e Sportello. In questo allineandosi all’agenda di Lisbona che suggerisce azioni e provvedimenti di invecchiamento attivo.


Insomma, massimo rispetto e affetto per i Due Vegliardi, ma anche in politica bisognerebbe mettere un limite di età. Non dico i 50 anni della leggenda neroniana ma a 60, almeno politicamente, si dovrebbe fare un salto ai giardinetti piuttosto che alla sezione del partito. Bellucci e Mingarelli hanno sforato di molto, ma alla fine hanno mollato l’osso. E già questa è una finestra aperta sul futuro.
    

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